Anche
se fa male, non m'importa
Noi
leggiavamo, un giorno, per diletto,
di
Lancialotto come amor lo strinse:
soli
eravamo e sanza alcun sospetto.
Per
più fiate li occhi ci sospinse
quella
lettura, e scolorocci il viso;
ma
solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando
leggemmo il disiato riso
esser
baciato da cotanto amante,
questi,
che mai da me non fia diviso,
la
bocca mia basciò tutto tremante.
Dante
Alighieri, Inferno, V, 127-136
La
bacheca di sughero chiaro con una cornice in noce scuro che
troneggiava sull'unica parete libera, quella accanto alla porta,
aveva attaccato, oltre alle mille foto e ai mille pentagrammi che
Kurt aveva ritagliato da vecchi spartiti ormai imparati a memoria, un
foglio con scritti i piani della settimana, un colore per ogni
giorno.
Il
rosso era dedicato al Venerdì.
Il
rosso era dedicato al Venerdì perché, dalle tre e mezza
alle cinque, Kurt andava da Blaine, la sua ancora in quell'oceano
troppo grande perché il castano lo affrontasse da solo.
All'inizio
era stato particolarmente difficile, per Kurt, metabolizzare l'idea
di avere uno psicologo: era sempre stato in grado di farcela da solo,
era stato destabilizzante per il suo orgoglio doversi abbassare
a chiedere aiuto ad un esterno. Eppure nemmeno il suo orgoglio
sfavillante era stato in grado di tenerlo a galla, dopo la trappola
che gli avevano teso Dave e gli altri giocatori della squadra di
hockey.
E
dire che ci aveva quasi creduto, quando Rick gli aveva detto di
essere diverso dagli altri, che magari con lui avrebbe potuto
confidarsi. Aveva lavorato subdolamente, insinuandosi nella mente di
un Kurt con troppa poca esperienza e troppo bisognoso di un pilastro
nella propria vita campata a castelli in aria. Era stato paurosamente
paziente e forse era stato proprio per questo che Kurt si era fidato
di lui: non pensava minimamente che un giocatore di hockey
annoverabile nella schiera degli omofobi potesse aver così
tanta pazienza con un ragazzo così palesemente gay.
Invece
quello di Rick era solo l'appostamento di una leonessa alla preda
designata: una quantità incalcolabile di tempo passato solo ad
aspettare, per poi sferrare l'attacco e distruggerla senza che
ne rimanesse la più bieca traccia.
Rick
aveva passato mesi su mesi ad affilare lo stiletto di platino e
ruggine con il quale aveva poi sferrato il primo e l'unico colpo, che
aveva trafitto Kurt senza pietà, arrivando quasi a
trafiggergli il cuore.
Perché
quasi?
Perché
il cuore di Kurt aveva una cicatrice marcata, ma non era spezzato, o
meglio, era stato rinsaldato. Lo stiletto l'aveva ferito, scheggiato,
tagliato e graffiato, ma non spezzato. Non completamente, almeno.
Proprio
quanto stava per cadere nel baratro, le braccia forti di suo padre
l'avevano riacchiappato per il colletto di una delle sue tante
camicie firmate, forse strappando qualche bottone, e l'avevano
portato da uno psicologo.
Il
viaggio in macchina era stato terribile.
“Io
non ci parlo con quello.”
“È
per il tuo bene, Kurt.”
Kurt
era rimasto in silenzio, caricando l'aria di una tensione intrisa di
parole non dette.
La
targhetta d'ottone dorato recava Dr. Blaine D. Anderson inciso,
ed era ben lucidata. Sicuramente, questo giocava a favore dello
psicologo, ma ci sarebbe voluto ben altro per conquistare il ragazzo.
Una volta trovatosi, però, davanti a due occhi dello stesso
colore della targhetta e ad uno sguardo dolce, era stato un po' più
facile respirare.
Blaine
era un bell'uomo sui trent'anni – o forse ne aveva ventinove?
Ventotto? –, laureato da poco e alle prime armi, ma sembrava
ottenere ottimi risultati nel suo campo, e Burt l'aveva scelto anche
perché aveva pensato che suo figlio si sarebbe difficilmente
aperto con una persona che avesse una gran differenza d'età
con lui.
Al
terzo incontro, Kurt aveva buttato giù il muro che aveva lui
stesso innalzato, mettendo a nudo la verità: era gay e, se il
dottore avesse avuto qualche problema con questo, le sedute sarebbero
potute benissimo finire lì. Di certo, non si aspettava che
Anderson distendesse la bocca in un sorriso quasi accecante,
rispondendogli di averlo capito da quando l'aveva visto, dal momento
che il suo radar gliel'aveva suggerito.
Il
cuore di Kurt aveva fatto una capriola: il suo psicologo stava
cercando di fargli capire che era gay anche lui? Non aveva resistito,
gliel'aveva chiesto a parole dirette e il risultato era stato un
altro sorriso e un dolce cenno d'assenso col capo.
“Ma
questo non cambierà nulla. Saresti anche potuto essere etero,
oppure lo sarei potuto essere io, o addirittura avremmo potuto
esserlo entrambi; saresti comunque rimasto Kurt Hummel, un
diciassettenne sull'orlo del baratro.” aveva detto il dottor
Anderson.
Sentirlo
pronunciare quelle ultime tre parole era stato devastante, perché
Kurt aveva, in un certo modo, sempre fatto finta che tutto quanto non
stesse succedendo davvero. Era stato un po' come respirare ammoniaca:
una scarica di dolore tra le ossa del cranio, qualcosa che si
squaglia come una pasta modellata troppo a lungo che cola lungo il
marmo nero sul quale la si è lavorata.
Kurt
non era stato in grado di trattenere le lacrime, anche se queste
erano solo una manciata. Anderson, guardandolo, si era rivisto in
quegli occhi persi in un buio che non era nemmeno lontanamente blu,
ma che virava decisamente verso il nero, magari con qualche sfumatura
di grigio.
Kurt
Hummel viveva in un mondo in bianco e nero, lo stesso che lui aveva
attraversato per pochi giorni, anni prima.
Due
settimane dopo, Kurt aveva iniziato a dargli del tu, ovviamente su
sua insistenza. Avevano iniziato a parlarsi quasi come se fossero
amici, più che psicologo e paziente. Blaine era contento di
dare a Kurt un'occasione di sfogo, Kurt d'altra parte si stava
finalmente liberando di tutti quei pesi che si portava appresso.
Quel
Venerdì sarebbe stato il decimo incontro dalla prima volta che
si erano visti, e le mani di Kurt accarezzavano nervosamente il
volante della vecchia Ford che stava guidando. Ormai, gli incontri
con Blaine erano diventati un modo per respirare.
“Sei
in anticipo.” sorrise Blaine, quando lo vide entrare nel suo
studio alle tre e ventisei.
“Quattro
minuti in più non mi faranno male, non pensi?” sorrise
di rimando Kurt, liberandosi del piumino nero e lungo con una
striscia di pelliccia chiara sul cappuccio.
L'uomo
lo guardò negli occhi per pochi attimi, studiandone ogni
sfumatura. Dopo dieci settimane lo conosceva abbastanza bene da poter
dire che quel sorriso era tirato e simulato.
Si
accomodò sulla poltrona e gli fece cenno di mettersi sul
divanetto accanto. Kurt si accoccolò contro il bracciolo più
lontano da Blaine, unendo i pugni a coprire le labbra e raccogliendo
le ginocchia al petto. A Blaine sembrò così piccolo.
“Non
fingere.” disse soltanto.
Kurt
tirò immediatamente su col naso.
“Rick
ha iniziato a frequentare il mio stesso corso di chimica. La
professoressa me l'ha messo come compagno di banco perché ero
l'unico che non ne aveva uno.”
Buttò
tutto fuori immediatamente, senza riservarsi dal tremare.
“È
terribile, Blaine.” pigolò, portandosi i polpastrelli
alle palpebre.
“Non
perde occasione per minacciarmi. Ieri ho rovesciato un becker con un
po' d'acqua dentro e mi ha detto che, se succederà ancora, mi
chiuderà in uno sgabuzzino con Karofsky. Di nuovo.”
Il
petto del giovane sussultò e Blaine si sentì
improvvisamente impotente.
Quel
giorno, fecero un passo avanti, perché il più grande si
sedette accanto a lui, sul divanetto sul quale Kurt non si era mai
sdraiato del tutto, ed allungò titubante un braccio, fino a
toccare con i polpastrelli il polso destro del ragazzo, che sobbalzò.
Kurt
non si era mai fatto toccare da lui, realizzò Blaine in un
istante. Rabbrividì, ponderando quanto scarsa fosse la fiducia
che il castano dava al contatto fisico.
Questi,
però, lo stupì, abbassando le braccia e mettendo
completamente in mostra i suoi occhi umidi. Pochi secondi dopo, Kurt
allungò le braccia verso Blaine, quasi pregandolo per un
abbraccio; portò le gambe giù dal divano e lo guardò
con quel suo sguardo spento. Il moro lo circondò con le
braccia con così tanta paura di stringere che non lo fece
neanche; Kurt, dal canto suo, appoggiò la testa sul petto
dell'altro, sciogliendosi in lacrime.
Blaine
continuava a sussurrargli qualche tranquillo, timoroso
addirittura di toccargli i capelli con la guancia.
Passarono
il resto del tempo in quella posizione, mentre Kurt parlava e Blaine
ascoltava, analizzava e consigliava.
Quella
fu, per lungo tempo, l'emozione più forte che Kurt ricordasse
di aver provato.
La
settimana seguente, Kurt arrivò puntuale, si sedette sul
divanetto e parlò, come sempre. L'unica cosa diversa fu il
fatto che sostenne lo sguardo di Blaine, che, dopo un'ora passata ad
ascoltarlo, si alzò e si diresse verso la libreria che teneva
dietro la scrivania scura.
Puntò
gli occhi sul quarto scaffale e prese a scrutare i libri, fino a che
non sorrise, tirandone fuori uno con la copertina bordeaux.
“Vuoi
un the? Avevo pensato che potremmo... non so, leggere un po'. Per
staccarci un attimo da tutti i problemi che abbiamo.” suggerì.
Kurt
rimase fermo per qualche manciata di secondi.
Blaine
aveva usato il plurale e
non l'aveva mai fatto prima. Il castano trattenne il respiro per un
momento. E gli aveva proposto di leggere, un'attività che
ormai quasi nessuno faceva più. In un mondo dove cellulari e
computer avevano ormai preso il sopravvento, quell'uomo dagli occhi
gentili che gli stava chiedendo di leggere
insieme era una vera e propria mosca bianca.
Una
mosca bianca bellissima,
puntualizzò Kurt nella sua mente.
“Senza né latte né
limone, magari con un cucchiaino e mezzo di zucchero.” rispose.
Le labbra di Blaine si distesero in
un sorriso dolcissimo, mentre prendeva due tazze da una vetrinetta lì
accanto.
“Come desidera.”
scherzò.
Portò le tazze alla
segretaria che presiedeva il bancone chiaro all'entrata dello studio,
chiedendole se, per cortesia, le avrebbe potute riempire di the
caldo. La donna assentì e Blaine tornò nello studio,
accendendo anche uno stereo con un cd di musica d'atmosfera.
“Cosa leggiamo?”
domandò Kurt.
“Pensavo a qualcosa di
maledettamente coinvolgente. Qualcosa che ci faccia dimenticare il
mondo mentre scorrono le pagine.
Kurt sorrise.
“Avrei
scelto I pilastri della
terra, beh, io l'ho
trovato coinvolgente. Da morire.”
Il ragazzo guardò il libro
con attenzione. Era ben rilegato e la copertina in pelle rossa scura
recava il titolo in lettere dorate: senza dubbio, Blaine amava quel
romanzo, tanto da comprarsi un'edizione speciale. La cosa che
preoccupava Kurt, però, era il numero delle pagine: e se
Blaine si fosse accorto che erano troppe? E se avesse deciso di non
leggere proprio niente, visto che tutti i suoi libri erano
lunghissimi?
Il numero delle pagine non era un
problema, per Kurt, ma lo era la paura di dover interrompere la
terapia o la lettura, più avanti nel tempo.
“Avrà mille pagine,
Blaine! Uno più corto?” domandò, con la speranza
che l'uomo gli rispondesse che il numero delle pagine non aveva
importanza.
“Più è lungo,
più sarai costretto a tornare qui per sapere come va avanti.
Non pensi sia bello? Ha precisamente mille e trenta pagine. Potresti
venire qui anche più spesso, se vuoi, ma ci terrei che tu-
cioè, che noi- che il libro venisse letto.” rispose
l'uomo, con somma felicità di Kurt.
“Penso che vada benissimo. Ne
hai due copie?” chiese, pensando di dover leggere con gli
occhi, magari seduto vicino al dottore.
“In realtà, speravo
potessi leggerti io. Ad alta voce. Cioè- uhm, non so se mi
spiego.”
Kurt
studiò il viso dell'uomo che aveva davanti. Era adorabile
all'ennesima potenza.
“Perché no?”
Si
stese sul lettino – stese,
notò Blaine: Kurt, fino a quel giorno, non si era mai steso –
e chiuse gli occhi, mentre la musica continuava a suonare.
Sentì il rumore familiare di
due tazze portate su un vassoio e riaprì le palpebre appena in
tempo per vedere Blaine che gliene porgeva una.
“Un cucchiaino e mezzo di
zucchero. Come vuoi tu.” gli disse, dolcemente.
Il ragazzo prese la tazza calda che
il dottore gli stava porgendo e se la portò alle labbra: un
sorso e tutto quell'oceano di problemi che risiedeva nel suo corpo si
era fatto momentaneamente da parte. Poi Blaine iniziò a
parlare e Kurt affogò in quella voce calda.
“[...]
Lo stato d'animo della folla era strano. Di solito ci si divertiva a
un'impiccagione. Il condannato era quasi sempre un ladro, e tutti
odiavano i ladri con l'accanimento di coloro che
hanno guadagnato con grande fatica ciò che possiedono. Ma
questo era un caso diverso. Nessuno
sapeva chi fosse il ladro o da dove venisse. Non li aveva derubati,
aveva commesso un
furto in un monastero lontano venti miglia. E aveva rubato un calice
ingemmato, un oggetto dal valore così ingente che sarebbe
stato impossibile venderlo... e non era come rubare un prosciutto o
un coltello nuovo o una bella cintura, la cui perdita danneggiava
qualcuno. Non si poteva odiare un uomo per un reato così
futile. [...]”
Il giovane Hummel ascoltò
rapito Blaine che leggeva per la mezz'ora successiva. Alle cinque,
però, fu il momento di andarsene e, mentre si rinfilava il
piumino nero, Kurt aveva una luce diversa negli occhi.
Una volta che il ragazzo uscì
dallo studio di Anderson, dopo aver deciso, insieme al dottore, di
vedersi due volte a settimana e non più una, questi si
accasciò sulla poltrona con un sorriso stanco e strabiliante,
riflettendo, mentre attendeva il paziente successivo, che sembrava
ritardare.
Forse il suo rapporto con Kurt
andava oltre il classico rapporto paziente-dottore.
Dodici incontri dopo, Jack non era
più un bambino scheletrico di undici anni, Aliena era
diventata una ragazza dalla bellezza accecante e Tom stava finalmente
progettando la cattedrale di Kingsbridge.
Il terzo capitolo della parte
seconda fu terribile, per Kurt, sin dall'incipit.
“William Hamleigh non
riuscì a frenare l'eccitazione quando giunse in vista di
Earlscastle.” lesse Blaine, e il castano vide tutto nero,
per un attimo.
Il dottore aveva temuto che, a quel
punto del libro, Kurt avrebbe avuto una ricaduta. Anche se non era
mai stato violentato, aveva subito una violenza psicologica, che, sì,
non si avvicinava nemmeno lontanamente ad uno stupro, ma sempre di
violenza si trattava.
Andò comunque avanti a
leggere.
“William si calò
sopra il suo corpo: stava immobile, tesa, a occhi chiusi. Era madida
di sudore, ma rabbrividiva. William assestò la propria posiz-”
“Possiamo saltare questa
parte?” domandò, con voce incrinata, Kurt.
Non era la prima scena di sesso in
cui s'imbattevano nel corso del libro, ma questa, beh, era diversa.
Qui una bella, giovane e, soprattutto, vergine Aliena stava
per venir presa da William Hamleigh, una sottospecie di bullo
medioevale, senza che lo volesse. Con la forza.
Kurt non ce l'avrebbe fatta ad
arrivare alla fine del capitolo, ne era sicuro.
“Penso tu possa farcela,
Kurt.” sospirò Blaine, appoggiando la mano sinistra
sulla spalla del ragazzo.
“No. Non posso.”
replicò, con le lacrime agli occhi, l'altro.
“Kurt, I pilastri della
terra l'abbiamo letto in tantissimi. È un best-seller.
Tutti siamo passati per lo stupro di Aliena, e siamo ancora tutti
vivi. Le cose vanno a finire bene, Kurt, Aliena si riprende.
Guardami.” gli prese il mento fra l'indice e il pollice.
“Kurt, si esce da tutto. Si
esce da tutto, ricordatelo. Non importa quanto sia profondo il
burrone o quanto sia scura l'aria, se ne può uscire.”
Forse era stato troppo, o forse la
situazione emotiva di Kurt era troppo fragile; fatto sta che il corpo
del più piccolo iniziò a venir scosso da forti
singhiozzi, mentre questi scoppiava a piangere, chinando il capo per
accoglierlo fra i palmi.
“Perché non mi dici
cos'è successo?” chiese il dottore, accarezzandogli la
spalla delicatamente.
Kurt continuava a piangere, senza
parlare. Una volta che alzò gli occhi, Blaine quasi vi annegò
dentro.
“Ti ricordi David Karofsky?”
iniziò.
Anderson annuì lentamente.
Cosa aveva fatto quel bastardo a Kurt?
“Mi ha baciato.” sparò
tutto d'un fiato il ragazzo, per poi rimettersi a piangere.
E Blaine non vi capì più
nulla. Quello che sentiva non era una furia assassina verso un bullo
omofobo e represso che aveva dato un bacio al suo paziente preferito
(che, poi, era ancora opportuno definire Kurt un semplice paziente?),
ma era una terribile sensazione d'impotenza. La stessa che aveva
provato qualche settimana prima, quando aveva saputo che Rick aveva
ricominciato a minacciare Kurt.
“Era... voglio dire, è
stato il tuo... avevi mai...” balbettò il moro, cercando
di essere il più delicato possibile.
“No, Blaine. Nessuno mi aveva
mai baciato. E sì, era il mio primo bacio.” ammise Kurt,
e la sensazione d'impotenza di Blaine aumentò fino a sfiorare
il massimo della sopportazione.
Lo psicologo rimase colpito da un
pensiero, che gli si stampò nella mente nemmeno vi fosse stato
inciso a lettere corrose: Kurt e Aliena si erano ritrovati privati
di una prima volta importante con la forza.
Kurt non voleva che lui gli
leggesse quella parte perché aveva fin troppa paura di
ritrovarcisi dentro.
Allo stesso tempo, però, era
necessario che Blaine gli leggesse quel capitolo: doveva pur
sempre insegnare a Kurt ad affrontare le proprie paure, aggirarle non
era il modo giusto di andare avanti.
“Kurt, dobbiamo leggere
questa parte. Devi affrontare te stesso e David, ma prima di tutto
queste pagine. Provaci, almeno.” gli spiegò.
“Non ci riuscirò.”
“Sì, invece. È
necessario.” replicò Blaine, con voce più ferma.
Kurt si arrese e si raggomitolò,
tremando più forte ad ogni parola che esplicitasse di più
quanto William stesse ferendo Aliena.
Allo scadere di pagina 351, il
castano piangeva senza vergogna, ma perlomeno era riuscito a superare
quello che gli era sembrato il capitolo più rude dell'intera
storia.
Blaine lo guardò da dietro
una coltre di lacrime: pur avendo già letto quel libro un paio
di volte, quella scena era sempre un colpo al cuore.
“Kurt, devi affrontarlo.”
sentenziò.
“Affrontare chi?”
domandò, con la voce spezzata, il ragazzo.
“David.”
Lo sguardo di Kurt si fece ancora
più perso.
“No, Blaine. Non posso.”
L'uomo si sedette sul divanetto,
allora libero per metà poiché Kurt si era raggomitolato
in un angolo, e appoggiò gli occhi sulla carnagione candida
del più giovane.
“Sì che puoi. Come
Aliena si ribella a William, tu puoi ribellarti a lui.”
Portò una mano ad
accarezzargli la tibia.
Kurt rimase fermo a godersi le
coccole di Blaine.
Blaine, dal canto suo, mentre lo
accarezzava, si stava facendo molte domande, la cui più
bisognosa di una risposta era come posso essermi preso una cotta
per un mio paziente che ha undici anni meno di me?
Pagina 592, secondo paragrafo.
La prima frase era La domenica
seguente, Jack sparì, e mentre Blaine la leggeva, Kurt
trasalì. Era legato ad Aliena per via della forte somiglianza
che aveva con lei, ma il suo personaggio preferito era indubbiamente
Jack. Temeva che gli fosse successo qualcosa, ma sorrise quando
Blaine lesse che anche Aliena provava la sua stessa ansia. Mentre lei
correva al mulino, Kurt fremeva d'aspettativa: non sapeva cosa
aspettarsi, sperava però in un incontro fra i due che fosse
molto dolce.
Mai speranza fu più
rispettata dal correre degli eventi: qualche riga dopo, Jack ed
Aliena si stavano baciando con passione e, oh, il più piccolo
si ritrovò a fissare le labbra di Anderson, mentre questi
leggeva.
Erano piene e ben disegnate, Kurt
non se n'era mai accorto. In un lampo di pazzia, pensò al
sapore che avrebbero potuto avere. La sua mente passò in
rassegna una gamma di sapori possibili, alcuni plausibili ed altri
piuttosto improbabili, come il sapore di primavera. La
primavera sa di qualcosa?
Rimase fermo, in silenzio, ad
ascoltare quel fiume di parole che era la descrizione più
bella di un bacio che avesse mai sentito.
Tremò visibilmente quando
Blaine lesse quell'era inorridita al pensiero di ciò che
avevano fatto... si erano baciati e toccati come una puttana e un
ubriaco in birreria!, perché era un romantico, e certe
parole non si addicevano, secondo la sua modesta opinione, al
concetto di bacio.
Quando finì il capitolo,
Kurt salutò il dottore e, indossata la giacca leggera –
la bella stagione si stava finalmente avvicinando –, uscì
dallo studio.
Blaine si passò velocemente
le mani fra i capelli, massaggiandosi il capo.
Durante la lettura, si era trovato
a domandarsi più e più volte come sarebbe stato baciare
Kurt. Chiuse gli occhi e lasciò che il pensiero vagasse.
Nelle sue fantasie, la scena era
molto simile alla scena fra Harry e Margaret di Notte sull'acqua,
l'ennesimo capolavoro di Follett che lui aveva letto e riletto fino
allo sfinimento.
Nella sua mente, Lui provava a
baciare Kurt, che si ritirava, titubante, per qualche secondo, per
poi tuffarsi fra le sue braccia. Il bacio era dolce, lento e
calibrato, le labbra is sfioravano con dolcezza, prima che si
passasse a qualche morso e poi, chissà, anche a qualche
leccatina.
Quella fu la prima volta che Blaine
non interruppe il flusso di immagini che gli attraversavano la mente,
ma solo perché troppo crogiolato nel piacere effimero che quel
flusso gli stava dando.
“«Aliena!»
disse Jack. «Vieni nel chiostro! Là saremo al sicuro!»
«Non posso!» gridò lei. «La mia lana!»”
A pagina 627, nel pieno della
quinta sezione del decimo capitolo della terza parte del romanzo,
Kingsbridge stava bruciando per mano di William Hamleigh.
Kurt strabuzzò gli occhi
quando Blaine lesse di Aliena che, incurante del fuoco, cercava di
salvare la lana. Li sgranò ancora di più quando sentì
Blaine raccontare di Hamleigh che gettava la torcia fra i sacchi,
dando alle fiamme tutti gli averi della giovane.
“Blaine, posso farti una
domanda?” chiese, dopo che Anderson finì il paragrafo.
“Ovviamente.” gli
sorrise lui.
“Aliena dovrà patire
ancora molto?” scandì, con voce rotta.
Blaine sospirò.
“Purtroppo sì. La
figura di Aliena è molto travagliata, ma è anche una
delle più forti del libro.” spiegò.
Kurt si lasciò sfuggire un
sospiro affranto.
“Succede qualcosa?” gli
chiese Blaine.
“No, nulla. È solo che
io ed Aliena ci assomigliamo, quindi... Beh, quanto ancora dovrò
soffrire, prima di trovare un senso alla mia vita?” rispose,
con voce tenue.
All'altro si strinse il cuore.
“Kurt, questo è un
libro. È una storia fittizia, inventata, non vuol dire che
corrisponda alla vita reale di qualcuno.”
“Ma quando arriverà il
mio momento? Sei uno psicologo, cerca anche tu di capirmi: ho bisogno
di qualcuno che mi faccia sorridere così tanto che i lati
della bocca mi facciano male.”
Blaine appoggiò la mano su
quella di Kurt senza pensarci.
“Arriverà.”
Erano passati otto mesi dal giorno
in cui si erano immersi nella lettura de I pilastri della terra,
ed era arrivato il fatidico capitolo. Il preferito di Blaine.
Aliena si stava per sposare con
Alfred, il fratello di Jack, ma questi era appena sgattaiolato
all'interno della casetta dove lei avrebbe dormito quella sera, in
attesa delle nozze, che sarebbero cadute il giorno successivo.
Kurt era attento, aveva capito che
in quel capitolo i due si sarebbero baciati.
Stavano seduti entrambi sul
divanetto, Blaine composto con le gambe accavallate; Kurt in
ginocchio, con le braccia tese e le mani poggiate sul cuscino,
proteso verso l'altro.
“All'improvviso, Aliena
comprese che poteva dirglielo, e si confidò, di slancio. «Mi
presero con la forza» disse.” lesse Blaine, e Kurt
gli si fece più vicino.
Voleva sentire meglio possibile e
voleva guardare, fissare le labbra di Blaine, mentre questi
leggeva.
“Jack chiuse gli occhi.
Era pallidissimo e contratto. Aliena continuò. «E così,
capisci, quando noi due ci siamo baciati, avrei voluto che facessi
l'amore con me; ma questo mi ha fatto ricordare William e il suo
stalliere e i sono sentita sconvolta e spaventata...”
Kurt, ormai, distava da Blaine solo
una decina di centimetri.
“...Perciò sono
scappata via. Perciò sono stata così cattiva con te e
ti ho fatto soffrire. Perdonami.» «Ti perdono»
sussurrò Jack...”
Blaine alzò un attimo lo
sguardo e quello che vide lo colse totalmente di sorpresa.
Kurt era a pochi centimetri da lui,
tanto che poteva sentire il suo respiro lambirgli dolcemente il viso.
“L'attirò vicina, e
lei lasciò che la circondasse di nuovo con le braccia. Era un
conforto. Poi lo sentì rabbrividire. «Ti faccio schifo?»
chiese ansiosamente...”
Kurt tese le braccia ai limiti
dell'impossibile, fino a trovarsi a pochissima distanza da Blaine.
“...Jack la guardò.
«Ti adoro» disse. Chinò la testa e le baciò
la bocca.”
In quel momento, Blaine sospirò
– quella era la sua parte preferita – e distolse lo
sguardo dal testo, volgendosi verso Kurt. Che stava ad una manciata
di millimetri da lui. Che stava sorridendo. Che non aveva bisogno di
parlare, aveva tutto scritto negli occhi color cielo.
A Blaine bastò avvicinarsi
di un nonnulla.
Si baciarono dolcemente, quasi come
nelle fantasie di Blaine. Non c'era altro contatto se non quello fra
le labbra, che restavano immobili, seppur le une sulle altre.
“Non posso. Farà male.
Blaine, io--”
Tutto d'un tratto, Kurt si alzò
e corse fuori dallo studio, lasciando la porta socchiusa e Blaine con
un'espressione a metà fra il disperato e lo scioccato.
Cosa aveva fatto?
Aveva appena perso il suo paziente
preferito?
Aveva appena distrutto la
meravigliosa relazione che si era andata a creare fra di loro?
Si accasciò su se stesso,
compiangendosi.
Non fece però in tempo a
notare che il libro era sparito dalla stanza che sentì una
folata di vento provocato dallo spostamento repentino della porta. Un
attimo dopo, le labbra di Kurt erano di nuovo sulle sue, baciandole
con entusiasmo e devozione.
“Non avevi detto che non
potevi? Che avrebbe fatto male?” mormorò Blaine, così
piano che il castano riuscì a sentirlo per miracolo.
“Ti desidero tanto che,
anche se fa male, non m'importa.” rispose Kurt, mentre
Blaine sorrideva e lo baciava di nuovo, mordendogli il labbro
inferiore e godendosi suoi i sospiri.
Una lacrima scese a tracciare la
linea della guancia del maggiore, quando si rese conto che la frase
era la stessa frase che Aliena avrebbe detto a Jack solo pochi
paragrafi dopo la loro interruzione.
Galeotto
fu il libro e chi lo scrisse:
Quel
giorno più non ne leggemmo avante.
Dante
Alighieri, Inferno, V, 137-138
Uh,
io... Niente. È la terza storia sul fandom, la prima che conti
veramente. Una recensione non mi dispiacerebbe affatto ♥
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