The Dark Rose.

di Ary_S
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Piango.
Sì, un’altra volta.
È l’unica cosa che so fare bene.
Oltre a dilettarmi nel comporre poesie abbastanza deprimenti.
Almeno era quello che pensavo fino a quando non ho tradito i miei amici, e ho capito, tra un singhiozzo e un altro, che nell’essere una carogna ero piuttosto portato.
Premo con così tanta forza il cuscino sul mio viso che quasi mi manca il respiro. Come se la dolcezza del tessuto sulla mia pelle potesse tamponare le mie lacrime.
Persino Ragnarok si è stufato di me e ora si sta facendo un pisolino all’interno delle mie vene.
“ Si dev’essere sporcato tutto” mi rendo conto pensando a quel povero cuscino che stritolo tra le mie braccia, forse fin troppo esili.
Il dolore al naso provocato dal pugno della mia Arma non cessa. Il sangue fortunatamente ha smesso di colare e adesso si sta raffreddando sulla stoffa bianca e morbida. Non avevo chiesto a Ragnarok di interrompere il flusso indurendo il sangue, perché ero troppo impegnato a frignare come un idiota e a odiarmi. Ma anche se lo avessi pregato di farlo, come minimo mi avrebbe dato altri pugni inventandosi nuovi tipi di insulti apposta per me.
“ Non mi merito questo”.
Nella mia mente da sempre lambita dalle fiamme si fanno strada immagini di risate, abbracci e sorrisi.
Una mano protesa verso di me.
Due occhi verdi che brillano nell’oscurità e mi riempiono di una luce che non ho mai visto.
Affondo la faccia nel guanciale e desidero con tutto me stesso di soffocare, di scomparire, di crepare subito perché è questo quello che mi merito, e in fondo non chiedo altro.
Una voce gutturale e maliziosa avvolge la cella in cui mi trovo. Quel suono lugubre si insinua nelle crepe del muro di pietra, e anche della mia anima.
La Luna ride sempre quando succede qualcosa.
Qualcosa di brutto.
Ogni volta che eseguivo una missione per mia madre la sua risata sadica si univa a quell’orchestra composta da urla disperate, il suono di una lama che fende l’aria e la carne, il plic plic del sangue che sgocciola.
 Allora guardavo in alto e il suo ghigno mi teneva compagnia, quasi mi confortava. Voleva dire che avevo saputo bene come comportarmi e che il mio lavoro non era stato inutile.
Allora digrignava i denti e il sangue che filtrava dalla sua bocca colava sulla terra, inondandomi in un bagno caldo e viscido che aveva il sapore della morte.
Mi sentivo quasi felice in quei momenti per quanto, mi rendo conto adesso, avessi una distorta e assurda percezione di cosa fosse davvero la felicità.
Adesso, se penso al suo sorriso sghembo penso a quante persone ho contribuito a fare soffrire. Tutto il male che ho fatto.
E che sto facendo anche adesso, alle persone che più amo.
Piangerà Maka quando questa pugnalata alle spalle raggiungerà il suo cuore?




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