Ciò che c'è, quel che manca.

di Romanova
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«Scelgo i miei nemici per la loro intelligenza»
O.Wilde
 
Chiuse il libro con un gesto secco, come se non avendo più sotto gli occhi quelle infauste pagine l’effetto sortito da quella frase sulla sua mente cessasse.
L’ha catturata dopo anni di fatiche e ora si sta domandando come mai si ostina non sfiorarla nemmeno con dito: la guarda, la osserva, tenta di capire cosa si celi realmente dietro il gelo dei suoi occhi.
I suoi occhi sono attraversati da un fremito, da una luce particolare che le fa brillare le iridi, quasi sempre opache in sua presenza.
Questo succede quando il suo sguardo si posa su determinati oggetti di cui lui non coglie il nesso, ma che puntualmente provvede a far sparire.
Vuole essere lui, per qualche strano motivo, l’unico oggetto di quegli occhi tanto scuri quanto intelligenti.
Lui che si è sempre ritenuto tanto capace è stato gabbato per tutta la sua esistenza da una bambina, una piccola creatura che col suo cervello  si è fatto beffa di lui e dei suoi desideri.
E’ uscita dalla prigione che ha fatto preparare per lei senza alcun permesso, ne sente i passi piccoli e leggeri.
“Torna nelle tue stanze”.
Violet prosegue il suo cammino.
“Ho bisogno di bere, visto che i tuoi gentilissimi servi non comprendono nemmeno una richiesta elementare come questa” dice con voce fioca per via dell’arsura.
“Siediti” si sente comandare la ragazza, che prontamente obbedisce.
Le iridi della Baudelaire vagano per la stanza, più per abitudine che altro il suo cervello le fa notare che si potrebbe ottenere facilmente un rasoio da dalla lama di un taglierino dimenticato su un mobile e che con molte altre cose in quelle cucine si potrebbero ricavare oggetti utilissimi, come uno spremiagrumi da un cavatappi e una tazza sbeccata.
Si ritrova davanti un bicchiere d’acqua, che beve senza permettersi di fare del sarcasmo su quanto possa effettivamente essere utile quella misera quantità d’acqua ad alleviare la sua sete.
Olaf, dal canto suo, si limita a  domandarsi cosa ci sia di interessante in un taglierino e un cavatappi, o così farebbe di solito per poi eliminare gli aggeggi incriminati.
Geloso?
“Cosa vedi?” sibila sconfitto.
La Baudelaire alza un sopracciglio.
“Cosa diavolo vedi?” cede frustrato il Conte.
 “Un uomo, poco più oltre una sedia, alla sinistra della sedia c’è un mobile scuro, con sopra un taglierino. Oltre al mobile c’è una cucina, sul piano di quella cucina c’è uno spremiagrumi elettrico, un fornello e sotto di esso una lavastoviglie . Alla sinistra della lavastoviglie c’è un lavello, che si innesta proprio accanto al fornello.”
Gli occhi di Olaf brillano d’ira.
“Conosco casa mia, patetica ragazzina!” sputa velenosamente.
La mora sobbalza, forse ha osato troppo.
“Voglio sapere cosa vedi!”ordina imperioso l’uomo.
“Stai facendo la domanda sbagliata” concede la diciottenne, abbassando lo sguardo,stanca.
L’espressione perplessa del suo aguzzino la invita a proseguire.
“Chi inventa non si cura di ciò che c’è, si domanda cosa manca”.
“Cosa manca?”
Violet consegna il suo bicchiere, il suo sguardo si fa nuovamente opaco e spento mentre si alza dal tavolo e fa una cosa per Olaf del tutto incomprensibile.
Gli allaccia intorno al polso un nastro nero, facendogli un fiocco con gesti rapidi e sicuri.
Come se le sue mani, nonostante gli anni di prigionia, non si fossero mai dimenticate di quel pezzo di tessuto che le ha mostrato insieme al suo cervello la chiave di volta per capire le cose del mondo.
“Ecco, ora noti ciò che io noto”.
E che forse è la cosa che le fa più male, l’ammettere che davanti a quell’essere, che lì, con quel demonio...
I piccoli occhi del Conte si sgranano.
“Non...”
Violet punta il suo sguardo in quello di Olaf.
E’ ciò che il malvagio è arrivato a desiderare, bramare.
“Già, anche io” sussurra lei a mezzo centimetro dalle sua labbra, con espressione quasi rassegnata, prima di abbandonarlo così.
“Qui non manca nulla”.




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