Era un tranquillo pomeriggio di fine Maggio. O meglio, doveva
essere un tranquillo pomeriggio di fine Maggio. Io, come al solito, stavo
pulendo la casa, come è sempre rientrato nei miei compiti di madre premurosa e
attenta. E come al solito iniziai a pulire la stanza di mia figlia. Era tutto in
disordine. Mia figlia non era mai stata brava a tenere in ordine la propria
stanza e così ci dovevo pensare sempre io. Comunque sia, ad un certo punto,
notai qualcosa di strano: un rettangolino blu si intravedeva dietro i libri
scolastici di Aurora. Io, da brava casalinga, pensai che fosse una macchia e mi
avvicinai per vedere se si potesse rimuovere. Ma la mia vista, che non era più
quella di una volta, mi aveva ingannata. Il rettangolino blu era soltanto un
accendino, uno di quelli che si possono comprare per 50 centesimi. Sorrisi tra
me e me, pensando alla mia svista ma poi, spontanea, mi sorse una domanda: che
ci faceva un accendino in camera di mia figlia? I peggiori sospetti iniziarono
ad affollarmi la mente. Sia chiaro io mi fidavo di mia figlia ma sfiderei
chiunque a trovare un accendino nella camera dei figli e non porsi la domanda
"Non sarà che forse mio figlio fuma?". Ricordo perfettamente che non volevo
crederci. Mia figlia è sempre stata una brava ragazza: ben educata, solare, con
ottimi voti. Perché mai fare cose stupide? Non era ce n’era motivo. Mi sedetti
in cucina e attesi il ritorno di Aurora. E pensavo a dove avessi sbagliato.
Avevo sempre detto ad Aurora di non fumare. Perché disobbedirmi? Fu così che la
delusione che avevo dentro si tramutò in rabbia. Questo non me lo doveva fare,
pensavo. Non appena sentii la porta che si apriva e Aurora che salutava, mi
piombai nell’ingresso. Lei era lì, in piedi, ancora con lo zaino in spalla , che
mi guardava come se fossi improvvisamente impazzita. Ed effettivamente lo ero.
Il mio amore materno non mi permise di essere razionale.
«Rimarrai in punizione per tutta l’estate!» esclamai con
veemenza.
Aurora spalancò gli occhi, come se volessero schizzare fuori
dalle orbite.
«Che cosa? Che diamine avrei fatto ora, sentiamo?» iniziò a
strepitare mia figlia
«Innanzitutto modera il linguaggio, signorina! E seconda cosa
ecco il perché della tua punizione» e le mostrai l’accendino.
Lei lo guardò qualche istante, come cercando di capire cosa
fosse. Poi spalancò la bocca.
«Non penserai che sia mio?» disse, scandalizzata.
«Era in camera tua. Dietro i tuoi i libri di scuola! Ora
spiegami cosa ci trovi nel fumare!»
Aurora mi guardò incredula
«Ti ha appena detto che quel coso non è mio. È per tua
informazione il solo odore del fumo mi disgusta. Perché dovrei fumare?» mi disse
indispettita
«Non lo so perché dovresti fumare! So solo che stavo pulendo
camera tua quando ho trovato questo. Se non è tuo lì come ci è arrivato?»
domandai velocemente
Aurora aggrottò la fronte e poi la distese, come se avesse
intuito qualcosa. Mi tese la mano, mostrandomi il palmo aperto, in attesa. Al
mio sguardo interrogativo sbuffo.
«Fammi controllare una cosa» disse semplicemente, la voce
vibrante.
Riluttante le poggiai l’accendino in mano e la osservai mentre
lo esaminava. Lo capovolse e lo girò finché non trovo ciò che stava cercando. Mi
ridiede l’accendino, con un ironia seccata.
«Prima di farti una prova controlla bene gli indizi» disse con
fastidio.
E senza un’altra parola si voltò e si chiuse in camera, come se
niente fosse successo. Ero già pronta a richiamarla quando ebbi la decenza di
controllare anche io cosa non andasse nell’accendino. E così vidi una piccola
incisione che era sfuggita al mio sguardo: N.N.
Fissai l’accendino per svariati secondi. E finalmente tutto
nella mia mente si collegò. Mio marito aveva sempre fumato, anche se io ero
sempre stata contraria. Così, per amor della pace domestica, aveva preso a
nascondersi in stanze dove io mettevo piede poco spesso. Una di queste era la
stanza di Aurora che, tra l’altro, lo aveva lei stessa sgridato, dicendo che il
fumo faceva male e che lei non sopportava l’odore che rimaneva nella sua stanza.
Comunque un giorno scoppiò una questione tra me e lui in cui dissi che per me
sarebbe stato impossibile capire di chi fosse l’accendino, se suo o dei ragazzi.
E da lì nacque la storia dell’incidere le proprie iniziali sull’accendino,
all’insaputa dei nostri figli. Era un gesto scorretto ma che all’epoca mi
sembrava la miglior soluzione per proteggere i miei "pargoli". Una cosa che però
non mi spiegavo era come facesse Aurora a sapere delle iniziali. Ero ancora
sulla soglia quando si affacciò Aurora dalla propria camera.
«Mamma, dimenticavo di dirti: grazie per la fiducia» disse
acida, per poi richiudere la porta.
Ed io rimasi lì a pensare. Ero stata una sciocca a non fidarmi.
Avrei potuto discutere con calma della faccenda con mia figlia. Ma il mio
istinto materno mi aveva rovinato la giornata. Pensai che dovevo scusarmi con
Aurora. Mi avvicinai alla porta e bussai piano, piano. Non ricevetti risposta e
aprii lentamente. Mia figlia era sdraiata sul suo letto e fissava il soffitto
con aria truce. Non appena misi piede nella stanza mi fulminò con lo sguardo. In
altre circostanze l’avrei sgridata ma quella volta me l’ero proprio cercata.
Posai l’accendino sulla scrivania e mi sedetti cautamente sul letto. Mi muovevo
molto lentamente, come se avessi paura di infrangere il silenzio. Il silenzio
arrabbiato di mia figlia. Il silenzio vergognoso del mio cuore. Fu proprio
Aurora a fare il primo passo.
«Perché?» mi chiese, con una semplicità disarmante.
Io la fissai, gli occhi spalancati, le labbra pronte a muoversi.
Ma non lo facevano perché non avevano parole da pronunciare. Non sapevo
rispondere e distolsi lo sguardo.
«Perché non mi credi mai? Perché pensi sempre che io abbia un
doppio fine? Perché non puoi semplicemente fidarti di me? Non ti chiedo molto.
Solo un po’ di fiducia»
Aurora parlava con calma, ma sembrava aver paura delle risposte
che avrei dato. Io sospirai e finalmente riuscii a sostenere il suo sguardo. I
suoi occhi erano colmi di lacrime non versate.
«Non ho scusanti, lo ammetto. Sono saltata a conclusioni
affrettate e non avrei dovuto. Avrei dovuto darti più fiducia, lo so. Lo so
tutte le volte che me lo dici. So che meriti la mia fiducia perché non hai mai
tradito le tue promesse. Ma ogni volta che penso a quello che il mondo può fare
a un ragazza, quello che il mondo sta facendo a tutti voi ragazzi…» mi bloccai,
incapace di continuare. Avevo sempre avuto paura del mondo anche se me ne
rendevo conto solo allora. Fu proprio Aurora a farmelo notare.
«Mamma, lo so che il mondo non è perfetto e che è pieno di
pericoli ma non puoi tenermi sotto una campana di vetro. E non puoi pensare che
proibendomi una cosa io non la farò. Sono una ragazza. Voglio poter fare tutto
quello che la vita mi offre. Forse un giorno sbaglierò ma tutti sbagliano. Tutti
devono sbagliare. Se tu mi inculchi che il mondo è brutto, io la penserò così
per sempre ed avrò paura di tutto. Ma non posso permettermi di aver paura.
Quando sarò lì, pronta per saltare ed alzarmi in volo… non lo farò. Perché avrò
paura. E magari vivrò sempre con il rimorso di non aver tentato. Non tarparmi le
ali, mamma. Ti prego. Ho bisogno che tu capisca.»
Aurora si era accovacciata di fronte a me e mi guardava,
speranzosa. E io pensai a quanto fosse cresciuta. Mi sembrava che gli anni
fossero passati troppo in fretta, che la mia bambina fosse diventata già grande,
a soli 15 anni. Non avrei mai immaginato tutta quella naturalezza in Aurora.
Sapevo che fosse intelligente ma forse non me ne ero mai pienamente resa conto,
troppo occupata a imporle doveri e divieti. Fu proprio in quel momento che capii
che Aurora aveva già iniziato ad aprire le ali. E sarebbe volata via, con o
senza il mio consenso. E in cuor mio decisi che sarei stata al suo fianco,
silenziosa come un ombra ma forte come il vento, quando avrebbe deciso di
volare. La conversazione finì lì. Io non parlavo e Aurora mi sorrideva, come se
avesse già capito tutto dal mio silenzio. Fu lei ad alzarsi per
prima.
«Che c’è per pranzo? Sto morendo di fame!» mi chiese
allegra.
Ed io le sorrisi grata. La giornata proseguì senza intoppi ma io
ancora rimuginavo sulle parole di mia figlia, che si era dimostrata più saggia
di me. E così arrivò la sera ed io decisi che dovevo parlare ad Aurora. Non più
da madre apprensiva a figlia comprensiva ma da donna a donna. La chiamai in
camera mia e presi una vecchia spilla. Era una bella spilla, un fiore nero,
ancora brillante nonostante ne avesse visti di anni. La porsi a mia figlia e lei
mi guardò, interrogativa.
«Questa spilla me la diede mia madre quando mi ritenne matura
abbastanza per le mie responsabilità. Era la mia diciassettesima festa di
compleanno. Ma io voglio dartela prima perché ho capito che hai già iniziato a
maturare senza che io me ne accorgessi. Questa spilla non ha un grande valore
economico ma è tramandata da madre in figlia da molto tempo. È una delle poche
tradizioni a cui tengo veramente» conclusi il discorso dando un’ultima carezza
al prezioso cimelio.
Aurora prese la spilla titubante, quasi come se fosse di
fragilissimo cristallo. La osservò attentamente e sorrise.
«Posso prenderlo come un segno della tua fiducia?» chiese
ironica.
Arrossii ma sostenni lo sguardo, sorridente.
«Si, puoi prenderlo come un segno della mia fiducia. Ma vorrei
ancora una cosa da te»
La testa di Aurora scattò sull’attenti. Io cercai di
rassicurarla con un sorriso.
«Vorrei che qualunque cosa accada tu non mi emargini dalla tua
vita. E vorrei che quando spiccherai il volo mi permetterai di starti affianco,
non come madre ma come amica»
Aurora annuì semplicemente e si alzò, leggermente imbarazzata,
con la spilla stretta nelle mani.
«Mamma…»
«Si, tesoro?»
«Potrò sempre contare su di te, vero?»
«Si, tesoro. Sempre»
Ma mentre Aurora stava per lasciare la stanza mi sorse un
dubbio.
«Aurora, non voglio ricreare una polemica, ma tu come facevi a
sapere della iniziali sull’accendino di papà?»
Lei sorrise, nella maniera di una che la sa lunga.
«Avanti mamma! Davvero credevi che non me ne sarei accorta! Un
trucchetto astuto, non c’è che dire, ma fin troppo facilmente risolvibile.
Bastava toccare l’accendino e si sentivano le incisioni»
E con un ultimo sorriso astuto Aurora lasciò la
stanza
Ricordo quel giorno come se fosse ieri. E invece sono passati
tanti anni. Aurora ha spiccato il volo da parecchio ormai. Ha un’ottima
carriera, un marito meraviglioso e due pestiferi bambini, che però riescono
sempre a raggirarmi con i loro sorrisetti tutto zucchero. E quando può sfoggia
ancora la spilla che le diedi. La guardo e mi sembra impossibile che sia già una
donna. Ma lo è. Un bel giorno ha spiegato le ali ed ha volato come aveva sempre
sognato di fare. Ed io ero là, finalmente ad incoraggiarla anziché spaventarla.
Aurora aveva solo 15 anni ma con tutta la saggezza che l’età le permetteva, mi
aveva insegnato una cosa importante che porto dentro ancora oggi: tutti, prima o
poi, devono volare.