2. L’uomo dagli occhi di ghiaccio
Detective Martinsson
II.
La
differenza fra Indagare
e Curiosare
«Signor Huntsman,
lei non si è accorto di nulla stanotte?»
Devo tornare all’indagine. Sono qui per questo: indagare sul
furto ai danni della signora Amanda Fustern.
Eric Huntsman
è un
potenziale testimone o, al limite, un potenziale sospettato.
È
solo questo. Deve essere solo questo.
Eppure faccio fatica a
convincermene. Mi è incredibilmente difficile concentrarmi
sulle
sue parole senza lasciare che pensieri estranei mi affollino il
cervello.
Sono abbastanza maturo per non cedere alle sue provocazioni (vedi
battuta poco carina sui miei capelli), sono abbastanza
“detective” da non lasciarmi incartare in qualche
discorso
al fine di sviarmi, sono abbastanza etero da non farmi distrarre
dalla sua evidente avvenenza.
Lo sono.
Lo
sono?
«Non so
niente di ieri sera.
Sono andato a letto presto e mi sono alzato altrettanto
presto.»
Un pezzo di legna in ogni mano «Non ho idea di quello che
sia successo in casa di quella vecchia.» Mi supera ed
appoggia i ciocchi sugli altri, ordinatamente allineati fra due
paletti.
Seguo con lo sguardo
ogni suo
gesto. Appunto ogni sua parola. Studio ogni sua espressione.
Il suo
viso è una tela affascinante: ci sono sottili linee che gli
attraversano la fronte ed altrettante gli angoli della bocca quando
sorride. Quando parla, tende a passarsi la lingua sulle labbra.
Perché è ottobre e fa freddo, ed anche se sembra
non
accusarlo, l’aria secca di Ystad, non risparmia di asciugare
quelle labbra carnose.
L’hai
rifatto, Magnus. Hai di nuovo sconfinato con i pensieri.
Scuoto la testa.
«Quindi lei
era in casa?» Mi lancia un’occhiata a stento e
continua a sistemare altra legna.
«Te
l’ho detto: sono andato a letto presto.»
«Quanto
presto? Erano le 21?
Le 23? Era prima o dopo mezzanotte?» Si ferma, mi guarda. Mi
fissa. Mi ghiaccia con le sue iridi.
«Era
presto.» Un tono
che non ammette repliche e che si colora di un’evidente nota
d’irritazione. Sembra facilmente irascibile. Dovrò
stare
attento a come mi muovo.
«Va bene,
signor
Huntsman.» Fingo di annotare qualcosa sul blocchetto, ma in
realtà sto ricalcando il suo nome. «Lei vive qui
da
solo?» Non risponde immediatamente. Anche lui mi sta
studiando,
glielo leggo negli occhi. Reclina di qualche grado la testa dal lato
destro ed aggrotta le sopracciglia.
Brutto
segno, Magnus. Brutto segno.
«Non starai
pensando che io c’entri qualcosa con questa storia,
vero?»
No, in
realtà ho smesso di
pensare chiaramente da quando sono entrato in questa casa. Ma sotto la
massa di patetiche riflessioni, c’è un vago
sospetto.
«Assolutamente!»
Cerco
di essere convincente. Se un testimone/sospettato si mette sulla
difensiva, è tutto più difficile. Già
sto facendo
fatica di mio a portare avanti quest’assurda indagine, se lui
inizia a creare altre difficoltà, può solo
peggiorare.
«Volevo solo farle qualche domanda. Se non le
dispiace.»
Spero che il mio tono sia stato abbastanza cortese. Spero che non abbia
tradito alcuna agitazione. Spero, soprattutto, che questa giornata
abbia presto una fine. «Se è un problema, posso
tornare
più tardi, o questo pomeriggio.» Aspetto una sua
reazione
e non mi accorgo di aver appena iniziato a giocherellare con la penna
che ho nella mano.
Controllo. Cerca di avere
controllo.
Mi studia ancora e poi
getta uno sguardo verso casa sua.
«Ti do
cinque minuti.»
«Basteranno.»
Gli
sorrido gentile ma lui non ricambia. Conficca l’ascia nel
legno
del grosso ceppo e si avvia verso la porta sul retro. Non aspetto che
mi inviti e lo seguo.
Se è
possibile - e
dubito fortemente lo sia - sono ancora più in
soggezione di
quanto non lo sia stato prima.
La casa di Eric
Huntsman è
il perfetto riflesso del suo carattere. Colori neutri, assenza totale
di sopramobili. Assenza totale di dettagli che ne rivelino la natura.
Solo linee primitive, solo l’essenziale.
Mi inquieta, mi agita.
Al centro
dell’enorme salotto
scarno, un tavolino di legno ed un divano di pelle marrone. Un grande
camino sulla parete, che irradia la stanza di arancio e riempie
l’aria di un caldo quasi asfissiante. Ma forse sono io ad
avvertirlo troppo.
Mi siedo mentre lui va
in cucina.
È sulla parete destra, riesco a vedere solo le mattonelle di
un
pallido avorio. Mi allento il colletto del maglione e mi chiedo se non
sia il caso di togliermi la giaccia. Non lo faccio. Sono solo cinque
minuti, cinque caldissimi e soffocanti minuti e poi uscirò
da
qui.
«Prendi.»
Mi volto quando entra nella stanza. Nella mano, una lattina di birra.
«Grazie, ma
non posso bere in
servizio.» Inizio a trovare irritante che si rivolga a me con
tale confidenza, mentre io sono ancora fermo al “Signor
Huntsman”.
«È
analcolica» sospira poggiandola sul tavolo e si siede accanto
a me.
C’è
la presenza di un
cuscino a separarci, eppure mi sento come se fosse un confine davvero
troppo sottile. Trenta centimetri sono troppo pochi. Avrei bisogno di
metri, di centinai di metri.
«Grazie.»
Mi avvento
sulla lattina e ne bevo un sorso. La sua è stretta nel palmo
destro e credo sia quasi terminata, perché mentre beve,
reclina
molto la testa. Il suo collo è grosso quasi quanto la mia
vita.
Magnus,
scheletrico detective svedese!
Riappoggio la birra
sul tavolo e riapro il mio blocchetto.
«Lei che
lavoro fa, signor Huntsman?»
«Lavoro al
porto. Allo
scarico merci.» Come sospettavo, la sua birra è
finita, e la
poggia sul legno accanto alla mia.
«Oggi non
lavora?» Sorride.
«Ho il turno
alle
14.00.» Credo che trovi buffe le mie domande. Inizio a
pensare
che trovi buffo me, e quel pensiero mi innervosisce.
«Vive qui da
solo?»
Ripongo la domanda a cui non ha risposto prima, anche se ormai la
risposta mi è chiara. In questa casa non vi è la
presenza
di qualcun altro, tantomeno di una donna.
«Sì.»
Ha perso
il sorriso, e quella singola sillaba è
più un ringhio
che altro. Vorrei indagate oltre. Vorrei sapere se era
sposato, fidanzato. Se ha una qualche relazione complicata in corso. Ma
non sono informazioni pertinenti al caso. Non devono essere neanche
informazioni pertinenti alla mia assurda curiosità.
«Ehm...
» Rileggo le
risposte e mi rendo conto che non so che altro chiedergli. Non sa
niente del furto, e questo non lo rende un testimone. Non ho prove
né indizi a suo carico, per cui è escluso dai
sospettati, almeno per ora.
Eric Huntsman non è di alcuna utilità per il caso
Fustern. Dovrei andare via e tornare alla centrale da Lisa. Dovrei.
«Hai
finito?» Rialzo
gli occhi su di lui. Ha un’espressione annoiata e la chiara
voglia di vedermi fuori da casa sua quanto prima, stampata in quelle
iridi di ghiaccio.
Vacillo nella
risposta.
“Si, grazie per il suo aiuto.”
Dovrei replicare. Dovrei alzarmi ed uscire. Dovrei dirgli che se per
caso ricordasse qualcosa, può chiamarmi e dovrei allungargli
il
biglietto con il numero della centrale. Dovrei uscire dal cancello e
percorrere i cento metri. Dovrei infilarmi nella mia auto ed affidare
il caso Fustern ad un altro.
«A dire il
vero, avrei
qualche altra domanda.» Ed invece finisco con il dire una
frase
tanto sbagliata quanto falsa. Mi guarda negli occhi e sbuffa, ed io
inizio ad avere il panico perché non ho la più
pallida
idea di che cosa chiedergli. Ma mentre faccio a pugni con la mia
stupidità, lui si alza dal divano.
«Hai
fretta?» Non
capisco il senso della domanda. Scuoto la testa come risposta.
«Ok, allora aspetta qui.» Si allontana in direzione
delle scale.
«Mi
scusi-» Ma le mie parole sono bloccate.
«Vado a
farmi una doccia.» Si volta appena «Non andartene a
curiosare in giro. Chiaro?» Il suo sguardo
è un fucile a canne mozze che mi ha appena sparato dritto al
petto.
«Signor Huntsman, non oserei mai.» E gradualmente
sparisce dalla mia vista.
Sprofondo le dita fra
i capelli e mi poggio con i gomiti sulle ginocchia.
Ma che diamine stai
facendo? Non è questo il modo di portare avanti
un’indagine!
Sono troppo stressato. Ho bisogno di una vacanza, di una dannatissima
vacanza lontano da Ystad, da Kurt, da Lisa e da tutto il resto. Volevo
lavorare sull’omicidio di San Pietro, ed invece sono qui in
casa
di uno che di cognome fa “Cacciatore”!
Respiro a fondo. Questo fuoco mi sta ustionando.
Mi sfilo la giaccia e la getto sul divano. Poi mi
alzò ed inizio a passeggiare avanti e indietro con le mani
sui fianchi.
Devo ragionare: posso andarmene, non ho motivo di rimanere.
Sì, posso farlo, anzi, devo farlo. Aspetterò che
finisca la doccia, per educazione, e poi mi congederò come
avrei dovuto fare da un pezzo.
Rispetta il piano,
Magnus, e non avrai problemi.
Rallento i passi fino a fermarmi. Sposto lo sguardo
sull’enorme
camino e poi lo faccio vagare in giro. Questa casa è grande
per
una persona sola, ed Eric Huntsman è una persona sola.
Almeno
così ha detto.
Una casa grande e spoglia. Non un quadro sulla parete, non una foto.
Niente di niente. Muri vuoti e mal tinti, pavimento privo di
tappeti e mobilia che ha visto più anni di me.
“Mi sono
trasferito da poco.”
Da dove? Da dove si è trasferito? Da un’altra
città, o da un altro stato?
I suoi lineamenti non sono svedesi.
Potrebbe essere solo puro caso, eppure qualcosa mi dice che non
è così. La sua pelle è ambrata ed i
suoi capelli
rasentano l’ebano. Solo i suoi occhi tradiscono discendenze
nordiche. Sono azzurri come pochi altri che ho visto in vita mia.
Sarà per il contrasto con il suo viso - non so dirlo. Sono
magnetici, sono affascinanti. Sono pericolosi.
Senza rendermene conto, guidato dai miei pensieri, mi avvio verso la
cucina. Il suo monito è ora solo una lontana eco che la mia
curiosità tende di ignorare.
È ordinata, luminosa ed accogliente. Mobili color panna,
tende
arancioni alla finestra. Sul ripiano del lavandino, stoviglie pulite
che non sgocciolano più: una padella, due piatti, una
forchetta,
un coltello. Un solo bicchiere. Tutto ricorda la mia cucina, ma senza
le buste di cereali sparse in giro.
Ha quell’odore di solitudine, di cene silenziose e colazioni
veloci, di cui ritrovi i piatti sporchi al tuo ritorno,
perché
nessuno li ha lavati. Nessuno ti ha lasciato una lista della spesa
attaccata al frigo e nessuno ti ha tirato le orecchie perché
hai
dimenticato di prendere il latte.
La vita di Eric Huntsman somiglia alla mia, eppure mi sembra
più
triste. Ma in realtà non la conosco e sono certo che lui non
muoia dalla voglia di raccontarmela.
Sfioro con le dita la tovaglia plastificata sul tavolo e traccio il
contorno dei grossi girasoli gialli dipinti sopra. Sorrido; era dai
tempi di mia nonna che non ne vedevo una simile. Sono certo non
l’abbia acquistata lui, ma che si trovasse già
qui. Non ce lo vedo Eric Huntsman andare in giro per casalinghi a
scegliere tovaglie di plastica! Anche se la cosa sarebbe divertente: la
sua espressione corrucciata mentre soppesa la scelta fra i girasoli
gialli e le pigne d’uva viola...
Scuoto la testa passandomi le dita sugli occhi.
Basta fare simili
fantasie.
Torno nel soggiorno caldo e nudo, e guardo il divano senza provare
desiderio di sedermi. Mi ha detto di non curiosare in giro, ma io sono
un poliziotto! Curiosare fa parte del mio mestiere. E poi
sarò
silenzioso e rapido come un felino, e lui non se ne
accorgerà.
Credo. Più che altro lo spero.
Raggiungo le scale e guardo in alto. Non sento alcun suono.
Inizio a salire lentamente ogni piolo di legno facendo scivolare il
palmo sul passamani liscio, e lentamente il rumore dell’acqua
accresce nelle mie orecchie.
Dopo diciannove scalini, sono al piano superiore.
Stretto corridoio ed una porta sul fondo. Sulla destra, quattro altre
porte chiuse ed una dietro di me, poco dopo un piccolo gomito di muro.
Lo scroscio dell’acqua viene dal fondo, ed è anche
l’unica porta da cui si intravede la luce.
Potrei dare un'occhiata in giro, magari aprire una di queste porte e
scoprire se questo Huntsman nasconda qualcosa. Forse i pregiudizi della
signora Fustern non sono infondati. Cerco di pensarla così,
perché non voglio credere che le mie prossime azioni siano
solo
frutto di una natura inspiegabilmente curiosa verso
quest’uomo.
Non sono neanche arrivato ad ipotizzare dove possa essere la sua camera
da letto, che sento il getto chiudersi.
Accidenti!
Mi irrigidisco e butto giù un groppo di saliva ed ansia.
Devo
scendere prima che lui esca, se mi trova qui farò la fine di
quei ciocchi di legna!
Scivolo giù dalle scale cercando di non fare troppo rumore,
e
torno a sedermi sul divano. Il calore del soggiorno pare aumentare di
secondo in secondo, ma stavolta sono certo sia colpa
dell’ansia
di poc’anzi.
Mi avvento sulla lattina di birra, ormai imbevibile per via
della
temperatura troppo alta, e la tracanno senza prender fiato. Peccato non
sia alcolica, mi sarebbe stata di certo più
d’aiuto.
La bevo fino all’ultima goccia e con uno sbuffo esausto la
poggio
sul legno accanto a quella già vuota. La lattina di Eric.
Mi ritrovo a fissarla. Un pensiero mi attraversa la mente e lascio la
mia per prendere l’altra. C’è
ancora qualche
goccia, come in ogni fondo di latta. La scuoto appena e vedo brillare
l’ambra del liquido. Faccio scorrere gli occhi
sull’etichetta, ma in realtà non la sto leggendo.
Mi sto
chiedendo perché provi l’inspiegabile desiderio di
bere
quel residuo di birra caldo. Mi sto chiedendo perché un
omaccione di quasi due metri con dei modi alquanto bruschi e scostanti,
mi desti tanta curiosità ed interesse.
La guardo ancora per qualche attimo e poi la poggio sul tavolino. Mi
lascio affondare con le spalle al divano mentre mi tiro indietro i
capelli.
I miei ricci... Ha detto di non aver mai visto un poliziotto con i
ricci.
Non so perché, ma mi viene da sorridere.
«Che idiota... » sospiro appena. Ma non so
realmente a chi dei due sia diretto.
Quando Eric Huntsman
scende in soggiorno, ha
una felpa pesante color fumo, con il cappuccio sul retro e due
cordoncini bianchi che ricadono sul collo. Altri jeans dal colore
più chiaro, ed i capelli sciolti ancora umidi.
Sembra meno austero,
sembra quasi
più disposto al dialogo. Mi chiedo se sia il caso di
emettere
tali sentenze per via di un paio di indumenti, forse sarebbe
più
opportuno concentrarsi sulla maniera con cui tirarmi fuori da questo
mezzo casino.
Rimane in
piedi a guardarmi con le mani sprofondate nelle
tasche della felpa.
«Poteva fare
con calma.» Mi riferisco ai suoi capelli, credendo che abbia
deciso di non asciugarli per risparmiare tempo. Accenna ad un sorriso
-che riesco a decifrare come un: "non credere che mi sia
precipitato per te. La verità è che non vedo
l'ora che te ne vai da casa mia."- e li tira dietro
l’orecchio senza dire nulla. Una ciocca sfugge comunque al
suo controllo e finisce con il rigargli una guancia. Sembra una
criniera nero pece, ed i suoi occhi già pericolosi, sono
diventati ora quasi letali.
«Che altro
vuoi sapere? Non
voglio portarti fretta, ma dovrei pranzare.» Fra la barba
scura,
il suo sorriso sembra sfavillare. Non è un sorriso generoso.
Eric Huntsman è un uomo avaro di sorrisi. Sono accennati,
tirati, quasi più una smorfia che altro, eppure nel suo modo
di
piegare le labbra, c’è un che di
estremamente intrigante.
Esci
da questa casa, Magnus. Ora! Subito!
«Mi scusi,
ha ragione.»
Mi alzo e stavolta riesco a seguire i miei stessi consigli.
«La
ringrazio per la collaborazione, signor Huntsman.» Ed infilo
il
blocchetto degli appunti nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Non avevi da chiedermi nient’altro?»
Osservazione
corretta, anzi impeccabilmente corretta, e sono nuovamente preda di una
soffocante agitazione. Nella sua testa sono certo stia balenando la
domanda: “perche diavolo ha aspettato seduto qui se non
doveva
chiedermi più nulla?”. Sarei curioso
anch’io di
conoscere la risposta, dato che non ho la più pallida idea
di
quale essa sia.
«No. Credo che possa bastare così, signor
Huntsman.» Afferro la giacca e la indosso «Se per
caso
dovesse ricordarsi qualcosa, anche solo un piccolo dettaglio, me lo
faccia sapere.» Annuisce. «La ringrazio per la
birra.» Mi avvio verso la porta e sento i suoi passi alle mie
spalle.
Caldo,
ancora caldo nonostante
l’aria fredda che proviene dall’esterno. Varco la
soglia e
mi volto per allungargli il biglietto con il numero della centrale.
«Chieda del detective Martinsson.» No, non farlo, ti prego!
«Ok»
alita vago
afferrando il biglietto e guardandolo con diffidenza. I suoi capelli
umidi odorano di mandarino. Usa uno shampoo al mandarino? Non mi
sembra il tipo. Dovrei andarmene, ma resto a fissare la sua nuca
finché non rialza lo sguardo. «Non ricordo il tuo
nome.»
«Magnus.
Magnus Martinsson» scandisco lentamente.
Non ricorda il mio
nome. La cosa
non mi sorprende, ciò che mi sorprende è il
perché
la sua dimenticanza mi abbia irritato. Non sono così
egocentrico
da pretendere che le persone si ricordino di me. Sono solo un soldato
di un esercito anonimo. Siamo distintivi e pistole. Siamo
turni e
rapporti. Siamo “bastardi” e
“salvatori”.
Eric Huntsman non ha
l’obbligo di ricordare il nome di un tizio che gli
è
piombato in casa per fare domande sulla sua vicina poco simpatica.
Eppure, Magnus Martinsson, sperava che lo facesse.
Scendo le scale e mi
avvio verso il
cancello. Getto un occhio all’auto e memorizzo il numero di
targa. Non so perché, abitudine, presumo. Non mi soffermo a
chiedermi se ci sia dell’altro.
Quando svolto per la strada, mi
accorgo che Eric è ancora sulla soglia. Le mie gambe vanno
più veloci finché non raggiungo
l’abitazione della Fustern. I due agenti sono ancora sul
posto.
«Io torno
alla centrale. Informatemi se ci sono novità.» Il
ragazzo annuisce e salgo in auto.
Ho un numero
imbarazzante di
domande che mi affollano il cervello e nessuna di esse riguarda il
caso. Nessuna di esse riguarda il mio lavoro.
Mi confondono, mi
agitano. Mi terrorizzano.
Quando sfreccio
davanti alla casa di Eric, lui è già rientrato.
NdA.
Innanzitutto, un grazie enorme per aver apprezzato la
storia, o meglio, la sua idea. Onestamente non mi aspettavo tanto
successo. Perciò, ancora Grazie!
Spero vivamente di riuscire a portarla avanti con il piede giusto. Per
ora, ho un mucchio di idee che non riesco neanche a scrivere tutte per
quanto veloci viaggiano nella mia testa @_@
Beh, mi auguro che anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento. La storia ha un ritmo abbastanza lento e spero non vi
dispiaccia. In verità, non mi piace affrettare le cose, ma
voglio che tutto si svolga nel modo più
“reale” possibile. E poi, se proprio volete
prendervela con qualcuno, prendetevela con Magnus che ha il cervello
fritto dai sensi di inferiorità e complessi peggio di suo
cugino Loki!
Il terzo atto dovrebbe arrivare a breve (credo)!
Vi auguro una felice fine ed uno spettacolare inizio di anno ^^
kiss kiss Chiara
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