WYA - 1
Dopo
anni – sì, anni – che questa ff candisce nel mio pc,
mi sono decisa a cominciare a postarla. Visto che è praticamente
finita, mi sembrava giusto smetterla di stare a pensarci e passare
all’azione.
Parla dei giorni immediatamente successivi alla battaglia del Dodici
Case e quindi dei sentimenti causati dalle perdite subite. Ritroverete
alcuni dei miei personaggi originali, che chi ha letto altre mie storie
conosce ormai bene, ma non è necessario averle lette,
perché tanto io mi ripeto sempre XD
Che altro, dire, spero che la storia vi piaccia e che siate così magnanimi da lasciare traccia del vostro passaggio.
I personaggi di Saint Seiya appartengono ai loro legittimi autori, non
sono usati a scopo di lucro e questa storia è frutto della mia
fantasia. Le canzoni usate in introduzione dei capitoli saranno
creditate di volta in volta e sempre correlate al contenuto del
capitolo.
Buona lettura!
Sara
- Capitolo 1 -
Se per qualcuno è calato il sipario
E la vita ha detto di no,
Il ricordo consola il mio tempo,
Proprio adesso che tempo non ho...
(L’Eredità – Nomadi)
La pace era una sensazione stranissima. Era un qualcosa di bellissimo e
fragile che ricopriva tutto come una coltre di brina. Sì, una
specie di mattina invernale. Solo che adesso era estate e le battaglie,
le perdite, i peccati, i sogni infranti erano veri. Il dolore era
reale, ma era come se contasse e pesasse meno di quella pace finalmente
raggiunta.
Milo saliva le scale del Santuario in mezzo alla devastazione, ma
sapeva che ora tutto sarebbe stato ricostruito. Gli sbagli erano stati
pagati. Le colpe riscattate. Adesso, ogni cosa sarebbe rinata nelle
mani di Atena, sopravvissuti compresi.
Una cicatrice, in fondo, era il segno che una ferita stava guarendo,
anche se non era facile pensarlo davanti alla vuota e gelida eleganza
della casa di Acquarius, ormai mancante del suo custode.
Milo ancora si chiedeva quale fosse l’errore che aveva portato
alla sconfitta il suo più caro amico. Eccessiva fiducia in
sé? Forse. Sottovalutazione del nemico? Ci era cascato anche lui
con Hyoga. Quello più fatale? Essere stato un maestro tanto
bravo da aver creato un cavaliere più forte di lui.
La risposta a quelle domande non avrebbe comunque alleviato la
sofferenza di aver perso un fratello; c’era una smorfia amara sul
bel viso del cavaliere di Scorpio, mentre passava accanto alle candide
colonne dell'undicesima casa.
Il ghiaccio non si era ancora sciolto del tutto; non era bastata tutta
la notte e parte del giorno successivo, ad avere ragione della vampata
gloriosa e inesorabile di due signori del gelo. Il corpo di Camus era
stato portato nella cripta, ma era come se il suo spirito aleggiasse
ancora tra quelle mura. Milo non ebbe il coraggio di entrare e
proseguì verso il Tempio.
Qualche ora prima gli altri cavalieri d’oro rimasti, mentre
ancora Saori, Seiya e gli altri riposavano, avevano messo su una specie
di assurda assemblea permanente, come se le decisioni dovessero essere
prese per forza nelle successive ventiquattro ore. Dopo un tedio durato
per un tempo approssimativamente infinito, Scorpio era stato preso da
lancinanti dolori un po’ dappertutto; si sentiva come se avesse
degli spilloni infilati nei punti colpiti durante la battaglia contro
Cigno ed avvertì l’immediata necessità di togliersi
l’armatura.
Con un sofferto: “Basta, non ce la faccio più” aveva
abbandonato la riunione, sotto gli sguardi malevoli di Mu e Aldebaran e
le proteste non tanto velate di Ioria.
Era tornato all’ottava casa e per prima cosa si era liberato
delle vestigia ancora incrostate col sangue di Hyoga, poi s’era
tolto tutto il resto e gettato nudo sul letto. Il sonno era stato
immediato e profondo, al risveglio l’orologio segnava le tre del
pomeriggio. Aveva impiegato il tempo successivo per ripulire
l’armatura, quindi farsi una lunga doccia.
Alle cinque e qualche minuto, con addosso una maglia porpora senza
maniche, un paio di jeans sdruciti e le infradito, i capelli ancora
umidi, si era avviato per tornare dai compagni.
Adesso, che era arrivato in cima, si trovava davanti lo sguardo accusatorio di Ioria, che lo fissava torvo, a braccia conserte.
“Che significa?” Domandò il cavaliere di Leo,
indicando con un cenno del capo l’abbigliamento del compagno.
“È in corso un’assemblea dei Cavalieri
e…”
“Senti.” L’interruppe Milo. “Questa assemblea
si può fare tranquillamente in abiti civili, avevo
l’armatura addosso da quasi due giorni, ero pieno di dolori e
stanco, perché se non l’hai capito, qui qualcuno ha
combattuto.” Affermò provocatorio.
“Finché non sarà cessato l’allarme…”
“Ma quale allarme del cazzo!” Sbottò Scorpio.
“Saga è stato sconfitto, Atena è salva, mi spieghi
di quale allarme parli?”
“La smetti d’interrompermi?!” Replicò Leo,
brandendo l’indice. “In questo specifico momento, mentre
Atena riposa, la responsabilità della sicurezza del Santuario
ricade su noi Cavalieri d’Oro, quindi sei pregato di tenere un
atteggiamento degno… e d’indossare l’armatura!”
I due cavalieri si fissavano negl’occhi lanciando lampi
pericolosi, serissimo Ioria, beffardo Milo; Unicorno e Kiki, che li
stavano osservando, erano perplessi.
“Guarda, non me la rimetto neanche se crepi.”
Ribatté provocatorio Scorpio. “Non c’è
pericolo, tu sei paranoico, Ioria.” Aggiunse scuotendo il capo.
“E tu sei un gran paraculo, lascia che te lo dica.”
Dichiarò l’altro, impassibile. “Non puoi pensare
sempre di risolvere le cose con un sorrisetto e due paroline
simpatiche.”
“Ma che cosa c’è da risolvere!” Esclamò
lui allargando le braccia. “Adesso va tutto bene e non ci corre
dietro nessuno!”
“Uhm, certo che questi due non vanno molto d’accordo…” Commentò Kiki rivolto a Jabu.
“Non credevo ci fossero queste lotte intestine tra i Cavalieri
d’Oro…” Replicò lui, meritandosi
un’occhiata seccatissima di Milo e una cupissima di Ioria.
“Adesso basta.” Ordinò pacatamente una dolce voce
alle loro spalle; tutti si voltarono e videro Saori. La ragazza sorrise
e si avvicinò.
“Mia Signora.” Proclamarono all’unisono Scorpio e Leo, inginocchiandosi.
“No, vi prego, alzatevi.” Li supplicò lei; i due
giovani ubbidirono vagamente imbarazzati. “Non è
necessario discutere, sapete?” Riprese quindi la ragazza.
“Avete ragione entrambi: Ioria quando parla di
responsabilità e Milo quando dice che non c’è
pericolo.”
I due cavalieri si scambiarono un’occhiata; Scorpio sorrise soddisfatto ottenendo per risposta una specie di grugnito.
“Sono state ore interminabili, quelle che abbiamo appena passato,
tutti necessitiamo di riposo.” Continuò tranquilla Saori.
“Penseremo a quel che c’è da fare più tardi,
adesso siete liberi da impegno, se avrò bisogno di voi lo
saprete.” Concluse la frase guardando negl’occhi
prima Ioria e poi Milo e loro capirono che la volontà di Atena
li avrebbe comunque raggiunti.
I caldi occhi neri di Saori comunicavano una grande pace, ma, allo
stesso tempo, un’enorme forza; la fanciulla prese loro le mani,
trasmettendogli il calore del suo cosmo ed i cavalieri non poterono
fare altro che sorriderle e sottostare al suo volere. Quando li
lasciò si sentirono come smarriti, ma non fu per questo che Milo
la richiamò, prima che si allontanasse.
“Mia signora.” Le disse il ragazzo, allungando timidamente una mano verso di lei; Saori si voltò sorridendo.
“Dimmi, Cavaliere.” L’incitò.
“Vorrei chiedervi il permesso di assentarmi dal Santuario.” Affermò Milo.
“Ma…” Fece per intervenire Ioria, bloccato subito da un cenno della mano di Saori.
“Qual è il motivo che ti spinge, Cavaliere, se posso
chiederlo?” L’interrogò lei, più spinta dalla
curiosità che dalla prudenza.
Milo abbassò gli occhi, la sua espressione si fece seria.
“C’è qualcuno, ad Atene… che andrebbe
informato della scomparsa di Camus dell’Acquario…”
Rispose infine, tornando a guardarla negl’occhi.
A Saori non sfuggì il moto di sorpresa di Ioria e la sua
espressione che, subito dopo, si era contratta, pietrificandosi mentre
fissava il vuoto. Sapeva certo di chi stavano parlando. La ragazza
tornò a guardare Scorpio, il suo viso triste, i begl’occhi
quasi velati.
“Aveva dei parenti? Non credevo…” Replicò quindi.
Milo si grattò la fronte imbarazzato. “Non si tratta
proprio di un parente…” Mormorò. “Ma certo di
una persona cui era molto legato, e credo sia mio dovere, come suo
amico, portare la notizia.”
“Lo saprà già.” Intervenne Ioria, sorprendendoli entrambi.
“Non ne dubito.” Affermò Milo rivolto a lui, poi
tornò a guardare Saori. “Ad ogni modo penso che
manifestare il mio cordoglio personalmente sia diverso.”
“È un nobile intento, il tuo, Cavaliere.” Gli disse
la dea. “Ti concedo il mio permesso.” Annunciò poi;
Milo, entusiasta, dopo un veloce inchino, si allontanò in
fretta.
“Mia Signora.” Il tono della voce di Ioria, però,
bloccò i passi del cavaliere di Scorpio e lo costrinse a
voltarsi verso gli altri due. “Vorrei accompagnare Milo, se mi
è concesso.” Chiese Leo.
“Che cosa…” Sbottò l’altro, posandosi le mani sui fianchi.
“Eri anche tu amico di Acquarius?” Gli domandò sorpresa la ragazza.
Ioria si grattò la nuca, si sentiva molto a disagio. “In
tutta sincerità… non posso dire che fossimo
amici…” Milo fece un sorrisino sardonico a quelle parole.
“…ma conosco questa persona di cui si parla e… devo
chiederle perdono.”
Saori lo fissò per un lungo attimo negl’occhi color
smeraldo e vide la sua sincerità, anche se non ne conosceva il
motivo; poi guardò Milo, che non sembrava propriamente
entusiasta.
“Andate.” Concesse loro infine, tornando a girarsi verso
Ioria, quindi lasciò la sala, seguita da Kiki e Jabu.
I due cavalieri erano rimasti immobili, a fissarsi nella penombra
dell’atrio. Entrambi avevano buoni motivi per fare quel viaggio,
e lo sapevano. Milo fu il primo a girare le spalle e incamminarsi verso
l’uscita.
“Mi devo cambiare.” Gli disse Leo.
“Fai pure.” Ribatté noncurante l’altro.
“Ci vediamo tra un po’ in garage.” E salutandolo con
la mano uscì.
Scorpio, questa volta, entrò nella casa di Acquarius. Sapeva di
ubbidire ad una necessità puramente materiale, ma si sentiva in
diritto di farlo.
Il salone principale era rischiarato dalla luce proveniente
dall’esterno ed era ancora lastricato da un sottile velo di
ghiaccio che si stava sciogliendo con lentezza. Il pavimento era
scivoloso. Il pattinaggio artistico non era mai stato il suo sport
preferito.
Milo arrancò di colonna in colonna, rischiando un paio di volte
una umiliante caduta di sedere, fino a raggiungere le scale interne che
portavano al piano superiore. Anche quelle erano ghiacciate.
Il ragazzo si fermò in fondo alla rampa, era sudato e
arrabbiato. E aveva freddo ai piedi. Certo, sapeva che le sue infradito
tipo spiaggia di Ipanema non erano le calzature più adatte ad
affrontare i ghiacci eterni, ma non aveva tempo da perdere per andare a
mettersi le scarpe. Si aggrappò saldamente alla ringhiera gelida
e cominciò a salire.
Nella vita ci sono le centinaia di volte in cui cadi e ti rialzi,
spolveri i vestiti e via, riparti. Verità valida specialmente
per un cavaliere. E poi ci sono quelle volte in cui cadi, e basta.
Milo scivolò a circa metà della rampa. Le sue mani
intorpidite non ce la fecero a reggerlo e si ritrovò steso a
faccia in giù sulle scale. Rimase lì, immobile, almeno
finché non fu scosso dai singhiozzi; poi cominciò a
battere un pugno contro la superficie di marmo, resa ancora più
lucida dal ghiaccio che si scioglieva.
“Camus, maledizione!” Imprecò, con il viso soffocato
in un braccio. “Brutta testa di legno!” Il dolore e la
rabbia, trattenuti per ore dalla dignità e dall’orgoglio,
erano esplosi all’improvviso, su quelle scale umide e fredde.
“Come hai potuto lasciarci così… come…”
Il cavaliere, dopo qualche minuto d’imprecazioni e lacrime, con i
vestiti ormai mezzi zuppi, si voltò sospirando e asciugò
il viso alla belle e meglio, respirò profondamente, quindi si
alzò. Era inutile stare a piangersi addosso. “Non è
da Cavaliere.” Avrebbe detto Camus. Milo, adesso, avrebbe fatto
una cosa da cavaliere. Concentrò la sua energia ed espanse il
cosmo, caldo come le sabbie del deserto; il ghiaccio sulle scale si
sciolse in breve con una colata fumante.
Soddisfatto, il giovane salì nelle stanze al piano superiore e
prese quello per cui era venuto. E poi andò a mettersi le sue
vecchie scarpe da ginnastica.
Trovò Ioria che lo aspettava nel garage guardandosi intorno
vagamente spaesato. Non doveva esserci stato molte volte, in quel luogo
ai confini del territorio del Santuario, costruito a ridosso di uno dei
posti di guardia. Una specie di punto di frontiera tra il passato ed il
presente.
Il cavaliere di Leo se ne stava lì, in mezzo alle varie auto e
moto parcheggiate nello stanzone; indossava un paio di pantaloni
classici color caki ed una camicia bianca.
“Ioria, ma che carino!” Non poté esimersi dal
commentare ironico Milo, facendolo voltare con la fronte aggrottata.
“Sembri un commercialista.” Continuò Scorpio
avvicinandosi. “Oggi o domani decidi di piantarla con cavalieri e
armature, hai un mestiere pronto.” Scherzò.
“Humpf…” Sbuffò l’altro. “Senti
da che pulpito… sottospecie di rockstar fallita…”
Ribatté poi, quindi scrutò il compagno. “Ma dove
sei finito?” Gli chiese, osservando i vestiti ancora un po’
bagnati.
“Sono andato a prendere le chiavi della macchina.” Rispose
tranquillamente lui, superandolo; Leo lo seguì con lo sguardo.
“E dove le tieni, sotto la doccia?” Replicò sarcastico.
“Nella casa di Acquarius.” Spiegò Milo senza voltarsi, con tono amaro; seguì un attimo di silenzio.
“E… perché proprio quelle?” Si decise a
domandare Ioria, capendo che doveva essere stata dura per Milo entrare
nell’undicesima casa.
Scorpio alzò le sopracciglia. “Beh, credo di poter dire
che quella macchina è la mia eredità.”
Affermò stringendosi nelle spalle.
“E in base a che cosa?” Ribatté Ioria. “Camus ha forse fatto testamento?”
“Hm…” Fece Milo dirigendosi sulla sinistra.
“…più che altro lo definirei un testamento
spirituale…”
“Mi predi per il culo?” Sbottò retorico
l’amico. “Piuttosto, qual è la macchina?”
Domandò seguendolo.
“Quella.” Milo gl’indicò un grosso SUV tedesco
color blu oltremare metallizzato, cerchi in lega e vetri oscurati, che
torreggiava lucido vicino alla saracinesca sulla sinistra.
“Ma che ci faceva Camus con un’auto del genere?”
Domandò perplesso Leo, osservandola con le mani sui fianchi.
“Figheggiava.” Rispose Milo con aria furba, mentre premeva
il pulsante per aprire le portiere; Ioria fece un’espressione tra
lo scettico e l’incredulo. “Andiamo, sali.”
L’incitò l’altro.
“Senti un po’, Mister Ironia, te la ricordi la
strada?” Chiese Ioria, quando furono entrambi seduti nel
confortevole abitacolo.
“Non ce n’è bisogno!” Esclamò Milo.
“Basta sapere la via e qui noi abbiamo un utilissimo navigatore
satellitare che farà il resto!” Aggiunse dando una lieve
pacca al piccolo schermo.
“Hm… non mi fido granché di questa roba…” Affermò l’altro storcendo il naso.
“Allora perché non guidi tu?” Sbottò scocciato Scorpio girandosi verso di lui.
Ioria lo guardò per un attimo, poi voltò gli occhi
altrove, grattandosi un orecchio; Milo aggrottò la fronte
sospettoso. “Non ho la patente.” Ammise infine il possente
cavaliere di Leo.
Milo alzò le sopracciglia sorpreso, mentre un sorrisetto
beffardo gli increspava lentamente le labbra. “Ah.” Fece
soltanto.
“Avevo cose più importanti cui pensare.”
Grugnì Ioria senza guardarlo. “Ora metti in moto.”
L’altro cavaliere, senza mascherare l’espressione
divertita, ubbidì.
CONTINUA
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