A bridge
"The best bridge between despair and hope is a good night's sleep."
~E. Joseph Cossman
Un sospetto. Il capitano di
vascello che l'aveva preceduto su quell'isola aveva agito sulla base di
un piccolo, incerto sospetto. Smoker sapeva — era sicuro — che quel Marine non poteva aver avuto in mano nessuna prova
certa che gli abitanti di quel luogo stessero davvero offrendo rifugio
ad un pirata, eppure... Eppure non aveva esitato a bruciare e a radere
al suolo, a distruggere e a saccheggiare, a torturare e a uccidere,
senza fare differenze tra veri pirati e civili innocenti. E tutto a
causa di un piccolo, incerto sospetto. Tutto a causa di qualcuno che
credeva che quelle persone stessero nascondendo un pirata — un
solo, fottuto pirata.
Il legno del parapetto
scricchiolò sotto la forza della sua stretta, mentre Smoker
fissava l'isola dal ponte della sua nave. Non riusciva a distogliere lo
sguardo. Sotto un cielo plumbeo, i suoi uomini cercavano i pochi
sopravvissuti che si erano rifugiati nei boschi e disponevano i
cadaveri in file ordinate – così diverse dai mucchi in cui
erano stati ritrovati alcuni dei corpi, ammassati senza ordine, senza
cura, senza rispetto, su quelle strade ancora imbrattate del loro
sangue. Muovendosi freneticamente tra le macerie ancora fumanti,
Tashigi cercava di calmare e rassicurare i superstiti.
Era inutile. Smoker aveva visto
abbastanza stragi, abbastanza tradimenti, abbastanza dolore, per sapere
con assoluta e terribile certezza che, qualunque cosa avessero fatto,
le cose non sarebbero mai più tornate come prima. Ricordava con
orribile chiarezza i corpi straziati, bruciati, torturati, i volti
sfigurati dall'orrore e dall'incredulità, le urla di
disperazione, le lacrime, il sangue, la paura, la morte... Ma
ciò che più di ogni altra cosa gli era rimasto impresso — nella mente, nel cuore, in ogni fibra del corpo — era il
terrore, il puro terrore che aveva letto negli occhi dei sopravvissuti
quando li avevano tratti in salvo. Perché, Smoker
rifletté, osservando gli ultimi edifici rimasti accartocciarsi e
crollare a terra in una nube di polvere e detriti, dopo ciò che
era successo — dopo il sangue, la morte e il tradimento che quei
bastardi avevano causato — gli abitanti di quell'isola avevano
avuto paura, paura che i suoi
uomini si sarebbero comportati come i Marines da cui erano stati
attaccati e massacrati, paura che i loro salvatori si sarebbero
trasformati da difensori in carnefici.
Smoker digrignò i denti
al pensiero. Non avrebbe mai permesso che dei bastardi del genere
facessero parte della sua ciurma.
Alla fine, comunque, il sospetto si era rivelato infondato. Non c'era nessun pirata — non c'era mai stato. In compenso, la Giustizia Assoluta aveva fatto il suo corso. Decine di persone erano morte — erano state brutalmente uccise,
si corresse Smoker —, ma non importava: un debole sospetto era
stato sostituito dalla certezza che in quel luogo non c'erano pirati ed
era stato lanciato un avvertimento forte e chiaro a tutti i fuorilegge.
Un avvertimento inutile e controproducente, rifletté Smoker, ma
chiaro, orribilmente chiaro. Se la Marina si aspettava di intimidire i
pirati e gli aspiranti tali mettendo a ferro e fuoco intere isole e
uccidendo persone innocenti, allora non faceva che confermare i suoi
sospetti che gli alti gradi — e non solo — fossero un
branco di idioti. In quel modo, ed era evidente, l'unico risultato che
ottenevano era suscitare orrore e disgusto nelle persone —
pirati, civili, qualche raro Marine —, che si davano alla
pirateria in numero sempre crescente, e intere popolazioni disperate,
in cerca di aiuto, preferivano affidarsi ad una ciurma di pirati, per
quanto piccola e apparentemente inaffidabile essa fosse, piuttosto che
sperare in un aiuto che non sarebbe arrivato — non dalla Marina,
non dal Governo Mondiale. Perché in quell'Era i Marines erano i
cattivi — corrotti, egoisti, avidi, crudeli — e i pirati
erano i buoni — generosi, giusti, imparziali. E la prova vivente ce l'aveva a fianco.
Portgas aveva aiutato. Aiutava sempre quando poteva.
~*~
Ace sapeva che il suo contributo
era stato prezioso. Senza di lui, i Marines avrebbero impiegato molto
più tempo a contenere gli incendi e non sarebbero stati in grado
di trarre in salvo coloro che erano rimasti intrappolati tra le fiamme,
tuttavia... Tuttavia al contempo sapeva che il suo intervento aveva
messo a disagio gli uomini di Smoker, perché li aveva costretti
a confrontarsi con una realtà che avrebbero preferito continuare
ad ignorare. Se da un lato la consapevolezza che ci fossero pirati
buoni era motivo di conforto, dall'altro non faceva che evidenziare
ancora di più — come se ce ne fosse stato bisogno —
la corruzione, la viltà e la crudeltà che serpeggiavano
tra i Marines.
Come se ciò non fosse
già più che sufficiente, le ricerche dei dispersi, il
conteggio dei morti, la preparazione di un accampamento per alloggiare
e curare i sopravvissuti, la stesura di un rapporto che nessuno avrebbe
letto perché conteneva una verità scomoda — tutto
era stato faticoso e stressante, e il peso dell'ingiustizia gravava
sulle spalle di tutti e di ognuno, e a fine giornata Smoker era stanco,
terribilmente stanco — fisicamente e mentalmente.
Una lunga notte di sonno
ininterrotto è talvolta la migliore cura che un dottore possa
prescrivere, per la mente e per il corpo, ed Ace lo sapeva. Così
come sapeva che non c'era speranza che Smoker dormisse, quella notte — non con le immagini di quella giornata ad affollare e
monopolizzare i suoi pensieri, non con la consapevolezza che centinaia
di persone — centinaia di innocenti — erano morti per un sospetto che nessuno si era curato di accertare.
Aveva ragione.
La prima notte dopo il massacro,
Smoker non riusciva a prendere sonno, non voleva, e rimase per ore sul
ponte della sua nave, da solo, a pensare.
Ace sapeva che Smoker era
esausto, che aveva bisogno di riposare, di dimenticare, di chiudere gli
occhi e dormire. Semplice, facile, naturale — e al contempo
così immensamente difficile.
L'aveva costretto a tornare a
letto, e Smoker era così stanco che non si era nemmeno opposto.
Si era addormentato non appena aveva toccato il materasso, ma due
minuti più tardi era già sveglio. Non riusciva a prendere
sonno o, se ci riusciva, veniva continuamente svegliato dagli incubi.
Incubi astratti, confusi, ma vividi, terribilmente vividi —
così vividi da sembrare reali.
Ace sapeva come si sentiva. Lo
sapeva fin troppo bene, perché l'aveva sperimentato in prima
persona, perché aveva vissuto la stessa, orribile esperienza e
l'aveva superata, e per questo si sentiva in debito. Era stato Smoker
ad accompagnarlo attraverso gli incubi, ad abbracciarlo e rassicurarlo
quando Impel Down e Marineford tornavano a perseguitarlo, ed Ace gli
era grato per tutto l'aiuto che gli aveva dato, gli era grato per il
semplice fatto di esserci stato, di essere rimasto al suo fianco anche
quando la sua mente era paralizzata dal terrore e dai sensi di colpa e
il suo corpo portava i segni della guerra e della prigionia.
C'era voluto tanto tempo, molte
parole e qualche bacio per convincere Smoker che era dannatamente
normale che durante la guerra lui si fosse schierato con il Governo
Mondiale e che Ace non lo incolpava di nulla, perché lo
conosceva e sapeva che Smoker considerava totalmente idiota
e senza senso che un figlio pagasse per le colpe di un padre che non
aveva mai nemmeno conosciuto. Ace non aveva mai preteso che Smoker si
comportasse diversamente, né lo avrebbe mai fatto, perché
capiva da dove nasceva il suo odio per i pirati e perché il
mondo non poteva permettersi di perdere uno dei pochi Marines che
combattevano per la pace e la giustizia — e perché non
conosceva abbastanza pirati buoni per potergli dimostrare che si
sbagliava, ma si trattava di una consapevolezza che Ace non aveva
nessuna voglia di ammettere, nemmeno a se stesso.
~*~
Il giorno successivo i superstiti
celebrarono i funerali delle vittime. La sproporzione tra le poche
persone sopravvissute e le tante decedute era così grande,
così incolmabile, che la sepoltura dei corpi, anche con l'aiuto
dei Marines, durò tutto il pomeriggio.
Di tanto in tanto, Ace lanciava
un'occhiata a Smoker da sotto la visiera del cappello da Marine che
indossava per non essere riconosciuto, anche se, rifletté
amaramente, dubitava che, giunti a quel punto, gli abitanti dell'isola
si sarebbero spaventati per un pirata.
Lo osservò per tutta la
durata della cerimonia, dall'inizio — quando Smoker, isolato, in
disparte, si appoggiò a braccia conserte ad un muro pericolante
per seguire i funerali lontano dal resto del gruppo — alla fine — quando Smoker si allontanò in silenzio, cercando di
ignorare chiunque gli si avvicinasse per ringraziarlo.
I suoi denti affondavano
distrattamente nei sigari spenti che serrava tra le labbra e i suoi
occhi erano vuoti, distanti, inespressivi, eppure Ace sapeva con
assoluta certezza che Smoker aveva seguito tutta la cerimonia e che
aveva osservato e assorbito ogni gesto, ogni parola, ogni espressione — tutte immagini che non sarebbero svanite facilmente dalla sua
mente e che lo avrebbero perseguitato, alimentando i suoi incubi.
~*~
Ace rimase sulla nave di Smoker per altri tre giorni.
Per i primi due non notò
alcun cambiamento. Talvolta, nel corso della giornata, Smoker si
addormentava – sopraffatto dalla stanchezza, dalla frustrazione,
dalla voglia di dimenticare –, ma si risvegliava subito e allora
ricominciava a pensare, a riflettere, a odiare – a odiare Marines
e pirati indifferentemente e, più di ogni altra cosa, a odiare
se stesso, perché era arrivato in ritardo, perché ancora
una volta si era dimostrato inutile, perché si rendeva sempre
più conto di essere da solo nella sua battaglia contro
l'ingiustizia.
~*~
Ace sapeva che Smoker non si stava
rifiutando di dormire — non consciamente, almeno. Smoker voleva
dormire, lo voleva disperatamente e ne aveva bisogno, ma i ricordi e le
immagini e la rabbia e il dolore erano sempre lì, in agguato,
nascosti sotto la superficie della razionalità e della forza di
volontà, in attesa di poter approfittare di un momento di
debolezza per squarciare il velo della ragione e prendere finalmente il
sopravvento, ed erano potenti — così potenti da costringere Smoker a svegliarsi, a cedere, a lasciare che la sua mente, il suo cuore, il suo tutto
tornassero agli eventi del giorno prima, e a quelli del giorno prima
ancora, e a quelli del giorno ancora prima, fino a giungere all'inizio
di tutto, quando il piccolo Smoker si era ritrovato per la prima volta
faccia a faccia con l'ingiustizia e la corruzione e aveva giurato di
diventare un Marine — un vero Marine — per difendere tutto ciò che di buono e giusto c'era nel mondo.
E il sonno si faceva attendere,
si faceva desiderare, e quando finalmente arrivava e costringeva gli
occhi del Marine a chiudersi, era un sollievo solo per il corpo, mentre
la mente e il cuore restavano svegli ed irrequieti.
E così, al mattino,
Smoker fingeva. Fingeva di stare bene, fingeva che la morte, il sangue,
il tradimento del giorno prima non lo avessero turbato, che non avesse
bisogno di niente, che tutto si sarebbe sistemato.
~*~
Ace voleva aiutarlo. Aveva cercato
di convincerlo a dormire con lui, perché magari, gli aveva
cautamente suggerito, stare tra le sue braccia gli avrebbe fatto bene.
Ignorando l'occhiata omicida che aveva ricevuto in risposta, gli aveva
confessato di come si sentisse al sicuro quando Smoker lo abbracciava,
lo avvicinava a sé e gli permetteva di passare la notte
accoccolato contro di lui, con il viso sprofondato nell'incavo del suo
collo e il cuore che batteva un po' più forte del dovuto contro
il suo petto. Aveva tentato di spiegargli che dormire con lui lo faceva
sentire protetto, non dalle sofferenze fisiche o dai mali del mondo, ma
dai pensieri troppo cupi, dai ricordi dolorosi, dalle memorie che
riaffioravano di tanto in tanto dall'abisso e combattevano strenuamente
per non esservi ricacciate.
Tremò inconsciamente al
pensiero di Barbanera, di Impel Down, della guerra, e il brivido che
scosse il suo corpo e la sua mente anche quando cercò di
controllarsi gli ricordò che certe cicatrici non svaniscono mai,
neanche con tutto il tempo e l'aiuto del mondo, e che lui non era
ancora guarito del tutto e probabilmente non lo sarebbe mai stato.
Ma se era guarito — almeno
un po', almeno in parte —, lo doveva a Smoker. Tutti coloro che
gli volevano bene, tutti coloro che avevano rischiato le proprie vite
per salvare la sua – tutti gli avevano detto e ripetuto che lui
non aveva nessuna colpa, ma Ace non ci aveva veramente creduto
finché Smoker non l'aveva afferrato per le spalle e lo aveva
scosso con forza, urlandogli in faccia tutta la sua rabbia, tutta la
sua frustrazione, tutto il suo dolore, perché, aveva detto con
il respiro affannato e gli occhi sospettosamente lucidi, Barbanera era
diventato forte e potente grazie all'avidità e all'omicidio,
Impel Down era l'Inferno portato sulla Terra da sadici bastardi che
ricorrevano alla tortura per sottomettere un criminale o per semplice
divertimento, e Marineford... Marineford era stata colpa del Governo
Mondiale — era stata colpa della Marina, dei Marines, dell'organizzazione di cui faceva parte.
Erano le stesse, identiche
parole che i suoi amici gli avevano ripetuto dieci, cento, mille volte.
Ma loro erano i suoi nakama, la sua famiglia — era loro compito rassicurarlo e cercare di farlo stare meglio. Un Marine, invece...
Mentre Smoker lo trascinava in
un abbraccio rigido e riluttante, Ace aveva deciso che, se il
Cacciatore Bianco — che odiava i pirati e non avrebbe fatto
sconti a nessuno, nemmeno a lui, quando si trattava di guerra e
giustizia — diceva che non era stata colpa sua, allora doveva
essere vero.
Era stato un sollievo, ma
accettare di non avere colpa era solo il primo passo. Gli spettri della
prigionia, della guerra e dell'oscurità invincibile erano ancora
lì, pronti ad attaccarlo non appena avesse chiuso gli occhi,
intenzionati a fare il possibile per emergere e corrodere la sua
razionalità, il suo cuore, la sua anima.
Ma in quei momenti Smoker era
lì, sdraiato accanto a lui, e bastava che Ace si lasciasse
sfuggire un flebile singhiozzo o gli sfiorasse delicatamente un fianco
perché Smoker si girasse verso di lui e lo stringesse in un
abbraccio finché Ace ne avesse avuto bisogno. E poi lo
costringeva a parlare, lo metteva di fronte alle sue paure e lo
obbligava ad affrontarle. Non c'era niente di gentile nelle loro
conversazioni, non c'era niente di delicato nel loro tono di voce.
Smoker gli ordinava di parlare, di darsi una mossa a sputare fuori
ciò che lo tormentava, e poi, quando Ace reagiva, quando
finalmente si apriva e iniziava a vomitare un fiume di parole
incoerenti sulla guerra, sulla morte, sull'oscurità, Smoker lo
insultava. Perché solo uno stupido non si sarebbe reso conto che
i suoi amici avrebbero volentieri sacrificato la propria vita per lui,
che non lo incolpavano di nulla e non lo consideravano debole,
perché i veri deboli erano coloro che si lasciavano sopraffare
dal passato invece di trarne nuova forza per rialzarsi e ricominciare a
vivere con la consapevolezza di aver imparato dai propri errori.
Era il suo modo di fargli aprire
gli occhi. Brutale, forse, ma aveva funzionato e in fondo era meglio
così: Ace non cercava compassione e Smoker non sapeva offrirla.
Si era spesso domandato
perché il Marine si preoccupasse per lui, ma non aveva mai avuto
il coraggio di chiederlo, perché temeva la risposta e
perché, in fondo, la stranezza di quel comportamento perdeva
d'importanza di fronte ai preziosi ricordi delle notti in cui Smoker lo
aveva abbracciato, placando i suoi incubi e facendogli capire che non
poteva guarire da solo, che trascorrere la notte con qualcuno di
speciale era mille volte meglio che da soli.
Nonostante gli scaldassero il cuore e gli facessero apprezzare ancora
di più quello scontroso di un Marine, però, Ace preferiva
non ripensare a quei momenti. Impel Down e Marineford, assieme al loro
pesante carico di cause e conseguenze, erano una brutta parte del suo
passato — una parte violenta e cupa, una parte piena di
crudeltà, buio e odio — verso gli altri e verso se stesso —, una parte che preferiva rimanesse sepolta, ora che aveva
finalmente imparato ad accettarla. Ma aveva provato a costringere
Smoker ad affrontare ciò che lo tormentava e aveva fallito
miseramente, perché il Marine era sempre stato testardo e poco
incline ad aprirsi, così Ace si fece forza e si costrinse a
ricordargli di ciò che Smoker aveva fatto per lui, di come e
quanto lo avesse aiutato – si costrinse a disseppellire quella
parte del suo passato che avrebbe voluto dimenticare, si costrinse a
ricordare tutte le notti in cui era crollato sotto il peso delle
memorie, dei fantasmi, delle paure, per fargli capire che conosceva
ciò che stava provando, che conosceva quel senso di colpa,
quella frustrazione e quella sensazione di non poter fare niente per
risolvere la situazione. E se in quel momento i suoi occhi divennero un
po' lucidi o il suo corpo tremò flebilmente, nessuno dei due
diede segno di averlo notato.
~*~
La notte del terzo giorno, senza
dire nulla, Smoker appoggiò il capo sul petto di Ace, sopra al
suo cuore, e lì si addormentò.
Perché ancora una volta
Portgas gli aveva mostrato le sue debolezze, si era aperto con lui, si era
tuffato nella sua memoria e aveva riportato a galla sentimenti e
ricordi che aveva fatto di tutto per dimenticare e sigillare in un
angolo remoto della sua mente e del suo cuore. Smoker aveva visto il
disprezzo che Ace provava per se stesso, aveva visto il suo dolore e la
ferma convinzione di essere debole ed inutile, di essere immeritevole,
immeritevole di qualsiasi cosa — comprensione, amicizia, aiuto. Era stato lì con lui, e l'aveva visto.
Portgas aveva combattuto
duramente per tenere a bada quei ricordi e quei sentimenti, per
affrontarli e infine per accettarli, eppure non aveva esitato un
secondo a riportarli alla luce. Per lui. Cazzo.
Dopo un atto del genere, come poteva non fare un tentativo?
Funzionò. Anche se gli
costava ammetterlo, Smoker si addormentò subito, cullato dal
battito del cuore del moccioso — che forse era solo un po'
più veloce del normale —, dormì per tutta la notte
e nel sonno sentì lievi baci e carezze leggere come una piuma
sfiorargli il viso e le spalle, ma era impossibile, così Smoker
si limitò ad attribuire quell'inspiegabile sensazione ad un
pessimo scherzo della sua mente in subbuglio.
Il fatto che avesse dormito bene
per una notte non avrebbe riportato la giustizia nel mondo né
avrebbe impedito altri massacri immotivati, però era servito a
schiarirgli le idee e a ricordargli ciò che lui stesso aveva
inculcato a forza in quella minuscola testa che miracolosamente Portgas
si ritrovava ancora attaccata al resto del corpo: che lasciarsi
influenzare dalle colpe degli altri e chiudersi in se stessi non
serviva a niente, che bisognava rialzarsi e combattere, e che per farlo
talvolta era indispensabile l'aiuto di qualcun altro.
Forse non era molto, ma era qualcosa.
~*~
Ace osservò Smoker dormire
placidamente, soddisfatto, e aumentò un po' la stretta sul suo
corpo. Non lo avrebbe svegliato per niente al mondo — non dopo
tutta la fatica che aveva fatto –, così si limitò a
baciargli una tempia e a ritornare a dormire.
A/n:
Sì, indovinato: era tutta una scusa per farli coccolare un po'. Palesemente :/
A parte questo, mi sembra un po'
confusa. Nella mia testa era tutto molto più semplice,
più lineare, invece, una volta messo per iscritto, è
uscito questo. Non so, mi sembra di essere andata indietro, poi avanti,
poi di nuovo indietro, per poi cambiare punto di vista tre o quattro
volte — il tutto senza una logica precisa. Mi sembra che non si
capiscano bene i collegamenti, ecco. Senza contare che ho divagato alla
grande rispetto all'idea originale e adesso ho l'impressione che tutta
la pappardella su Ace, ID e MF sia inutile, ripetitiva e fuorviante, ma
immagino che non si possa avere tutto dalla vita.
Detto questo, buona Epifania e buon Tutte-le-feste-che-ci-sono-state-in-questo-periodo :)
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