Requiem
Non è ancora il
tramonto: è quel momento stupido della giornata tra pomeriggio e sera, quando il
sole non è ancora sceso dietro i monti né inizia a rosseggiare. È solo giallo
cupo, e guardarlo brucia ancora gli occhi.
Quel momento
stupido della giornata quando, da genin, terminate le missioni quotidiane si
torna a casa dalle proprie madri, a mangiare una cena cucinata con spezie e
amore.
Né giorno, né
tramonto. Una via di mezzo.
Una lieve brezza iniziò a soffiare, portando con sé le
pungenti note della sera nel villaggio delle nevi, fredda anche in estate.
L’aria giungeva a Konoha ormai temperata, eppure il ragazzo riusciva a percepire
chiaramente gli aculei d’aria trapassargli la pelle delle guance, conficcandosi
nelle membra con insolita ferocia.
Quella sensazione l’aveva già provata non molto tempo
prima, quando aveva ricevuto in pieno il jutsu di vento sviluppato da Naruto:
tanti piccoli aghi d’aria, quasi invisibili ad occhio nudo, che andavano a
colpire le cellule distruggendole come un veleno. Jutsu terrificante solo da
raccontarsi, micidiale da riceversi.
Tornare a Konoha
dopo tanto tempo fa uno strano effetto.
Non so di preciso
perché sono voluto venire fin qui, per osservare da un tetto un’inutile
cerimonia.
Che senso ha
guardare in massa delle foto di persone morte? Ormai non ci sono più, e basta.
Una fila di persone vestite in nero portano un fiore bianco su una tomba, e io
disto da loro svariati metri. Sono un clandestino fino alla fine, persino
nell’osservare una cerimonia.
Che follia.
Il vento minacciò con prepotenza: scompigliò i capelli del
giovane ninja oscurandogli parzialmente la vista, mosse il cappotto lungo che
indossava facendolo sbattere contro i suoi polpacci, proprio come fosse una
bandiera. Quello mantenne le mani nelle tasche dei pantaloni, guardando il
monumento a forma di kunai davanti a sé senza realmente vederlo. Tanti simboli
uno di fianco all’altro per formare una serie di nomi, mero rimasuglio di chi in
passato è stato valoroso ma, nonostante la buona volontà dei suoi contemporanei,
verrà immancabilmente dimenticato dai posteri.
Almeno la
cerimonia è terminata.
Solo questo?
Avete pianto per ore, vi siete vestiti di nero per loro, ad occhi bassi avete
omaggiato i vostri martiri con dei fiori bianchi, e ora uscite dallo spiazzo
sorridendo e programmando le vacanze estive?
Che squallido.
Almeno io ho
avuto la decenza di non mostrarmi in questo modo.
Annusò l’odore di pioggia che si percepiva nell’aria,
nonostante il sole continuasse a splendere davanti ai suoi occhi.
Il sole inizia a
rosseggiare, finalmente.
Quel momento
stupido della giornata che vi piaceva tanto è terminato.
Chissà perché vi
piaceva, poi.
Però era una
delle poche cose su cui andavate d’accordo entrambi.
Forse era ora di andare, ormai. Non se ne preoccupava
troppo: dopotutto la cerimonia si era tenuta dalla parte opposta di Konoha e ora
stavano tutti cenando nelle loro comode e calde case, incuranti del brutto
tempo.
Chissà cosa
succederebbe se qualcuno mi trovasse qui, ora…?
Mi viene da
ridere al pensiero.
“Perché non sorridi
mai?”
Qualcuno me l’ha
chiesto molto tempo fa. Perché…? Non lo so. Credo che i miei muscoli abbiano
dimenticato come si faccia, e basta.
«Che ci fai qui, Sasuke?»
Il ragazzo neanche si voltò a vedere chi lo stava
chiamando: erano passati anni, eppure ricordava la voce alla perfezione. Non
rispose.
«Se qualche jonin o ANBU ti vedesse qui, sarebbe costretto
a catturarti»
«Ma lei ha allontanato personalmente tutti i possibili
disturbatori, dico bene?»
«…come al solito, sei sempre il più perspicace»
«Pura intuizione»
Sasuke si voltò a guardare il vecchio maestro che si
avvicinava a lui: il viso era coperto dalla maschera, i capelli argento
nascondevano la sua vera età.
Tutto come al solito.
Però il Team 7 era morto, ormai.
«Che cosa c’è?»
Il maestro gli si mise di fianco e osservò anche lui il
monumento a forma di kunai.
«Questo pezzo di pietra porta alla mente molti rimpianti,
vero?»
Sasuke evitò di rispondere; il vento sferzava ancora contro
la giacca nera facendola volteggiare sempre più forte e trascinava lontane le
parole del sensei, che però vennero ugualmente udite dall’ex-allievo.
«Per anni mi sono rimproverato della mia ingenuità leggendo
qui il nome del mio migliore amico. Per anni ogni mattina ho ricordato le
sue ultime parole.»
Il tono improvvisamente s’incrinò e tradì rabbia. «Ho
cercato di allontanarti da quello che ho subìto io per tutto questo tempo, e tu
non mi hai ascoltato. Ora, cosa provi?»
Kakashi si voltò a guardare il suo discepolo prediletto,
trovandolo immerso come al solito in un silenzio quasi innaturale; gli occhi
neri erano pozzi senza fondo, privi di sentimento. Nemmeno un minimo bagliore di
pena o lacrima si affacciava.
Solo solitudine. Immensa, pesante solitudine.
Forse per la prima volta poteva intravedere anche rimorso.
Cosa dovrei
provare? Non riesco a capirlo.
Guardare la
lapide subito mi ha dato una sensazione di dé-jà vu, mi ha ricordato le
prime volte che ho visitato la tomba dei miei genitori.
Ma ora è diverso.
Dopo il ricordo
mi ha assalito solo il vuoto.
Questa lapide non
mi diceva niente.
I nomi scritti…
solo ideogrammi privi di significato.
Sono stato così
lontano che ormai anche la loro fisionomia è confusa. Un sorriso… non lo
ricordo.
Solo la smorfia
deforme che compare sul viso di chi sta per morire.
Ecco come li
ricordo io.
«Sei qui davanti da molto tempo.»
«Lo so. Ho preso il vizio del mio vecchio maestro.»
Un piccolo sorriso si distese sotto la maschera nera di
Kakashi. Non uno dei suoi vizi migliori. Ovviamente Sasuke non parlava del
ritardo… ma dell’autocompatirsi. E del conseguente tempo perso davanti ad una
lapide ai morti in battaglia.
Kakashi gli porse un piccolo fagotto allungato. Sasuke lo
afferrò dopo un secondo di sospetto e lo aprì.
I lineamenti affilati e seducenti del giovane Uchiha ebbero
una piccola variazione: stupore si dipinse sulle labbra mentre gli occhi
tradivano un certo divertimento sarcastico.
Era un flauto.
«Era a casa di Naruto. Tu sai suonare, vero?»
«Perché lo dà a me?»
«Mh… così. Dovrai pur passare il tempo mentre fuggi, no?»
Lo sguardo di Sasuke divenne pungente come una lama: lo
stava prendendo in giro?
«Non lo voglio».
«Tienilo, è meglio così.»
Il moro non riusciva a capire cosa volesse da lui. Kakashi
fece un cenno col capo prima di parlare di nuovo. «È tempo che tu vada. Gli ANBU
saranno qui tra poco.»
Tenendo in mano lo strumento musicale Sasuke tornò a
guardare la lapide. Gli occhi continuavano a fissarsi sugli stessi ideogrammi,
insistentemente, ripetutamente; la sua mente iniziava a mescolarli
indistintamente, creando nuove parole prive di significato e impedendogli di
pensare razionalmente. Un leggero senso di stordimento minacciò di attaccarlo ma
fu scacciato subito dal vento che, dopo essersi quietato per un po’, tornava
furioso a minacciare tempesta.
In silenzio.
Ecco come si
onorano i morti.
Niente fiori.
Niente cerimonie corali.
In silenzio.
Un ultimo sguardo – ultimo e per sempre, probabilmente; non
avrebbe mai più rimesso piede a Konoha – che durò minuti interi.
Lapide agli eroi del villaggio, Shinobi morti in
missione.
Haruno Sakura - Uzumaki Naruto
Con un balzo era già svanito; pochi istanti dopo giunsero
due squadre ANBU che trovarono solo Kakashi davanti al monumento, gli occhi
fissi per la prima volta non sul nome di Uchiha Obito, ma di altri due ninja
altrettanto valorosi… i suoi allievi.
I primi, gli unici.
I suoi “figli”.
Li aveva persi tutti e tre. Aveva fallito.
Quel momento
stupido della giornata che vi piaceva tanto è terminato.
Però, dopotutto,
era anche il mio preferito.
Il vento iniziò ad urlare di nuovo, e la pioggia cominciò a
cadere in grosse gocce.
Le due squadre ANBU e il copia-ninja, ancora davanti alla
lapide, sentirono all’improvviso delle note musicali trasportate dal vento,
suonate chissà quanto distante dal posto dove si trovavano. Alzarono il capo per
udire meglio: sembrava quasi impossibile riuscire a percepire una melodia così
dolce e sottile come quella nel caos prodotto dal vento. Come obbedendo ad un
ordine la natura calmò la propria furia per un po’, rendendosi messaggera di
quell’ultimo omaggio.
L’armoniosa dolcezza del flauto si disperdeva nell’aria,
abbracciando il sole che tramontava dietro le montagne, in quel momento della
giornata così amato.
Melodia malinconica e struggente, una canzone dalle note
appena accennate, quasi timorose, che desideravano però giungere al cielo: un
ragazzo dal lungo mantello scuro e dai capelli neri affidava al vento la sua
preghiera, gli occhi chiusi senza una lacrima.
L’ultimo
armonioso, penoso requiem.
N.d.A: ringrazio
tutti coloro che hanno commentato “Sabbia fra le dita”: mi è piaciuto veramente
molto leggere le vostre ipotesi su quella fanfic. Mi è sembrato di essere
riuscita a trasmettere ciò che volevo. Grazie ancora a tutti (Suzako, Inu_Kagghy,
bambi88, Nadia_306, mizukage, Ilychan, Phoenix)!! *riconoscenza* Poi... oggi è il 23 luglio? Tanti auguri a Sas'ke! ^^ Non è il modo più allegro per farlo, però... ^^'
Per quanto riguarda la storia, altra one-shot buttata giù in poche ore e quasi senza revisione. Il
finale lo volevo diverso, più sorprendente, ma non mi è venuto.
Questo racconto è costruito in modo particolare, un
alternare continuo tra narratore onnisciente e prima persona. Mi piacciono
queste strutture ad intreccio.
Tutto è nato dall’immagine creata dalla mia mente di Sasuke
davanti ad una lapide, ad onorare senza lacrime qualcuno morto. Poi ho aggiunto
il flauto, un piccolo sfizio personale (Sasuke che suona il flauto o lo shamisen
volevo usarlo prima o poi, visto che c’è nell’artbook e adoro quell’immagine…).
Un’ipotetica fine di Naruto? Mh, sì. Mi piacerebbe *_*
Attendo commenti!
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