Cap 1
Un passato alla Cannella ~
Capitolo 1
RITORNO A CASA
I
capelli corvini al vento, lo sguardo all'infinito. Le braccia
incrociate appoggiate sul parapetto. Ai suoi piedi un grosso borsone
pieno di vestiti e cianfrusaglie. Ogni tanto sbuffa. Colpa mia per
averlo incastrato in questa situazione, controvoglia.
Con in mano due bicchieri caldi, quasi ustionanti, mi avvicino. Gli
allungo, davanti al naso, il suo caffè. Lui, quasi lo avessi
svegliato da un sogno, si rianima e mi guarda, sorridendo poco
convinto. Grazie, mi dice dandomi un piccolo bacio sulla guancia. Nonostante tutto non perde la sua dolcezza. Gli sorrido a mia volta.
«A che stavi
pensando?» gli chiedo. Il suo volto perde per un attimo la sua
lucentezza. Un ricordo triste e doloroso? Non importa, non posso
chiederglielo in modo così diretto. Alza
le spalle, riportando lo sguardo verso il mare davanti a noi. Le onde
si infrangono contro la prua del battello. Manca ancora molto
perché non ci sono isole all'orizzonte. Le sue iridi blu si
perdono ancora nell'immensità davanti a noi. Al sole del mattino
presto la sua figura risalta di più. «Te l'ho mai detto che sono nato a Cinnabar Island?» mi chiede. Faccio di No con
la testa. Intuisce ma sembra non importargli. Non lo forzerei mai a
parlare ma non ce n'è bisogno. Socchiude le labbra, sembra stia
per parlare ma si ferma. Un grosso respiro. Solo allora decide di
continuare, solo dopo aver soppesato ogni parola come se potessero
cadergli addosso e schiacciarlo. «Sono
andato via tanti anni fa» dice. Non tenta di affrettare il
discorso: ora che l'ha cominciato vuole concluderlo una volta per
tutte. «Pensavo
di conoscere mia madre ma non era vero. Niente era vero». Abbassa
lo sguardo mordendosi un labbro. Preoccupata, cerco di stringergli la
mano. Non mi allontana, non mi scaccia. Si lascia consolare come un
pulcino bagnato e rassegnato. «Ero
confuso e arrabbiato. Sono passati tanti anni dalla mia
partenza.» dice stringendo forte la mia mano. E finalmente torna
a guardarmi. La sua profonda tristezza mina i suoi occhi. Capisco cosa
intende dire. «Sai
perché ti sto dicendo tutto questo?» cerca di abbozzare un
sorriso, molto forzato. Ancora una volta agito la testa, non oso
parlare per spezzare la sua confessione. Sorride,
molto più rilassato. «Ti sto dicendo questo» e in un
attimo di pausa intreccia le dita della mano con le mie «perché
sono sicuro che tu sia la persona giusta. So che potrai
aiutarmi». Imbarazzata, arrossisco. Le sue sono parole
dolcissime. Il suo sorriso è finalmente tornato e lo Shinichi
che ho sempre conosciuto riemerge dietro ad uno sguardo più
sicuro di sé. Guarda le nostre mani e comincia ad accarezzare la
mia con il pollice, dolcemente. Il suo tocco è delicato,
perfetto. «Ci
sarò sempre quando avrai bisogno di me». Non ho resistito.
Ho dovuto dirglielo. Rialza lo sguardo e mi tira a sé. Mi
abbraccia forte appoggiando la sua guancia contro la mia. Il suo corpo
è caldo. Trema leggermente. È l'emozione? «Grazie» mi sussurra stringendomi forte. Grazie.
Il lungo viaggio volge al termine dopo circa sei ore di tragitto. Il
battello, per quanto piccolo possa essere, risulta sproporzionato al
porto di Cinnabar. Lì le imbarcazioni sono abituate a piccoli
tragitti tra Pallet Town e Fuchsia City quindi non sono poi molto
attrezzate; quelle del posto, almeno. Il grande vulcano che domina
tutta l'isola sembra una grande montagna protettrice. La fetta di cielo
ad esso annessa è percorsa da nuvole di passaggio. Non appena
scendiamo dal battello, borse al seguito, la nostra attenzione è
attratta verso l'alto. Quasi meccanicamente, guardiamo verso il cielo
alla cima del vulcano, piatta e smussata dalle passate fuoriuscite di
lava. «Quasi mi
mancava questa vista» ironizza Shinichi, al mio fianco. Si
sistema la borsa sulle spalle e comincia a camminare, oltre il porto. A
primo impatto mi stupisco ma poi ricordo la sua confessione: quella,
d'altronde, era stata la sua casa; Shinichi deve ricordarsi di quei
posti come se fossero le sue tasche, proprio come io conosco a menadito
le strade di Vermilion. Inutile dire che ad una piccola isola equivale
una piccola città. Le pendici del vulcano cominciano poco fuori
il centro abitato. Una grossa villa, in lontananza, testimonia la
ricchezza di un passato ormai abbandonato a sé stesso. Lì ormai non ci sono che pokèmon selvatici, accenna il mio compagno. Nemmeno lui sa dirmi a chi era appartenuta.
Il Centro Pokèmon non è molto lontano dal porto. Il mare
si estende davanti a noi, come a Casa mia. Però riesco comunque
ad avvertire la differenza. Non c'è l'atmosfera della mia
città, non ci sono persone che mi salutano ad ogni angolo e non
c'è la vita frenetica di Vermilion. Non c'è nemmeno la
mia palestra né Machisu che mi saluta da una finestra né tutti
gli allievi che mi corrono incontro per non farmi portare carichi
pesanti come la spesa. Mi guardo indietro, un'ultima volta. Niente nostalgia!
Cerco di ricacciarla in fondo al mio cuore. Mi costringo a pensare che,
nonostante tutto, quello è lo stesso mare che vedevo anche dalle
finestre della palestra.
Shinichi si ferma davanti ad un cancelletto pieno di edera di
un'altrettanto piccola casetta avvolta dal verde. Il giardino poco
curato e una persiana mancante potrebbero far presagire una mancata
cura delle apparenze. Delle luci, all'interno, testimoniano la vita in
quelle quattro mura. Non c'è il campanello ma né io
né il mio compagno osiamo farci avanti per bussare alla porta.
Sicuramente non sarò io a fare la prima mossa. Lo guardo: gli
occhi blu puntati verso una piccola finestrella. Sta ripensando al
passato? Ho paura ad interrompere i suoi pensieri ma non posso far
altro, vedendo il suo viso corrucciarsi.
«È
casa tua?» gli chiedo, quasi sussurrando. Non sembra risvegliarsi
da qualche trance. Si gira verso di me, appena mi sorride. Era.
Finalmente si decide. Apre il cancelletto. Questo cigola mentre noi
approfittiamo del suo movimento. Prendendo una maniglia che nemmeno
pesavo potesse avere, il mio compagno lo richiude alle mie spalle.
Però, dalla mia posizione non mi muovo. Lascio che mi superi e
che raggiunga la porta. Ho paura ad intromettermi, come se potesse
esserci un lato di Shinichi che non mi ha mai mostrato.
La sua mano esita prima di bussare. Rimane per un paio di secondi
alzata per poi abbattersi sulla porta. Un suono cupo, tetro. Dei passi
all'interno si accavallano. Non possono appartenere ad una sola persona.
Shinichi, davanti a me, abbassa la testa e mi lancia uno sguardo
ansioso con la coda dell'occhio. Le mani lungo i fianchi sono immobili,
non oso muovere un passo in avanti.
Il rumore di una chiave nella toppa e il cigolio dei cardini. Si apre
di poco, abbastanza per una persona. Io, però, non riesco a
vedere: la schiena del ragazzo mi copre la visuale. Non vedo ma sento.
«Ah. Sei
tu.» una voce stridula quanto il tono acido. Corrugo la fronte,
pronta a sentire ed eventualmente ribattere qualche insulto verso il
ragazzo. Ma prima di rendermene conto la situazione cambia.
Un «Shinichi! Sei tornato!» distrugge la tensione nell'aria, tagliando di netto un Sì
freddo del mio compagno. Due braccia gli avvolgono il collo e un viso
giovane e bello compare da dietro la sua spalla. La ragazza ha gli
occhi chiusi, non si accorge di me. I lunghi capelli biondi ricadono
attorno alle spalle nude. Senza volerlo, strabuzzo gli occhi, vacillo. E questa chi è? Perché non si stacca?
Lo coccola come fosse un pupazzo. «Finalmente!» gli grida nelle orecchie. Lui, ovviamente
imbarazzato, ridacchia e cerca di staccarla da sé. Almeno,
è quello che dovrebbe fare. Le sue braccia si muovono ma non
capisco quello che ha intenzione di fare.
«Che sei venuto a
fare qui?» gli chiede la stessa voce pungente. Ora riesco a
vedere una donna magra, un paio di occhiali che pendono dal collo, i
capelli in una crocchia scura. Non è vecchia ma dimostra
sicuramente più anni di quelli che dovrebbe avere in
realtà.
«Una
richiesta» dice, quasi apatico. Si toglie finalmente di dosso la
ragazza che, ora vista di fianco a lui, mi sembra fin troppo attraente
per stargli così vicino e si gira verso di me. Sorpresa con i
pugni stretti lungo il corpo e il viso corrucciato, tento di darmi una
certa compostezza. «da
un suo amico.» conclude, secco. La bionda mi guarda, leggermente
irritata. Il tipico sguardo di chi pensa tu sia il terzo incomodo.
Dopo un gelido susseguirsi di sguardi, la donna ci fa entrare. La casa
sembra molto più grande dall'interno. Ci porta in una grossa
cucina e ci fa accomodare al tavolo. Shinichi comincia il suo racconto.
Già, durante il viaggio me n'ero completamente dimenticata, felice com'ero di stare con lui.
Mi fa tirare fuori una lettera dallo zaino. È
leggermente spiegazzata ma tenuta con gran cura. Sulla busta c'è
l'indirizzo della palestra di Vermilion, cosa che salta subito
all'occhio delle due donne. Incuriosite e piuttosto scettiche mi
guardano. Ancora uno di quegli sguardi cristallini in cui posso leggere
Questa? In una palestra pokèmon?
Fortunatamente Shinichi riprende il discorso distraendo la loro
attenzione da me. Non permette alle due di leggerla ma chiede loro solo
riparo. La donna, allora, si alza e va alla finestra, la stessa a cui
manca una persiana. Guarda fuori, sta valutando la situazione. La
ragazza, invece, è molto più decisa: vuole il ragazzo
lì ed il motivo è più che lampante.
«Non lo so» dice schiettamente la donna. Finalmente si rigira. La sua decisione l'ha presa, lo si legge nei suoi occhi. «Questo suo amico? E questa ragazza? Cos'hai
intenzione di fare?» comincia a chiedere a raffica. Lui, per
niente sorpreso da questo cambio di loquacità, risponde a tutte
le domande. «Aiuterò tutti» il suo sguardo deciso non ammette né repliche né consigli. «E
poi? Che farai, dopo?» per la prima volta la donna mostra un
sentimento: preoccupazione. Delle rughe d'espressione segnano la fronte
di lei facendola sembrare di più una madre. Shinichi scuote la
testa. A stento trattiene una risata. «Non tornerò qui, se è quello che speri». È freddo, quasi cattivo. Ma il suo passato, d'altronde, non lo conosco.
«Perchè? Perchè non puoi restare?» comincia a urlare la ragazza. «Per
favore, Yukino...» cerca di zittirla. Finalmente noto un
comportamente leggermente repellente nei confronti della ragazza che va
in giro in pantaloncini corti e canottiera troppo scollata per i miei
gusti. In tutti i modi cerco di trattenermi dal sembrare soddisfatta ma
le labbra, di poco, si arricciano da sole. La ragazza mi guarda
malissimo e si avvicina al ragazzo. Alza il braccio e mi punta contro
l'indice. «È colpa sua, vero!?» chiede. Si direbbe furiosa ma non mi lascio certo intimidire. Alzo un sopracciglio. Come scusa?!
le faccio intendere ma lei non rimangia le sue parole. Mi provoca
apertamente ma prima ch'io possa far qualcosa, Shinichi agisce in mia
difesa. Le afferra il braccio e glielo tira giù a forza. «Non osare» la fredda con lo sguardo. La situazione precipita velocemente.
La donna, ancora accanto alla finestra, grida il nome del ragazzo che,
in un attimo, sembra tornare sé stesso. Lascia il braccio alla
bionda e si gira a guardarmi. Lo sguardo basso, tenta di scusarsi. Mi
fa segno con la testa di alzarmi. Raccoglie le sue cose e con passo
lento esce dalla stanza non senza avermi preso per mano e condotta
fuori. Mi giro qualche istante, il tempo per accennare un Grazie lo stesso con la testa alle due nella stanza.
«Mi dispiace...» si scusa Shinichi. Con questa a che quota siamo? 63 o 64? Ho perso il conto dopo la ventina.
Rifiutata la richiesta d'alloggio non ci rimane che chiedere una stanza
al Centro Pokèmon ed è lì che ci stiamo dirigendo.
Ci costerà parecchio rimanere lì per chissà
quanto; questa è la prima preoccupazione, senza contare la
lettera. È ancora tra le mie dita; non riesco a riporla nello zaino. Porta con sé troppi pensieri...
«Aki!»
mi chiamò Machisu. La sua voce risuonò nei corridoi della
Palestra. «Aki! È arrivata una lettera per
te!».
Mi consegnò una busta affrancata e leggermente sgualcita. Il mio
indirizzo scritto sul retro; la calligrafia di Masaru. Mi preoccupai
subito dal momento che il ragazzo non mi aveva praticamente mai scritto
lettere. La aprii subito, velocemente, strappandone leggermente un
bordo. Shinichi accorse subito al mio fianco e Machisu seguì il
suo esempio, preoccupati dalla foga con cui stavo quasi rompendo il
foglio.
Purtroppo dentro non trovai che un misero foglio. La calligrafia di
Masaru era molto piccola e concentrata. In quelle righe poteva aver
scritto di tutto.
"Cara Chiaki," cominciai a leggere.
Avevo deciso di prendermi un periodo
di pausa dal Dojo e dalle sue faccende. Ho pensato che Cinnabar Island
potesse essere un buon luogo per loro e non mi sono sbagliato. L'isola
è davvero bella ma da quando ho messo piede qui ho avvertito una
strana sensazione. Il Mare è in costante subbuglio, la Terra
instabile e il vulcano minaccioso. All'inizio ho pensato di ignorare
questo presentimento ma ho sbagliato.
Sono qui da ormai una settimana e la
situazione è precipitata. Lo sento, lo avverto sulla pelle e lo
stesso Vulpix e Scyther. Ho paura. So che non crederai a quello che
dico ma ho paura.
Purtroppo non posso, non riesco a tornare a casa. È brutto doverti chiedere aiuto ma da solo non credo di poter far niente.
Spero di esserci ancora quando arriverai.
Sta attenta.
Masaru"
I due, alle mie spalle, lessero con me. Inutile dire quanto mi
preoccupai ulteriormente dopo la lettura. Non riuscii a credere a
ciò che avevo davanti. La rilessi più volte e,
continuamente, la verità si spiaccicava sul mio volto,
ricoprendomi.
Non c'era tempo da perdere. Guardai Machisu e Shinichi. Entrambi mi
diedero il loro appoggio. Il capopalestra, però, non sarebbe
potuto partire; si limitò a procurarci una nave che potesse
andare diretta a Cinnabar senza scali e senza interruzioni di alcun
genere. Purtroppo per noi, il battello in questione sarebbe dovuto
prima arrivare dalla suddetta isola e poi tornare indietro. La partenza
fu quindi fissata a tre giorni dall'arrivo della lettera.
Mentre stavo preparando le mie cose, pensando bene a cosa mi sarebbe
servito e cosa no, Machisu entrò in camera mia. Bussò
sullo stipite della porta, attirando la mia attenzione. Subito gli
rivolsi lo sguardo.
«Tutto ok?» gli chiesi. Lui annuì, avanzando verso
di me. Mi strinse forte al suo petto muscoloso. Era passato ormai
un anno dalla faccenda della Centrale ma ancora non si sentiva
tranquillo. Certo, l'appello di Masaru non aiutava certamente. Entrambi
sapevamo che un ragazzo come lui non avrebbe mai chiesto aiuto
così apertamente quindi qualcosa doveva essere successo. Non
potevo certo lasciarlo in balia degli eventi, no? Potevo solo
raggiungerlo e fare del mio meglio.
«Se dovesse succederti qualcosa, va da Katsura (Blaine). Fa il
mio nome» mi sussurrò nell'orecchio. Katsura? Il
capopalestra di Cinnabar? Sentii la mano di Machisu scorrere sul mio
corpo, una lettera sotto di essa, fine, venne infilata in una delle mie
tasche.«Una raccomandazione; se così posso definirla».
Mi lasciò andare, tenendomi per le spalle. Il volto bruciato dal sole sbocciò in un sorriso. «Mi raccomando, torna sana e salva, questa volta!»
«Aspetta, Shin!» lo chiamo. Lui, pochi passi avanti a me, si ferma e si gira a guardarmi. Che c'è?
mi chiede. Grido il nome del capopalestra dell'isola. Lo sguardo del
mio compagno si fa sempre più confuso; non capisce. Ripeto
ancora quel nome, nel caso non l'avesse capito. «Machi ha detto che potrebbe ospitarci, se diciamo che vengo da una palestra!». Strabuzza gli occhi. «Non credo...» comincia a smontarmi «Perchè mai Katsura dovrebbe crederci?». Sorrido contenta che me l'abbia chiesto. «Ho una lettera di Machisu» gli dico, senza fargliela vedere, convinta di averla nello zaino.
E invece mi sbaglio, e alla grande. Davanti alla porta della palestra
mi riduco a rovistare nel mio zaino senza successo. La lettera del mio
capopalestra non si trova. Mi dispero, tiro anche qualche insulto ma
niente mi può aiutare a trovarla. Mi lascio andare, delusa e
affranta. Purtroppo Shinichi ha avuto ragione, ancora una volta. Non ci
resta che il Centro Pokèmon.
Intanto, a Vermilion City...
Sbuffa, Machisu. Si sente così solo tra le mura della sua
palestra. Gli allievi lo evitano, preoccupati tanto per lui quando per
la loro incolumità. L'ultima volta che l'espressione dell'uomo
rasentava la preoccupazione era stato l'anno prima alla partenza della
ragazza e questa volta... Inutile dire che questa situazione è
molto più grave; nettamente peggiore: lo si legge senza fatica
negli occhi di lui.
Si intrufola nella camera della ragazza, partita quella mattina. Ha
lasciato tutto in ordine, lei, per non costringerlo a faticare
più del dovuto. I vestiti dei giorno prima sono abbandonati ai
piedi del letto, un po' spiegazzati.
Saranno sporchi, pensa lui,
così decide di caricarseli per portarli nella lavanderia. Ed
ecco che, non appena alza i pantaloni, scivola fuori una lettera. La sua lettera.
Non ci crede; non vuole crederci. Si china a raccoglierla per averne la certezza. Scuote la testa, incredulo.
Ridacchia per non piangere. Quella stupida...
«Tornerò a
supplicarla» mi dice mentre ci dirigiamo al Centro Pokèmon
dell'isola. Si direbbe convinto ma non lo è sicuramente. Aspetta
forse che io glielo impedisca? Lo guardo e lui guarda me. Non voglio
che vada contro le sue idee per me. «Dobbiamo
trovare Masaru» gli ricordo; mi ricordo. Perchè non
abbiamo fatto sei ore di viaggio solo per essere presi a calci da una
vecchia conoscenza di Shinichi e vagare per l'isola. «Lo so» mi dice «ma
abbiamo bisogno di un posto dove lasciare le cose». E non ha
tutti i torti. Ma quella ricerca non è poi tanto urgente,
contando che al Centro delle camere ci sono sempre. Probabilmente
vorrà parlare da solo con le due donne; e chi sono io per
impedirlo?
«Sei
sicuro?» gli chiedo, ansiosa. Non voglio che se ne esca di nuovo
da quella casa con le orecchie basse. Ma annuisce, convinto. Sbuffo. Come vuoi tu.
E così ci separiamo. Se dovessero esserci sviluppi, mi
chiamerà con il PokèGear. Sapete, me ne ha regalato uno
al suo ritorno da Johto. Non sono esattamente pratica di questi aggeggi
ma una comunicazione so avviarla. Spero.
Passato tutto il pomeriggio a girovagare nei dintorni del porto, ho
raccolto solo poche informazioni. Purtroppo l'unica foto che ho di
Masaru risale a qualche anno fa; nonostante tutto qualche marinaio o
abitante afferma di averlo visto sull'isola per tutta la settimana
senza però sapere dove possa essere al momento.
Torno ancora al Centro Pokèmon per riprendere le mie cose.
L'infermiera mi saluta gentilmente; il suo sorriso è così
'lucente' che quasi mi riprendo. Vorrei tanto che uno di quei grossi e
cicciosi Chansey mi prendesse e mi mettesse in uno di quei macchinari
miracolosi che fanno riprendere i pokèmon. Giusto, già
che sono lì, ne approfitto. Le affido le mie tre pokèball
e mi siedo su una delle poltroncine, di fianco ad un giovane
allenatore; la foto di Masaru sempre stretta tra le dita.
Mi stiracchio tutta come un gatto che si è appena svegliato con
l'unica differenza che di energie non ne ho più e il mio corpo
sembra molto più goffo e meno aggraziato.
Mi appisolo sul posto, distrutta. Chiudo gli occhi solo per cinque secondi, e invece...
La mano del giovane vicino a me mi riporta alla realtà. «Il tuo Pokègear...»
Con un'imbarazzante bavetta che esce dalla bocca mi riprendo, cerco di
tirar fuori dalle tasche l'aggeggio che non avevo sentito suonare e,
dopo essermi spostata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, leggo il
messaggio che Shinichi mi ha mandato.
Alloggio trovato. Ci vediamo al Centro!
Sorrido, inebetita. Bene, così non mi tocca camminare di più,
penso. E quando penso che, finalmente, le figure di palta per quel
giorno sono finite, ecco che un'altra piomba giù, inaspettata.
«Ehi!» mi
fa il ragazzo vicino a me. Sobbalzo, come se un Growlithe mi avesse
morso una chiappa, gridando anche. Questo mi guarda come se fossi una
pazza da compatire mentre mi giro nella sua direzione. Sì?
cerco un minimo di contegno e decenza, decisamente persi nel giro di un
secondo. Alza la foto di Masaru che tiene tra le dita. Deve essermi
caduta nella foga del risveglio.
«Lo stai cercando?» mi chiede. Annuisco, leggermente speranzosa. Sì, sì, giovane sbarbatello privo di tatto! «Io l'ho visto. Era nei pressi della Palestra, qualche giorno fa.»
Il mio visto s'illumina di felicità. Finalmente una pista!
[Finalmente
mi sono rimessa in carreggiata, riprendendo finalmente il fandom dei
Pokèmon! Purtroppo l'ultima storia che stavo scrivendo non me
l'ha cagata nessuno così rimane sospesa.
E così... Tornano Shinichi e Chiaki nella loro ultima e mirabolante avventura (?!).
Mi dispiace di aver scritto così tanto ma anche così poco.
Come avevo già
annunciato da qualche parte, questo 'capitolo conclusivo' farà
luce sul passato di Shinichi e tirerà un po' fuori dall'ombra
Masaru.
Non vi dico altro, altrimenti vi rovino tutta la sorpresa!
(Oh, il nome della bionda è stato scelto in un brainstorming con
un amico apposta per lei. Ci sembrava abbastanza zoccoloso. Love Ya,
zoccolina!)
Oh, note finalissime!
Purtroppo la prima storia l'ho scritta che ero ancora... nuova ed inesperta.
Vorrei dedicare non il capitolo ma quest'intera storia a tre ragazze: Oblakom, LenKiyomasa e Konny_
Diciamo che sono le mie PokèPreferite!
Grazie a loro che, qualunque cosa io abbia scritto, c'erano!
Tanti Pandori a voi!
E... Ho deciso di pubblicarla un po' prima così Konny non si dispera troppo per la sua!]
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