RIVALE - 1
Vi
avevo promesso che sarei tornata, eheheh! Confesso che avevo iniziato
questa storia già quando ero al termine dell’altra, ma
tempo fa ho fatto giuramento di non postare nessuna ff prima essere
moooolto prossima alla sua fine, ma ho già iniziato
l’ultimo capitolo ed ho le idee piuttosto chiare, quindi vi posso
concedere il primo! Anche questa non sarà una storia molto
lunga, ultimamente ho osservato che mi vengono meglio le ff brevi.
Voglio,
nell’occasione anche ringraziare le persone che hanno commentato
“Rear Window”. Sono felice che vi sia piaciuta. Io ho amato
le vostre recensioni, così precise e simpatiche. Vi aspetto
anche adesso! RoyAi Forever!!!!
I personaggi di Full Metal Alchemist appartengono ai loro legittimi autori. Questa storia è scritta senza scopo di lucro.
Nessun Roy Mustang ha subito conseguenze permanenti dai maltrattamenti patiti in questo racconto.
Buon divertimento e arrivederci alle note finali!
A Dance for
Three
(Un rivale per
il colonnello)
1 – Il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e c’è chi sale.
La
macchina si fermò nel suo posto riservato alle otto e trenta
precise, come ogni mattina. Ma quando alla guida c’era Riza
Hawkeye non si poteva pensare il contrario. Il colonnello Roy Mustang
scese composto, fresco di barba appena fatta e soddisfatto di
sé. Si aggiustò il cappotto, rivestendosi di
quell’algida sensualità che da sempre faceva sospirare il
personale femminile del comando e venire travasi di bile ai colleghi
maschi. Con un gesto del capo scostò la zazzera corvina dalla
fronte, poi si stampò in faccia il suo sorrisetto malandrino e
tentatore e si avviò lungo il piazzale, verso l’entrata,
seguito come un’ombra dall’immancabile tenente.
Ma quella mattina, al quartier generale di Central City, c’era una novità.
Il
colonnello Mustang entrò nell’edificio col suo usuale
passo deciso, ma, percorrendo i corridoi, non trovò le solite
impiegate che, casualmente, stavano fuori degli uffici proprio
all’ora in cui passava lui, o le soldatesse dagli sguardi
ammiccanti che, sempre casualmente, incrociavano il suo cammino.
L’unica che incontrò fu il sergente Pernice… ehm,
in realtà si chiamava Pernilla o qualcosa del genere, ma il suo
adunco naso a becco l’aveva trasformata, nella fertile fantasia
di Roy, in un esemplare della nota razza aviaria. E la donna non era
proprio il suo tipo, anzi, delle sue attenzioni avrebbe fatto
egoisticamente a meno.
Deluso
dalla mancanza della sua dose quotidiana di ammirazione, il colonnello
entrò leggermente depresso nel suo ufficio; appese mestamente il
cappotto e attese che Riza, efficiente come al solito, gli posasse la
giornaliera tazza di caffè sulla scrivania. Il peggio,
però, doveva ancora venire.
Nel corso
della mattina altri segnali preoccupanti minarono la fiducia del
colonnello nel proprio fascino. Quando si recò
nell’ufficio di un suo superiore, la segretaria di
quest’ultimo, una svampita bionda che moriva dietro a Roy da
almeno due stagioni, si stava spenzolando fuori della finestra e lui
dovette schiarirsi la voce per ben due volte, prima che si accorgesse
del suo arrivo. Anche dopo, ad ogni modo, non fu mielosa e lasciva come
era solita essere con lui. Ma passi, si disse il colonnello, in fondo
non era che quella gli piacesse poi tanto. Trovò, però,
anche le ragazze del centralino affacciate alle finestre che davano
sulla piazza d’armi. Stavolta non avevano mollato i telefoni per
stare a guardare lui sospirando. Ma ciò che più lo
insospettì e preoccupò, fu il comportamento di Kenzia.
Lei era una tipa dell’ufficio cartografia con cui era uscito
qualche settimana prima e che poi aveva cominciato a tormentarlo senza
tregua per un secondo appuntamento. Lui amava essere desiderato, non si
concedeva mai la prima sera. Ma a questa Kenzia non voleva proprio dare
una seconda possibilità. Era noiosa come parlare col muro.
Quando, però, lei lo ignorò bellamente, incrociandolo nel
corridoio, Roy sentì le sue certezze vacillare. Non pensò
che, forse, si era solo annoiata di corrergli dietro, perché
aveva una strana sensazione, una specie di presagio di sventura…
Ben
presto, però, Roy scoprì, se non altro, la causa dei suoi
mali. Verso le undici si recò in bagno e mentre era in uno dei
gabinetti, entrarono altre due persone.
“Ma che succede oggi?” Fece uno dei due soldati all’altro. “Sembrano tutte impazzite!”
“È colpa di uno nuovo.” Rispose quello. E qui Mustang aguzzò le orecchie.
“Chi?”
“Il
Maggiore in visita Anthony Paul.” Spiegò il più
informato. “È arrivato ieri pomeriggio e già oggi
hanno tutte perso la testa per lui!” I due risero forte.
“Che branco di galline!”
“E pensa a quel fesso del Colonnello Mustang!”
Roy, che
si stava allacciando i pantaloni, si raddrizzò a quelle parole,
pronto ad uscire fuori lanciando, letteralmente, lingue di fuoco.
“Già!”
Rincarò l’altro soldato. “Poveraccio,
c’è voluto proprio poco per destituirlo dal suo ruolo di
reginetto della base!”
“Ahahah, vorrei proprio vedere la sua faccia!” E ridendo se ne uscirono dal bagno.
Solo
allora Roy uscì dal gabinetto sbattendo la porta. Era andato
davvero vicino a farli neri. Bruciati ovviamente. Si avvicinò ai
lavandini, proprio dove poco prima parlavano male di lui, e si
lavò le mani; poi si guardò allo specchio. Era vero, la
sua faccia non aveva un’aria molto soddisfatta.
Il colpo di grazia, ad ogni modo, dolorosissimo e inaspettato, arrivò all’ora di pranzo, in sala mensa.
Il tenente
Hawkeye entrò in mensa con la solita aria diligente. Era sola,
perché il colonnello si era fermato in bagno. Forse aveva
mangiato qualcosa che gli aveva fatto male, perché era
già la terza volta quella mattina. Archiviò quel pensiero
e si diresse verso i vassoi, ripromettendosi di far mangiare in bianco
il suo superiore. Quando ebbe preso posate e bicchiere, si accorse di
qualcuno che stava per urtarla. Fece per spostarsi, ma fu colpita
ugualmente. Non riportò danni, però le caddero le due
cartelline che aveva in mano.
Lei si piegò subito per raccoglierle, ma fu anticipata da qualcun altro. Colui che l’aveva urtata.
“Mi scusi, spero che non si sia fatta male.” Le disse l’uomo.
“No, grazie.” Rispose Riza, senza alzare gli occhi. Quando ebbero raccolto tutto si alzarono.
Il tenente
guardò il suo interlocutore. Era un uomo alto, anche più
alto di Havoc, portava i gradi da maggiore. Aveva i capelli castano
chiaro, corti e ricci, pettinanti indietro col gel. I tratti del suo
viso erano delicati, nonostante la lievissima barbetta incolta. Aveva
occhi piccoli, ma di un bellissimo colore verde. Il sorriso era
compiaciuto ma dolce. Era innegabilmente affascinante. Lei si mise
sulla difensiva per istinto, stringendosi le cartelline al petto.
“Maggiore Anthony Paul.” Si presentò invece lui, porgendole la mano.
“Tenente Riza Hawkeye.” Replicò lei, stringendogliela.
“Mi
permetta, Tenente, di offrirle il pranzo, per scusarmi delle mia
sbadataggine.” Affermò allora lui. Riza lo guardò
poco convinta.
“Non credo che…” Fece per ribattere, ma Paul l’anticipò.
“Via!”
Esclamò mellifluo. “Non vorrà farmi sentire in
colpa per tutto il giorno?” Lo disse in un modo talmente galante
e sincero che anche le consolidate difese di Riza tentennarono, ma non
ancora abbastanza.
“Ecco…”
“A quale tavolo mangia di solito?” L’interruppe però l’uomo, come se avesse accettato.
“Al
tavolo del Colonnello Mustang.” Rispose immediata lei, col tono
di chi diceva una cosa ovvia e incontrovertibile.
“E c’è posto anche per me?” S’insinuò il maggiore.
“Io…
ecco, di solito…” Tentò lei, lanciando occhiate al
tavolo e sperando che fosse già occupato dalla truppa del suo
ufficio, ma non era così. Sempre in ritardo, quei disgraziati!
“C’è posto…” Si arrese infine.
“Oh, bene!” Si congratulò l’uomo. E lei, chissà perché, l’accettò.
Presero da
mangiare e lui si fece addebitare tutto, poi andarono al tavolo. Il
maggiore Paul era un ottimo conversatore e una volta intuito
l’interesse di Riza per le armi da fuoco, spostò
sapientemente l’argomento, coinvolgendola in una piacevole
digressione sul miglior calibro per i proiettili. Le poche altre donne
presenti in sala, nel frattempo, preparavano maledizioni e bambolotti
da infilzare con spilloni con fattezze somiglianti in modo preoccupante
a quelle della Hawkeye. Come se non fosse bastato l’odio eterno
guadagnatosi per essere l’eletta che accompagnava, giorno e
notte, i passi del divino Mustang.
Ma a proposito del nostro amato colonnello!
Roy
Mustang arrivò in mensa seguito da Havoc, Falman e il resto
della compagnia. Come se avesse avuto il radar, la prima cosa che fece
il colonnello fu guardare verso il tavolo. La rassicurante visione di
Riza, che aveva immediatamente intercettato il suo sguardo, fu subito
turbata da quella di un tizio seduto a capotavola che fissava il suo
tenente con trasporto.
Il
colonnello fece il giro col turbo inserito, mettendo sul vassoio alcune
cose a caso, poi si diresse a grandi passi al suo tavolo, dove
quell’individuo aveva usurpato il suo posto e monopolizzato
l’attenzione del, ribadiamo, suo tenente.
“Salve.” Salutò, quasi minaccioso, sbattendo il vassoio sul tavolo. Hawkeye spalancò gli occhi.
“Signore…”
Fece alzandosi; si sentiva stranamente in imbarazzo, colpevole.
“Le presento il Maggiore Anthony Paul.” Ahhh, era lui.
Il
maggiore si alzò, pronto a stringere la mano al colonnello e
quest’ultimo si ritrovò a dover sollevare gli occhi per
guardarlo, poiché era superato in altezza di diversi centimetri.
Improvvisamente si rese conto di cosa doveva provare Edward… ma
si rivestì della sua dignità.
“Colonnello Roy Mustang.” Disse presentandosi e stringendo la mano al collega.
“Piacere.” Rispose l’altro.
La stretta
andò via via potenziandosi. Roy non aveva certo intenzione di
cedere per primo, non davanti al suo rivale, doveva fargli capire di
stare al suo posto. L’altro, che aveva sentito parlare della fama
di Mustang, non voleva far pensare di essere il più debole,
specie adesso che aveva capito su che campo si sarebbe giocata la
partita…
Continuarono
a stritolarsi vicendevolmente la mano fissandosi negl’occhi,
sotto lo sguardo un po’ divertito dei colleghi e quello sconvolto
di Riza. Erano due bambini, pensava la donna e, come si fa con i
mocciosi, bisognava imporsi con la forza.
“Basta
con i convenevoli, adesso.” Intervenne il tenente.
“Dovremmo finire il pasto, sta per terminare la pausa.”
Aggiunse, sedendosi e ricominciando a mangiare.
Con un
ultimo sguardo in cagnesco, i due si lasciarono le mani e si misero a
sedere, continuando però a scambiarsi occhiate malevole. Riza
scosse il capo.
Roy
Mustang si ritrovò a mangiare un pessimo polpettone con spinaci,
perché non aveva guardato cosa prendeva, e la mano gli faceva
tanto male da non reggere la forchetta, ma sorrise, pensando che il
caro Paul non dovesse stare meglio.
“Tenente,
pensavo…” Anthony parlò dopo qualche minuto di
silenzio, allungando una mano nel chiaro intento di sfiorare quella di
Riza (almeno nella mente di Roy).
“No!” Lo bloccò subito il colonnello, gli altri due spalancarono gli occhi.
“Non devo pensare?” Chiese provocatorio il maggiore.
“Non intendevo quello…” Replicò supponente Mustang.
“Signore, ma si sente bene?” Intervenne la donna. “È un po’ strano stamattina…”
“Sto benissimo!” Rispose piccato lui.
“A me non sembra…” Commentò Paul.
“A me sì.”
“Ma non direi…”
“Ah, no?”
“Non ha finito di dirmi cosa pensava, Maggiore.” Li bloccò Riza, già stanca di quel clima.
“Ma
certo, arrivo!” Esclamò subito lui, mollando il colonnello
alla sua bile e tornando a dedicarsi al bel tenente. “Mi chiedevo
se lei potrebbe prendere in considerazione l’idea di venire a
cena con me, una di queste sere.” Le propose garbato.
Roy fece
un risatina retorica. “Ma non se ne parla proprio!”
Buttò lì, senza pensare a ciò che diceva.
Riza,
infatti, alzò su di lui uno sguardo offeso. Per chi
l’aveva presa? Da quando si permetteva di decidere per lei? Era
forse una sua proprietà?! Da quello sguardo lui capì di
essersi tirato sui piedi non solo una zappa, ma proprio un
trattore…
“Signore,
se non le dispiace le mie decisioni le prendo da sola.”
Affermò quindi la donna, dura; poi si girò verso Anthony.
“Sarei felice di accettare, Maggiore.” E il sorrisino che
lui fece, valeva più di mille parole.
Il mondo
di Roy Mustang, nel frattempo, andava miseramente in pezzi. La sua
unica, vera certezza era crollata ed era anche colpa sua. Oh,
Riza… Riza! Ma come aveva potuto accettare il subdolo invito di
quel… quel… coso viscido e intrigante! Ma non lo vedeva
che razza di sfuggente, untuoso, miserabile egocentrico era?! Non si
accorgeva che quel tipo aveva una sola cosa in testa? Non voleva
nemmeno pensare a cosa era… Oddio! Sarebbero usciti insieme!!!!
Lei si sarebbe vestita da donna, truccata. Lui l’avrebbe aiutata
a mettersi il cappotto, l’avrebbe sfiorata, toccata e…
Omioddio… no, no, NOOOOO!
L’ultimo
boccone dell’orrendo polpettone gli si fermò in gola,
provocandogli una crisi di tosse. Chiedendo scusa e prima che Hawkeye
si alzasse per soccorrerlo, si allontanò dalla tavola. Gli era,
ormai, impossibile restare ancora lì.
L’umore
del colonnello Mustang non si rialzò e per il resto della
giornata rimase stabilmente sotto le suole delle sue scarpe. Fece il
suo lavoro senza lamentarsi e questo era un brutto segno. Il sintomo
peggiore, però, fu che non rivolse più la parola al
tenente Hawkeye, nemmeno una volta, per sbaglio. Non che di solito si
parlassero molto, spesso gli bastava uno sguardo per capirsi, ma
stavolta non ci furono nemmeno quelli. Si evitavano proprio.
La sera,
quando, come sempre, se ne andarono insieme, lui la precedette fuori
dall’ufficio. Cosa stranissima, perché, galantuomo
com’era, le teneva usualmente la porta aperta per farla passare
prima. Lei lo seguì. Era ancora un po’ arrabbiata con lui,
per come si era permesso d’intervenire nelle sue decisioni. Era
una donna indipendente, che sapeva badare a se stessa, quindi in grado
di decidere come e con chi passare il suo tempo libero. E lui non si
doveva permettere. Cavolo, era come se lei fosse intervenuta in uno
qualsiasi dei suoi appuntamenti. E dire che, qualche volta, ne avrebbe
pure avuto voglia. Roy Mustang non era nella posizione di poter
criticare.
Salirono
in macchina, ognuno coi suoi crucci, sbattendo le portiere in sincrono.
Riza prese il volante e mise in moto. Roy si accomodò sul
sedile, guardando fuori dal finestrino.
Faceva
freddo, era quasi inverno e le strade erano già sgombre di
persone, nonostante l’ora non tarda. Il tenente Hawkeye guidava
un po’ nervosa, non riusciva a sbollire.
La sosta
ad un semaforo le servì per prendere un lungo respiro, poi si
girò appena verso il sedile del passeggero. Il colonnello
sembrava si fosse addormentato, col capo reclinato contro il
finestrino. Riza guardò il suo bel viso serio, adombrato dai
capelli un po’ scomposti e si arrese al fatto che non riusciva a
portargli rancore. Non era capace di vederlo triste, arrabbiato,
preoccupato. Ogni suo umore si rifletteva anche su di lei. A volte era
difficile gestire questa specie di simbiosi, questa alchimia che
innegabilmente esisteva tra loro. L’alchimia
dell’alchimista… humpf, buffo, eppure così…
magico.
Sciocca,
si disse la donna, ripartendo al verde. Doveva smetterla di pensare a
lui in un modo in qualche senso romantico. Era il suo superiore! E,
ormai, avrebbe dovuto capire che proprio non gli interessava, che la
considerava magari utile, ma nulla di più. Quindi perché
farsi dei problemi ad accettare il galante invito di un uomo
affascinante quanto lui? Beh, ora… proprio quanto lui diciamo di
no, però senz’altro alla sua altezza, ecco.
Il
tenente, sugli ultimi fili del ragionamento, svoltò nella via
che avrebbe condotto sotto casa del colonnello. Con la solita
praticità pensò che fosse il caso di svegliarlo.
Allungò una mano e gli toccò delicatamente un ginocchio.
“Colonnello, siamo quasi arrivati.” Sussurrò quindi, senza lasciare la presa.
La sua
voce carezzevole lo svegliò senza troppi traumi. Si
guardò intorno un po’ spaesato, poi avvertì il
tocco della mano di Riza sul suo ginocchio. Sentiva chiaramente la
stretta gentile delle sue lunghe dita attraverso la stoffa, calde. Lo
percorse un brivido, pensando a quelle stesse dita, nello stesso posto,
ma con la gamba nuda. Eccitato? Sì, un pochino. Ma più
che altro, a turbarlo, era l’intimità di quel gesto, che
sicuramente lei aveva fatto con spontaneità, senza pensarci. La
naturalità di uno scambio tra persone che, bene o male,
dividevano gran parte della vita.
Quando
Riza lasciò la presa, per tornare con la mano sul cambio, Roy si
sentì abbandonato e ricordò che lei doveva uscire con
quel tipo. Si sarebbe lasciata andare a certi gesti anche con qualcun
altro? Alla sola idea il colonnello Mustang rabbrividiva e le sue dita
cominciavano involontariamente a mandare scintille, mentre il suo
sguardo si tramutava in quello di un assassino seriale affetto da gravi
turbe psichiche. Era schifosamente geloso. Se ne rammaricò.
La macchina si fermò sotto la palazzina in cui abitava il colonnello. Qui le loro vite si dividevano, come ogni sera.
Forse a
causa dell’ormai appurata Alchimia dell’Alchimista, i due
si voltarono l’uno verso l’altra all’unisono.
Scambiarono un lungo, muto sguardo. I penetranti occhi scuri di Roy in
quelli grandi e solari di Riza, almeno finché lui non
chinò il capo.
“Deve
dirmi qualcosa, Signore?” Suggerì lei, per facilitargli il
compito, dato che non spiccicava parola da un intero pomeriggio.
Lui
rialzò il viso. “Oggi in mensa, beh, io… immagino
di essere stato un po’ infantile…” Esordì
titubante, con un braccio appoggiato sulla spalliera del sedile. Lei lo
incitò a proseguire con un cenno. “…ed
egoista…” Non le bastava, era chiaro. “…e
dispotico.” Riza annuì convinta. “Volevo scusarmi
con lei.”
La ragazza
ci pensò per qualche secondo, ma lui aveva un’aria
così rammaricata e tenera, che tenergli il broncio sarebbe stato
praticamente impossibile. “Scuse accettate.” Gli concesse
infine.
“Grazie.” Soffiò Roy sollevato. “Immagino che non ci sia niente da aggiungere…”
“Direi di no.” Fece lei.
Invece, di
cose da aggiungere ce ne sarebbero state un milione. Un milione di
parole, di baci, di carezze, di segreti. Ma tutto questo, entrambi, lo
avevano messo via, in una scatola sul ripiano più
irraggiungibile del cuore. In attesa. Del giorno giusto. Del momento
giusto. Forse, della persona giusta. Anche se la persona giusta,
magari, ce l’avevano davanti.
“Buonanotte, Tenente.” Le augurò Mustang, aprendo lo sportello. Era l’ora davvero.
“Buonanotte
a lei, Signore.” Rispose gentile Riza, mentre lui scendeva.
“A domani.” Aggiunse, prima che richiudesse la portiera.
“A domani.” Fece mestamente lui.
Roy rimase
sul marciapiede, mentre la macchina andava via, guardandola sparire in
fondo alla strada. Provava un vago senso di perdita, come un po’
ogni sera, ma quel giorno di più. Poi subentrò la rabbia.
Con le altre donne potevano fare quello che gli pareva, ma decise che
nessuno gli doveva portare via Riza. Tanto più il maggiore
Anthony-Viscido-Paul! Corse in casa, doveva preparare un piano
difensivo o sarebbero stati guai.
Passarono
un paio di giorni senza rilevanti novità. Il colonnello Mustang
teneva abilmente sotto controllo la situazione grazie ad una rete
d’inconsapevoli spie sparse per il comando, ma, per ora, non
c’erano notizie che l’appuntamento fosse stato fissato.
Una
mattina Roy si presentò in ufficio da solo. Havoc e Fuery erano,
stranamente, già al lavoro e lo guardarono perplessi. Era
capitato rarissime volte che il colonnello arrivasse senza tenente.
“Il Tenente Hawkeye?” Gli domandò, infatti, Jean.
“Si
è fermata un momento a prendere dei documenti nell’ufficio
del Comandante Bones.” Spiegò l’uomo, mentre
appendeva distrattamente il cappotto.
“Ahahh…” Commentò Havoc, un po’ malizioso. Roy si girò di scatto.
“Che vuol dire?” L’interrogò sospettoso.
“Ecco…” Il ragazzo, sotto quello sguardo inquisitorio, s’impappinò subito.
“Ehm…”
Intervenne Fuery, aggiustandosi gli occhiali. “…forse lei
non lo sa, ma il Maggiore in visita Paul è stato momentaneamente
assegnato all’ufficio del Comandante Bones…”
Il
colonnello non gli diede neanche il tempo di finire la frase, in un
istante era sulla porta. “Torno subito.” Dichiarò
prima di sparire.
“Ma
Colonnello, tra dieci minuti…” Tentò Havoc.
“…ha un appuntamento con Edward Elric…”
L’ultima parte del discorso la sentì solo Fuery.
Amelia
Rose, la scialba e timida segretaria del comandante Bones, fece
letteralmente un salto, quando la porta dell’ufficio le si
spalancò di fronte e il colonnello Roy Mustang, in tutto il suo
splendore, entrò d’impeto.
“Co… Colonnello Mustang…” Balbettò la ragazza sorpresa.
Lui
riconquistò in un attimo la calma ed il suo savoir faire,
avvicinandosi alla scrivania con lo sguardo più seducente del
proprio repertorio.
“Amelia…” La chiamò dolcemente, mentre quella arrossiva come un pomodoro maturo.
“Colonnello…”
Mormorò lei estasiata. “Posso fare qualunque cosa…
ehm, qualcosa per lei?”
Lui,
soddisfatto dell’effetto che riusciva ancora ad avere sulle
donne, si sporse sulla scrivania, investendola con il profumo fresco
del suo dopobarba e quel suo fascino un po’ selvatico.
“Amelia…”
“Sì?” Fece la ragazza adorante.
“Cercavo
il Tenente Hawkeye.” Affermò subito, tornando pratico e
raddrizzandosi. “Non l’ha mica vista, per caso?”
“Beh,
sì…” Rispose Amelia, ancora un po’
frastornata. “È andata via un attimo fa…”
“Oh,
grazie!” Esclamò Roy, poi guardò la scrivania vuota
alla sua sinistra. “E… il Maggiore Paul?” Chiese
quindi, con aria disinteressata.
“Credo sia sceso in caffetteria.” Disse la ragazza.
“La
ringrazio di cuore, Amelia…” Mormorò sensualmente
il colonnello, lei si sciolse come un ricciolo di burro in padella.
“Sa che stamattina lei è particolarmente
affascinante?” Aggiunse, come da guida del provetto seduttore.
“Anche
lei, Colonnello…” Dichiarò la ragazza, piuttosto
rapita; purtroppo non poté godersi altro, poiché Roy se
ne andò un po’ troppo in fretta, così come era
arrivato.
Mustang si
stava precipitando a rotta di collo giù per le scale che dal
secondo portavano al piano terra, dove c’era la caffetteria.
Sapeva di stare infrangendo tutta una serie di codificate norme
dell’etichetta militare, ma non poteva perdere tempo. Era sicuro
che fossero insieme e forse, a quest’ora, potevano aver
già fissato l’appuntamento!
Girò
l’ennesima rampa, ormai prossimo all’obiettivo, ma dovette
fermarsi, con una mano sulla ringhiera e l’altra sul muro. In
fondo a quella serie di gradini c’era Edward Elric, nella stessa
posizione, che lo fissava minaccioso. Si scambiarono una lunga occhiata
in puro stile film western.
“Togliti di mezzo, Acciaio, non ho tempo da perdere stamattina!” Sbottò subito Roy.
“Veramente, avevamo un appuntamento.” Gli ricordò il ragazzo, continuando a fissarlo negl’occhi.
“Ah,
sì? Allora fai una cosa, vai nel mio ufficio e aspettami, che io
arrivo.” Replicò indispettito il colonnello, riprendendo a
scendere.
“Possiamo andare insieme.” Dichiarò Ed.
“No, io adesso ho da fare.” Ribatté Roy.
“E che cosa?”
“Affari miei.”
“Vengo con lei.”
“Ma
non se ne parla proprio!” Altro che gli automail, quello
d’acciaio aveva proprio il cranio, santo cielo! “E ora
fammi passare.” Gli ordinò quindi.
“Guardi,
che se tra dieci minuti non è in ufficio io me ne vado!”
Lo minacciò l’alchimista, scansandosi.
“Fai un po’ come ti pare, brutto nan…”
“Come ha detto?!” Ringhiò Ed voltandosi, ma Roy era già sparito.
La corsa
fino alla caffetteria non servì a molto, se non a provocarsi un
fiatone assurdo. Non c’erano ne Riza ne Paul. Se nessuno sembrava
aver visto il tenente, alcune signorine gli riferirono che il maggiore
era andato in palestra. E giù, di nuovo corsa, fino alla
palestra che stava dall’altra parte dell’edificio. Anche
lì, però, fece un buco nell’acqua. Gli dissero che
Paul era tornato in ufficio. La sola idea dei due piani di scale lo
sconfortava, ma che fare sennò? Salì.
Arrivato a
destinazione, ormai trascinandosi pietosamente, girò
l’ultimo angolo, prima dell’ufficio del maggiore e si
trovò davanti Riza, come un’apparizione divina. Un attimo,
però… che ci faceva lì? Veniva forse
dall’ufficio di Paul? Era con lui?! Ma la voce della donna lo
bloccò prima che il suo cervello uscisse di strada.
“Colonnello,
ma dove era finito? La sto cercando da un sacco di tempo.” Lo
rimproverò la donna. Lui si appoggiò con un braccio al
muro e prese fiato, prima di rispondere.
“Mi… mi sto allenando per la maratona di Central City…” Soffiò, con intento ironico.
Il tenente
lo guardò perplessa, alzando un sopracciglio.
“Cos’è, s’è dato al podismo da quando
le donne non le danno più le soddisfazioni di una volta?”
Soggiunse sarcastica; Roy ridacchiò senza entusiasmo.
“Edward Elric la sta aspettando.” Gli ricordò poi,
prima di precederlo alle scale.
“Qualcuno
ha mai pensato ad installare un ascensore, in questo posto?”
Commentò sconsolato l’uomo, mentre la seguiva.
Roy, nei
giorni successivi, per quanto fece, non riuscì a scoprire nulla
sui movimenti di Riza e del maggiore. Dovette arrendersi. Era sicuro
che il tenente Hawkeye non avesse intuito il suo interesse. Era, forse,
anche perché lei, d’interessi in quella faccenda non ne
aveva proprio, ma questo il colonnello non poteva sospettarlo…
CONTINUA
NOTA:
di questo capitolo vi suggerisco di ricordare due cose. Amelia Rose, un
personaggio che ho adorato creare e che, secondo me, rispecchia un
po’ noi fangirl del colonnello; tornerà, ehhh, se
tornerà… ^__^ E la maratona di Central City, non spoilero
nulla, ma voi tenetela a mente… ^__- Aspetto i vostri commenti,
un bacio!
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