Il treno si muoveva
silenziosamente e il paesaggio
scorreva veloce fuori dal finestrino, mostrandomi i campi coltivati del
Baden-Wurttemberg e delle cittadine da cartolina. Poi altri campi
coltivati e
ancora, indovinate un po’, campi coltivati. La vista era diventata
monotona dopo
cinque minuti fuori da Basilea. Allontanai
il capo dal finestrino e mi
soffermai a studiare con interesse il posto vuoto davanti a me.
Qualsiasi cosa
pur di non vedere un’altra fattoria rustica.
Il
mio
compagno di viaggio - se tale poteva definirsi - era meno loquace di
uno
scaldabagno rotto e ciò non aiutava a migliorare l’atmosfera. Aveva
passato tutto
il viaggio a completare cruciverba e schemi di sudoku e mi aveva
rivolto la
parola solo quando non era riuscito a risolvere un diciassette
verticale. Tanto
per la cronaca, non ci ero riuscito nemmeno io.
«Perché
non abbiamo usato un Portale?» domandai, sperando di avviare una
conversazione
che mi avrebbe risparmiato un altro viaggio noioso. I Portali sono il
metodo
più veloce ed economico per viaggiare. Congiuri un paio d’incantesimi
e…
POOF!... ecco a disposizione uno strappo nella realtà che ti porta
direttamente
a destinazione. Ovviamente bisogna conoscere un po’ di magia per
poterli usare,
non è roba per tutti. Ci vuole un buon mago, me ad esempio.
L’uomo
alzò le spalle. «Pensa a goderti il viaggio, Neil McRoberts.» rispose
senza
alzare gli occhi dalla rivista.
«Se
vedo
un altro campo mi sparo in bocca.»
«Con
quale pistola?» Mi indicò il cruciverba con la penna e aggiunse: «Sette
orizzontale, soldato romano. Dieci lettere.»
«Mario
Silla. Caio Leonio. Pippo Pipponio, che ne so, non ho mai conosciuto
dei
romani. Piuttosto, perché non abbiamo usato un Portale? Saremmo già
arrivati e
non avremmo speso un soldo.»
«Legionario.»
disse, ignorando le mie lamentele.
Mi
misi
a ridere. «Non li sai usare!» esclamai, fra una risata e l’altra.
«Non
sono un mago come te, umano.» Posò la rivista sulla gambe e mi fissò.
«Tra
l’altro questa mancanza non mi ha impedito di catturarti, no?»
Ricambiai
lo sguardo e dovetti chinare il capo per farlo. Il mio interlocutore
era alto
poco meno di un metro e sessanta e la sua posizione sprofondata nel
sedile non
lo rendeva certo imponente. Del resto, tutto il suo aspetto trasudava frivolezza e
superficialità. Indossava un
capellino dei Boston Celtics che gli copriva i capelli rossi, la
barbetta
incolta gli dava un senso di trasandatezza, acuito dalle occhiaie scure
e dalle
stropicciature sulla camicia bianca. I pantaloni di velluto verde
brillante
passavano quasi inosservati a causa della vistosa fibbia della cintura,
che era
appariscente non tanto per la sua forma, quanto per il fatto che fosse
d’oro; le
scarpe nere senza lacci avevano due fibbie identiche. L’abbigliamento
veniva
completato da una giacca verde che per il momento si trovava sul
portabagagli,
insieme al suo bastone da passeggio.
Quando
lo incontrai, la prima cosa che mi venne in mente fu “mio caro, oggi
non è San
Patrizio”. In tutta sincerità, chiunque avrebbe pensato che fosse uno
sbandato
- o un tipo insolito, nel migliore dei casi - e non certo un leprecauno
mercenario con le palle cubiche.
«Sei
stato fortunato.» mentii. In realtà, ero curioso di sapere perché ero
ancora
vivo.
Il
folletto inarcò un sopracciglio, poi scosse la testa, riprese la
rivista di
enigmistica e tornò a concentrarsi sul giochino. Era chiaro che avrei
passato
un’altra ora a rimuginare su cosa era successo il giorno prima e su
quello che
mi aspettava a Friburgo.
Come
cambiano velocemente le prospettive di vita di un mercenario ricercato
da uno o
più clan di vampiri. Due giorni prima mi trovavo a Nizza e passeggiavo
tranquillamente per la Promenade des
Anglais, gustandomi un cono gelato con tre palline al
cioccolato. Se c’è il
cioccolato, perché scegliere altri gusti? Comunque, ero là che mi
godevo un’ultima
passeggiata sul lungomare prima di tornare nuovamente al mio esilio in
Sardegna.
Vivere come un fuggitivo, nascosto in un qualche buco nelle montagne,
era fin
troppo stressante e ogni tanto avevo bisogno di un’iniezione di vita:
una
passeggiata in Costa Azzurra, un salto a Las Vegas o una visitina al
Moulin
Rouge. Ero immerso nell’assaporare il delizioso gelato, quando il
simpatico
figuro mi era comparso davanti. Non comparso dal nulla, intendiamoci.
Camminava
nella direzione opposta a me e quasi ci eravamo scontrati. Stavo per
tirar
fuori la magnifica battuta citata prima, ma l’uomo aveva alzato il
bastone da passeggio
e me l’aveva puntato allo stomaco.
«Neil
McRoberts» aveva detto «mi chiamo Finn e tu sei mio prigioniero.» Per
rafforzare le parole mi aveva pungolato col bastone e una scarica
elettrica mi
aveva percorso da capo a piedi, facendomi rizzare i capelli. Non era
nulla di
letale, ma era stata abbastanza dolorosa per farmi capire che era
meglio non
reagire. Chiaro e conciso.
«Chi
sei?» avevo chiesto, un po’ stupidamente. Perdonatemi se non sono un
brillante
conversatore dopo essere stato “taserato”.
«Sei
sordo o idiota?»
«Sei
un
leccapiedi di Greta Zimmerman?» avevo domandato, non proprio
gentilmente. Greta
Zimmerman era la matriarca di un clan di vampiri che avevo incontrato
un anno
prima e, come ogni donna, una volta conosciutomi non aveva più potuto
fare a
meno di me, o forse mi voleva solo perché l’avevo pesantemente
insultata; fatto
sta che aveva sguinzagliato un certo numero di sgherri sulle mie tracce
e per
quel motivo mi ero rintanato in Sardegna.
«Non
sono
il leccapiedi di nessuno. Sono un lavoratore indipendente.» aveva
risposto il
leprecauno. «Non prendertela, è solo una questione di lavoro. Nulla di
personale.»
«Ovviamente.»
Fra colleghi si ci capiva. «Mi chiedo come mai un folletto della corte
irlandese lavori per un clan di vampiri.»
Aveva
alzato le spalle in segno di noncuranza. «L’unica cosa importante è
questa.
Puoi venire con me tranquillamente e in due giorni saremo a Friburgo
dove ti
consegnerò alla vampira. Oppure puoi provare a reagire. In tal caso ti
strapperò un arto a caso. E poi un altro ancora, fino a quando non ti
deciderai.»
«Ho
solo
quattro arti.» avevo replicato.
«Allora
dovrai decidere in fretta.»
Dato
che
mi trovavo in treno in sua compagnia e col giusto numero di arti, vi
lascio
indovinare quale sia stata la mia risposta. Non c’era verso per uno
come me di
sfuggire a un membro di una corte fatata. Inoltre non mi aveva ucciso,
per cui
il suo lavoro era solo di portarmi da Greta e ciò significava solo una
cosa: la
vampira mi voleva vivo.
Perché?
Non lo sapevo, ma era comunque un’ottima notizia.
Rimanere
vivo – e con braccia e gambe intatte – era il miglior scenario che
potessi
sperare per fuggire. Non morire oggi, per fuggire domani. Inoltre, una
volta completato
il suo contratto, il leprecauno mi avrebbe ignorato e un gruppo di
vampiri era
molto più alla mia portata.
Finn
mi
aveva portato l’aeroporto ed eravamo volati a Ginevra, dove avevamo
preso un
treno per Friburgo, con cambio a Basilea.
Era raro trovare un folletto che non era in grado di usare
la magia per
viaggiare. Quasi quanto uno che lavorasse come mercenario per dei
comuni
mortali. Ok, un vampiro non è un comune mortale, ma secondo le fate è
ciò che
c’è di più infimo nel mondo magico, per via della loro origine.
Il
treno
si fermò in un piccolo paesino e una coppia di mezz’età si sedette di
fronte a
noi. Ci guardarono per un attimo, lanciandoci occhiate incuriosite. Se
Finn
sembrava uscito da uno spot per incoraggiare il turismo in Irlanda,
anche io
non scherzavo, in quanto ad abbigliamento. La felpa rossa che avevo
comprato
all’aeroporto lasciava intravedere la camicia a motivo floreale che
indossavo
sotto e poco
s’intonava con la tuta che
avevo comprato per sostituire i pantaloncini corti. Naturalmente, Finn
vinse la
sfida, guadagnandosi la maggior attenzione della coppia.
«Salve!»
li salutai allegramente. Almeno avrei avuto qualcuno con cui parlare.
«Anche
voi diretti a Friburgo?»
«Ich spreche kein Englisch.» rispose la
signora, scuotendo la testa.
Immaginai
significasse “non parlo inglese”. Oppure “non rompermi le scatole,
scocciatore”. Il risultato comunque era
lo stesso.
«Toglimi
una curiosità.» dissi, rivolgendomi nuovamente a Finn. «Com’è che un
membro di
una corte fatata si abbassa a lavorare come mercenario?»
«Noia.»
rispose. Chiuse la rivista e la tirò sul portabagagli. «Dopo i primi
millenni,
la politica e gli intrighi delle corti diventano monotoni. Scene trite
e
ritrite.»
«Sì?»
Parlava di millenni come si trattasse di mesi o settimane. Se la storia
del non
sapere congiurare un Portale mi aveva fatto venire qualche dubbio sulla
sua
forza, quelle parole fecero sprofondare la speranza di poter fuggire
prima che
lui se ne andasse. Assumendo che se ne andasse
prima che Greta mi uccidesse.
«Un
giorno viaggiavo per l’Inghilterra, nei pressi del villaggio che oggi
si chiama
Dover, e m’imbattei in una battaglia. La costa era occupata da decine
di navi,
dalle quali scendevano uomini in armatura. Dalla spiaggia altri uomini,
con i
corpi dipinti, si affannavano per ributtarli in mare.»
«L’invasione
della Britannia da parte di Giulio Cesare.» Primo secolo Avanti Cristo
e il
tizio l’aveva vista di persona. Non era la prima volta che parlavo con
esseri
per cui il tempo è cosa di poco conto, ma nessuno di quelli aveva
minacciato di
smembrarmi.
Il
folletto annuì. «C’era qualcosa nell’aria che mi aveva incuriosito.
Catturato,
meglio. Il rumore delle armi, le urla dei guerrieri. L’odore del sangue
e del
sudore che impregnava l’aria. All’improvviso sentii il bisogno di
combattere,
di lanciarmi nella mischia.»
«Il
richiamo della guerra.» mormorai, sottovoce. Capivo perfettamente,
visto che
anche a me era successa una cosa molto simile.
«Ero
talmente estasiato da quell’atmosfera» continuò, senza dar cenno di
avermi
sentito «che nemmeno mi accorsi di aver raccolto uno spadone ed essermi
lanciato contri i romani. Combattei e uccisi fino a quando gli invasori
ricacciarono i britanni nell’entroterra. Ero ricoperto di sangue.»
Aveva
stretto i pugni e le nocche erano sbiancate. «I Lord delle corti fatate
risolvono le proprie contese per vie subdole. Qualcuno ama usare la
magia, ma
quello è l’unico mezzo vagamente diretto che si permettono di usare. Il
combattimento fisico è disprezzato come poche altre cose.»
«Sono
troppo altezzosi per sporcarsi le mani.» dissi, annuendo. «Se ora mi
stai
portando da Greta è perché ho fatto un lavoro simile per conto di un
Lord dell’Areu Afadau , la corte
sarda.»
Finn
sorrise. «Lo so. Ti
avevo sotto tiro da
una decina di giorni, ma non volevo attaccarti mentre eri sotto la loro
protezione.»
Ovviamente.
Altrimenti, chissà che casino sarebbe successo. Sarei stato anche
curioso di
vedere una guerra aperta fra corti, ma solo se non ne fossi stato la
causa.
«Comunque,
ritornando al discorso di prima, quel giorno capii che combattere era
la mia
strada. Da allora ho solo fatto quello, in giro per il mondo.»
Mi
feci
scappare un gridolino di giubilo, molto simile a quello di una
dodicenne che ha
appena visto la boy band del momento. Avevo appena conosciuto il mio
idolo: non
solo era un folletto con le palle icosaedriche che faceva il mio stesso
lavoro,
era pure un’enciclopedia vivente dell’arte della guerra. Glielo dissi e
si mise
a ridere.
«Nessuno
mi ha mai dato dell’enciclopedia.» ribatté. «Ma se pensi di comprarti
la
salvezza adulandomi, stai sbagliando.»
«Non
lo
farei mai, non sarebbe professionale. Del resto, però, non posso
nemmeno
rinunciare al mio diritto di fuga.»
«Ti
ricordo che la promessa di smembramento è ancora valida.»
Poggiai
la testa sul sedile. Aveva ragione, esercitare il mio diritto di fuga
avrebbe
portato risultati spiacevoli. «Puoi dirmi almeno perché Greta mi vuole
vivo?»
Scosse
la testa. «Anche se lo sapessi, non te lo direi. Sai bene che sarebbero
informazioni confidenziali.»
Naturalmente,
Finn era un professionista, però chiedere non costava nulla. Mi lasciai
andare
e chiusi gli occhi. Tanto non potevo fare nulla fino a quando non mi
avrebbe
consegnato alla vampira, quindi tanto valeva approfittare del resto del
viaggio
per riposarmi. Se la corrente è troppo forte è preferibile lasciarsi
trasportare piuttosto che nuotarle contro.
Mi
svegliai quando Finn mi scosse violentemente la spalla.
«Siamo
arrivati, Neil McRoberts.» disse. Aveva indossato la giacca e teneva il
bastone
appeso al braccio.
Mi
alzai
e mi stiracchiai, dopo aver sbadigliato con esagerazione. Mi diressi
verso
l’uscita del vagone con il leprecauno che mi seguiva. Scesi a terra e
mi
guardai intorno, incerto sul da farsi.
«E
ora?»
chiesi.
«E
ora
attendiamo il nostro contatto.» disse Finn. Anche lui si guardava
intorno.
Si
pensa
sempre che la vita del mercenario sia come nei film: inseguimenti a
tutta
velocità, esplosioni, combattimenti di karate e nemici dietro ogni
angolo. La
realtà è molto più monotona. Grazie al cielo, aggiungerei, visto che
non ho una
controfigura per le scene pericolose. Spesso – molto spesso – l’unica
cosa che
un mercenario può fare è aspettare.
Aspettare un obiettivo, aspettare un nuovo contratto,
aspettare che
vengano a prenderlo in stazione. Così è la vita.
Quando
finalmente la folla che occupava la piattaforma si dissipò verso i
sottopassaggi, una persona si avvicinò.
«Josephine!»
salutò Finn.
Io
invece rimasi a bocca aperta e riuscii a borbottare un titubante:
«Riccioli d’Oro?»
La
donna
mi guardò, piegando la testa di lato, e sorrise. «Gandalf!» disse. «Hai
perso
il tuo bastone?»
Finn
ci
guardò entrambi e disse: «Vi conoscete?»
«In
un
certo qual modo.» risposi. La mia esperienza con Riccioli d’Oro –
pardon,
Josephine - era cominciata con un breve flirt e un invito a cena e si
era
conclusa aggrovigliati a terra – non nel senso buono – dopo esserci
vicendevolmente
minacciati con della armi da fuoco.
«Ci
siamo incontrati l’anno
scorso a una
festa.» aggiunse Josephine, rimanendo nel vago.
Non
mi
sembrava particolarmente infastidita dalla mia presenza, per cui mi
arrischiai
a dire: «Il giorno dopo non ti ho chiamato, perché non mi hai lasciato
il tuo
numero.»
Finn
continuava a guardarci col sorriso sulle labbra. «Ora possiamo andare?»
«Un
auto
ci attende.» rispose. «E non lascio mai il mio numero agli uomini che
mi fanno
addormentare.» aggiunse, rivolta a me.
BAM!
Riccioli d’Oro uno, Neil zero.
La
seguii
nel sottopassaggio, mentre Finn arrancava dietro di me, zoppicando e
aiutandosi
col bastone da passeggio. Sì, zoppicava. Ho dimenticato di raccontarvi
questo
piccolo particolare. Esatto, sono stato catturato da un vecchietto,
venti
centimetri più basso di me e pure zoppo. Per favore, non ridete.
Glissai sulla mia brutta situazione e
ripensai al mio incontro con Riccioli D’Oro. A Cagliari – l’avevo
incontrata
durante lo stesso lavoro in cui avevo mortalmente offeso Greta
Zimmermann –
avevo dato per scontato che lavorasse per la persona che dovevo
uccidere, ma se
si trovava qua evidentemente lavorava per Greta. Non sapevo quanto
essere
felice per la novità: anziché esserci una donna che mi odiava, ora ce
n’erano
due.
La
osservai mentre mi camminava davanti. Era poco più alta di Finn e aveva
un
fisico paffutello, con le curve nei punti giusti. Indossava un paio di
jeans e
una camicetta bianca aderente. Le scarpe da tennis chiudevano il quadro
e la
etichettavano come
casual e sportiva.
Si
vedeva chiaramente che non aveva armi da fuoco, però al fianco, appesa
alla
cintura, teneva una bacchetta da direttore d’orchestra. Era il vettore
con il
quale incanalava gli incantesimi d’attacco. “Vettore” è un tecnicismo
con il
quale s’indica qualsiasi cosa – oggetti, parole o movimenti – si usi
per
aiutarsi nel lanciare un incantesimo.
Sapevo
che era un vettore perché a Cagliari ne avevo subito le conseguenze.
Inoltre,
chi va in giro con una bacchetta da direttore d’orchestra? Quanto è
probabile
dirigerne una mentre si passeggia in città?
«Dove
andiamo?» domandai.
«Lo
saprai a suo tempo.» rispose Finn, dandomi una spinta. «Pensa a
camminare.»
Uscimmo
dalla stazione e Josephine ci accompagnò fino a un auto. Aprì la
portiera
posteriore e ci fece accomodare, mentre lei si sedeva accanto al
guidatore. A
un suo cenno, l’autista mise in moto e s’immise nel traffico.
«La
mia
signora è molto soddisfatta, Mr. O’Shea.» disse Josephine.
«Lo
sarò
anche io quando avrà trasferito il pagamento sul mio conto .» replicò
Finn.
«Quanto
deve darti?» domandai, curioso di sapere il mio valore di mercato.
«Silenzio.»
borbottò il leprecauno, mettendosi a guardare fuori dal finestrino.
Evviva,
un altro viaggio ai confini della noia per Neil McRoberts. Spero che la
prossima volta mi catturi uno di quei chiacchieroni logorroici che
quando
iniziano la smettono solo se gli punti un fucile alla testa.
Per
fortuna, non ci mettemmo molto ad arrivare. L’auto si fermò dopo un
paio di minuti
e ripartì non appena fummo sul marciapiede.
«La mia signora ci attende
qua.» disse, facendoci
strada.
L’edificio
di fronte era un albergo a parecchie stelle. Un’elegante tettoia in
vetro
accompagnava i clienti fino all’ingresso vero e proprio, dove uno
zelante
portiere ci salutò. Una volta dentro, Josephine ci fece segno di
attendere e
andò alla reception. Scambiò qualche parola con un uomo e poi ci
chiamò.
Prendemmo un ascensore che ci portò direttamente all’interno di una
suite.
«Siamo
arrivati.» disse la donna. Di fronte a noi si trovano due mie vecchie
conoscenze.
«Finalmente
ci ritroviamo, Mr. McRoberts.» disse Greta Zimmermann. Era seduta su
una
poltrona, con le gambe incrociate. Dietro di lei c’era una donna che
avrebbe
fatto la sua bella figura nella Swimsuit Issue di Sport Illustrated.
Cominciavo
a credere che Greta selezionasse i vampiri del suo clan tramite
concorsi di
bellezza.
«Avrei
preferito incontrarti in un’altra occasione, non so, magari mentre
affondavi
nelle sabbie mobili.» risposi con la mia solita gentilezza.
Un
uomo
era accanto al camino, appoggiato sulla mensola. Ai suoi piedi era
accovacciato
un lupo dal pelo fulvo.
«Non
so
quanto ti convenga offenderla.» disse Robert Von Kempf.
Era un mio vecchio amico dai tempi di Xiam,
la città-stato centro del sapere mondiale. Avevamo studiato insieme, ma
a
differenza mia, lui aveva completato gli studi ed era diventato uno
degli
massimi esperti mondiali di storia germanica. Alto, biondo e con gli
occhi
azzurri era l’archetipo del tedesco, anche se la vita sedentaria dello
studioso
cominciava a mostrare i primi segni sul suo corpo. Inoltre, era il
capobranco
di uno dei più grandi gruppi di mannari d’Europa.
Alzai
le
spalle e feci per chiedergli cosa ci facesse qua, ma Finn m’interruppe.
«Ecco il suo amico.» disse,
dandomi una
spintarella verso Greta. «Il nostro contratto è concluso.»
«Bene.»
replicò Greta. Fece un cenno alla donna alle sue spalle, la quale si
diresse
verso un tavolino su cui era posato un portatile. «Ottimo lavoro Finn.
La fata
e il mago in meno di un mese.»
«È
stato
facile.»
«La
fata?» esclamai, preoccupato. C’era solo una fata in comune fra le
nostre
conoscenze. «Hai preso Chiara?» Mi mossi minacciosamente verso la
vampira, ma
Riccioli d’Oro si mise in mezzo e mi bloccò.
«I
soldi
sono stati trasferiti.» disse la donna, mentre spostava il portatile in
modo
che Finn potesse vedere lo schermo.
«Hai
preso Chiara?» ripetei, alzando la voce.
Chiara
era una mia collega, un’amica, che aveva partecipato al lavoro dello
scorso
anno. Greta non aveva nessun motivo di prendere anche lei, se non per
fare leva
su di me. Il Lord delle fate che mi aveva commissionato il lavoro mi
aveva
avvertito che la vampira aveva messo una taglia sulla nostra testa. Un
terzo
uomo aveva partecipato all’azione, ma Greta non l’aveva visto; l’ultima
volta
che l’avevo sentito era nel Golfo di Aden a giocare al cacciatore di
pirati.
«Ovviamente.
» rispose la vampira.
Avevo
cercato di aiutare Chiara. Appena avevo saputo che i vampiri volevano
le nostre
teste, l’avevo contattata per darle una mano a nascondersi, ma lei era
testarda
come poche e aveva rifiutato qualsiasi aiuto: “so cavarmela da sola”,
“non sei
mio padre”, “Al massimo dovrei essere io ad aiutare te” e via dicendo.
I fatti
le avevano dato torto, ma del resto la mia situazione non era migliore.
Finn
si
allontanò dal computer e sorrise soddisfatto. «Bene. Se non c’è più
bisogno dei
miei servigi, io andrei via.»
Finalmente.
Così avrei potuto pensare a qualcosa di produttivo. Quando il folletto
mi passò
accanto lo presi per un braccio e gli dissi: «Come posso contattarti?»
Il
leprecauno sorrise. «Dubito tu possa permettermi di assumermi.» Si
divincolò
dalla mia stretta senza troppi problemi e entrò nell’ascensore, mentre
fischiettava Molly Malone.
«Accomodati.»
disse Greta, con un tono che rendeva l’affermazione un comando più che
un
invito. «Dobbiamo parlare.»
«E
se
non volessi?» risposi. Feci per allontanarmi, ma Josephine mi spinse
verso uno
dei divani.
«Suvvia,
Neil.» intervenne Robert alzando le mani. «Non fare il bambino.»
«Tu
che
diamine ci fai qua? Pensavo fossi un amico.» dissi, mentre mi sedevo.
Comunque,
aveva ragione. Non aveva senso fare il bambino: Greta aveva
indubbiamente
bisogno di me. Altrimenti mi avrebbe già fatto uccidere e non avrebbe
usato
Chiara come leverage. Assumendo che
quello
era lo scopo, visto che non ne ero certo.
«Sono
qui per mediare l’incontro.» replicò Robert, stizzito. «Greta ha una
proposta
da farti.»
«Non
si
tratta con i terroristi.»
«Mr.
McRoberts»
disse Greta «mi spiace aver usato questi metodi per farla venire qua,
ma se
l’avessi invitata per un lavoro, mi avrebbe creduto?»
Sorrisi.
«Ovviamente no, non sono un idiota.»
Robert
inarcò un sopracciglio.
«Sì,
sono un idiota, ma non fino a quel punto.» Lanciai uno sguardo verso
Riccioli
d’Oro e la vidi sorridere. «Difficilmente avrei creduto che la persona
che mi
manda contro una squadra di sicari, fosse interessata a una discussione
pacifica.»
«In
realtà è una cosa che riguarda tutti noi.» disse Robert. «Sono stato io
a
convincere Greta a non ucciderti. Di nuovo.»
«Grazie.»
risposi. Era la seconda volta che Robert mi dava una mano con dei
vampiri.
«Quello che non capisco però è tutta questa complicatezza. Non bastava
contattarmi
e parlare?»
«Non
eri
rintracciabile.» Robert si sedette e posò una mano sulla testa del
lupo, che
gli si era accucciato accanto.
Alzai
le
spalle. «Non ci tenevo a farmi nuovamente sparare da un gruppo di
vampiri.»
Sorrisi, rivolto a Greta. «Probabilmente
i cadaveri di quei cinque stanno ancora sulla spiaggia. I
granchi
saranno così grassi da non riuscire più a muoversi.»
La
vampira ignorò il mio commento, ma notai che strinse il bracciolo della
poltrona.
«Quindi
avete pensato bene di sguinzagliarmi contro il super-folletto
mercenario?»
continuai. «Non me l’aspettavo da parte tua, Robert.»
«Usare
Finn è stata una mia idea.» intervenne Josephine.
«Sì?»
«Ho
immaginato che la corte fatata sarda ti avesse messo sotto protezione,
per cui
difficilmente noi avremmo potuto trovarti.»
La
ragazza era in gamba. Per un mago umano era molto difficile - per non
dire
impossibile - infrangere l’incantesimi
di protezione di un lord delle fate, quindi l’unica maniera per
rintracciarmi
era quella di usare vie traverse.
«Finn
O’Shea
non sarà molto abile con la magia, ma è il migliore quando si tratta di
dribblare le protezioni delle corti fatate.» aggiunse Josephine. «Una volta che ti ha trovato
gli è bastato
aspettare che facessi una di quelle tue folli uscite dal rifugio.»
«Che
ci
posso fare se non mi piace vivere rintanato in un buco.»
La
donna
scosse le spalle. «Problemi tuoi.» Si girò verso Greta e rimase in
attesa.
«Adesso
però dovete dirmi cosa mi ferma dal farvi tutti saltare in aria.» Ora
che Finn
era andato via, ero abbastanza certo che nessuno di loro potesse
tenermi testa
in un combattimento. Riccioli d’Oro poteva anche essere una brava maga,
ma non
era al mio livello. A Cagliari, Greta era fuggita con la coda fra le
gambe
nonostante avesse con sé altre cinque vampire. La sua amica che avrebbe
potuto
fare, distarmi indossando un bikini?
A
supporto delle mie parole, evocai una piccola palla di fuoco e la feci
girare
intorno alla mano.
«Per
favore, Neil…» disse Robert. Il lupo si era sollevato sulle zampe e mi
stava
ringhiando contro.
«Sto
aspettando.»
«Io
mi
guarderei alle
spalle.» aggiunse Greta.
Non
feci
in tempo a voltarmi che sentii qualcosa premermi contro la nuca;
qualcosa di
molto simile alla canna di un fucile d’assalto. La palla di fuoco svanì
come
neve al sole. Non è salutare irritare chi ti tiene sotto tiro.
«Siamo
qua per discutere, Mr. Roberts.» continuò. «Se avessi voluto ucciderla,
sarebbe
già morto da un pezzo.»
Con
la
coda dell’occhio vidi che a tenermi sotto tiro era la modella di Sport
Illustrated.
«Fossi in te non lo farei, zuccherino. Il rinculo di quell’arma ti
farebbe
volare fuori dalla finestra.» Teneva sotto braccio un modello del G3,
un grande
e pesante fucile d’assalto di grosso calibro che veniva usato per
azioni a
lungo raggio, non certo in un ambiente chiuso.
«Vogliamo
provare?» replicò la ragazza. La voce emanava abbastanza sicurezza dal
farmi desistere
da qualsiasi azione folle. Non volevo rischiare di venire fatto a pezzi
da una
raffica di quel
cannone.
«Neil…»
ripeté Robert ancora una volta, ma con un tono più duro. Stava
cominciando a
irritarsi. E nessuno vuol vedere Robert Von Kempf adirato.
«Va
bene, va bene.» mi arresi. Non aveva senso prolungare ulteriormente la
diatriba. Ci sarebbero state altre occasioni per rimettermi in parità.
«È
chiaro che vogliate farmi fare qualcosa. Sentiamo.»
«Nulla
d’impossibile.» disse Greta. Fece un gesto della mano e Zuccherino
prese il
portatile che aveva usato prima e me lo portò. Il mitragliatore gigante
era
scomparso e ora la signorina pareva molto più aggraziata. Si sedette
accanto a
me e mi mostrò il computer.
Sul
monitor c’erano alcune foto che sembravano essere state fatte per delle
cartoline: paesaggi bucolici della Foresta Nera e alcune panoramiche di
un
villaggio così rustico e caratteristico che sembrava essersi fermato
nel tempo.
Non ero un esperto di fotografia, ma le foto erano chiaramente scattate
da
lontano con un obiettivo telescopico, segno che i curiosi non erano i
benvenuti.
«Mi
volete mandare in vacanza?» domandai.
«Devi
rubare un oggetto per nostro conto.» rispose Robert. «Da quel
villaggio.»
Sorrisi.
«Dov’è l’inghippo?» chiesi.
Solitamente non si
scomoda un mago del
mio livello – modestia a parte – per un compito che potrebbe eseguire
qualsiasi
ex-militare.
«Nessun
inghippo.» intervenne Greta. «Devi semplicemente capire quale sia
l’oggetto.»
Cominciavo
ad irritarmi anche io. «Ma
è uno
scherzo? Mi state prendendo in giro?» esclamai. «Che diavolo vuol dire?
Devo
rubare un oggetto per voi, ma non sapete cosa sia? Devo indovinare?
Oppure
portarvi ogni oggetto da ogni casa fino a quando non sarete
soddisfatti?» Feci
per alzarmi, ma Zuccherino mi trattenne per la spalla. Forzai un
attimo, ma era
come se ci avessero posato sopra un’incudine. Evidentemente Zuccherino
poteva
finire su Sport Illustrated non solo per la Swimsuit Issue, ma anche
per un
servizio sulle donne più forti del mondo. Mi riaccomodai senza fare
troppe
storie.
«È
un
artefatto magico. Molto potente.» disse la vampira.
«Capisco.»
borbottai, anche se non capivo affatto. «Qualche altro indizio? È un
pugnale
magico? Un anello? Sono sempre degli anelli!»
«Non
lo
sappiamo.» Robert tagliò corto. «Il suo padrone è abbastanza furbo da
non
mostrarlo in giro.»
«Come
si
chiama il padrone?»
Robert
fece un segno di diniego. «Non sappiamo nemmeno questo.»
«Di
bene
in meglio.» borbottai. «Ora mi direte che non sapete nemmeno dove si
trova il
villaggio.»
«A
una
sessantina di chilometri a nord-est.» disse Zuccherino. «Nel mezzo
della
Foresta Nera. Ho fatto io stessa la ricognizione.» La signorina dunque
era una
tipa tosta. La immaginai in mimetica nella foresta, sdraiata in un buco
fangoso,
coperta di foglie e rami, passando qualche ora a scattare fotografie.
Tutto a
un tratto mi venne difficile chiamarla Zuccherino.
«Bene,
almeno non dovrò vagare per l’Europa alla sua ricerca.» dissi.
«Comunque mi
sembra un’impresa impossibile. E perché non sapete chi sia il padrone
dell’oggetto?»
«Sappiamo
chi è, ma non sappiamo il suo nome.» disse Greta. «Voglio
quell’artefatto per
avere un po’ di leva su di lui.»
«Vogliamo.»
la corresse Robert.
«Interessante.»
dissi. «Quindi vi serve il mio aiuto per mettere alle corde questo
tizio? E se
rifiutassi?»
Greta
sorrise. «Useremo la tua amica fatina per fare leva su di te.»
Ovviamente.
«Abbiamo una foto di Mr. X? Così magari posso identificarlo.»
Zuccherino
armeggiò con il touchpad del portatile e mi mostrò una foto, che però
non
ritraeva il misterioso uomo, ma un arazzo, il cui stile ricordava i
mosaici
bizantini. Vi erano raffigurati un drago e un cavaliere che
combattevano.
Mi
misi
a ridere. «È uno scherzo? Mi state prendendo in giro.»
«Magari.»
disse Robert. «Vorremmo tutti che fosse uno scherzo, ma non è così.»
«Il
nostro nemico, e il tuo obiettivo, è un drago.»
Signori,
colpo di scena. Il mio prossimo bersaglio era una creatura mitologica.
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