A rush and a push

di Margo
(/viewuser.php?uid=292869)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Ero in balia delle piccole luci. Avete presente quando chiudi per tanto tempo gli occhi e delle piccole lucine colorate ti compaiono nel buio? esatto, erano proprio quelle, o almeno, lo sembravano. Ma non era buio, vedevo tutto. Non perfettamente, ma vedevo tutto. I ragazzi che si baciavano, la gente che rideva; c'era chi beveva, c'era chi si aggrappava ai mobili, chi si trascinava per terra e chi, senza alcun pudore si toglieva la maglietta e diceva "sono il re del mondo!". Io no, io ero in balia delle luci. La tequila, mischiata a vodka e rum, mi faceva quell'effetto. Mi voltai per vedere dove fossero Holly ed Ellen, ma non le vidi affatto. Probabilmente Holly era con Gabriel, il suo ragazzo, a succhiarsi a vicenda le tonzille; Ellen non avevo idea di dove potesse essere a dir la verità. Di solito non stava con i ragazzi, e di solito non beveva così tanto da perdere il controllo. La maggior parte delle volte, poi, stava sempre vicino a me, o quantomeno mi teneva sott'occhio. Ma stavolta non era lì, il che mi sembrò parecchio strano. Ma al mio corpo pregno di alcol poco importava chi ci fosse accanto. Un ragazzo abbastanza carino, che mi sembrava aver già visto l'anno precedente a scuola si sedette accanto a me, su quel divano verde scuro che ormai sembrava tutto, tranne che un divano. -carino il vestito- esordì -era in saldo-, fu la prima cosa che mi venne in mente. -rimane sempre carino, andiamo di là?- -se mi trascini..-,e lo fece. mi prese alla lettera. Mi sollevò da quel non-divano e mi trascinò fino alla camera da letto non si sa di chi. Mi buttò sul letto e cominciò a baciarmi. Mi baciò il collo, mi baciò il viso, mi baciò le braccia. E io, per quel che potevo, ricambiai. Ero ubriaca, sì, ma riuscivo ancora a rendermi conto del fatto che non sarebbe dovuto succedere in quel modo. La prima volta non doveva accadere con uno sconosciuto, in una casa estranea, ubriaca e con il conato di vomito facile. No. -aspetta- dissi -cosa?- -vado di là, a spogliarmi. Ma tu aspettami qua, mi raccomando. non scappare- -e chi scappa?! sarai mia!-, era quasi rivoltante. Rotolai giù dal letto e, cercando di darmi un'aria sexy, uscii barcollando dalla stanza. Così, cominciai a correre giù per le scale e non si sa come mi ritrovai in cortile. Mi girava la testa. Chiamai Austin per dirgli che poteva venire. O era già lì, o il mio senso del tempo era completamente andato a farsi benedire, perchè da quando chiamai a quando lui arrivò, mi sembrò che passò non più di un minuto. Con un gesto scoordinato aprii la portiera dell'auto e mi lasciai cadere sulle riviste. -Ciao bello!- esclamai. -sei un bottiglia di alcol ambulante, te ne rendi conto?- -poche storie, metti in moto che un maniaco vuole stuprarmi-, mi guardò con aria perplessa. -che aspetti? parti! te lo spiego da sobria..- e cominciai a ridacchiare -..se me lo ricordo- aggiunsi. Non fece altre domande fino a quando arrivammo all'incrocio che precedeva le nostre case, che stavano una di fronte all'altra. -che devo fare con te? come ti riporto a casa?- -ma io, caro Austin Hampton, posso stare benissimo nella tua confortevole macchina!- e feci come per addormentarmi -ok, ho capito: domani diremo ai tuoi che avevi dimenticato le chiavi di casa, non volevi svegliarli e per questo sei venuta da me a dormire- -Sissignore- risposi, e presi nuovamente a ridacchiare. Austin alzò gli occhi al cielo e muto riprese a guidare. Non appena arrivammo, lui venne ad aprirmi lo sportello. Misi la testa tra le mani. Quanto mi sentivo male. Posai i piedi a terra, ma Cristo, quanto mi sentivo male. Austin non ebbe nemmeno il tempo di chiedermi come stessi che vomitai. alzai la testa per vedere il danno e lo vidi ricoperto del mio vomito dalle ginocchia in giù. -Disgustoso- urlai, come se lui non lo sapesse. Guardò i suoi pantaloni e guardò me come se volesse uccidermi. Si voltò, prese un respiro profondo, poi mi guardò di nuovo, ma stavolta il suo sguardo era più pietoso che arrabbiato. Si chinò e mi prese per i fianchi; prese il mio braccio sinistro e lo avvolse intorno al suo collo. In quello stesso modo, arrivammo sulla soglia di casa. Che serata, ragazzi. Che serata.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1497164