Fandom:
Shadowhunters
Pairing:
MALEC
(ma anche Clace e Sizzy)
Avvertimenti:
slash,
introspettiva
Note:
ambientato
dopo CoHF (in qualsiasi modo
finirà), Alec torna a New York dopo 15 anni di permanenza a
Idris. Cosa sarà
cambiato? E perché ha deciso di tornare di punto in bianco? SPOILER
per
chi non avesse letto CoLS.
SHADOWHUNTERS:
15 YEARS AFTER
Quanto tempo era passato
dall’ultima volta che aveva visto
quel panorama, dall’ultima volta in cui aveva camminato per
quelle strade
affollate e ammirato quel cielo così terso.
New York lo circondava di nuovo con i
suoi alti grattacieli,
i taxi che coloravano di giallo il traffico dell’ora di
punta, i venditori di
hot-dog sui larghi marciapiedi pieni di gente che si affrettava in
qualsiasi
direzione e i suoi piccoli angoli tranquilli.
Erano passati quasi quindici anni
dall’ultima volta in cui
Alec aveva percorso quella strada, eppure la ricordava ancora
perfettamente.
Probabilmente perché aveva attraversato quel quartiere per
ben vent’anni della
sua vita. Non aveva più pensato a quella città
per parecchio tempo, ma in tutti
quegli anni non l’aveva dimenticata e la Grande Mela non era
affatto cambiata. La
strada che stava percorrendo diventava
tranquilla mano a mano che il ragazzo procedeva; svoltò in
una via quasi
deserta e lì, davanti a lui apparve la sua meta.
L’istituto si ergeva
maestosamente dietro la cancellata, in
tutto il suo splendore immutato. L’unico segno che il passare
del tempo,
implacabile, aveva lasciato erano delle macchie rosse, dove la ruggine
stava
mangiando il ferro ormai vecchio. Tutto il resto era rimasto uguale a
quindici
anni fa.
Alec aprì il cancello che
cigolò, come a dargli il ben
tornato. Proseguì fino all’ingresso ed
entrò.
Nella penombra del piano terra, il
cacciatore ispirò
profondamente. L’odore era sempre lo stesso: cera, fumo e
polvere. Era
finalmente tornato a casa.
Tutti gli Shadowhunters sparsi per il
mondo consideravano
Idris la loro casa, anche se ci avevano vissuto per pochi anni, e
sognavano
sempre di ritornarci. Alec amava Idris, certo, ma l’Istituto
l’aveva accolto e
visto crescere insieme ai suoi fratelli, ed era il posto in cui era
maturato. A
quell’edificio erano legati così tanti ricordi,
felici e tristi, che il ragazzo
non poteva fare a meno di considerarla casa sua.
Prese il vecchio ascensore che
sembrava più cigolante che
mai, e salì al primo piano. Di lì percorse il
lungo corridoio guardandosi
intorno e ammirando l’edificio, come fosse la prima volta.
Automaticamente i
suoi piedi se fermarono davanti ad una porta. Camera sua.
Entrò nella stanza:
tutto era esattamente come l’aveva lasciato. La scrivania in
ordine con lì
impilati vicino dei libri, più che altro di demonologia e
tecniche di
combattimento; la sedia ben posizionata sotto al tavolo; il letto in
ordine,
con un lenzuolo bianco e coprire il materasso perché non
prendesse troppa
polvere, e l’armadio. La sua stanza era sempre stata
spartana, ma in quel
momento gli sembrò quasi misera.
Appoggiò il borsone sul
letto, sollevando un leggero strato
di polvere, e spalancò la finestra. Uscì dalla
stanza ed aprì i vetri di alcune
finestre in corridoio. Quel luogo sapeva un po’ troppo di
chiuso!
Passò per la cucina. Anche
lì era tutto come lo ricordava,
tutto in ordine. Solo, notò, il frigorifero era
desolatamente vuoto! Ma anche
quello era normale, visto che da almeno sette anni l’Istituto
era disabitato!
Per cena avrebbe dovuto andare a mangiare fuori, pensò
sospirando.
Continuò il giro
dell’edificio, adesso toccava alla
biblioteca. Con quell’atmosfera tranquilla, tutti quei libri
e l’odore
inconfondibile, era stato per anni il luogo preferito di Alec. Ci si
rintanava
per pensare, per studiare o semplicemente per leggere un buon libro in
tranquillità.
Percorrendo il corridoio,
l’unico rumore udibile era il
rimbombo dei suoi passi, tranquilli ma decisi. L’Istituto non
gli era mai parso
così grande. Ricordava un luogo vivace, sempre pieno di voci
tra Isabelle e
Jace che discutevano a Max che rideva leggendo un manga facendo le
coccole a
Church. Adesso invece era solamente grande. Grande e silenzioso.
L’armeria era
l’ultima tappa del tour. Appena entrato nella
grande sala Alec sorrise. Sorrise al ricordo di quanto tempo aveva
passato
immerso tra quelle mura, ad impugnare le spade angeliche o
l’arco, ad
allenarsi, da solo o con Jace. Ne era passato di tempo…
Ripensando ai vecchi tempi, si
avvicinò ad un tavolo e prese
uno dei pugnali lì appoggiati. In uno scatto si
girò e lanciò l’arma che
andò a
conficcarsi precisamente al centro di un cerchio rosso. Beh, almeno era
ancora
in perfetta forma! Una risatina gli scappò dalle labbra,
quando si accostò al
muro per riprendere il coltello, al pensiero di quando Jace aveva
“rovinato”
l’antico muro dell’Istituto, dove
“migliaia di Shadowhunters si erano allenati
con costanza ed impegno”, come aveva detto sua madre mentre
con sguardo
scioccato guardava prima il bambino biondo, il muro e poi una piccola
versione
di Alec.
Il sole era già tramontato
da un pezzo, segno che per Alec
era giunto il momento di andare a procacciare del cibo.
Ripassò in camera a
prendere la giacca e poi si inoltrò nelle strade fredde e
trafficate della
città.
Dopo aver girovagato per qualche
tempo, decise di sedersi ad
una tavola calda. Non era certo uno dei posti che frequentava da
ragazzo!
Avrebbe potuto tranquillamente andare da Taki’s, sapeva per
certo che era
ancora in attività, ma per una volta voleva sedersi in un
angolo di un locale
in cui non era mai stato, mischiarsi in mezzo ai Mondani e pensare. O
stare solamente
tranquillo ad assaporare la sua cena.
Ordinò quando la gentile
cameriera si accostò al suo tavolo nell’angolo
e poi riprese il corso dei suoi pensieri. Era tempo di riaccendere il
telefono,
pensò estraendo dalla tasca dei jeans scuri il piccolo
aggeggio mondano che gli
era stato sempre accanto durante un particolare periodo della sua
adolescenza.
Come aveva pensato, lo schermo gli
mostrò tre chiamate
perse. Due di Isabelle e una di Jace. Appoggiò il cellulare
sul tavolo e attese
la cena. Sapeva bene che sua sorella l’avrebbe richiamato,
quindi aspettò con
tranquillità che il cellulare squillasse. Rimase nella
tavola calda per quasi
due ore. Ogni mezzora o più la gentile cameriera che gli
aveva portato la cena,
passava dal suo tavolo e gli riempiva la tazza di caffè.
Come piaceva a lui:
nero con zucchero. Sembrava perso nei suoi pensieri, un giovane uomo
tormentato, magari alle prese con una gran grattacapo al lavoro.
Invece, stava
semplicemente osservando i passanti e gli avventori del locale,
riprendendosi
quei quindici anni di New York che si era perso. Quando si accorse che
nella
tavola calda erano rimasti solo tre tavoli occupati, decise che era
tempo di
rincasare.
A metà strada il cellulare
iniziò a squillare. Alec
controllò lo schermo: era Isabelle. Lo lasciò
squillare ancora un po’, forse
per dare l’impressione che fosse impegnato o forse
semplicemente perché non
moriva dalla voglia di rispondere, ma se non avesse accettato la
chiamata,
sarebbe stata Isabelle ad accettarlo…e con qualcosa di molto
affilato!
-Alec!- esplose la voce della ragazza
–Ti ho
chiamato un sacco di volte! Non hai mai
risposto!-
-Hai chiamato solo due volte. E
anch’io sono contento di
sentirti, Izzy.- rispose il ragazzo, sorridendo tra sé e
sé.
-Da quanto sei in città?-
chiese la sorella.
-Qualche ora…il tempo di
sistemarmi e mangiare…-
-Cavolo, potevi dirmelo! Avresti
potuto venire a cena da
me!-
-Non volevo disturbarti.- sorrise lui.
-Beh, domani dobbiamo assolutamente
vederci! Facciamo
colazione di Taki’s ti va? Alle dieci?- esclamò e
senza aspettare risposta
–Scusa adesso devo andare, Church ha deciso di mangiarsi il
cuscino del divano!
Dormi bene fratellino, a domani!-
e
riappese.
Chiamata veloce, pensò il
cacciatore. Intrattenuto
dall’esuberanza della sorella, che non sembrava cambiata per
niente, Alec era
ritornato all’Istituto. Abbandonò la giacca sulla
sedia e si diresse in cucina.
Frugò in ogni scafale e in ogni cassetto e finalmente lo
trovò: la scorta
segreta di caffè! L’aveva sempre nascosta
lì per i momenti di vera necessità,
solo non pensava che se ne sarebbe servito dopo così tanto
tempo! Pregando
l’Angelo che la magica miscela non fosse scaduta, si
preparò una bella tazza di
caffè caldo e raggiunse la biblioteca. Lì
vagò per gli scaffali in cerca di
qualcosa da leggere. Decisamente non un manuale di demonologia! Serviva
qualcosa di tranquillo, che non avesse nozioni da imparare…
perso in queste
considerazioni, capitò di fronte ad una piccola libreria con
vari volumi
protetti da uno spesso vetro un po’ impolverato. Lesse i
titoli: “La Bête
Humaine”, “Il Paradiso Perduto”,
“La Divina Commedia”, “I Fiori del
Male”… quella doveva essere la raccolta
di libri di Hodge. Quelli che erano stati passati da cacciatore a
cacciatore
anche se appartenevano alla cultura dei Mondani. Oh, eccolo
lì! Proprio la
lettura esatta per quel momento. Aprì la teca e ne estrasse
il libro. Andò a
sedersi sulla poltrona vicino alla finestra e rimirò il
vecchio tomo. Soffiò
via la polvere e con le dita bianche e affusolate accarezzò
le lettere del
titolo. “Racconto di Due
Città” di
Dickens. Il libro perfetto per l’occasione, pensò
aprendo la prima pagina e
cominciando a leggere.
***
-Alec!-
Il cacciatore era seduto ad uno dei
tavoli da Taki’s da meno
di cinque minuti, quando una giovane donna si precipitò
vicino a lui con un
immenso sorriso.
Isabelle era semplicemente radiosa. I
lunghi capelli neri e
fluenti, gli occhi azzurri e la pelle chiara. Non sembrava
più la perfetta
ragazza da copertina, ma una giovane donna nel fiore
dell’età.
Appena raggiunto il tavolo,
abbracciò il fratello così
velocemente che non fece nemmeno in tempo ad alzarsi in piedi. Lo
strapazzò un
po’ e poi si sedette di fronte a lui, ordinando la colazione.
Aveva un viso
così sereno…le cose dovevano andarle molto bene,
pensò Alec.
La donna si informò sulla
salute del fratello maggiore, su
cosa avesse fatto in tutti questi anni ad Idris, che novità
portava dalla
patria degli Shadowhunters e così via. Non gli lasciava il
tempo di riprendere
fiato dopo una risposta che già aveva sfornato un altro
quesito! Quando
finalmente la sua curiosità fu soddisfatta,
arrivò il turno di Alec di
informarsi sulla vita della sorella. Ora aveva un appartamento tutto
suo a
Brooklyn. Dopo che Jace era andato a vivere con Clary e i loro genitori
erano
tornati ad Idris, non se l’era sentita di vivere da sola in
un posto così
grande, così aveva preso in affitto un appartamento grazie a
dei lavoretti
part-time che svolgeva e si era portata dietro Church. La storia con
Simon
procedeva a gonfie vele, anche se lo vedeva un po’
più raramente visto che
tutti e due lavoravano.
Il mondo era proprio cambiato! Non si
era mai sentito di uno
Shadowhunters che lavorasse nel mondo dei Mondani, anche se a stretto
contatto
con i Nascosti. Ma dopo la guerra di quindici anni fa,
l’avvistamento di demoni
tra i Mondani era sensibilmente diminuito, quindi Isabelle poteva
permettersi
di impiegare il suo tempo lavorando.
Prima di salutarsi, lo
invitò a cena per quella sera stessa.
Lei e Simon si sarebbero trovati con Jace e Clary, e il fratello
sarebbe stato
felicissimo di rivedere il suo parabatai
dopo tanto tempo! Quindi, non accettando un no come risposta, ad Alec
non rimase
altra scelta che concordare l’ora e il luogo del ritrovo.
Erano pure passati parecchi anni, ma
Alec si era sentito
come quando erano ragazzi e Isabelle decideva cosa fare la sera, e a
lui non
rimaneva altro che seguire la sua intrepida sorella minore e il suo
sconsiderato parabatai nel mondo
Mondano, a caccia di demoni o di qualche festa!
Le sera arrivò fin troppo
in fretta! Alec non aveva portato
con sé molto vestiti, non programmava di rimanere molto a
New York, e non
essendo mai stato molto attento alla moda, indossò dei
semplici jeans scuri, un
maglione nero e la giacca un po’ sbiadita. Ma dopotutto Alec
era così, vestiti
scuri e sbiaditi. Non era cambiato affatto dal ragazzo di diciotto anni
che
aveva creduto di poter vivere felice per tutta la vita.
Un’illusione che non
era durata altro che pochi mesi. Ripensandoci si sembrava sempre
più
miserabile. Non aveva un’alta considerazione di se stesso.
Non era il miglior
Shadowhunter del mondo come Jace, non era esuberante e perfetto come
Isabelle,
era persino riuscito a perdere la cosa più importante della
sua vita e a
deludere suo padre. Non era certo così che si vedeva le rare
volte che a
diciott’anni pensava al futuro. Beh, almeno aveva raggiunto i
trent’anni d’età sano
e salvo! Un bel traguardo per un cacciatore di demoni!
Mentre era immerso in questi
pensieri, venne raggiunto dalla
sorella e da Simon che, dopo averlo salutato calorosamente e scambiato
i
doverosi convenevoli, fermarono un taxi e si diressero a casa di Clary.
In quegli anni nei quali Alec era
stato lontano da New York,
era sempre rimasto in contatto con Jace, quindi sapeva che dopo alcuni
anni lui
e Clary si erano trasferiti in una casa nei dintorni di Brooklyn,
sapeva che se
la stavano passando bene. E tanto gli bastava. Se poi fosse successo
qualcosa
al suo parabatai, Alec
l’avrebbe
capito subito e si sarebbe precipitato ad aiutarlo. Era questa
l’ultima
promessa che si erano scambiati.
Quando il taxi accostò, di
fronte ad una villetta ad un
piano, i tre scesero e si avvicinarono alla soglia di casa. Venne ad
accoglierli Clary, con i soliti capelli lunghi e rossi e un sorriso
radioso.
Salutò Simon e Isabelle e abbracciò velocemente
Alec, facendoli poi entrare.
Dopo i primi tempi in cui i loro rapporto non era stato dei migliori,
Alec
aveva capito che Jace e Clary erano fatti per stare insieme e col tempo
aveva
dimenticato la gelosia che gli aveva tenuto compagnia nei primi mesi.
Questo
cambiamento era dovuto sicuramente anche ad un'altra persona che era
apparsa
nella sua vita così, tra capo e collo, senza che Alec
potesse opporvisi. Ma non
era quello il momento per ragionare di quelle cose, pensò il
ragazzo
guardandosi intorno.
La casa era molto carina,
c’era un ampio open space che
terminava con la cucina e poi un corridoio che portava probabilmente
alle
camere da letto e al bagno. Proprio da questo corridoio
spuntò Jace, con i capelli
biondi le cui ciocche più lunghe andavano a coprire gli
occhi d’oro puro,
l’espressione sorridente e le piccole cicatrici bianche a
dimostrazione della
sua natura di Shadowhunter. Appena posò gli occhi su Alec,
il suo sguardo si
illuminò dalla gioia di rivedere dopo tanto tempo suo
fratello. Gli andò in
contro e lo strinse in un abbraccio fraterno che parlava di
felicità, famiglia
e quella fiducia assoluta che solo due parabatai
erano in grado di provare l’uno per l’altro.
Parlarono per qualche minuto, poi
però dovettero sedersi al tavolo perché la cena
era pronta.
Dopo il dolce, una deliziosa
cheesecake portata da Isabelle
(probabilmente comprata al minimarket o fatta da Simon) la tavola si
riempì di
chiacchiere. Simon e Clary parlavano e istruivano Isabelle sulle ultime
novità
in fatto di fumetti e film (sì, gli anni erano passati ma
nessuno era veramente
cambiato) mentre Jace fece un cenno ad Alec di seguirlo. I due uscirono
sul
porticato davanti alla casa e si sedettero su due poltrone.
-Ti trovo bene.- iniziò
Alec.
-Fratello, non sai quanto!-
Esclamò il biondo di rimando.
-Sono felice che tu sia riuscito a
togliere i freni e
lasciarti andare e conoscere da Clary. State bene insieme.- sorrise.
-Non parliamo di me! Tu piuttosto?
Come sono stati questi
anni a Idris?-
-Beh sai- iniziò Alec
–a Idris non c’è mai molto da fare.
Lavoravo per il Conclave, mi intrattenevo coi libri..il solito.-
-Ti hanno accettato finalmente!-
A questo Alec rise amaro:
-Diciamo piuttosto che hanno
preferito dimenticare. Non
trovandomi in situazioni strane con altri uomini hanno preferito
relegare in un
luogo buio il mio essere gay. Anche papà. Da quella volta
nella Sala degli
Accordi, non mi ha più trattato come prima. Il
più delle volte mi evita. Mamma
si comporta come se nulla fosse, ma non ne parliamo mai.-
-Non ti ha mai chiesto
di…- iniziò Jace ma lasciò cadere la
frase, non sapendo se il fratello era guarito abbastanza da parlarne.
-Oh, no! Come se non fosse mai
esistito.- sorrise Alec
mentre il suo viso si rabbuiava –Piuttosto, sei sicuro che
vada tutto bene?-
-Si, perché?-
indagò Jace guardingo.
-Non so…cioè,
è la ragione per la quale sono tornato. Dal
nulla ho sentito che avevo bisogno di tornare a New York. Ho avuto una
sensazione strana, ma non sinistra, provenire da qui- e con la mano
indicò la
runa che li legava come parabatai
–quindi ho pensato che ti fosse successo qualcosa, non di
male ma di
importante, per cui avevo bisogno di essere qui.-
Le labbra di Jace si aprirono in un
sorriso, uno di quelli che
solo Alec gli suscitava:
-Si, qualcosa è succeso.
Io e Clary abbiamo deciso di
sposarci.-
Quelle ultime parole rimasero sospese
nell’aria attorno a
loro per qualche secondo prima che Alec riuscisse davvero a
comprenderne il
senso. Quando anche l’ultimo significato più
recondito di quella frase si fece
assorbire dal ragazzo, una gioia che aveva provato gran poche volte lo
avvolse
e probabilmente traboccò dai suoi occhi perché
Jace, che aveva trattenuto il
fiato senza accorgersene per quei secondi, rilassò le spalle
e sorrise a sua
volta.
-Jace…non so cosa dire!-
esclamò Alec, davvero felice per la
prima volta dopo tanti anni.
Scambiarono altre poche parole prima
di rincasare e dare la
notizia a Isabelle e Simon. Clary aveva deciso che nessuno avrebbe
dovuto
saperlo prima di Alec. Era lui la persona che meritava di conoscere la
notizia
in anteprima. Così festeggiarono con champagne e si persero
in chiacchiere per
qualche altra ora, immersi in un’atmosfera di gioia.
***
La mezzanotte era passata da un bel
pezzo quando Alec si
ritrovò dalle parti di Central Park. Aveva lasciato casa
Lightwood-Fray (o
Herondale-Fray…) insieme a Isabelle e Simon, ma aveva
preferito fare due passi
da solo. Aveva molto a cui pensare.
Addentrandosi nel parco si mise a
riflettere su quanto
appena successo. Alla notizia del matrimonio, la gioia che lo aveva
preso era
stata genuina, persino lui lo capiva. Questo evidentemente dimostrava
che
quello che sentiva per Jace era semplice affetto fraterno. Sapeva che
il loro
legame era molto più forte di un semplice legame tra
famigliari o migliori
amici, il solo fatto che fossero parabatai
lo dimostrava. Tempo addietro aveva pensato di amare davvero Jace.
Ancora
adesso non riusciva a capire se era stata una semplice infatuazione o
se era
stato vero amore. Sapeva solo che tutto quello era sparito quando aveva
incontrato quegli occhi verdi da gatto. Non era svanito subito, col
tempo aveva
rimpiazzato Jace…no, non era esatto. Quello che provava per
Jace non era mai
stato così intenso come quello che aveva provato con lo
stregone. Lo sapeva
molto bene. Ancora ricordava la prima volta che l’aveva
intravisto, al di là
della porta del suo appartamento, tutto tirato a lucido e glitterato
per il
party. E il primo appuntamento. E la sensazione così
travolgente che l’aveva
investito e attraversato nella Sala degli Accordi, la runa
dell’Alleanza e poi
il bacio. Non era stato il primo bacio, ma sicuramente quello
più importante,
quello con il quale aveva fatto outing, svelando il suo più
oscuro segreto non solo
ai suoi genitori, ma anche all’intera comunità di
Shadowhunters e Nascosti,
durante una guerra! Aveva messo in gioco tutto se stesso. E
l’ultimo ricordo
che aveva era la sua schiena. Lui che gli dava le spalle e si
allontanava per
sempre. Le sue spalle larghe, la spina dorsale dritta che aveva preso
l’abitudine di accarezzare durante le loro notti insieme, i
suoi capelli neri
ma sempre luccicanti di glitter, che quella volta invece erano quasi
afflosciati. Come a dimostrare che qualcosa era cambiato. Qualcosa si
era
rotto. E non si sarebbe più potuto aggiustare, nonostante
tutti gli sforzi del
giovane cacciatore. Quella schiena…la ricordava come fosse
successo ieri.
Davanti a lui…no. Davanti a lui c’era quella
schiena. Quelle precise spalle.
Quella precisa andatura e quei capelli.
Si fermò di colpo.
Possibile che fosse davanti a lui?
Apparso dal niente in mezzo a Central Park, miracolosamente davanti a
lui?
-Magnus- sussurò.
La figura si girò
lentamente fissandolo coi lucenti occhi
verdi da gatto. Un lampo gli attraversò le pupille.
L’aveva riconosciuto.
-Alec- sussurrò di
rimando, con tono sorpreso –Io…pensavo
fossi a Idris…-
-No…cioè,
c’ero, ma sono tornato ieri.- rispose.
Tra i due cadde il silenzio che fu
rotto solo dalla voce di
Alec:
-Jace e Clary si sposeranno!-
esclamò. Che poi, cosa gliene
poteva fregare a Magnus di quei due??
-Ah! Bene!-
Altro silenzio.
Non doveva essere così.
Non doveva andare così il loro primo
incontro dopo tanti anni. Non dovevano stare l’uno davanti
all’altro, fissando
qualsiasi punto che non fossero gli occhi dell’altro, a
parlare di cose
inutili. Alec lo sapeva, doveva fare qualcosa, doveva essere onesto,
almeno
questa volta!
-Senti...io vorrei parlarti. Quando
hai tempo…- disse
fissando l’erba tra i suoi piedi.
Lo stregone per qualche tempo rimase
in silenzio. Poi
acconsentì.
-Se vuoi, sono libero adesso.-
Alec alzò la testa
sorpreso. Questa non se l’aspettava. Dopo
l’ultima volta che gli aveva parlato credeva che Magnus non
avrebbe più voluto
vederlo…cavolo, l’aveva detto lui stesso in quella
dannata notte nel tunnel
della metro! Aveva osato sperare che dopo anni gli avrebbe concesso un
colloquio, ma non lì, così, seduta stante! Senza
nemmeno il tempo di formulare
un discorso concreto!
-Va bene- riuscì a dire,
senza quasi ossigeno nei polmoni.
-Facciamo due passi.- lo
invitò lo stregone. Sul suo volto
passò un’espressione che Alec non
riuscì completamente a cogliere, ma gli
sembrò che stesse sorridendo. No, era escluso. Chi avrebbe
mai sorriso dopo
quindici anni, vedendo l’ex che aveva tradito la sua fiducia
e preso in
considerazione l’idea di accorciargli la vita?
Si incamminò insieme a
lui, a qualche passo di distanza e si
prese il tempo per vederlo bene.
Sembrava non fosse passato neanche un
giorno dall’ultima
volta che l’aveva visto. I suoi capelli neri erano sempre
acconciati in tante
punte sparate ovunque, e i suoi accostamenti erano sempre particolari.
Quella
sera indossava un paio di jeans verde evidenziatore zebrati e un lungo
cappotto
blu. Ai piedi portava degli anfibi con delle borchie. Il volto, per
quel che
poteva vedere nella penombra, non era invecchiato di un giorno. Aveva
solo un
po’ di borse sotto gli occhi, ma era normale visto che
probabilmente il suo
lavoro non gli lasciava tregua. Si chiese cos’avesse fatto in
tutti quegli
anni, se l’aveva dimenticato e se condivideva la sua vita con
qualcun altro…ma
doveva concentrarsi. Doveva essere onesto.
Si sedettero su una panchina. E il
primo a parlare fu
Magnus.
-Ti trovo bene. In forma.-
Alec lo guardò. Un sorriso
dolce gli stava increspando le
labbra. Sì. Era proprio un sorriso…poteva stare
tranquillo allora? Se
sorrideva, non lo odiava…giusto?
-Diciamo che me la cavo. Non ho avuto
certo una vita molto
interessante a Idris. Lavoro, lavoro e lavoro. Niente svaghi.
Così almeno era
più semplice per loro dimenticare la grande onta che il mio
coming out aveva
gettato sulla comunità.-
-Mi dispiace.- sospirò
Magnus –È stata colpa mia, non avrei
dovuto insistere, non eri pronto…-
-Non dire scemenze, Magnus!-
esclamò il ragazzo –Quella
volta sono stato io a baciarti, l’ho fatto perché
ne avevo bisogno, volevo
dimostrare agli altri che potevamo essere in buone relazioni coi
Nascosti,
volevo dar loro una prova del mio amore…insomma, dimostrare
affetto non
dovrebbe essere un peccato o qualcosa di cui vergognarsi, no?-
-Ma io non avrei dovuto insistere!
Avevo così bisogno di una
relazione che fosse significativa e temevo che se non
l’avessi reso pubblico,
nemmeno con Jace o Isabelle, tutto quello che avevamo avrebbe potuto
svanire in
un batter d’occhio. Pensiero stupido, eh?- sorrise amaramente
–Dopo ottocento
anni di vita e delle relazioni più disparante, uno dovrebbe
saperne di più, no?
Non dovrebbe fare questi errori stupidi…-
-Vogliamo davvero parlare di errori,
Magnus? Penso che come
il mio non ce ne saranno mai.- disse scuotendo la testa e appoggiando i
gomiti
sulle ginocchia –La verità è che avevo
paura. Ero un cacciatore da ancora prima
di imparare a camminare, non avevo idea di come ci si comporta in una
relazione. Cioè, le relazioni più strette le
avevo con Jace e Izzy! Quando sei
apparso tu…sono stato sommerso da dei sentimenti
così intensi che in vita mia
non avevo mai provato. Avevo paura che potesse finire perché
era troppo bello
per essere vero. Cosa avevo fatto per meritarmi, nella stessa vita, la
comprensione del mio parabatai e il
tuo affetto? Avevo paura di mandare tutto a quel paese proprio
perché non
sapevo come comportarmi…ed è stato infatti quello
il risultato. Volevo solo
poter parlare con qualcuno che ti conosceva come ti conoscevo io. Che
conosceva
non il Sommo Stregone di Brooklyn, ma un uomo che sapeva amare e aveva
amato,
con un sacco di segreti del suo passato che non voleva condividere. E
poi, ero
ossessionato dalla storia di Will! Ero proprio uno stupido…-
Non credeva di aver mai parlato
così tanto in vita sua!
Probabilmente avrebbe dovuto ringraziare i quattro bicchieri di
champagne che
Clary gli aveva versato qualche ora prima.
-Siamo stati stupidi entrambi.-
sorrise Magnus.
-Sai- riprese Alec dopo qualche
minuto di silenzio –non
osavo quasi sperare che mi avresti concesso un colloquio. Non dopo
l’ultima
volta…-
-Quello che ti ho detto era vero. Lo
è sempre stato e lo è
ancora.-
“Aku
cinta kamu”.
Quella frase gli rimbombò
nelle orecchie. Non l’aveva mai
dimenticata.
-Come sta il Presidente?- gli
uscì dalle labbra. L’atmosfera
si stava facendo pesante…
-Un po’ acciaccato dalla
vecchiaia ma comunque arzillo.-
sorrise lo stregone –Gli sono sicuramente mancate le tue
coccole e sarebbe
molto felice di rivederti.-
Il cervello di Alec
analizzò le parole. Era per caso un
invito? Lo champagne residuo nel suo organismo gli diede
l’audacia di chiedere
quello che anni addietro non avrebbe mai chiesto:
-È forse un invito?- gli
scoccò un’occhiata un po’
incredula.
-Solo se ti va una bella tazza di
caffè.- sorrise l’altro.
***
Quanto gli era mancata la morbidezza
di quel letto, il
profumo di sandalo che aleggiava nell’aria misto al profumo
di zucchero
bruciato. Gli era anche mancato il lieve e caldo peso del Presidente
Miao sullo
stomaco, e grattargli dietro le orecchie sentendo poi le sue fusa come
ringraziamento.
Gli era mancato tutto di
quell’appartamento, soprattutto il
suo inquilino che adesso stava sdraiato di fianco, vicino a lui.
Avevano
passato la notte a parlare. Parlare come non avevano mai fatto mentre
stavano
insieme. Magnus si era aperto e gli aveva raccontato molte cose del suo
passato, non tutto perché ottocento e passa anni erano
parecchio lunghi da
raccontare! Aveva saputo così di Camille e del famoso Will,
gli aveva
raccontato dei suo antenati che aveva conosciuto, i fratelli Gabriel e
Gydeon,
cantandogli le lodi di quest’ultimo che era riuscito a vedere
oltre la forte
classificazione sociale del tempo e si era innamorato di una cameriera,
mondana
per giunta! Gli aveva raccontato del rapporto speciale con Woolsey
Scott e di
come passava il tempo a Londra. Era anche tornato più
indietro coi ricordi,
raccontandogli avventure e fatti inimmaginabili. Era stata la notte
più bella
che Alec avesse mai vissuto. Non aveva fatto altro che parlare, ma non
aveva
mai visto Magnus mettersi così a nudo. Anche lui, dal canto
suo, aveva
raccontato cose che ammetteva a stento
persino con se stesso. Aveva raccontato di quello che aveva provato
tempo
addietro per Jace, di come si fosse innamorato completamente e senza
speranza
dello stregone, di tutte le paure che aveva avuto a quel tempo e di
tutte le
cose che rimpiangeva adesso.
Il sole stava finalmente sorgendo
dopo una notte che, per
come l’aveva vissuta Alec, sembrava essere durata molto
più di dodici ore e che
non sembrava volesse mai finire. Al riparo dal freddo, con il dolce
peso
famigliare del Presidente, i due avevano aperto i loro cuori,
l’uno all’altro,
come mai avevano fatto prima.
Che la distanza e il tempo li
avessero finalmente fatti
guarire? Non avevano certo dimenticato tutto quello in cui erano
passati, le
gioie, le paure e gli errori, ma erano cresciuti e forse cambiati. Che
fossero
pronti a ricominciare da capo?
Né Magnus né
Alec lo sapevano. Volevano solo vivere quel
momento di pace.
Il cellulare di Alec
squillò. Era un messaggio Jace che gli
chiedeva se potevano incontrarsi all’Istituto. Segno che era
tempo per il
cacciatore dai capelli neri di lasciare i lidi sicuri
dell’appartamento di
Greenpoint e tornare alla vita reale. Perché quella notte
sembrava ancora un
sogno.
-Devi andare?- chiese Magnus.
-Già. Pare che Jace debba
chiedermi qualcosa.-
-Mattiniero il biondino. Ha sempre la
lingua biforcuta come
ai vecchi tempi?- Alec rise e annuì –Beh, fai ai
due novelli sposini le mie
congratulazioni.-
-Lo farò.- sorrise Alec
alzandosi dal letto. Lo stregone lo
accompagnò fino alla porta.
-Resterai molto a New York?-
-Avevo pianificato di fare solo una
toccata e fuga, ma Jace
mi vuole qui fino al matrimonio, quindi per sei o sette mesi
sarò
all’Istituto.-
-Bene.- fu il commento di Magnus. E
Alec osò:
-Potremo rivederci se vuoi.
Cioè…mi pare che il nostro
rapporto sia migliorato dall’ultima volta.-
Magnus sorrise:
-Ne sarei felice. Mi ha fatto molto
piacere rivederti. E
parlarti. E anche al Presidente!-
Alec rise aprendo la porta. Si
girò per salutarlo. Non si
era accorto di come fosse successo ma erano vicini. Fisicamente vicini.
Che potesse farlo?
L’istinto c’era, ma avevano appena sanato
il loro rapporto, non voleva mandarlo nuovamente in crisi. Ma avrebbe
poi
passato la giornata a chiedersi “e
se…?”. Quindi decise che l’istinto, per
una
volta, aveva ragione.
Si avvicinò di
più, quanto bastava. E posò un leggero bacio
sulle labbra di Magnus. Un lieve tocco, niente di più. Poi
si girò e si
affrettò giù per le scale.
“I
Lightwood, devono
sempre avere l’ultima parola”
risuonò nei ricordi dello stregone.
Era come un dolce deja-vu.
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