Beyond the world, to the end of time
Piove.
L’acqua
cade impetuosa dalle nuvole scure, riversandosi su di me e su tutto ciò che mi
circonda.
Le
gocce scorrono sul mio viso, scendendo dai capelli ormai fradici e flosci; si
fanno assorbire dagli abiti, o scivolano via sulla pelle del mio giubbotto,
silenziose e irriverenti.
Il
mio sguardo cerca di penetrare quella fitta cascata di pioggia, e riesce a
scorgere il profilo di una casa diroccata.
Faccio
esitante qualche passo, avvicinandomi a quella che una volta era la porta d’ingresso
di una graziosa villetta, e che ora è solo un pezzo di legno divelto dai
cardini. La supero, calpestando tremante e incerto le macerie dell’edificio. E
in breve mi trovo di fronte a quella che una volta era una camera da letto …
La
tua camera …
Nonostante
questa casa non sia ormai più che un cumulo di rovine, riesco ancora ad
orientarmi e trovare la stanza che una volta ti apparteneva.
È
irriconoscibile, ormai; non c’è più nulla, qui, se non macerie e un freddo che
penetra fin dentro la mia anima.
Mi
stringo inutilmente nel giubbotto, mentre i miei occhi vagano su ciò che è
rimasto del tuo letto, della tua scrivania, del tuo guardaroba …
Mi
ricordo perfettamente com’era questa stanza poco meno di un anno fa, quando
ancora non era successo nulla, quando la nostra casa era ancora in piedi,
quando quello stupido terremoto non ci aveva ancora raggiunti.
Ricordo
la tua chitarra appoggiata nell’angolo là in fondo, come una statua da
venerare. Ricordo i fogli con gli accordi sparsi disordinatamente sul letto,
sulla scrivania e sul pavimento. Ricordo le lattine di coca-cola e le cartine
delle merendine ammucchiate attorno al cestino, che non avevi mai voglia di
svuotare. Ricordo l’anta dell’armadio sempre un po’ aperta, che lasciava
intravedere le maglie oversize e i jeans della stessa misura gettati lì dentro
alla rinfusa, o ripiegati e messi in ordine da nostra madre - non sia mai che tu ti abbassassi a
queste “faccende da donne”!
Ricordo
la bacheca appesa al muro sopra il tuo letto, con tutte le foto, le cartoline,
i post-it attaccati, tutti quei ricordi di cui non volevi fare a meno, che
componevi scrupolosamente scegliendo le puntine dei colori che preferivi. C’erano
anche foto di noi due, affisse su quel riquadro di legno. Io e te in braccio a
papà da piccoli, io e te a braccetto alle elementari, io e te che facevamo le
smorfie guardando nell’obiettivo di una cabina per le foto istantanee, io e te
che facevamo la lotta, ignari di essere immortalati da nostra madre, io e te in
tour, io e te che suonavamo e cantavamo, io e te … sempre io e te …
Fino
ad ora …
Ora
ci sono solo più io, a fissare quel vuoto dove una volta c’erano quelle foto. A
fissare il pavimento dove si scorgono pezzi di legno e di immagini sbiadite e
stracciate, che non ho la forza di andare a sollevare, ripulire e osservare.
E
ancora mi ricordo di te, te che venivi a svegliarmi all’ora di pranzo
quando eravamo in vacanza; che saltavi sul mio letto urlando, per spaventarmi;
che scansavi ridendo la cuscinata che ti spettava; che fermavi la mia furia con
un sorriso e ricordandomi che sotto mi aspettava un bel piatto di pasta solo
per me - ma che poi finivo con il
condividere con te, che sembravi sempre ritenere che il ragù nel mio piatto
fosse più buono del tuo.
Mi
ricordo di quelle notti d’estate afose in cui io non riuscivo a dormire per il
caldo, e allora venivo qui, nella tua stanza, e tu mi facevi spazio sul tuo
letto e rimanevamo seduti a chiacchierare fino alle prime ore del mattino,
crollando poi addormentati uno accanto all’altro.
E
ancora immagini di te, il giorno che sei tornato a casa sfoderando i tuoi nuovi
rasta, vantandotene così tanto che alla fine anch’io sono corso a farmi un
nuovo taglio.
Poi
tu, che ti ubriachi per la prima volta e sono io a doverti sostenere e coprire
con la mamma.
E
tu che sorridi, tu che giochi con il tuo piercing al labbro, tu che ti sistemi
il cappellino, tu che parli sciolto di fronte alle telecamere, tu che scherzi,
che ridi, che ti diverti …
Non
ho immagini di te triste. Ci sono stati un paio di momenti in cui non riuscivi
a sorridere, ma li hai eliminati subito con la tua forza e la tua energia, e
questo è ciò che mi è rimasto di te: l’immagine di un Tom Kaulitz solare e
spiritoso, ironico e irriverente, allegro e divertente, casinista e squilibrato
… e semplicemente mio fratello.
Per
un istante alzo lo sguardo, combattendo contro la pioggia che ancora si abbatte
su di me, e osservo la mezza luna che risplende pallida nello spazio tra una
nuvola e l’altra. Per un attimo mi sembra di vedere il fantasma del tuo viso
sorridermi da lassù, ma svanisce in un istante, lasciandomi di nuovo solo.
E
allora mi ricordo dell’ultima volta che ti ho visto … ricordo anche quel
giorno, purtroppo, e ogni dettaglio …
Ricordo
di te che stavi sdraiato scompostamente sul letto, la chitarra affianco come
sempre, la punta della matita appoggiata al mento e la tua aria concentrata
mentre fissavi il foglio con i nuovi accordi di fronte a te. Ricordo di averti
lasciato lì, immerso nei tuoi pensieri, per andare in salotto a parlare con
mamma della nostra prossima partenza, che doveva avvenire di lì a pochi giorni.
Ricordo del suo sorriso e dei suoi occhi che mi fissavano come a imprimersi
bene la mia immagine nella mente, perché sapeva che una volta ripartito per
qualche altro tour sarebbero trascorsi mesi prima che fossi riuscito a tornare
a casa. E poi mi ricordo quel tremore improvviso e tremendo, quella scossa che
mi fece perdere l’equilibrio, e l’espressione ansiosa e spaventata di nostra
madre. Ricordo perfettamente il rumore assordante dei piatti e dei bicchieri
che scivolavano dalle credenze e si infrangevano a terra in cucina, a pochi
metri da noi. E infine ricordo una sola parola, un solo nome, perché era quella
l’unica cosa che riuscivo a pensare in quel momento … Tom …
Non
riuscivo a gridare altro nella mia testa, né a mormorare di più con le mie
labbra. E in un attimo ero riuscito a sciogliere quella morsa che sembrava avermi
inchiodato dov’ero e mi stavo lanciando in direzione della tua camera. Ma già
qualche pezzo del soffitto stava crollando, e ricordo la presa salda e
terrorizzata di nostra madre che si serrava attorno alle mie braccia e mi
tratteneva, mi tirava verso l’ingresso, mi costringeva a fuggire da quella casa
che stava inesorabilmente crollando, mentre il terremoto rendeva incerti e
barcollanti i nostri passi. Alla fine riuscì a portarmi in giardino, lontano
abbastanza dall’edificio perchè non rischiassi di venire sepolto dalle macerie
che già si abbattevano a terra. E l’unica cosa che gridavo era il tuo nome,
perché tu eri ancora là dentro, non eri ancora uscito, e io volevo tornare a
prenderti, abbracciarti, e portarti via con me. Ma ormai non ne avevo più la
forza, le gambe tremavano e non mi reggevano in piedi, i singhiozzi che nemmeno
mi ero accorto di produrre, tanto ero schockato, mi scuotevano da capo a piedi,
e mi accasciai sul prato del giardino, stringendomi le braccia al petto,
continuando a chiamarti. E mamma lasciò finalmente la presa su di me, e
cominciando anche lei a gridare il tuo nome tornò verso la casa, nel disperato
tentativo di trovarti e portarti al sicuro come era riuscita a fare con me.
Ma
tu non hai avuto la mia fortuna.
La
casa è crollata del tutto prima ancora che mamma riuscisse a raggiungere di
nuovo l’ingresso.
E
tu eri là dentro, forse abbracciato alla tua chitarra, e magari stavi chiamando
il mio nome proprio come io stavo facendo col tuo … ma io non sono venuto. Io
ero là fuori, abbandonato a terra a piangere a guardare il tetto e le pareti
della nostra casa cadere su di te, senza riuscire a muovere un muscolo, senza
alzarmi e correre in tuo aiuto, senza poterti abbracciare ancora …
E
ora invece sono ancora una volta qui, nel giardino, le lacrime di nuovo a
scorrere sul mio viso, miste alla pioggia dalla quale si distinguono solo per
il loro sapore salato, a fissare ciò che rimane di quel giorno.
A
ricordare.
A
lasciar scorrere il dolore dentro di me.
A
perdere me stesso in esso …
Ma
poi mi basta pensarti per ritrovarmi. Eravamo gemelli … siamo gemelli,
perché tu non sei più qui con me, ma ci sei ancora …
Sei
là, al di là del mondo, alla fine del tempo … dove questa pioggia non può farti
male, dove un giorno correremo insieme, e dove allora nulla potrà trattenermi
da te.
Anche
se ora non sei qui, anche se i Tokio Hotel non esistono più, anche se tutto
sembra perduto … continuerò a correre giorno e notte, combatterò le tempeste,
non mi fermerò mai, te lo prometto … e presto sarò da te. Saremo tu ed io, come
nelle nostre foto … solo tu ed io …
The
end
NdA. Che dire? Mentre l’ispirazione per “Speziell
Ferien” sembra essersi presa una vacanza anche lei lontano da me, impedendomi
di aggiornare quella storia, oggi pomeriggio, mentre ascoltavo Monsoon
osservando la pioggia abbattersi su Torino, l’ispirazione di questa one-shot ha
deciso di venirmi a trovare al posto suo … E così ho passato un’ora e mezza a
scrivere, con Monsoon in sottofondo che si ripeteva all’infinito, dandomi lo
spunto per più frasi e per l’idea in generale! ^^
Non esprimo un giudizio sul
risultato finale, perchè quello sarete voi a dovermelo dare, ma posso dire che
almeno un pochino sono soddisfatta di essere riuscita a tirare fuori qualcosa.
Sarà che era da un po’ che non scrivevo più nulla!
Non chiedetemi come mi sia venuta in
mente la storia del terremoto, e la conseguente morte di Tom … sinceramente non
avrei mai nemmeno pensato che avrei fatto morire uno dei personaggi che amo di
più sulla Terra in una delle mie storie! Però questo è quello che ha inventato
la mia mente alcune ore fa, e così questo è quello che ho scritto.
Bitte, lasciatemi un commentino, se avete letto … sapete quanto
facciano piacere, critiche o apprezzamenti che siano! J
E infine, un bacione a tutte le fan
dei Tokio Hotel, sfegatate come me o meno!
FedyKaulitz
^_*