Detective Martinsson
Premessa:
Siccome Magnus mi ha
tormentato nell’ultima settimana (come ha fatto un
po’ con
tutte) ho deciso di scrivere una long con il bel riccio come
protagonista.
Personaggi:
Magnus Martinsson (Tom Hiddleston), Eric the
Huntsman (Chris Hemsworth)
Ambientazione:
Siamo a Ystad,
ridente cittadina svedese, in cui Magnus lavora come detective della
polizia. Qui, durante un’indagine, farà un
incontro che gli scombussolerà la vita.
Note:
1. Questa storia
sarà un crossover ambientato proprio nell’universo
di Wallander
( qui
per le info),
per cui il titolo è un rifacimento di quello
dell’opera.
Se avete visto il telefilm sarà più facile
entrare nella
storia, ma siccome Magnus non è un personaggio molto
approfondito, anche chi non lo conosce può leggerla.
Cercherò di renderla accessibile a tutti.
Disclaimer:
Gli avvenimenti
narrati in questa storia sono pura invenzione. I personaggi non mi
appartengono e sono dei legittimi proprietari. Scritta senza scopo di
lucro e
senza vergogna.
Buona lettura
kiss kiss Chiara
Detective Martinsson
I.
Il caso di Hedeskoga
Il telefono
squilla.
Uno, due,
tre.
Guardo
Anne-Britt, ma ha gli occhi fissi sui documenti che regge fra le mani.
Sa che la sto guardando.
Quattro.
Kurt sta
parlando con Lisa
riguardo al caso del giovane prete trovato morto davanti la chiesa di
San Pietro. Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse al
quinto
squillo, ma nessuno sembra avermi sentito. Mi chiedo se non lo facciano
di proposito. Mi chiedo cosa abbiano contro di me. Mi alzo seccato
dalla sedia ed afferro la cornetta quando ormai l’ottavo
squillo
mi ha urtato i timpani insieme ai nervi.
«Martinsson»
sospiro passandomi una mano sugli occhi. È Sven
dell’obitorio con delle novità sul caso del prete.
Chiede di
Kurt, ovviamente. «È per te.» Gli
allungo la
cornetta e torno a domandarmi perché ce l’abbiano
con me.
Chi è che ce l’ha con me? Dio? I miei colleghi? Il
destino?
Sono un
detective preparato e
ligio. So fare il mio lavoro. Amo il mio lavoro. Eppure mi hanno tenuto
fuori dal caso più importante del momento.
Torno alla
mia scrivania e mi
accascio sulla sedia. Una matita fra le dita mi aiuta a scaricare lo
stress. La faccio roteare e la mordicchio. La picchio ad intermittenza
sul legno del tavolo e la faccio roteare ancora.
Sono le
undici passate e sto ancora stilando questo noiosissimo rapporto da
ieri sera.
È
una giornata d’inferno come tutte le altre. Come ogni
dannatissima giornata da ormai qualche periodo.
Non cerco
il sangue, non sono
uno di quegli psicotici agenti che attendono un caso inquietante per
eccitarsi. Vorrei solo poter fare ciò che so fare meglio: il
mio
lavoro.
«C’è
stato
un furto ad Hedeskoga. Una villa di un’anziana
donna.»
Guardo il viso dell’agente appena entrato e prego
intensamente.
No, non voglio lavorare su uno stupidissimo caso di furto!
«Ci
sono state aggressioni?» chiedo. Magari
c’è qualcosa di interessante.
«No.
Hanno solo portato via qualcosa di valore.» Non
c’è nulla di interessante.
«Magnus,
occupatene
tu.» Mi ritrovo a stringere i denti. Dannazione, Lisa!
Perché non posso lavorare sul caso dell’assassinio
di San
Pietro?
«Vado
subito.» Ma
non ho intenzione di fare scenate. Trattengo a malapena una smorfia e,
presa la giacca dalla sedia, mi avvio verso la porta.
Guarda il lato positivo,
Magnus, non sarai più costretto a rispondere al telefono!
La strada
per Hedeskoga
è una striscia di desolazione. Le case si possono contare
sulla
punta delle dita e nessuna di esse sembra viva. È
una bella
zona, ma non certo la più popolata di Ystad. Mi lascio
sfuggire
un lungo sospiro mentre giro verso il viale della casa. In un posto
come questo è normale che i ladri facciano festa.
Ci sono due
agenti che non
conosco. Parcheggio e mi avvicino ad uno di loro, mentre
l’altro
è intento a parlare con una donna. Sarà di certo
la
vittima del furto. Faccio domande di routine per sapere a che punto
sono.
«Sono
entrati dalla porta sul retro. È stata forzata.»
«Cosa
hanno preso?» Ispeziono con gli occhi l’esterno.
«I
gioielli, un paio di oggetti d’argento e circa 6000
corone.» 6000 corone? Magro bottino. Magro caso.
«La
scientifica ha trovato qualcosa?»
«Niente.
Non ci sono
impronte. Forse indossavano dei guanti.» Annuisco
«Dice di
non aver sentito nulla. Si è accorta del furto solo
stamattina.» Avrei dovuto essere con Kurt a San Pietro ed
invece
sono qui a dare la caccia ad un ladro di galline!
«Grazie.»
Almeno gli agenti mi sembrano preparati. Mi passo una mano fra i
capelli e mi avvicino alla donna.
Amanda
Fustern, 73 anni,
vedova. Statura bassa e tarchiata, capelli grigi raccolti in un
ordinato chignon, occhiali da vista con catenina rossa, vestito a
stampe floreali di dubbio gusto. Parla animatamente gesticolando con le
mani. È agitata e dovrò comportarmi di
conseguenza.
«Signora
Fustern, sono
il Detective Martinsson.» Le mostro il distintivo
con tono
gentile e la vedo annuire. Faccio un cenno al giovane in divisa e lui
si allontana verso il collega. «Signora, mi racconti cosa
è
successo.» Mi ripete le stesse cose che ho già
saputo
dall’agente, ma entrare in contatto con la vittima
è
fondamentale. Annuisco ad ogni informazione.
«Era
di mia nonna. Magari non era di valore, ma era un oggetto carissimo per
me.» Ha le lacrime agli occhi.
«Faremo
del nostro
meglio, signora. Non si preoccupi.» Una mano a coprirsi la
bocca
ed annuisce.
Se non ci sono impronte non credo riusciremo a trovare i
ladri. Non abbiamo una descrizione, ed il misero valore della refurtiva
ci renderà le cose ancora più difficili.
L’unica
strada potrebbe essere qualche traccia lasciata sul terreno: segni di
pneumatici, mozziconi di sigarette.
Mi volto a
guardare la zona.
Non ci sono case, a parte una piccola villetta ad un centinaio di
metri. Difficilmente ci saranno testimoni. Mi spiace per la signora
Fustern, ma sarà meglio che si rassegni all’idea
che la
collana di sua nonna è perduta.
«Sono
sicura che sia
stato lui!» Mi volto a guardarla ed aggrotto le sopracciglia.
Un
sospettato? Beh, è un inizio.
«A
chi si riferisce?» Indica la casa che stavo guardando prima.
«Non
mi è piaciuto dall’inizio. Sono certa che sia
stato lui.»
«Crede
che sia stato il suo vicino a derubarla?» Annuisce.
«Le ha dato già qualche fastidio?»
«No,
direi di no.»
«Mi
parli di lui: è sposato? Che lavoro fa?»
«Non
ne ho idea. Non so
neanche come si chiami.» Perfetto!
Proprio un ottimo indizio.
«Ma non mi piace!» Ed ora dovrei andare in giro ad
arrestare la gente in base al piacere
di una vecchia signora con
pessimi gusti di moda. Poggio le mani sui fianchi sospirando. Giornata
davvero d’inferno.
Ispeziono
l’interno
della casa. È modesta ma ordinata. Non ci sono sfregi, a
parte
gli oggetti mancanti, e non c’è nulla ad occhio
che mi
indichi una qualche pista da seguire. I ladri sono stati bravi a non
lasciare tracce. Almeno per il momento. Non mi resta che
partire
dall’unica cosa che posseggo: il pregiudizio di questa donna.
Mentre esco
dalla casa, il cellulare squilla.
«Come
va ad Hedeskoga?» È Anne-Britt.
«Non
credo che li
beccheremo. Hanno preso qualche gioiello ed un po’ di soldi.
Nulla
di gran valore.» Attraverso la strada per dirigermi verso
l’abitazione di questo vicino. Ho deciso di farmela a piedi,
così avrò modo di borbottare in santa pace contro
la
sfortuna che mi perseguita.
«Quando
hai finito, vieni in centrale. Lisa deve parlarti.»
«Riguarda
San Pietro?» Fa'
che sia così! Fa' che sia così! Fa' che sia
così!
«No,
è sul rapporto che dovevi consegnare ieri.»
Magnus, fattene una ragione:
ti odiano!
«Ok,
appena ho fatto, torno.» Attacco e mi lascio sfuggire
un’imprecazione.
Chi
è che gli ha
salvato la vita? Chi è che ha sparato a quel figlio di
puttana
prima che uccidesse sua figlia? Io, Magnus Martinsson! Sono stato io a
salvargli la pelle! E lui come mi ringrazia? Lasciandomi fuori! Kurt
Wallander, sei un vero bastardo!
La rabbia
velocizza i
miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi
fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle
emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che
nessuno se lo ricordi.
Una Ford
blu scuro è
parcheggiata davanti alla porta del garage. Sembra che sia in casa.
Bene, almeno chiuderò questa faccenda alla svelta.
Suono il campanello cercando di leggere il nome dalla cassetta della
posta, ma non trovo nulla. Risuono ancora verificando la presenza di
qualcuno al di là della staccionata, ma non
c’è
anima viva. Potrebbero essere sul retro. Il cancelletto di legno
è aperto, così lo spingo ed entro.
Percorro il breve tratto fino alle scale e picchio le nocche sul legno.
«Sono della polizia.» Cerco di farmi sentire, ma la
casa
sembra vuota. Busso nuovamente. «Polizia.
Aprite!» Trascorrono altri secondi di silenzio. Forse davvero
non
c’è nessuno.
Mi volto sul punto di andarmene, quando sento un rumore provenire dal
retro. Cerco di prestare attenzione e lo avverto più
nitidamente. Un rumore secco ad intervalli. Scendo i pochi
pioli e mi avvicino alla fonte di quel suono che cresce di
intensità
ad ogni mio passo. Ho ormai fiancheggiato la casa, quando riesco a
riconoscerne la natura: colpo d’accetta. Ne ho la certezza
quando
svolto l’angolo e vedo la figura di un uomo intento a
spaccare a
metà un ciocco di legno.
Alto, molto
alto. Coda di
cavallo bruna che gli ricade sul collo sudato. Braccia scolpire. Spalle
scolpite. Fisico scolpito. Riesco a notarlo perché indossa
solo
una canotta di cotone bianco su un paio di jeans.
Fa freddo oggi.
È ottobre e fa freddo. Io indosso camicia, pullover e
giacca, e
se non fosse per l’accumulo eccessivo di stress degli ultimi
minuti, potrei sentire ancora freddo. Ma quest’uomo indossa
solo
una misera canotta completamente zuppa che gli si è quasi
attaccata alla pelle. Pelle dal colore ambrato.
Non si deve
essere accorto di
me, perché prende un altro ceppo e lo trancia con un solo
colpo.
Rimango in silenzio ad osservare i suoi gesti. Non conosco il suo viso,
eppure posso dire che è un uomo che mette soggezione.
Sarà la stazza, sarà la faccenda del freddo,
sarà
la fermezza con cui maneggia l’ascia, non so dirlo, ma posso
affermare con
facilità che mi sento inquieto.
Mi volto di spalle chiedendomi
se non sia meglio tornare in un altro momento, ma un nuovo colpo di
accetta mi costringe a portare lo sguardo su di lui.
Magnus, che stai facendo
lì imbambolato? Sei un poliziotto, giusto? Stai rompendo le
palle a tutti -coscienza compresa- su questo punto, ed ora non riesci a
schiodarti da quella parete? Cos’è, ti sei
incantato a
guardare i muscoli di questo tizio?
Mi sento
arrossire. Quel pensiero mi ha agitato ulteriormente.
Passo le
dita fra i ricci e mi faccio forza. Devo parlare con
quest’uomo e chiarire la faccenda del furto.
«Mi
scusi.» Tengo
la voce ferma ed il tono deciso, ma quando lui si volta, mi chiedo se
avrò ancora abbastanza fermezza per continuare.
«E
tu chi sei? Che ci
fai in casa mia?» La sua voce rispecchia il suo fisico.
Forte,
possente. Sul viso una barba incolta e qualche ciocca scura che gli
ricade sulla fronte. Occhi che sono due fari azzurri.
La mia
impressione era corretta: quest’uomo mette in soggezione. Mi
mette terribilmente ed inspiegabilmente in soggezione.
«Ehm...
» Mi
schiarisco la voce afferrando il distintivo dalla tasca. Meglio
chiarire subito prima che mi ritrovi con quell’ascia
conficcata
da qualche parte. «Magnus Martinsson. Polizia di
Ystad.» Mi
avvicino per mostrarglielo. Più passi faccio verso di lui,
più la mia inquietudine cresce. Quando ormai gli sono di
fronte,
mi chiedo se sia normale avere il battito così accelerato.
Maledizione,
Magnus, datti un cavolo di contegno!
«Polizia?»
Sposta
lo sguardo sul distintivo e gliene sono grato. «Non hai la
faccia
da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi
occhi
sono di nuovo su di me.
È indubbiamente un bell’uomo. Molto bello, forse
troppo.
Mi verrebbe da dire che rasenta la perfezione, e la mia autostima
subisce una battuta d’arresto dietro l’altra.
«Ieri
sera la sua vicina
ha subito un furto.» Inizio rimettendo in tasca il distintivo
«Ha sentito qualcosa?» Mi ascolta corrucciando la
fronte ed
i suoi occhi diventano sottili linee di ghiaccio.
«Quella
vecchia? E che
le hanno rubato, la simpatia?» ridacchia allontanandosi per
prendere un altro pezzo di legno. Lo ripone sul ciocco più
grande e lo trancia a metà. Il colpo secco mi fa sussultare.
I
miei nervi sono tesi come corde di violino e non capisco
perché.
Sarà tutto lo stress che ho accumulato in questi giorni.
È colpa di Kurt e del suo continuo non apprezzarmi,
è
colpa delle mie eccessive elucubrazioni mentali! È colpa di
questo, e non certo dell’individuo di fronte a me di cui
ancora
non so il nome.
«Sulla
cassetta non
c’è il nome.» Gli faccio notare puntando
il pollice
alle mie spalle. Mi guarda distrattamente e continua il suo lavoro.
«Mi
sono trasferito da poco.» E giù un altro colpo.
«Le
spiace dirmi il suo nome?» Prendo il blocchetto con la penna
ed attendo che colpisca un altro ceppo.
«Eric.»
Si limita a sospirare asciugandosi la fronte con il dorso della mano.
Annuisco e scrivo.
«”Eric”
e?» Solo quando rialzo gli occhi mi accorgo che mi guarda con
uno
sorriso sghembo. «Il suo cognome.» Insisto cercando
di non
cedere alla strana agitazione che si è nuovamente
impossessata
di me.
Andiamo, Magnus, come diavolo
hai fatto a diventare detective se non riesci neanche a sostenere lo
sguardo di un uomo?
Non ne ho idea! Gli anni di
accademia e l’esperienza sul campo sono totalmente svaniti
dalla
mia mente. Restano solo pensieri che risuonano psichedelici.
Riflessioni contorte e considerazioni di morale opinabile.
«Sicuro
che sei un poliziotto?» chiede ancora sorridente. Mi ritrovo
ad aggrottare la fronte confuso.
«Vuole
rivedere il
distintivo?» Mi porto una mano alla tasca pensando che forse
non
ha letto bene e vuole ricontrollare. Ma lui scuote la testa tornando a
fare il lavoro che aveva interrotto.
«Non
ho mai visto un
poliziotto con quei ricci.» Ride e mi sento
avvampare.
I miei capelli. Ha appena fatto apprezzamenti sui miei capelli.
Che hanno di sbagliato
i miei capelli? Perché tutti ce l’hanno con i miei
capelli?
«Ehm...»
Sono
grato che sia occupato ad affettare altri poveri ceppi,
perché
così non ha modo di vedere il rossore imbarazzante comparso
sulle mie guance.
Mi gratto il mento leggendo gli appunti che ho
scritto. Cerco di ritrovare una degna lucidità, ma la sua
risata
mi risuona ancora in testa.
«Huntsman.»
Alzo
gli occhi. «Eric Huntsman.» Sorride ancora, e quel
sorriso
è più tagliente della lama della sua ascia.
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