La
notte era ormai più che inoltrata e i corridoi della
servitù
deserti e silenziosi. Gli ultimi sussurri di consolazione si erano
spenti, seguiti, poco a poco, dai singhiozzi soffocati dietro le
porte chiuse che alla fine, vinti dalla stanchezza, avevano a loro
volta trovato una tregua. Sapevano tutti che sarebbe stata solo
un'illusione temporanea: non c'era modo di allontanare quella
tragedia, non si sarebbero rialzati mai più da quel colpo.
Fino a
che avessero avuto vita avrebbero ricordato quella notte.
Per
quella che avrebbe potuto essere la milionesima volta Elsie Hughes
cambiò posizione e si strinse nelle lenzuola, ma com'era
stato per
ognuno dei tentativi precedenti neppure quello servì a
portarle
sollievo. Il freddo non voleva andarsene, il sonno non voleva venire
– il respiro della morte aveva contaminato ogni spirito sotto
quel
tetto ed era così difficile, così straziante
pensare a chi avesse
preso con sé. L'animo più dolce...
Se Mrs. Hughes non aveva mai mostrato di avere particolari simpatie
verso lady Mary – non bastava forse, in aggiunta all'amore
sconfinato dei genitori, la leale, assoluta adorazione di Mr. Carson?
– aveva sempre avuto una considerazione speciale per le sue
sorelle: erano state le piccole attenzioni per la malinconica Edith,
perennemente relegata sullo sfondo e sostanzialmente incompresa; e le
mille risposte, qualche dolce extra, per Sybil, curiosa e spontanea e
fresca come una pioggia di primavera. Che il cielo – no, si
rimproverò, non il cielo: l'incompetenza di un uomo che non
aveva
voluto ammettere il proprio errore – avesse privato tutti
loro di
quel prezioso raggio di sole era un pensiero insopportabile.
Non
aveva idea di come l'avrebbe accolta, e neppure se
lo avrebbe fatto, ma decise che l'indomani avrebbe cercato di parlare
con Branson. Poco importava che lui, ora, per quel matrimonio non
fosse più parte della “loro” famiglia
dei piani inferiori –
nessuno dei suoi ragazzi
aveva smesso di esserlo solo per avere scelto altre strade... Come
non aveva smesso di vegliare su Ethel, non avrebbe mai smesso di
avere a cuore Tom.
Si rigirò ancora, sempre più infreddolita e
incapace di prendere
sonno. Non trovava pace. Si sentiva sola, vuota – un guscio
rotto,
privo di senso senza l'altra metà.
E spalancò gli occhi nel buio e serrò i pugni e
si ritrovò seduta,
i piedi nudi sul pavimento lucido e freddo. Il pavimento di legno
divenne quello di pietra del corridoio e la chiave stretta nella sua
mano quella della porta di separazione tra il quartiere degli uomini
e quello delle donne. Esitò per un attimo. Quanto avrebbe
potuto
costarle, oltrepassare quel confine?
Ma quella notti le leggi che regolavano la loro vita si erano
capovolte e frantumate e Elsie scoprì che non le sarebbe
importato
di perdere ogni cosa, se fosse servito a far tacere il vuoto che la
faceva impazzire. Girò la chiave e la riappese al gancio
come se
niente fosse perché nessuno potesse accorgersi di nulla;
aprì la
porta e la tirò silenziosamente dietro di sé.
Prese un profondo
respiro e raggiunse la stanza del maggiordomo.
Charles
Carson non era molto diverso da come lo aveva trovato qualche ora
prima nel suo ufficio, dopo avere lasciato gli altri a loro stessi
per assicurarsi che lui stesse bene. Lo sguardo fisso sul nulla e
pieno di lacrime era lo stesso, così come erano gli stessi i
pugni
contratti e il respiro irregolare di chi lotta per non abbandonarsi
alla disperazione. Aveva alzato la testa quando la porta della sua
camera da letto si era aperta ma senza curiosità, senza
sorpresa,
come se la presenza della donna lì fosse perfettamente
logica.
« Dovreste riposare, Mrs. Hughes... »
«
Anche voi. Domani sarà una giornata lunga e terribile.
Saranno tutte
giornate lunghe e terribili, d'ora in poi. » Lo vide annuire
nella
penombra – come lei anche lui disponeva della luce elettrica
nella
propria stanza ma, come lei, nei momenti difficili continuava a
preferire le candele. Il calore della fiamma lo aveva accompagnato
per il primo mezzo secolo della sua vita e godeva di una sorta di
fascino arcaico e fuori dal tempo, un alone rassicurante che mai una
lampadina avrebbe potuto possedere.
« Credete che dovrei accendere la luce? »
« Non ne vedo la necessità. Di sicuro non
renderebbe più
rispettabile la mia presenza qui, non vi pare? »
« Perché siete qui, Mrs. Hughes? »
domandò piano, gli occhi
semichiusi, continuando a fissare davanti a sé.
Elsie Hughes sospirò, allargando appena le braccia in un
gesto che
tutti ormai in quella casa avevano familiare. « Tutto questo.
Quella
povera ragazza. Il povero Tom, la piccola... Non ce la faccio, Mr.
Carson. È troppo. »
Charles
chinò la testa senza una parola – non servivano
parole, perché
lei capisse ciò che provava. Non ne erano mai servite
– ma aprì
una mano e la posò delicatamente sul materasso, una volta
sola,
quasi temesse che quell'invito potesse in qualche modo
scandalizzarla. Lei sospirò, invece, e si sedette con lui
sul bordo
del letto. « Se solo fosse successo a me, »
mormorò, trovando
finalmente il coraggio di dar voce al pensiero che più di
tutti
nelle ultime ore le aveva dato il tormento. Carson si voltò
all'improvviso, apparentemente senza aver colto il filo delle sue
parole, e lei proseguì. « Per quale ragione
risparmiare me,
Mr. Carson, per poi portarsi via la nostra
piccola?
Perché lasciare senza madre una bambina appena nata,
quando...
Avrebbe dovuto prendere me. »
La mano destra del maggiordomo – aveva mani grandi, forti,
espressive: mani da lavoratore, e insieme di una delicatezza
inarrivabile – si appoggiò su quella della donna
proprio come era
accaduto, a parti invertite, qualche ora prima. Richiuse le dita
timidamente, poco alla volta, per darle il tempo di sottrarsi a quel
contatto se lo avesse voluto – Elsie Hughes invece non si
sottrasse, e voltò la mano in modo da incontrare, con il
palmo, il
palmo di lui.
« Non ditelo. Non ditelo mai, » la
rimproverò.
«
Sarebbe stato molto più logico, invece. Più
logico, meno terribile
per tutti... Sarebbe stato più giusto,
Mr. Carson. Molte meno persone ne avrebbero sofferto, e comunque per
meno tempo. »
« Non è così, Mrs. Hughes, voi...
»
«
Sì, lo so, sono così apprezzata,
» esalò, ripetendo con una strana intonazione
derisoria parole che
in tante occasioni le erano state rivolte tanto dalla famiglia quanto
dal resto della servitù. Parole che le avevano sempre
scaldato il
cuore e in quel momento suonavano così inutili. La mano che
teneva
la sua si strinse, fino a che le loro dita non furono intrecciate.
« Siete molto di più, Elsie. »
«
Apprezzata e indispensabile,
certo. I cimiteri sono pieni di persone indispensabili, Mr. Carson,
se non l'aveste notato. »
La mole considerevole del maggiordomo scivolò piano
all'indietro, il
tanto che bastava per voltarsi a fronteggiarla. Il suo viso segnato
dal dolore di quella notte si era scurito, la fronte aggrottata e le
labbra piegate in una smorfia che pur appena accennata la diceva
lunga su quanto quella conversazione gli costasse. Tese la mano
libera, in modo da racchiudere fra le proprie quella della donna che
gli era seduta a fianco.
«
Elsie. » Lei, che sull'onda di quell'amarezza annidata nelle
sue
ultime parole era stata pronta a continuare per chissà
quanto su
quella strada – come se una sterile discussione
sull'ingiustizia
della vita e lo scarso valore che attribuiva alla considerazione
degli altri potesse guarire il vuoto tremendo di quelle ore –
si
immobilizzò, realizzando per la prima volta che era stato il
suo
nome, a scivolare fuori dalle labbra di Carson, e non il suo titolo
abituale. Si domandò se sarebbe stata in grado di fare
altrettanto –
pensare a lui come Charles,
sognarlo come Charles, non equivaleva ad essere pronta a sentire la
propria voce pronunciare quel suono tanto caro. Rimase in silenzio.
«
Elsie. Voi siete
apprezzata, e indispensabile, e molto amata, e noi davvero non
sapremmo cosa fare senza di voi... »
« Noi? »
«
La nostra insolita famiglia, e anche la famiglia,
nonostante voi ed io a questo riguardo la pensiamo piuttosto
diversamente. » Elsie Hughes aveva assunto un'espressione
insolita,
incerta, come se non sapesse bene se sentirsi commossa o delusa
– e
perché, poi, sentirsi delusa? Cos'altro avrebbe potuto
aspettarsi,
da quell'uomo monolitico e ligio alle regole più di un
militare di
carriera? « Noi, » le sorrise, con un'alzata di
spalle che sembrò
l'incarnazione dell'imbarazzo e lo sguardo cui mancava il coraggio di
posarsi su di lei, « e io più di tutti gli altri.
»
« Voi, Mr Carson... »
«
Io, Charles. Sì. Io.
Sarei completamente perso senza una certa governante sempre pronta a
riportarmi con i piedi per terra. Non è un segreto per
nessuno... »
« Lo era per me, » mormorò, piegando la
testa per riuscire a
catturare di nuovo i suoi occhi. Charles Carson, il severo, rigido
maggiordomo dagli standard altissimi, quella volta si lasciò
catturare.
« Ora non più. »
« Ora non più, » convenne lei.
« Quindi, per favore, non dire mai più cose del
genere. Non
abbandonarmi, Elsie Hughes. »
« Mi pareva che qualcuno mi avesse invitata ad andare a
riposare...
»
« Mi pareva di aver capito che qualcuno non riuscisse a
dormire... »
«
Touchée. »
Nella luce fragile della candela, Elsie Hughes credette di stare
immaginando il rossore sul collo e sul viso dell'uomo. « E
potrebbe...aiutarti...a riposare, se ti chiedessi di restare qui?
»
Elsie si ritrovò a fare qualcosa che fino a qualche ora
prima aveva
creduto impossibile. Sorrise.
« Io credo di sì. »
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