Ormai era arrivato.
Intorno ai suoi occhi neri come la pece resi ancor più tetri
dagli innumerevoli secoli trascorsi tra gli atri fumi dell'Inferno,
Vegeta riusciva da qualche secondo a cogliere la nebbia fitta e spessa
che si ergeva intorno al suo corpo statuario ancora giovane e possente,
avvolgendolo quasi come una seconda pelle, come una barriera difensiva
che avesse il compito di isolarlo da tutto ciò che poteva
esserci vicino a lui.
Non aveva alcun interesse nello scoprire cosa ci fosse di così
prezioso in quel luogo da costringere Re Enma ad impedirgli di vederlo:
era un'anima dannata; e questo doveva essere più che sufficiente
per spiegare il senso di pesantezza al petto che provava ogni qualvolta
si apprestasse a varcare i confini di quel luogo evidentemente sacro.
Cinquecento anni erano un'infinità per lui; cinquecento anni
erano così tanti che moriva di nuovo ogni volta che fosse
scaduto il tempo a sua disposizione per rimanere lì dentro;
cinquecento anni si moltiplicavano all'infinito quando la sua anima
straziata dal dolore provocato dalle funeste pene infernali si
squartava dentro, lasciando colare all'esterno tutti i rimpianti e le
frustrazioni che covava da quando Re Enma gli aveva annunciato senza
mezzi termini la dannazione. Cinquecento anni duravano quanto
l'eternità, perché lei non c'era e non avrebbe più
potuto vederla se non per pochi minuti allo scadere di quel fatidico
tempo.
Non si ritenne un miracolato quando seppe che Re Enma aveva avuto un
minimo di pietà per lui. Aveva riso delle debolezze della
divinità, che si era lasciata incantare dalle supplichevoli
parole della sua donna e dal suo essere stato un grande guerriero.
Cinquecento anni.
Vegeta non avrebbe avuto la minima cognizione del tempo se non fosse
stato per quegli intervalli regolarissimi con cui il sommo giudice
dell'altro regno gli aveva privilegiatamente concesso di abbandonare
l'Inferno per recarsi in un luogo a lui del tutto sconosciuto che i
suoi sensi di dannato gli impedivano di percepire nella sua reale
consistenza.
Te lo concedo, Vegeta. Ho deciso di farlo solo per far piacere a lei.
Come rappresentante unico della somma giustizia divina non posso
permettere che un'anima innocente come quella di Bulma sia costretta a
soffrire pur essendo stata destinata al Paradiso. Potrete incontrarvi,
ma solo molto sporadicamente. Direi che cinquecento anni siano
più che sufficienti... un incontro ogni ciqnuecento anni alle
porte del Regno Celeste.
Il principe non aveva colto fin da subito il senso di quelle
parole: quando Re Enma le aveva pronunciate con grande austerità
davanti al suo corpo bruciante, Vegeta aveva riso fino alle lacrime,
sentendosi pervadere da un vortice di odio e amore che costernava la
sua anima da immemorabili secoli. Era difficile mantenere un certo
contegno mentre quell'essere gigantesco pronunciava il suo discorso,
tanto meraviglioso quanto assurdo. Era
difficile non pensare per l'ennesima volta a quanto lei lo avesse amato
e continuasse a farlo pur nella beatitudine del corpo e dell'anima
ormai raggiunta da un tempo incalcolabile.
Ma Re Enma non amava parlare a vuoto: tutto ciò che usciva dalla
sua bocca aveva il terrificante potere di atterrire un dannato o
innalzare un beato; e, qualunque cosa dicesse, non c'era ombra di
dubbio che corrispondesse al vero.
Te lo concedo, Vegeta. Ho deciso di farlo solo per far piacere a lei.
I suoni scarni di queste parole proferite con tanta solerzia
riecheggiavano nelle orecchie rimbombanti del principe. Non era la
prima volta che raggiungeva "le porte del Regno Celeste" guidato da un
essere beato che aveva il compito di accompagnarlo fin lì. Aveva
anche la sensazione di conoscerlo molto bene quell'essere, sebbene non
riuscisse a coglierne in maniera perfetta i lineamenti, tanto la sua
figura era avvolta da una strana luce bianca; ma chiunque egli fosse,
non aveva davvero la benché minima importanza, non per lui che
bramava soltanto di rivedere la sua donna.
Era solo. Il suo accompagnatore si era dissolto così come era
successo già mezzo millennio prima, lasciandolo in balìa
di una nebbia minacciosa abbastanza da far crepare di paura il
più impavido dei guerrieri. A questo pensiero, il principe si
lasciò sfuggire una risata: come poteva lui, che aveva seminato
morte e distruzione negli anni più bui della sua giovinezza,
farsi intimorire da un luogo pacifico come quello?
Un tempo sarebbe stato lui a far dissolvere col suo aspetto minaccioso
e regale le dense nebbie che ora lo avvolgevano, ma l'essersi
affacciato anche per pochissimo tempo a quella che doveva essere la
beatitudine, lo aveva forse reso maggiormente consapevole di ciò
che purtroppo aveva perso per sempe. E tutto sommato nemmeno gliene
importava più di tanto: c'era solo una persona che gli premeva
di non dover abbandonare mai, ed era la sua adorata Bulma, l'unica
donna con la quale il fiero saiyan avesse deciso di condividere parte
della sua anima infelice.
Come ciqnuecento anni prima, era in attesa che lei si materializzasse
di fronte a lui. Era fermo, immobile, e neppure un muscolo del suo
corpo statuario perennemente giovane, bello e dannato sembava voler
vibrare anche per un solo istante. La pena che gli era stata inflitta
gli impediva di cogliere i movimenti violenti che c'erano nei
dintorni, ma sapeva perfettamente che lei aveva il dono di vedere tutto
e di muoversi in quel luogo per lui funesto come se fosse stato il
più sicuro e pacifico del mondo.
Ma dov'era? Perché ancora non riusciva a percepire il tocco
delicato delle dita di lei sulle sue spalle forti e virili? Gli
sembrava che fossero trascorsi altri secoli da quando era entrato in
quel luogo senza che la sua donna facesse la sua comparsa.
Sei solo confuso, Vegeta. Devi aspettare.
Continuava a ripetersi con grande fatica queste poche parole.
Farsi vincere dall'ansia in quel momento non poteva di certo aiutarlo a
superare il timore che lei non arrivasse! Bulma sarebbe venuta...
dovevva venire! Re Enma lo aveva promesso, e sebbene lui non meritasse
alcun trattamento di favore da parte di quel dio, sapeva che non
avrebbe avuto altra scelta se non quella di fidarsi ciecamente di lui e
aspettare.
Te lo concedo, Vegeta. Ho deciso di farlo solo per far piacere a lei.
Sei solo confuso, Vegeta. Devi aspettare.
Improvvisamente ebbe l'impressione che la nebbia avesse
assunto una tonalità ben più luminosa di prima. Ora
faticava persino a scorgere con la vista i palmi delle proprie mani e
gli era del tutto impossibile vedere i piedi. Non ricordava se
cinquecento anni prima fosse accaduta la stessa cosa, ma sentiva dentro
di sé crescere l'ansia e la frustrazione, come se il non
percepire accanto la sua donna lo avesse in qualche modo reso inerme
più di quanto già non fosse di per sé un'anima
infernale.
Sei solo confuso, Vegeta. Devi aspettare.
Sei solo confuso, Vegeta. Devi aspettare.
Sei solo confuso, Vegeta. Devi...
«Vegeta...»
La voce risuonò calda e melodiosa al suo orecchio frastornato,
mentre le braccia tese dalla rabbia si abbandonavano a sé stesse
scivolando lungo i fianchi.
Anche il tocco delle dita di lei era finalmente arrivato, accompagnando
il suono di quella parola pronunciata appena, con una delicatezza che a
Bulma non era mai appartenuta nemmeno in vita, ma che doveva essere il
chiaro segnale che la sua anima era davvero salva.
Il principe si voltò, e solo in quel preciso istante capì
di trovarsi davvero in Paradiso: Bulma era lì, bella ed eterea,
nella sua consistenza simile più a quella di un fantasma che non
ad una donna in carne ed ossa, come pure doveva essere visto il dono
concesso da Re Enma a tutti i dannati e i beati di poter recuperare il
proprio corpo dopo un secolo dalla morte.
Gli occhi della sua donna sapevano davvero di Paradiso: Kaioshin il
Sommo doveva essersi ispirato alla tinta celeste delle iridi di Bulma
quando aveva deciso di attribuire un colore al Regno dei beati. Vegeta
pensò con sarcasmo quanto quegli occhi fossero diversi dai suoi,
che in essi recavano null'altro che atrocità e oscurità.
Se Bulma non avesse sfiorato il viso del suo uomo con una mano, forse
lui avrebbe continuato a guardarla senza muovere un dito, ma quel tocco
lo aveva ridestato da un violento torpore che avrebbe anche potuto
farlo svenire. Possibile che per il potente e sanguinario principe dei
saiyan fosse tanto difficile sopportare la quiete funesta del Paradiso?
Avrebbe voluto chiederlo a lei, ma sarebbe stato ignobile da parte sua
sprecare le poche parole che aveva a disposizione facendole una domanda
tanto sciocca.
Poche parole, sì. Re Enma era stato molto chiaro anche in proposito: nulla
di più di poche parole. Se dovessi accorgermi che trasgredisci
questa regola, potrai scordarti in futuro di rivederla. Sei un'anima
dannata, non dimenticarlo! Non approfittare della pietà che ho
di te.
Ora il corpo di Bulma era avvolto nel suo e il calore della
donna stava inebriando i sensi affievoliti del principe. Finalmente,
Vegeta riusciva a percepire di nuovo quel senso di reciproca
appartenenza che già in vita aveva unito uno dei guerrieri
più potenti e spietati dell'universo alla donna più
bella, geniale e intraprendente che l'umanità avesse mai
conosciuto. Ora come allora la sentiva completamente sua. Nulla del
dolore e del senso di debolezza che fino a poco prima stava per farlo
vacillare, avrebbe potuto davvero impedirgli di godere attimo per
attimo del delicato e sempre sensuale profumo di lei, del tocco sublime
e soave delle sue candide mani, del calore del suo fiato che lentamente
scivolava lungo la pelle focosa del principe.
Le dita della donna
accarezzavano con delicatezza e un poco di bramosia il volto rude e
fiero del suo uomo, mentre gli occhi dei due amanti continuavano a
specchiarsi, come se a creare reciproca attrazione fosse una forza
più potente di quella che unisce le calamite.
Il principe avrebbe voluto
sussurrare, o magari anche urlare a squarciagola tutto il desiderio che
provava nei suoi confronti: era sua, ed era lì avvinghiata al
suo corpo come quando erano ancora una coppia felice che viveva in pace
sulla Terra dopo anni e anni trascorsi tra terribili sofferenze del
corpo e dell'animo.
«Non dire niente, amore mio!» proferì la donna intuendo le intenzioni del compagno. «Seguimi.»
Vegeta non aveva idea di dove
la donna lo stesse conducendo, ma tenendo il palmo della propria mano
stretto in quello di lei, aveva la sensazione che muoversi nel bel
mezzo di quella spessa muraglia di nebbia non fosse poi così
complicato come sarebbe sembrato di primo acchito. Riusciva nettamente
a vedere lei, e ciò era più che sufficiente perché
Vegeta accettasse di inoltrarsi ovunque, persino in un luogo beato che
avrebbe potuto finire col lacerare la sua anima irrecuperabilmente
dannata. Mai come in quel momento poteva percepire la purezza della sua
donna: sapeva che nemmeno in vita le era appertenuta una simile
caratteristica e ora iniziava a convincersi che davvero dopo secoli
trascorsi in Paradiso le anime trovavano una pace e un candore che da
vive non avrebbero potuto raggiungere a causa delle sofferenze. Si
chiese se la lontananza da lui avesse giovato alla sua donna, e alla
fine si convinse per una risposta affermativa.
La sua testa sembrava
risucchiata in un vortice doloroso che gli provocava un indicibile
senso di vuoto. Si sentiva una perfetta nullità, impedito nei
liberi movimenti e dipendente totalmente dalle mani di Bulma. Sembrava
che da quando entrambi erano passati a miglior vita, i loro ruoli si
fossero invertiti: ora, quella forte era lei, e lui necessitava
disperatamente della sua guida e della sua presenza per riuscire a
resistere in un luogo pacifico come quello in cui era stata concessa
loro la grazia di incontrarsi.
La donna si fermò, e lo
stesso fece il principe. Vide di nuovo avvicinarsi il volto di Bulma al
suo e sorridergli gioiosamente, quasi che ella non desiderasse
null'altro al mondo che stare lì.
«Non dire niente prima che abbiamo finito. Conosci le regole! Re Enma potrebbe allontanarti immediatamente da me.»
Vegeta fece un leggero cenno di
assenso col capo, poi prese anche lui a sorridere, abbandonando quel
minimo di incredulità che ancora albergava nel suo animo
tormentato.
Le carezze di Bulma si facevano
sempre più vogliose e intense: non si limitavano più a
sfiorare il volto del saiyan, ma andavano ormai a cercare anche zone
notoriamente proibite, luoghi nascosti che dovevano rimanere tali e che
a rigor di logica non avrebbero più dovuto godere di alcun
piacere carnale.
Il principe sapeva che poteva
ricambiare: poteva perché Re Enma glielo aveva concesso e
perché Bulma desiderava che lui lo facesse.
Erano finiti da diversi secoli
ormai i tempi in cui i due amanti, ancora vivi e padroni dei loro
meravigliosi corpi, potevano abbandonarsi ad effusioni calde e
passionali concedendosi attimi di puro piacere.
Fare l'amore da morti non era
certo la stessa cosa, ma ormai avevano entrambi recuperato i corpi e i
sensi, e nulla più poteva considerarsi un ostacolo davvero
insormontabile, neanche il Paradiso.
No, neanche quello. Entrambi si
lasciarono cadere delicatamente a terra, arrivando a sdraiarsi su di
una superficie incredibilmente fredda e dura. Vegeta pensò che
Bulma non dovesse avere la stessa sensazione: il suo volto non lasciava
trapelare alcun senso di scomodità o fastidio, ma soltanto
un'indicibile voglia di stare con lui, di possederlo di nuovo.
Il suono dei loro baci si perse
nei menadri di quello che doveva essere, secondo la mente offuscata di
Vegeta, uno squarcio di Paradiso. Sfiorare di nuovo il corpo nudo e
bellissimo di Bulma era per lui quanto di più sublime potesse
esserci nella sua sua nuova vita da dannato, e avere ancora
l'opportunità di baciare e leccare i seni morbidi e perfetti di
lei poteva bastare a fargli sopportare secoli di torture all'Inferno.
Non c'era malizia nel loro
toccarsi e nel loro sfiorarsi; non c'era nemmeno però, quel
pudore che avrebbe dovuto rallentare la corsa sfrenata dei loro sensi
alla ricerca di un piacere quanto mai lussurioso: era il loro giorno, e
non lo avrebbero sprecato rinunciando alla passione.
Le loro bocche si erano unite
più di una volta e le loro lingue avevano dato vita ad una sorta
di gioco in cui sembravano doversi rincorrere. Vegeta era sopra la
donna, e la avvolgeva quasi completamente col suo corpo statuario dopo
essere delicatamente entrato in lei. I gemiti di Bulma non erano forti
abbastanza da creare fastidio alle orecchie del principe, ma erano
sufficienti perché lui li cogliesse e si giovasse della loro
presenza. Si muoveva dentro il corpo perennemente giovane di Bulma, e
lo faceva con una naturalezza tale da non sembrare nemmeno che sentisse
il fastidio di un'atmosfera a lui ostile.
Si muoveva ancora, e ancora, e ancora...
Si muoveva dentro di lei con
tutto il vigore che aveva in corpo affinché la donna non avesse
dubbi sul desiderio di lui nei suoi confronti.
Si muoveva procurandole piacere, un piacere che forse Bulma non aveva mai raggiunto nemmeno dopo secoli di beatitudine.
L'apice della gioia
arrivò per entrambi contemporaneamente: era un piacere scoprire
che pur avendo assunto due nature completamente diverse, entrambi
fossero ancora in perfetta sintonia. Quanto doveva essere labile allora
il confine tra il bene e il male! Quanto poca doveva essere la
differenza tra un'anima pura e una dannata se entrambe, insieme,
potevano raggiungere il massimo della felicità!
«Ora puoi. Ora dimmi ciò che devi dirmi.»
Vegeta guardò gli occhi
della sua donna rimanendo stregato dalla lucentezza che emanavano.
Erano loro ad implorarlo, più della sua voce calda e soave.
«Ti amo.»
Fu in quell'attimo che la
nebbia si infittì ulteriormente. Vegeta si rese conto che la
donna ancora sotto di lui iniziava ad essere avvolta da quel soffice
muro bianco a lui tanto ostile. Il suo cuore accelerò
d'improvviso i propri battiti mentre Bulma si dissolveva sotto gli
occhi attoniti del saiyan. Era completamente inutile cercare di
stringerla a sé con maggiore forza: sembrava che le sue mani
fossero terribilmente deboli in confronto alla potenza della nebbia che
gli stava portando via la sua amata.
Perché doveva andare a
finire così? Perché Re Enma non poteva concedergli almeno
di dire qualche altra parola?
Perché? Perché? Perché?
«Perché?»
Senza nemmeno rendersene conto,
il principe stava ormai urlando e piangendo. Era di nuovo solo,
intrappolato da quella nebbia che sembrava volesse ucciderlo.
Chissà... se non fosse stato consapevole di essere già
morto, forse avrebbe anche avuto paura. Eppure, gli sembrava che tanto
tempo prima, quando ancora era in vita, lui non temesse affatto la
morte.
Di nuovo, la testa iniziò a girare come se fosse prigioniera di
un vortice. Iniziava a sentire la confusione crescere dentro di lui. Di
lui, certo... ma lui chi era?
Cosa ci faceva in quel luogo che sapeva istintivamente non essere
quello a cui era destinato? Perché si trovava lì se lei
non c'era più?
Lei... lei
se la ricordava benissimo, invece! Un tizio gli aveva promesso che
poteva incontrarla ogni cinquecento anni! Un tizio... ma chi era?
«Alzati! Il tuo tempo di permanenza qui è finito.»
Il saiyan si voltò nella
direzione in cui gli parve di aver udito la voce. Lì vide una
figura eretta, austera, forse divina. La nebbia avvelgeva quell'essere
quasi completamente, ma ciò non gli impedì di scorgere le
braccia nude e verdi né il lembo svolazzante di un candido
mantello.
Senza nemmeno sapere
perché, Vegeta obbedì, pur non riconoscendo affatto il
suo interlocutore. Aveva solo un vago ricordo, o, più
propriamente, una sensazione: chissà... forse in vita lo aveva
conosciuto!
Nonappena fu in piedi, svenne.
Svenne per la troppa oppressione che quella candida nebbia faceva al
suo corpo e alla sua anima. Svenne perché qualcosa o qualcuno
aveva tolto alle sue gambe la forza per sorreggere tutto il peso del
corpo. Svenne perché così doveva essere: non sapeva
esattamente a cosa fosse dovuta una tale consapevolezza, ma era ben
cosciente che i patti erano quelli.
Ma quali patti? E con chi?
Si risvegliò in un luogo
a lui molto familiare: lo conosceva benissimo perché ormai de
secoli, o forse millenni, quella era diventata la sua dimora abituale.
Sentiva quasi con piacere il divampare delle fiamme infernali lungo la
sua pelle nuovamente squartata. Strano... aveva la sensazione che fino
a poco prima il suo corpo non avesse né escoriazioni né
ferite e che anzi fosse... perfetto?
No. A uno come lui non poteva
essere concessa la perfezione! Gli avevano tolto tutto, ormai, persino
il ricordo della propria identità. Nulla di ciò che era
stato in vita aveva qualche strascico anche all'Inferno.
Nulla.
Perché lui era un dannato.
Perché lui si era macchiato di crimini atroci.
Perché sarebbe stato molto più al sicuro da sé stesso dimenticando chi fosse stato davvero.
Solo una cosa il potere divino non aveva potuto cancellare dai suoi ricordi.
«Bulma, dove sei?»
FINE
_________________
Angolo dell'autrice:
se qualcuno è arrivato alle note, vuol dire che ha trovato la
forza anche di leggere tutta la storia! Qualche spiegazione è
assolutamente doverosa: nella parte finale del racconto, Vegeta perde
la memoria. In realtà, ho immaginato che la condizione dei
dannati sia una perdita di memoria perenne, e questo è anche il
motivo per cui non riconosce Piccolo, pur intuendo che ha un aspetto
familiare. Ho voluto però che nel momento in cui avviene
l'icontro prestabilito da Re Enma con Bulma, il dio gli conceda anche
la possibilità di ricordare la propria identità e le
sofferenze patite all'Inferno. Non ho voluto che dimenticasse Bulma...
ho dvuto farlo! Che razza di storia d'amore sarebbe, altrimenti? ^_^
Mando un enorme bacio a tutti voi che avete letto questa piccola One Shot.
9dolina0