Questa
fic ha una storia molto lunga e divertente
alle
spalle... Oddio, in realtà non è tanto divertente
quanto lunga ma
ve la racconto comunque.
Tanto tempo
fa, ho iniziato a scrivere una fic come regalo di... Compleanno?
Natale? Chi se lo ricorda più per Erisachan.
E quando dico tanto tempo fa, parlo di anni.
A dicembre del 2012, quando ci siamo riviste fisicamente dopo circa
tre-quattro ere geologiche, Erisachan mi ha giustamente ricordato che
le dovevo qualcosa (“Mi devi ancora scrivere una Mollamy.
Quando mi
scrivi la Mollamy? Scrivi la Mollamy. Scrivi. Mollamy.”) e io
le ho
solennemente promesso che avrei portato a termine la ff entro il sei
gennaio c.a., cosa che ho puntualmente fatto perché sono una
persona
lenta ma di parola come un cavaliere di Camelot. Cioè, non
che i
cavalieri di Camelot siano lenti ma sono uomini d'onore,
sicché.
Comunque,
enjoy it o sputateci sopra o ignoratela o, insomma, fate come volete. ♥
Barely
Legal
C’erano
del cheap ben calibrato e dell’ironia divertita,
nell’arredamento
di quel salone – dal pavimento a scacchi neri e bianchi agli
enormi
pouf imbottiti all’interno dei quali sparire goduriosamente,
dalla
carta da parati stile anni ‘70 alle lampade da terra col
paralume
in plastica che urlava “IKEA” lontano un chilometro.
Le centinaia
di sfaccettature argentate di una ridicola palla da discoteca
pendente dal soffitto proiettavano lentiggini di luce su corpi
congestionati e volti accaldati sulla pista da ballo, semicelati da
maschere di ogni tipo; incrostate di preziosi strass e rese vezzose
da piume multicolori, semplici strisce di tessuto forate
all’altezza
degli occhi, mascherine di cartoncino volutamente bambinesche e
addirittura cappucci integrali.
Era davvero
un ambiente carino, nel suo folle kitsch.
Brian
riaggiustò una piuma pendente dalla sua maschera di seta
nera,
strofinandone distrattamente fra pollice ed indice la lanugine
morbida.
Forse
avrebbe dovuto gettarsi nella mischia, e infatti in realtà
non era
del tutto sicuro del motivo che lo stava trattenendo ancora a bordo
pista.
Aveva scelto
lui il locale in cui andare dopo il concerto quella sera; sapeva che
avrebbe ospitato una festa in maschera, un genere di evento che non
mancava di elettrizzarlo fin da quando era bambino e sua madre si
ostinava ad agghindarlo ogni volta in costume settecentesco, con
tanto di abito in broccato, gorgiera in pizzo e mascherina dorata.
Sei
così
bello, Brian… Un vero principino!
Stefan era
fermamente convinto che l’unica vera perversione di sua madre
fosse
stata trattarlo come una bambola da accessoriare a proprio
piacimento, e forse non aveva torto.
Almeno, in
mezzo agli innumerevoli e spesso rozzamente rifiniti Zorro, Robin
Hood e Spiderman delle feste scolastiche, il suo personale da fragile
figurina d’oro e porcellana non passava mai inosservato.
Per via di
ciò, Stefan era anche convinto che uno dei crucci che sua
madre
probabilmente conservava nel segreto del suo animo era l’aver
incoraggiato in tal modo la sua attitudine un po’ sdegnosa a
voler
per forza essere notato ovunque, da chiunque e per qualsiasi motivo.
Insomma,
quell’attitudine che assieme ad altri fattori
l’aveva spinto fin
dov'era in quel momento della propria esistenza.
Un paio di
mani lo attrassero gentilmente all’indietro, verso un corpo
del
quale identificò immediatamente il profumo familiare.
- Scommetto
che la tua mente è tutta una fioritura di figure retoriche,
al
momento.
Brian rise,
voltando il capo verso Stefan: - La mia mente è cosa?
Il bassista
lo spinse a girarsi del tutto, accogliendolo delicatamente nel suo
abbraccio; i suoi occhi luccicavano divertiti fra il merletto cremisi
della sua maschera. Il suo indecifrabile camuffamento constava di uno
striminzito panciotto rosso e un paio di pantaloni scuri
clamorosamente attillati infilati in stivali di morbido cuoio nero.
- Stavi
pensando a qualcosa di molto grosso e molto serio. Sentivo gli
ingranaggi del tuo cervellino cigolare fin da laggiù.
La musica
cambiò, trasformandosi in un dozzinale motivetto da trenino
erroneamente considerato evergreen – ouch, che caduta di
stile.
- Pfff. Mi
ci vedi a ballare in fila indiana con uno sconosciuto dietro che
approfitta dell’ “euforia” generale per
toccarmi il culo? -
scosse il capo Brian, e una piuma del suo travestimento gli ricadde
mollemente sulla fronte.
- Potresti
approfittarne anche tu. Ci sono un sacco di belle ragazze in
giro…
E dei ragazzi ancora più belli.
Di fronte
all’espressione poco interessata di Brian, Stefan
tirò fuori il
suo tono più persuasivo e suadente: - Andiamo,
piccolo… Ogni tanto
fai davvero lavorare troppo la tua testolina, anche se nessuno lo
sospetterebbe.
- Grazie,
eh! Comunque... Non so, non mi va di ballare. E ancora non ho visto
nessuno di interessante.
- Mhm…
Be’, sai come si dice? Quando smetti di cercarlo, troverai
ciò che
vuoi.
- Oh,
filosofia da bigliettino dei cioccolatini. Non ti facevo
così ban…
Stef!
- Che c’è?
- chiese Stefan in tono innocente.
Nel bel
mezzo del suo discorso il bassista aveva percorso dolcemente il petto
di Brian, iniziando poi a sganciare i bottoni della camicia nera che
indossava dalle corrispondenti asole.
- Mi stai
spogliando…? - esclamò incredulo Brian, mentre
l’altro portava a
termine il suo lavoro con professionale velocità.
- Lasciali
perlomeno rifarsi gli occhi, se proprio non vuoi concedergli di
rifarsi altro… il
sorriso che spuntò malizioso sul suo volto
contribuì ad attribuire
a Stefan un’aria da sfrontato demone tentatore, come
suggerito in
qualche modo anche dalla sua mise.
Brian alzò
gli occhi al cielo, ma non si oppose alle intenzioni
dell’amico,
che si buttò poi la camicia su una spalla, sorreggendola con
un dito
infilato nel colletto.
- Questa la
tengo come trofeo.
Brian
ridacchiò, scuotendo il capo. – Non credo proprio,
dolcezza.
Quella mi è costata parecchio.
- Ho perso
il conto di quante camice nere hai nel tuo guardaroba,
piccolo… Una
in meno non fa alcuna differenza.
Chinandosi a
baciargli una guancia in un gesto di commiato, Stefan lo
supplicò
scherzosamente: - … e ora, ti prego… Divertiti! -
per poi
caracollare fluidamente verso il centro della pista, roteando la
camicia in aria e strappando a Brian un sorrisetto divertito.
Quando il
trenino conga fu arrivato al capolinea e venne sostituito da un
serrato e monocorde ritmo techno – il repertorio di quella
sera era
schizofrenico quasi quanto l’arredamento del locale
– Brian
decise che il momento di gettarsi nella mischia era arrivato.
Si fece
largo fra i ballerini, accogliendo languidamente
l’inevitabile
contatto fisico con essi.
Un ragazzo
alto con addosso solo un paio di jeans ed una coda da diavoletto gli
sorrise, avvicinandoglisi a ritmo di musica.
Aveva un bel
fisico, e belle labbra carnose.
Brian
ricambiò il sorriso e gli diede le spalle, prevedendo la
mossa
successiva dello sconosciuto; lo sentì addossarglisi e
posargli una
mano su di un fianco, guidandolo dolcemente nella danza.
Chiudendo
gli occhi, il cantante inarcò la schiena e
sollevò le braccia: le
mani dello sconosciuto lo spinsero all’indietro premendo sul
suo
bacino.
Iniziarono a
dondolarsi all’unisono, ricalcando con il corpo il beat del
brano:
lo sconosciuto aveva una presa solida e maschia... Esattamente come
la sporgenza rigida di inequivocabile origine che premeva contro il
fondoschiena di Brian.
Mentre il
giovane si faceva più disinvolto, nascondendo il viso contro
il suo
collo, Brian avvertì uno sgradevole stimolo crescergli dalla
bocca
dello stomaco – una sorta di nausea leggera ma fastidiosa.
Iniziò a
sudare freddo, sotto le labbra dell’estraneo che gli
tempestavano
le guance e le tempie di piccoli baci umidi.
Il ritmo era
cambiato; i bassi erano più profondi e gli riverberavano
direttamente in pancia, destabilizzandolo.
Per assurdo,
Brian si ritrovò a pensare di stare per morire – e
che schifo di
morte, poi, con un perfetto sconosciuto che cercava di prendergli una
mano per mettersela sul pacco senza notare il modo in cui si era
letteralmente sgonfiato.
Non
desiderava quel corpo estraneo addosso al proprio. Non sopportava
tutti quei corpi seminudi ed eccitati che lo stavano circondando.
Che diamine
gli stava accadendo?
Brian si
liberò istericamente dell'abbraccio dello sconosciuto,
cogliendolo
alla sprovvista, e cercò di guadagnare il bordo della pista
da ballo
come un naufrago tenta di raggiungere la riva del mare.
E, come un
naufrago particolarmente sfortunato, venne bloccato e trascinato
nella tempesta da un ostacolo imprevisto.
Una mano,
in questo caso.
Brian la
fissò, senza alzare gli occhi sul proprietario.
Era
calda, asciutta, ruvida di callosità sparse sui polpastrelli
ed il
palmo, salda: anche fra la nebbia del panico riusciva a percepirla
nei minimi dettagli.
La mano lo
trascinò contro un corpo non familiare, liscio e magro come
quello
di Stefan ma più minuto, più fragile.
Senza
nemmeno il sostegno del terrore improvviso di poco prima Brian si
sentì tremare le ginocchia e la testa girare, mentre la
musica si
allontanava ovattata e sonnifera ed il nuovo estraneo era
più vicino
che mai.
Respirava
sul suo collo, carezzandogli teneramente i capelli: aveva il volto
coperto da una maschera scura e sul petto nudo portava due giri di
una strana collana tubolare in plastica, sulla quale stava
inconsapevolmente premendo la guancia umida di Brian.
Una parte di
quest'ultimo ancora urlava di paura, chiedeva di andare via,
implorava l'aria fresca fuori da quel dannato aborto di locale ed il
letto dell'albergo.
Se
devo schiattare, devo farlo smentendomi. Non voglio che la gente
pensi che Brian Molko non poteva schiattare in altro modo se non
seminudo su di un dancefloor e fra le braccia di uno sconosciuto.
Poi
tutto si spense. La musica, il mondo, il suo cervello.
Riacquistò
i sensi trovandosi in posizione orizzontale e sovrastato da un musino
curioso, ingentilito dal paio di occhi più definitivamente
azzurri che avesse mai visto.
- Stai bene?
Brian non
seppe rispondere subito alla domanda: non essere morto era
già un
traguardo notevole, date le circostanze.
Istintivamente
si portò una mano al petto, scoprendo così di
essere coperto da un
maglioncino che non gli apparteneva; tentò di mettersi a
sedere sul
divano in pelle nera che troneggiava contro una delle pareti di
quello che sembrava un ufficio – forse apparteneva al
proprietario
del locale.
- Dov'è
Stef? Che ore sono?
Il ragazzino
sollevò le spalle ossute, rispondendo: - Sono le tre e non
ho la
minima idea di dove si trovi Stef.
La luce
bianca ed intensa proveniente dalla plafoniera sul soffitto costrinse
Brian a socchiudere gli occhi: scosse debolmente il capo, come per
scacciare i fantasmi colorati che vedeva ovunque attorno a
sé.
- Che mi è
successo?
- Sei
svenuto... Credo si sia trattato di un abbassamento di pressione o
non saprei cosa.
Lo
sconosciuto stringeva fra le mani la sua maschera, rigirandosela
premurosamente fra le dita.
- Ho avuto
sfiga.
Brian alzò
lo sguardo ancora un po' appannato in direzione del compagno.
- Scusa?
Dall'espressione
che aveva in quell'istante era facile intuire che il ragazzo non
intendesse esattamente esprimere il concetto ad alta voce; un po'
imbarazzato, disse: - Diciamo che quando mi sei caduto fra le braccia
non potevo credere alla fortuna che stavo avendo, ed invece...
Brian
registrò il messaggio prontamente, nonostante fosse ancora
ben poco
lucido.
Sorridendo,
rassicurò il suo soccorritore in tono sarcastico: - La notte
è
lunga... Sei ancora in tempo per una scopata a buon mercato.
Il ragazzino
non sembrò offendersi: - Non pensavo che fossi a buon
mercato, in
realtà... Per questo non potevo crederci.
Subito dopo
esclamò: - Vuoi qualcosa da bere, comunque? Intendo, un
bicchiere
d'acqua oppure... -
- Ci penso
da solo, grazie. - replicò gelido Brian mentre cercava di
mettere
entrambi i piedi giù dal divano e addirittura di alzarsi.
Il suo corpo
non aveva intenzione di collaborare, evidentemente, e lo costrinse a
piombare di nuovo contro lo schienale del sofa.
- Sei ancora
frastornato... - fu l'arguto commento dello sconosciuto.
- Ma
davvero? Tu mi leggi dentro, come fai? - borbottò Brian,
seccato.
Doveva
assolutamente tornare di là, da Stef e dalla sua camicia.
Il suo
soccorritore ridacchiò sommessamente.
- Sei
proprio come ti descrivono.
- Cosa?
Il ragazzino
lo ignorò, sempre con quello stupido, cortese sorriso
stampato sul
volto.
Aveva gli
incisivi superiori più accavallati di sempre,
notò Brian.
- Siediti...
Prendi un tè, c'è la macchinetta qui fuori.
- Voglio
uscire da questo posto.
- Per andare
dove? Non ti reggi in piedi!
- Senti,
vuoi renderti davvero utile? Allora chiamami un taxi... Voglio andare
a dormire.
- Posso
accompagnarti io, ho la macchina.
Ah, quindi
il ragazzino era quantomeno maggiorenne. Che sorpresa.
Sospettoso,
Brian ci tenne a precisare: - Chiariamoci, mhm? Una sveltina in
macchina è l'ultima cosa che mi occorre, ora come ora,
quindi...
- Ehi,
rilassati! Sono incensurato, sobrio e peso poco più di una
cinquantina di chili... Sono innocuo.
Non aveva
tutti i torti, anzi.
Brian lo
squadrò da cima a fondo, prima di alzare le spalle con aria
indifferente.
- Tanto, se
mi metti le mani addosso un modo di strapparti un testicolo lo trovo.
- … questo
è lo spirito giusto.
Durante il
viaggio, Brian rischiò più volte di
addormentarsi. Era stanco, ed
il modo in cui i movimenti dell'auto lo cullavano era semplicemente
irresistibile.
Si sentiva
stranamente tranquillo, quasi fuori dalla realtà, come se
quel
tragitto in macchina facesse parte di un sogno un po' noioso.
La voce del
suo improvvisato chaffeur lo risvegliò da quel bizzarro
stato di
quiete.
- Ti ho
mentito, prima.
Brian si
voltò verso il ragazzino, aspettando che si spiegasse senza
avere la
forza di fare alcuna domanda.
- Non sono
incensurato. Cioè, sì, però... Anni fa
ho rubato una macchina. Non
sono stato denunciato perché il tipo ha preferito minacciare
di
bruciare casa mia con i miei cari dentro piuttosto che aspettare
l'intervento delle forze dell'ordine, quindi...
Brian alzò
le sopracciglia in maniera piuttosto drammatica, prima di scoppiare a
ridere.
- … questo
è decisamente un insolito avvio di conversazione.
- Lo so...
Non ci so fare, con queste cose. Di solito dopo un paio di cocktail
sono più sciolto. - ammise il ragazzo, e a Brian
sembrò di vederlo
arrossire.
Quando gli
dedicò una brevissima occhiata e notò che il suo
passeggero lo
stava fissando con aria assorta, arrossì senza ombra di
dubbio.
- Vorrà
dire che te ne offrirò uno, prima o poi.
Le mani del
ragazzo si contrassero attorno al volante, e Brian pensò che
probabilmente non era il caso di proporsi così a tradimento
se ci
teneva a non mandare l'auto a sbattere da qualche parte.
D'altronde,
il tipetto neanche gli piaceva.
… non
gli
piaceva, no?
Arrivarono
all'hotel cinque minuti più tardi.
Il ragazzo
spense il motore, e posò pesantemente le mani sulle cosce.
- Bene,
siamo arrivati.
- Mhm... -
mugolò Brian, sganciando la cintura e stiracchiandosi. -
… ok,
grazie dello strappo e...
- Dicevi sul
serio? Voglio dire... Sul cocktail? - lo interruppe tutto d'un fiato
il ragazzino, guardandolo negli occhi.
Com'è
carino, si ritrovò a pensare Brian - è talmente
timido che ad un
certo punto finisce per diventare un temerario.
Gli venne
voglia di stuzzicarlo un po'.
- Be', il
bar dell'hotel è chiuso e di certo non ti farò
salire in camera mia
per bere qualcosa...
- … oh.
A quel
punto, Brian decise simultaneamente di avere troppo sonno per
flirtare e che quel ragazzo non era semplicemente carino, era fin
troppo carino per i suoi gusti e quindi sì, gli
piaceva eccome.
- Comunque
un giorno dovrò pur restituirti il maglione, quindi... Hai
una
penna?
Aveva anche
dei polsi adorabili, sottili e ossuti e pallidi.
Brian gli
ornò il sinistro con il suo numero di telefono, ed il suo
nome;
quando si rese conto di non conoscere quello del ragazzino, la
macchina era già ripartita.
Oh, be',
gliel'avrebbe chiesto la prossima volta, si disse entrando in hotel.
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