Ho provato a riempire alcuni spazi
vuoti di Witch Hunter Robin inventandomi dei monologhi di Amon
alternati a dei piccoli episodi con Robin. Amon è un personaggio che mi piace
perché unisce introversione, amara tristezza ed involontaria sensualità e presto
ci tornerò sopra (magari con qualche storia un po’ più hot). La situazione
descritta si colloca intorno agli episodi 10-15 della serie. L’atmosfera è
quella triste e romantica dei brani “Allay Pain” e “Decision” della
OST.
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La parte più
marcia del mondo
di
Kanchou
1.
Un attimo prima di prendersi la
pallottola in corpo, la strega ti guarda.
E’ uno sguardo irripetibile.
Incredulo.
Perché chi si sente onnipotente non
se l’aspetta.
La strega controlla l’aria, il fuoco,
la terra, l’acqua. Con un sospiro ti succhia l’aria dai polmoni. Se stringe i
denti, ti strappa le viscere, ti trasforma il cuore in una polpa marcia. La
strega ha la vita e la morte nello schiocco di due dita, e mentre ti avvicini
non prova paura, vede già il tuo corpo putrefatto, disseccato, svanito come un
osso calcinato nell’insignificante eternità del tempo
umano.
La strega non si aspetta che la
pallottola verde (la pallottola Orbo, creata per annullare le streghe) penetri
il suo corpo. Per un momento è come ipnotizzata dall’occhio della pistola
puntata a un metro di distanza. E quando arriva il colpo, è come uno schiaffo di
sfida, oltraggioso. La strega ignora il dolore che le toglie il respiro, ignora
persino il senso di svuotamento, l’Orbo che divora, annichilisce i
poteri.
La strega, nella confusione di
impulsi e pensieri che la invadono poco prima di precipitare nell’oblio della
mezza-morte, sente nitidamente soltanto un sentimento:
l’odio.
Questo è ciò che il cacciatore di
streghe impara subito. Ignorarlo. L’odio è l’ultima arma della strega. E’ quello
che ti fa tremare la mano prima del secondo colpo. E dopo, ti ammazza col
rimorso.
Amon lo sa bene. Per questo, quando
spara, li guarda sempre negli occhi. Perché il loro odio si specchia nel suo. E
il suo è infinitamente più grande.
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2.
La ragazza è appena entrata in
macchina, si è seduta accanto con due bicchieri in mano.
“Ho preso un caffè anche per te” gli
dice, porgendogli un bicchiere. E mentre sorride, la solita ciocca di capelli
biondo rame le precipita sugli occhi e fulgidamente attraversa il volto bianco,
come una colatura d’oro sull’avorio di una figurina rinascimentale.
“Non te l’ho chiesto” risponde lui
seccamente.
La ragazza abbassa la testa. Si sente
sempre in colpa, quando prova a forare la sua corazza bruna con piccole
attenzioni non richieste che lo costringono a respingerla, a trattarla male. Ma
non riesce a farne a meno, è come se qualcosa, una forza che non può
controllare, la muovesse verso di lui. E Amon, persino quando le risponde in
quel modo o quando la rimprovera, non è mai davvero scortese con lei. Amon non
si accorge di essere sempre delicato, protettivo con lei. Non sono le parole che
dice, quelle non contano. E’ il modo in cui la sua voce si ammorbidisce, quando
le parla, e diventa di velluto nero.
Non sa che cosa sia. Anche adesso.
Hanno passato la notte appostati, in macchina. Lei ha dormito un paio d’ore, lui
nemmeno quelle. Amon ha sicuramente voglia di un caffè, ma non da lei, dalle sue
mani. Eppure, quando lei gli consegna il caffè, Amon non reagisce e lo accetta.
“Amon…”
Lui annuisce, con gli occhi sul
bicchiere del caffè e paralizzato dal senso di calore che piacevolmente si
propaga dalla mano al corpo.
“Amon, volevo chiederti: a che età
hai cominciato? Voglio dire, a cacciare.”
Amon allontana il bicchiere dalle
labbra.
“Robin, quando imparerai a non fare
domande su cose che non ti riguardano?”
Depone il bicchiere senza avere
ancora bevuto nemmeno un sorso. E non lo prende più.
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3.
A volte, quando si guarda allo
specchio, Amon indugia sull’immagine più del necessario. Scruta il volto
scolpito e pallido da arcangelo imbronciato, quell’uomo giovane dai capelli
troppo scuri e gli occhi troppo fermi, segretamente sofferenti, nello stesso
modo neutro di un medico, di un dissezionatore. Ma non sa esattamente che cosa
stia cercando.
Forse – questa è per lui la risposta
più ovvia – le tracce del sangue avvelenato che le leggi della genetica hanno
deposto nel suo corpo come uova di un parassita che, per ora dormiente, a sua
insaputa cresce, palpita, matura. Cerca i primi segni del risveglio del potere
che sua madre, una strega, gli ha seminato nella carne. Amon sa che quei semi
nascosti dentro di lui, un Seed, un giorno germineranno nella pianta avvelenata
della strega. Quel giorno Amon diventerà come sua madre, una furia che distrugge
persino le cose più care. Allora il cacciatore diventerà la preda. Così è giusto
che sia. Così gli hanno insegnato sin da bambino, quando lo hanno prelevato per
educarlo a servirli come cacciatore.
Dov’è? Adesso, in quale parte di me
si nasconde? In quale tratto del volto, in quale venatura dell’iride, capello,
frammento di carne? In quale sentimento?
Per questo Amon evita di abbandonarsi
ai sentimenti, alla rabbia, al dolore, all’affetto, alla tenerezza, alla
passione e li uccide appena affiorano dal cuore. Tutto ciò che è incontrollabile
lo terrorizza perché è il nutrimento che ingrassa il parassita, è il tronco al
quale la pianta avvelenata si sostiene.
Per questo Amon odia le sue prede.
Sono l’immagine di ciò che diventerà. Il mostro a cui spara, è quello
addormentato dentro di lui.
A volte, con orrore, Amon pensa di
essere, in fondo, niente altro che il cacciatore di se stesso. E che l’ultima
preda, l’ultima strega risvegliata che dovrà uccidere sarà se
stesso.
Poi, mentre continua a guardarsi,
pensa che forse sono altre le risposte che sta cercando.
Se il male è dentro di lui, perché è
così difficile trovarlo? Perché il mondo, invece, gli appare così chiaramente
marcio, orribile, crudele? E’ un pensiero che lo gela, per uno spaventoso
attimo. Le streghe sono soltanto la parte più marcia di quel mondo. Quello che
fa lui, perfettamente inutile.
Sono io che sono sporco? O è questo
mondo troppo sporco per me?
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4.
Quando camminano per strada, la gente
li guarda con curiosità. Non sono come gli altri. Indossano vestiti di un altro
tempo, troppo scuri e austeri, come per far risaltare la purezza dell’anima che
a loro insaputa risplende dalla finezza dei volti, dalle mani che entrambi hanno
troppo bianche, dai movimenti gentili e affiatati dei corpi. Nella città
ultra-moderna, tra le pareti di vetro e d’acciaio, tra le insegne elettroniche,
il traffico, le maschere anti-smog, la pubblicità della Sony e di McDonald’s,
gli schermi al plasma, insieme sembrano l’illustrazione di un romanzo
ottocentesco che racconta una storia di passione repressa, di nobiltà violata,
di virtù trionfante, lui così oscuro e sdegnoso, lei delicata e
serena.
La ragazza ha solo quindici, sedici
anni, ma il portamento romantico, lo sguardo pensoso la fanno apparire più
matura. L’uomo è nel pieno della bellezza giovanile, è forte, solido e snello
come una statua antica, e con l’atteggiamento ombroso e vigile suscita
inquietudine, persino paura. Sono nello stesso tempo uguali e incredibilmente
diversi. Sembrano legati da un filo nascosto nella parte più essenziale della
loro natura.
“Amon…” dice, con una voce soffice,
da colomba, la ragazza.
Si è fermata davanti a una vetrina e
con quel piccolo richiamo sembra avergli dato uno degli ordini che piuttosto
lui, il suo capo nella squadra della STN-J, i cacciatori di streghe, dovrebbe
impartire a lei.
“Robin, muoviti. Abbiamo da
fare.”
Ma lei continua a tenere la faccia
incollata alla vetrina, come una bambina incantata da un prestigiatore. Amon
torna indietro.
La vetrina è quella di una libreria.
Davanti agli occhi di Robin c’è un grande volume aperto in esposizione. Illustra
una vecchia incisione con l’immagine di una catasta di legna, un rogo appena
acceso dal quale spunta un palo, e al palo è legata una fanciulla vestita di
bianco, coi capelli lunghi e sciolti che sul petto mezzo nudo scendono come
l’acqua limpida di una sorgente. La fanciulla ha un viso puro, sembra che stia
pregando, in contrasto con le facce bestiali delle guardie, degli inquisitori,
degli spettatori che smaniano di vederla bruciare.
Amon non riesce a non pensare che la
fanciulla dell’illustrazione somigli vagamente a quella che sta in piedi accanto
a lui.
“E’ una strega…” dice Robin “ma
sembra lei la vittima.”
“Sciocchezze. Andiamo
via.”
Riprendono a camminare lungo la via
affollata, tra ragazze vestite all’ultima moda con le borse delle boutique
appese al braccio e uomini d’affari usciti per la pausa-pranzo. Robin ha la
gonna lunga fino ai piedi e la camicetta di pizzo che spunta dal collo scuro
della veste monacale. Amon è elegante e nero come un prete-soldato
secentesco.
“Amon, non ti viene mai il dubbio?”
Di nuovo è la ragazza a rompere il silenzio.
“Dubbio?”
“Il dubbio che loro non siano sempre
cattivi. Che a volte siamo noi quelli che sbagliano. Che non tutte le streghe
che cacciamo meritino di…”
“Robin, non ho intenzione di
ascoltare queste assurdità.”
“Ma io…”
Amon si volta di scatto. Sono poche
le volte in cui le fa veramente paura. E l’espressione gelida che le rivolge fa
sì che la manciata di secondi che passa finché lui non risponde sia una di
quelle volte. E’ come se l’aria stessa si fermasse nell’attesa di un’esplosione.
Poi Amon distende il viso e tutto il mondo sembra riprendere fiato. “Non spetta
a te giudicare queste cose. Robin.”
La ragazza continua a seguirlo con la
testa china, gettando ogni tanto un’occhiata alla sua figura alta, a lui che
cammina davanti, silenzioso, oscuro e seducente come sempre. Non riesce a non
pensare alla sfumatura di tristezza che ha fatto vibrare le sue ultime parole.
Sembrava quasi che stesse rimproverando non lei, ma se
stesso.
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5.
All’inizio non dava importanza a ciò
che stava succedendo. Lei è arrivata dall’Italia alla STN-J come rimpiazzo – è
un’esperta dell’Arte di controllare il fuoco – e lui ha cominciato a
sorvegliarla senza che lei se ne accorgesse.
La prima volta che l’ha vista nel
corridoio del bar Harry’s non sapeva chi fosse. L’ha incrociata per caso come
una ragazza qualsiasi che entrava per prendere un caffè e i loro sguardi si sono
intrecciati, magnetizzati e incuriositi per pochi istanti di sospensione del
tempo e della volontà. Pericolo, attrazione, sintonia, bellezza, splendore: il
cacciatore Amon ha avvertito tutte insieme, come un turbine, queste sensazioni.
Dopo, quando lei ha cominciato a
lavorare con la squadra, prima accumulando errori su errori, poi diventando
un’arma sempre più efficiente, Amon l’ha trattata con indifferenza, persino come
se lei non esistesse nemmeno. Ma lentamente, di giorno in giorno, di missione in
missione, trascorrendo con lei notti insonni di pericoli e di appostamenti,
dialogando spesso soltanto con sguardi, con mezze parole, con silenzi troppo
rumorosi, Robin gli è entrata nell’anima in un modo che lo
sgomenta.
Non è soltanto per la sua bellezza.
Robin è diversa da qualsiasi persona abbia mai incontrato. E’ pulita, innocente,
dolce, semplice. Ed è, sotto l’aspetto fragile, incredibilmente forte. Ma tutto
questo è nulla rispetto alla sensazione che lei, di tutto il mondo che Amon ha
conosciuto, lo comprenda in un modo istintivo e sottile, come se possa percepire
il peso che porta nel cuore.
Amon combatte contro questo potere,
disperatamente, ma dibattendosi precipita sempre di più verso di lei. E ci sono
momenti in cui questo gli piace. Vuole essere solo, senza legami, per non
condividere il male che si porta dentro; delle donne non desidera altro che il
corpo e il piacere di toccare una dimensione diversa dalla propria, quella delle
persone normali, con problemi normali, con sentimenti normali. Robin, invece, è
una come lui, contaminata dal sangue delle streghe, e quindi deve tenerla
lontana come un male contagioso. Ma soltanto lei, qualche volta, lo fa sentire
in pace con il mondo. Con lei Amon ha riscoperto la propria stessa
dolcezza.
Si sorprende a desiderarla. Immagina
di invadere il suo corpo flessuoso, di stringere nelle mani i fianchi, i seni
appena sbocciati, di affondare nella carnagione delicata che emana un profumo di
femminilità soffice e inconsapevole, mentre lei sussurra il suo nome come fa
sempre, come una carezza troppo intima, perché arriva dritta al cuore. O
immagina soltanto di aggredirla con un bacio violento, per sentirla spaventata
come un uccellino e poi abbandonata alla sua bocca, alle sue braccia, stordita,
appassionata e tutta sua. Ma subito prova orrore di se stesso. Perché Robin è
soltanto una ragazzina e lui un uomo. E un uomo che da offrirle non ha che un
cuore ferito e tormentato.
Eppure se chiude gli occhi e non
pensa, se si sforza soltanto di ascoltare il suo respiro, all’improvviso il
mondo sembra così semplice con Robin accanto.
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6.
“Amon…”
Lui sta digitando sulla tastiera del
computer. E’ molto tardi, gli altri sono andati tutti via dall’ufficio, soltanto
Michael sonnecchia nella sala accanto. Robin, sul divano, ha appena finito di
mettere in ordine un registro di schede. Sta crollando per il sonno, a stento
tiene aperti gli occhi.
“Robin, va’ pure a casa.”
Amon non si è nemmeno voltato per
parlarle, ha continuato a tenere gli occhi sullo schermo luminoso. Il riflesso
azzurro del computer fa risplendere i suoi occhi grigio scuro come un lago alla
luce dell’aurora.
“Amon, ieri, dopo il lavoro, non te
ne sei accorto, ma io ti ho visto.” Parla assonnata, con la voce che scivola nel
sogno.
“Succede, Robin. Non è una cosa
importante. Lasciami finire.”
Ancora il ticchettio delle dita sui
tasti.
“E’ stato proprio quando ha
cominciato a piovere. Io ho fatto una corsa per ripararmi sotto una tettoia. Ma
tu sei rimasto lì, fermo, sotto la pioggia. Solo.”
Le mani di Amon si fermano sulla
tastiera.
“La pioggia cadeva fortissimo e tu
non ti muovevi.”
Robin sbadiglia, è sempre più lenta e
confusa nel parlare.
“Sei rimasto così, immobile, per
tanto tempo e a un certo punto hai alzato un po’ la testa e hai guardato in
alto, alla pioggia che ti cadeva addosso. Io, non so, ho sentito che dovevo
stare lì, con te, ma senza avvicinarmi. Sembravi così…”
Le dita sono ancora sospese sui
tasti, non si sente alcun ticchettio. Amon è intento ad ascoltare. La stanza è
completamente silenziosa.
Si volta e si accorge che Robin non
ha finito la frase perché si è addormentata. La testa è scivolata sul sedile del
divano, le ciocche biondo rame dei capelli sono sparse sulle guance e sul
colletto nero del vestito. Una tenerezza infantile si è distesa come un velo sul
suo viso chiaro, sulla bocca che dischiusa e umida nel sonno sembra un bocciolo
rosa.
Amon spegne il computer, si alza in
piedi e si avvicina al divano. Resiste al desiderio di baciarla. La solleva
sulle braccia, senza svegliarla, e la riporta a casa.
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7.
Il signor Zaizen, direttore della
STN-J, lo ha convocato nell’ufficio. Amon gli sta davanti, separato dalla
scrivania, rigido come un soldato a rapporto da un superiore.
Ogni tanto Zaizen scrolla la cenere
del sigaro in un gigantesco, torreggiante posacenere di cristallo. Il più brutto
che Amon abbia mai visto. Amon detesta il fumo, ma sembra che Zaizen si diverta
a fumare i sigari più puzzolenti in sua presenza.
Zaizen ha un odio particolare per le
streghe, diverso da quello di Amon. La più grande aspirazione di Zaizen è
eliminare le streghe dalla faccia della terra perché sono esseri inferiori che
contaminano la purezza della specie umana. Quando finirà con le streghe, potrà
cominciare con gli omosessuali, i malinconici, gli artisti, quelli che arrivano
in ritardo al lavoro.
Zeizen disprezza anche i Seed, le
streghe ancora dormienti come Amon e gli altri della squadra impiegati come
cacciatori. Appena non gli saranno più utili, eliminerà anche tutti loro – e
questo accadrà presto, grazie alle ricerche che il laboratorio della Factory,
per suo conto, sta compiendo sulla possibilità di far usare l’Orbo ai
completamente umani. O forse eliminerà tutti tranne Amon. Amon è il suo
giocattolo preferito. Ne ha alimentato sin da quando era piccolo il complesso di
inferiorità per il fatto di essere un Seed e l’odio per la parte infetta di se
stesso. Si diverte a dominarlo, da sempre. Gode a vedere come un uomo forte,
bello, orgoglioso come Amon, una belva feroce come lui, si assoggetta a
qualsiasi suo ordine. Basta un suo cenno, un’occhiata, e Amon si sottomette come
un bambino colpevole. O peggio, come un bambino violato.
Zaizen, però, non sa che Amon si è
portato a letto sua figlia Touko. Non l’ha fatto per vendetta, perché Amon non è
capace di usare le persone, e Touko gli ha donato una passione che ancora – per
quanto è possibile a uno come lui - ricorda con tenerezza. Ma certo, se Zeizen
sapesse, si farebbe venire le convulsioni per la rabbia.
Il signor Zaizen sta parlando. Amon
ne vede la figura grigia e severa in controluce, oltre la cortina di fumo del
sigaro. Gli vede muovere le labbra, ma come in un sogno gli sembra che nessun
suono ne esca. Sono parole che non comprende.
“Cosa?” si lascia
scappare.
Amon si sente improvvisamente vuoto,
buio, annichilito. Lo spazio intorno, come lo schermo di un computer spento.
Il quartier generale di Solomon, a
Roma, ha stabilito che Robin non è più soltanto una maestra dell’Arte ma una
strega molto pericolosa e che deve essere eliminata. Il signor Zeizen ha
ordinato ad Amon di sovrintendere alla caccia. L’operazione scatterà domani
notte.
Più tardi, Amon si sveglia di
soprassalto dal sonno angosciato che finalmente l’ha inghiottito nel cuore della
notte. Sulle labbra porta ancora il nome che ha urlato in sogno un momento prima
di ritrovarsi ansimante e madido tra le lenzuola
stropicciate.
Robin.
Robin con una veste bianca e i
capelli sciolti sul petto. Il volto sollevato verso il suo. Gli occhi verdi
impauriti ma ancora fiduciosi.
E lui che le puntava la pistola Orbo
al cuore e tirava il grilletto. E sparava.
Amon si siede sul bordo del letto con
il volto nascosto tra le mani. Cerca di calmare il respiro e di spegnere
l’orrore che gli stringe la gola e gli impedisce di alzarsi per andare a gettare
la testa sotto l’acqua.
Spinge i palmi delle mani contro gli
occhi, ma l’immagine di Robin che cade all’indietro, dell’onda dei suoi capelli
scossa dall’urto dello sparo, non svanisce.
Com’è possibile? Dov’è quel male? In
quale parte di lei? In quale frammento di carne?
Amon riesce a sollevarsi ed esce sul
balcone. La notte è fresca sulla pelle nuda. Lo fa sentire inerme, lui che è
sempre inattaccabile. La Luna, come una goccia di latte caduta
nel cielo, sorge troppo bianca sui palazzi di cemento e di acciaio. Chissà se
Robin dorme. Il suo viso diventa ancora più dolce mentre
dorme.
Lei non userà il potere dell’Arte per
ucciderlo, quando le punterà la pistola contro. Non proverà odio, ma
compassione, e fiducia in lui, nel suo cuore.
E lui sparerà, comunque. Così deve
essere.
E questa volta non ucciderà il mostro
addormentato dentro di lui, ma la sua parte più pura e
vera.
La brezza notturna gli passa una mano
tra i capelli neri. Gli ricorda, non sa perché, il tocco della mano di sua
madre. Sua madre gli accarezzava sempre i capelli. Li lasciava lunghi fino alla
nuca, diceva che erano troppo belli per tagliarli corti. Era delicata e gentile,
sua madre, come Robin, prima che il male si risvegliasse in lei. A volte Amon
dubita che quella donna così piena d’amore sia mai esistita se non nei suoi
sogni sbiaditi o nel rimpianto che lo coglie all’improvviso, quando vede una
mamma e un bambino che giocano nel parco o camminano mano nella
mano.
Anche sua madre era dolce come Robin.
Prima di diventare…
Amon sospira lievemente e il fiato è
raccolto dalle mani eteree della brezza.
Dopo che sua madre è stata eliminata,
quelli che l’hanno portato via gli hanno tagliato i
capelli.
Una strega, il male, Robin? La parte
più marcia, lei?
Le punterà la pistola Orbo addosso,
sparerà. Così deve essere, così vogliono Zeizen e tutti quanti, la parte pulita
del mondo.
Lei lo guarderà, gli poserà sul viso
la luce dei suoi occhi verdi. Avrà fiducia in lui, nel suo cuore. Dirà
semplicemente, a fior di labbra, “Amon…”
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