50
Pov
Kristen
Quando
ero piccola mia madre mi diceva sempre “un giorno troverai
qualcuno
che ti ama e avrai una casa, una famiglia, dei bambini e una vita
felice come me e papà” e poi abbracciava
papà e lui
le baciava la guancia e io me ne stavo lì, seduta sul divano
pensando “si, un giorno succederà anche a
me”, e mi
immaginavo già la mia vita perfetta, la mia famiglia
perfetta,
i miei bambini – specialmente una bambina con i miei occhi e
i miei
capelli – tutto era perfetto esattamente come diceva mia
madre e io
ci credevo, perché quando hai dieci anni e tua madre ti dice
una cosa tu ci credi, ovvio.
Be',
era una cazzata.
Era
tutto una terribile cazzata, e io ci ho pure creduto.
Che
fessa che ero.
Perché
adesso ho quasi diciannove anni e non ho più una famiglia,
non ho
nessuno che mi ami e l'idea di una vita felice e di bambini non mi
sembra neanche un po' vera ormai.
Ma
infondo, chi vuole una famiglia?
Le
famiglie rompono soltanto.
“Fai
questo, fai quello, non fare così, non dire
così”.
Non
lo sopporto.
Non
sopporto le persone che mi comandano.
Io
vivo per me, non di certo per gli altri. E vivo in una casa
bellissima. Be', forse non è proprio bellissima, e forse non
è
neanche una vera è propria casa, ma è mia,
è completamente mia ed è l'unico posto al mondo
che
considero un rifugio, un posto dove posso essere completamente me
stessa, senza che nessuno abbia da dire qualcosa a riguardo. L'ho
trovata quasi un anno fa', ci viveva una vecchietta simpatica che
purtroppo ha dovuto trasferirsi in una casa per anziani e visto che
non era in buoni rapporti con i nipoti ha voluta lasciarla a me a
patto che la tenessi in buone condizioni. Quindi passo la maggior
parte del mio tempo a casa pulendo e cercando di renderla il
più
carina possibile. In realtà non è una vera e
propria
casa, è una soffitta. Una soffitta con bagno, ma pur sempre
una soffitta con un tetto basso e formata a malapena da due stanze.
Cucina, soggiorno e camera da letto sono divise dal bagno da una
porta mentre niente le separa fra di loro.
In
casa ci sta un vecchio divano verde, soffice e comodo, un tappeto
rosso, un tavolino mezzo rotto in legno, una cucina formata da un
vecchio forno e mobili comprati a poco a una svendita; tutto quello
che c'è in casa è vecchio ma tenuto bene, o
almeno ci
provo. Il letto è in un angolo. Non è un letto,
okay...
sono due materassi, ricoperti di cuscini soffici – be',
almeno –
e una coperta fatta a mano che mi ha regalato la vecchia signora che
abitava qui prima.
Si
chiamava Mary ed era una brava signora, di quelle che ti preparano il
thé e si siedono con te a tavola per offrirti qualche
biscottino e chiederti la storia della tua vita. Io, la storia della
mia vita, non gliel'ho mai detta ma qualche biscottino l'ho accettato
molto volentieri, erano buonissimi. Oltre alla coperta mi ha lasciato
anche un'altra cosa, che in questo momento sta dormendo sdraiato sul
divano di casa, ronfando come solo lui sa fare.
Mr
Bowie è un vecchio persiano grigio che non sopporta le
persone.
Sopporta
a malapena me, a dire il vero.
Ma
il nostro è un rapporto meraviglioso: io do da mangiare a
lui
e in cambio lui mi tiene compagnia per casa gironzolando e non
facendomi sentire proprio completamente sola. Non so perché
Mary l'abbia chiamato così ma ho pensato che non sarebbe
stato
giusto cambiarli nome, era già troppo che dovesse abituarsi
a
me, cosa non semplice. Mi sopporto a malapena da sola io stessa,
quindi.
Lo
osservo mentre dorme beato e apro le porte del piccolo armadio che
c'è vicino al letto e tiro fuori un paio di
jeans
e una maglietta puliti, nel frattempo Mr Bowie si è
svegliato
e mi fissa seduto sul divano, con quella sua aria da “capo di
casa”
che, in un certo senso, mi piace. È come avere un ragazzo in
casa, solo che basta urlare un po' per zittirlo per il resto della
giornata. Cosa che con un ragazzo non puoi fare, quelli rompono e
basta, pretendono e chiedono, senza mai dare niente in cambio.
Scaccio
i brutti pensieri dalla testa e mi vesto in fretta.
Mi
faccio una coda in fretta e mi metto il giacchino in pelle nera,
afferro le chiavi di casa e controllo che Mr Bowie abbia la ciotola
dell'acqua piena prima di uscire di casa.
Parcheggiato
davanti a casa c'è la mia moto, un piccolo regalo che mi
sono
fatta in questi anni. Diciamo che è l'unico
regalo che io mi sia mai fatta, visto che devo stare molto attenta a
tutto ciò che compro, dato che non navigo proprio nell'oro.
Salgo
in sella e sfreccio per la città finché non
arrivo al
ristorante dove lavoro, una vecchia tavola calda in cui lavoro da
qualche mese. Il proprietario, un vecchio bisbetico di cui non mi
ricordo mai il nome visto che si fa' vedere si e no cinque minuti in
tutto e il resto del tempo lo passa nel ripostiglio delle scope con
le altre cameriere o con le sue “amichette”, mi
dice di
affrettarmi ad andare a cambiarmi perché sono già
in
ritardo.
Corro
al mio armadietto e prendo la mia divisa: gonna fino al ginocchio blu
e camicetta bianca che chiudo fino all'ultimo bottone – non
che
abbia molto da mostrare ma mi dà fastidio non farlo con la
gente che viene al locale e il suo proprietario.
La
giornata scorre tranquilla, per fortuna Bob – ecco come cazzo
si
chiama – non c'è praticamente tutta la sera e
servo ai
tavoli senza nessun intoppo. Anche quando ormai sono le dieci non
c'è
neanche un ubriaco in sala ma solo qualche famiglia con i bambini.
Adoro servire alle famiglie, mi piace vedere come la mamma si occupa
dei bambini che giocano a tavola, urlano, ridono e sembrano
così
spensierati, mi piace servirli anche se ogni tanto mi si forma un
buco alla stomaco e un forte senso di nostalgia mi colpisce come un
pugno.
Proprio
quando il mio turno sta per finire ecco che sento la porta del locale
aprirsi e un gruppo di ragazzi un po' più grandi di me entra
facendo un casino pazzesco, come è tipico dei ragazzi. Ma
non
sembrano un gruppo di ragazzi normali, non sembrano il tipico gruppo
di adolescenti che si preparano a una serata in discoteca, sono tutti
vestiti con abiti costosi, perfettamente pettinati e sono molto
eleganti, alcuni hanno persino una ventiquattrore alla mano. Uno di
loro si volta verso di me e per poco non mi cedono le ginocchia, ha
gli occhi azzurri più belli che io abbia mai visto e stanno
guardando me.
Cerco
di tornare in me e in meno di un secondo ho già lasciato
scivolare una maschera sopra il mio viso.
Pov
Robert
Perché
gli amici devono sempre trascinarti in giro per locali quando invece
tu vorresti solo tornare nel tuo appartamento, farti un lungo bagno
nella vasca idromassaggio e chiedere al tuo cuoco di cucinarti il tuo
piatto preferito? Non ho voglia di ubriacarmi, non stasera almeno. Di
solito sono il primo a volermi prendere una bella sbornia ma oggi ho
avuto una giornata particolarmente difficile e sono stanco morto,
sono sveglio dalle sei e sto morendo di fame visto che non ho
mangiato praticamente niente tutto il giorno. Ho fame, non sete,
chiaro? Ma quando Harry inizia a insistere non c'è niente
che
riesca a fermarlo, insiste finché tu non dici di si e allora
ti trascina per locali come se non ci fosse un domani. Questo
è
il secondo locale e sono solo le dieci e mezza di sera, non voglio
immaginarmi il resta della serata.
Quando
entro nel locale però, trovo una piacevole sorpresa ad
aspettarmi.
Una
ragazza qualche anno più giovane di me, con indosso una
gonna
al ginocchio e due gambe che attirano subito la mia attenzione,
perché sono bellissime, bianche come la neve e sembrano non
finire più anche se lei è parecchio
più
bassa di me. Appena alzo lo sguardo però, vedo qualcosa che
mi
colpisce ancora di più. Ha gli occhi verdi più
belli
del mondo. E non ha neanche un filo di trucco quindi è tutto
naturale, nessun mascara allunga ciglia o chissà che altro.
Ma
lei mi guarda solo per un istante, poi torna al suo lavoro.
Peccato.
«Ehi,
Pattinson», Harry richiama la mia attenzione facendomi
sventolare una mano davanti al viso.
«Mh».
«Sei
già fuso? Pensavo reggessi di più».
«Fottiti,
Harry. Stavo pensando ad altro», lui guarda dove stavo
guardando io prima e vede la ragazza, che adesso sta servendo una
famiglia con due bambini che strillano e urlano e agitano le loro
manina paffute alla ricerca di attenzione.
«Ora
capisco cosa – o meglio chi –
ha attirato la tua
attenzione, amico» - mi dà una botta sulla spalla,
con
un fare complice che non ricambio affatto - «è uno
schianto, dici che riesco a portarmela a letto stasera?»,
Harry
è un collega di lavoro, ha l'ufficio vicino al mio e la sua
segretaria è stata anche la mia, ma oltre a questo non
abbiamo
niente in comune. Harry è un ragazzo di ventisei anni che
non
ha ancora capito un cazzo dalla vita e che passa le sue serate
devastandosi nei locali, alla ricerca di una birra e di una ragazza
per la serata. Ammetto di non essere un santo, ma non vorrei mai
scendere in basso come lui.
«Levale
gli occhi di dosso, Harry, non è alla tua altezza»
dico.
«Ah
si? Oh, senti un po' chi parla. Da quanto non scopi,
Pattinson?».
«Cazzi
miei?», dio, ha ragione, sto impazzendo. Da quando mi sono
lasciato con René non vado a letto con una ragazza da almeno
tre mesi e sto per impazzire. Ma di certo non starò a dirlo
a
questo coglione, qua.
«Oh
diamine, Pattinson sta perdendo il suo fascino, mi sa» mi
prende in giro.
«Harry,
piantala, o ti spacco la faccia. Non è serata» mi
allontano da lui e raggiungo gli altri, che si sono già
seduti
a un tavolo dall'altra parte del locale.
Odio
stare qui.
Voglio
tornarmene a casa.
E
voglio anche trovarmi qualcuno da portarmi a letto.
So
di aver appena detto che io non sono come Harry, ma sono un uomo e ho
bisogno di alcune piccole cosette.
E
ho anche bisogno di qualcuno da presentare a mia madre, cazzo.
È
da due anni ormai che vuole che le porti qualcuno a cena.
Con
Cassie pensavo di aver finalmente trovato quella giusta, è
durata più di tre mesi, una specie di record per me, ma alla
fine ho capito che non l'amavo, che in realtà non mi piaceva
neanche. Mi piaceva l'idea di avere qualcuno, di avere qualcuno che
magari, forse, cosa leggermente probabile avrei potuto portare a cena
da mia madre per dirle “okay, eccoti una ragazza, contenta?
Che si
mangia?”. Cassie non era male, era una modella e non rompeva
neanche un po', bastava che le davo la mia carta di credito e spariva
per tutta la giornata, niente di complicato quindi. Ma era noiosa e
stare con lei mi mandava in bestia la maggior parte del tempo. Per
dirla tutta, era una stupida.
Sto
mandando un messaggio alla mia segretaria per avvisarla che domani
farò tardi in ufficio quando sento una voce stupenda che
attira la mia attenzione. È dolce e con un forte accento di
Los Angeles.
«Ehm,
prego?» chiedo.
«Cosa
devi ordinare?» ripete lei. Se prima ho pensato che fosse
bella, adesso mi devo ricredere, perché questa ragazza
è
sicuramente la ragazza più bella del mondo. Ha due occhi
verdi
che definirei magnetici, un viso da bambola ma con un'espressione da
stronza – anche se direi che sotto c'è
qualcos'altro,
qualcosa che non riesco a decifrare ma so con certezza che
c'è
ed è qualcosa di profondo – è piccola,
direi minuta e
mi fissa in un modo.. che mi mette quasi in soggezione,
perché
nessuno mi ha mai guardato così, in modo così
diretto.
Di solito guardano i miei soldi, non me.
Mi
accorgo un secondo dopo che, forse, dovrei risponderle.
«Vino.
Vino rosso, grazie».
«Vino...
okay. Altro?».
Si,
te, nel mio letto, molto presto preferibilmente.
«No, grazie».
«Okay..
torno subito», si gira per andare verso la cucina, donandomi
una meravigliosa vista. Ma purtroppo non sono l'unico a goderne e
vedo Harry che si sta già armando di quella sua cazzo di
faccia da maniaco sessuale che odio più di quanto odi la sua
faccia normale.
«Non
pensarci neanche» gli dico.
«Che
c'è? Pensi di farcela prima di me, non credo»,
Harry è
un bel ragazzo, con i suoi capelli neri e gli occhi blu ma è
quel sorriso viscido che lo rovina.
«E'
troppo giovane per te».
«Da
quando ti fai problemi sull'età?».
«Da
sempre, visto che ho due sorelle ed entrambe hanno più o
meno
l'età di quella ragazza» dico, livido in viso.
Harry una
volta ha tentato di provarci con Victoria, ma per fortuna mia sorella
l'ha mandato allegramente a fanculo.
«Già..
be', lei non è tua sorella», no,
decisamente non lo
è.
«Fa
un po' come cazzo ti pare, okay? Ma non mettere nei casini ragazze
innocenti».
«Sei
un cazzo di noioso, lo sai?».
Evito
di rispondere perché sta tornando la ragazza, con un vassoio
in mano.
«Ecco
a voi..», ci mette le nostre ordinazioni sul tavolo,
inchinandosi ma senza mostrarci un bel niente, la camicetta
è
abbottonata fino all'ultimo bottone, fanculo. «Avete bisogno
di
altro?» chiede di nuovo; ha un'espressione tra l'annoiato e
l'ansioso, come se non volesse trovarsi qui. Che la faccia da viscido
di Harry abbia già fatto affetto?
Meglio
per lei.
«Si,
c'è altro», Harry si sporge sul tavolo, sfoggiando
il
suo miglior sorriso voglio-portarti-a-letto, «vorrei sapere
il
tuo nome».
La
ragazza alza gli occhi al cielo e fa' per andarsene.
«Ehi,
andiamo! Solo il tuo nome!».
«Harry,
lasciala in pace..» lo riprendo.
«Piantala,
Pattinson, voglio solo sapere il suo nome. Allora, bellezza?».
Lei
si gira di nuovo verso di noi, adesso è decisamente
scocciata.
«Fatti i cazzi tuoi, okay? Hai la tua birra, prenditi una
sbornia ed esci dal locale, coglione», il tono che ha usato
mi
fa' sorridere e trattenere a stento una risata. Harry mi lancia
un'occhiataccia e muore dall'imbarazzo e dalla rabbia mentre tutti
noi lo prendiamo per il culo.
La
ragazza scuote la testa, come se fosse disgustata dalla scena, e
torna al suo lavoro.
Mentre
se ne va', un'idea inizia a frullarmi in testa.
Forse
qualcuno ha ascoltato le mie preghiere.
Forse
questa uscita non è stata poi un'idea così
cattiva.
Pov
Kristen
Finalmente
ho finito il turno.
Esco
dal locale indossando i miei jeans, la mia maglietta e la mia giacca
in pelle e mi sto guardando in giro cercando di ricordarmi dove ho
parcheggiato la mia moto quando una voce attira la mia attenzione.
Qualcuno mi sta chiamando.
Sono
stanca, non ho voglia di parlare con nessuno.
Ma
quella voce mi è famigliare.
Mi
giro, stringendomi nella giacca perché una folata di vento
mi
ha appena colpito.
Il
tipo del locale, quello carino con due occhi da favola che mi ha
difeso non quello viscido che voleva sapere il mio nome, sta correndo
verso di me, dicendomi di fermarmi.
Visto
che è stato carino e non ha la faccia da viscido, decido di
farlo.
«Cosa
vuoi?» chiedo, quando è vicino a me.
«Uhm,
volevo solo chiederti scusa per come si è comportato il mio
amico. Sai, prima..».
«Non
importa, è tutto okay tranquillo. Ci si vede»
faccio per
andarmene ma lui mi afferra un polso e mi fa' voltare di nuovo verso
di lui.
Strattono
il polso e lui molla la presa.
«Oh,
ma che cazzo vuoi?».
«Scusa.
Volevo solo chiederti una cosa».
«Hai
uno strano modo di farlo. Nessuno ti ha insegnato a non strattonare
gli sconosciuti alla scuola privata, figlio di
papà?»,
okay, forse sto esagerando, ma sono quasi le due di notte, ho avuto
il turno lungo stanotte e voglio solo andare a casa e gettarmi sul
letto.
Lui
sembra un attimo confuso dal mio tono ma poi ritrova il suo solito
aspetto da figlio-di-papà che è l'unica nota
stonata
nel complesso visto che, devo ammetterlo, è davvero
bellissimo. Forse il più bel ragazzo che io abbia mai visto,
ma non è proprio il mio tipo. «No, mi spiace.
Comunque,
volevo chiederti se potevamo.. vederci, domani».
Per
poco non gli scoppio a ridere in faccia. «Prendi per il
culo?».
«N..
no... io.. volevo solo vederti di nuovo domani».
«Perché?»
incrocio le braccia al petto, aspettandomi una risposta geniale che
non arriva.
«Perché
devo chiederti... una cosa. Senti, se sei incazzata per come si
è
comportato il mio amico là dentro non posso farci niente ma
mi
scuso da parte sua, adesso puoi uscire con me domani?».
Oddio,
mi è proprio capitato il tipico figlio di papà
che non
è abituato a dover lottare per avere una cosa.
«No».
«No?».
«No.
La conosci questa parola? No. Enne. O. Chiaro ora? E adesso devo
andare, quindi..».
«Aspetta».
«Che
c'è ancora?», sbuffo.
«Dimmi
almeno come ti chiami».
«Poi
mi lasci in pace?».
«Dimmi
il tuo nome, io mi chiamo Robert».
Mh,
bel nome. «Kristen..».
Lui
accenna un sorriso che ha un che di infantile e di tenero, aw.
«Piacere Kristen, io sono Robert Pattinson e ti sto
chiedendo,
per favore, di venire a pranzo con me domani, devo parlarti di una
cosa.. potrebbe interessare anche a te».
Robert
Pattinson.
Mh,
mi piace come nome.
Ma
ho un campanello d'allarme che mi risuona in testa.
«No,
io non credo».
«Io
dico di si. Non voglio parlarne adesso... in un parcheggio»,
si
guarda intorno, sicuramente pensa che questo posto sia troppo
squallido per uno come lui, il che mi fa' solo confermare l'idea che
ho di lui.
«Che
ha questo posto che non va'?» lo sfido.
«Niente...
ma preferirei parlarne in un ristorante come si deve. O magari a
colazione, come preferisci».
Non
capivo tutta questa sua insistenza, come vuole un tipo come lui da
una come... me?
«Non
credo mi interessi ma, ehi, grazie lo stesso. Adesso posso
andarmene?».
«Ma..»,
dio, sembra davvero che nessuno in vita sua gli abbia detto no.
«Ci
si vede».
«Dammi
almeno il tuo numero di telefono».
«Cosa?
No!».
«Perché
no? Hai paura che ti faccia cambiare?», sorride, pieno di
sé,
sembra un pallone da quando è pieno di sé.
«Ma
per favore..», ma tutti io li becco? Certo che,
però, di
solito quelli che capitano a me sono idioti, questo almeno è
un idiota ricco. Sto salendo di livello, che culo.
«Allora
dammi il tuo numero. Ti manderò un paio di messaggi e poi,
se
proprio non vuoi, lascerò perdere, promesso».
«Potresti
essere un maniaco».
«Potrei,
si. Ma sempre meno del mio amico là dentro»,
indica il
locale, dove il suo gruppo di amici si sente fino a qua.
«Questo
te lo concedo».
«Grazie.
Quindi, il numero?».
Rifletto
un attimo. Posso non dargli il numero e continuare a parlare con lui
finché non esco matta oppure posso dargli questa piccola
vittoria – l'ennesima mia sconfitta – e andarmene a
casa a
dormire, finalmente. «Okay».
Sembra
stupito quasi quanto me. «Davvero?».
«Già.
Sono troppo stanca per stare a parlare con te ancora..
quindi»,
tiro fuori il mio cellulare e glielo porgo, «ecco,
tieni».
Robert
lo prende subito, come se avesse paura che cambiassi idea da un
momento all'altro.
«Grazie».
«Di
niente..», mi riprendo il mio cellulare.
«Ti
ho segnato il mio numero e mi sono scritto il tuo. Per ogni cosa,
chiama».
«Certo,
contaci» lo prendo in giro.
«Dico
davvero. Ti chiamo dopo per dirti dove incontrarci?».
«Fa'
un po' come vuoi... posso andare ora?».
«Si,
ora si», vorrei toglierli quel sorriso vittorioso dal viso ma
sono troppo stanca per uno schiaffo come si deve, «a dopo,
Kristen».
Mi
infilo il cellulare in tasca e lo supero, «Si.. come no, a
dopo
Robert», salgo in sella, mi metto il casco e parto.
Quando
rientro a casa trovo Mr Bowie che mi aspetta sul letto, si stiracchia
tutto appena mi vede come a darmi il suo saluto. Mi siedo accanto a
lui e gli do una grattatina dietro l'orecchio finché non si
alza scocciato e torna a dormire sul divano.
Il
solito scorbutico.
Mi
sedetti sul letto e mi sfilai le scarpe.
Mentre
stavo per togliere i jeans sentii il cellulare vibrare nella tasca
dei pantaloni.
Oh,
no pensai,
tirandolo fuori e
leggendo il messaggio.
Da:
Robert Pattinson.
Messaggio:
"Siamo d'accordo per
domani, quindi? Non vedo l'ora, Kristen. Robert".
No.
Oddio
no.
Non
poteva fare sul serio.
Non
era il momento.
Non
era il momento giusto
nella mia vita, anche se probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Non
voglio un ragazzo.
Non
voglio qualcuno che mi
comandi.
Brutti
ricordi iniziano a
tornarmi in mente.
Chuck.
Chuck
che mi dice a che ora tornare a casa.
Chuck
che mi urla contro.
Chuck
che mi spinge contro il letto.
Chuck
che mi dà della puttana perché sono tornata
tardi.
Chuck
che finalmente esce dalla mia vita.. forse.
No,
non ero in grado di
cominciare di nuovo una cosa del genere, dovevo stroncare la cosa sul
nascere.
Clicco
su "nuovo
messaggio" e inserisco il contatto di Robert.
"Credo
sia meglio non vederci domani, ci si vede in giro, Robert".
Ecco
fatto.
Lascio
il cellulare sul
letto e mi cambio. Vado in "cucina" e prendo un bicchiere
di latte, mentre lo bevo noto che la luce verde nel cellulare mi
avvisa che mi è arrivato un messaggio.
"Come?
No, aspetta. Te l'ho detto, devo dirti una cosa che ti
interesserà
sicuramente. Non voglio importunarti, davvero. Dammi una
possibilità
per spiegarmi, no?".
Una
possibilità?
Ma
per piacere.
Semplicemente
non accettava
un "no" come risposta perché nessuno nella sua vita
gliel'ha mai detto, è solo un stupido figlio di
papà e
io con le persone come lui non ho niente a che fare, e si vede.
"Non
credo che cambierò idea, mi spiace".
No,
semplice?
No,
no, no, era davvero
tanto difficile da capire?
A
quanto pare per lui si
visto che il telefono vibrò di nuovo.
"Ti
prego. Offro io. Non sono un pazzo, dico sul serio, ho bisogno di
parlarti di una cosa seria. Se non vuoi prenderla sul personale
diciamo che è una specie di lavoro, okay? Ma ti prego vieni
domani",
lavoro?
Che
lavoro?
Che
genere di lavoro?
Avevo
bisogno di soldi.
"Che
lavoro?".
"Domani,
a colazione. Ti vengo a prendere, dammi l'indirizzo".
"Ehi,
bello, vacci piano, mica ho detto di si. E comunque non ti
dò
l'indirizzo proprio di un bel niente, non sono scema",
chi si credeva di essere?
"Ma
sembri interessata, è già qualcosa. Vuoi metterla
sul
piano lavorativo, quindi? Okay, allora diciamo che voglio offrirti un
lavoro. Quindi, per domani?".
Dio,
non ci potevo credere.
Che
grandissimo figlio di
puttana.
Però
adesso ero
curiosa.
Be',
se non era una cosa
interessante potevo sempre dirgli di no, giusto?
Aspettai
un po' per
rispondere.
Presi
il libro che stavo
leggendo e mi misi a letto. Mr Bowie venne a sdraiarsi ai miei piedi,
crogiolandosi contento fra le lenzuola sopra il materasso e soffiando
senza motivo. Il cellulare vibrò di nuovo, facendo gonfiare
il
mio orgoglio.
"Kristen,
per favore, dammi almeno una risposta...".
"Okay.
Ma ci incontriamo direttamente là, dimmi il posto".
Pov Robert
Rientrai a casa verso le
quattro del mattino. Il portiere all'entrata dell'edificio mi sorrise
comprensivo, come sempre.
«Divertito,
signor
Pattinson?».
«Per
niente, Thomas».
«Mi
dispiace tanto,
signor Pattinson».
«Si..
anche a me».
«Come
sta suo padre,
signor Pattinson?».
Thomas
lavora in questo
edificio da almeno venticinque anni e visto che l'edificio è
di mio padre – come la maggior parte degli appartamenti di
lusso,
hotel e ristoranti di New York – Thomas lavora per lui da un
sacco
di
tempo
e ormai si conoscono da una vita, diciamo pure che Thomas mi ha visto
crescere visto che prima lavorava nell'hotel in cui ho vissuto da
bambino.
«Sta
bene, Thomas, grazie. E di saluta».
Lui
sembrò agitarsi tutto, emozionato com'era nel sapere che mio
padre, il grande Richard Pattinson, lo salutava. Si tolse il capello
della divisa e se lo portò sul cuore. «Oh, che
onore.
Suo padre è una delle persone più buone del
mondo,
signor Pattinson. Grazie a lui ho un lavoro e la mia famiglia ha cibo
in tavola e anche i regali di Natale. Ancora mi ricordo quando tre
anni fa' mi ha pagato il viaggio a Parigi con mia moglie per il
nostro anniversario, non lo ringrazierò mai abbastanza, sa?
E
poi c'è stata quella volta in cui suo padre...».
Sollevai
una mano per farlo tacere, «Basta così per
stasera,
Thomas, sono stanco morto», e non avevo nessuna voglia di
sentire cantare le lodi di mio padre per almeno la milionesima volta.
Tutti amavano mio padre, tutti amavano "il grande Richard
Pattinson", che aveva costruito un impero dal nulla e aveva dato
posti di lavoro a mezza New York, che si occupava di ogni sua singola
impresa come se fosse la sua famiglia e che tutti consideravano una
specie di santo sceso in Terra. Non che non lo fosse, ma era anche
troppo. Vivevo nella sua ombra.
«Oh,
si.. certo, mi scusi, mi scusi tanto signor Pattinson, mi sono
lasciato trasportare ma suo padre è davvero un uomo
eccezionale».
«Si..
grazie, lo so... buonanotte, Thomas».
«Buonanotte,
signor Pattinson. Dorma bene!» mi urlò dietro
mentre
entravo dentro l'edificio e superavo l'atrio e andavo verso gli
ascensori.
La
musichetta che c'era dentro quello in cui entrai mi diede
terribilmente nei nervi.
Subirmi
tutti quei discorsi su mio padre, su quanto fosse bravo, generoso,
intelligente, ambizioso e di talento mi aveva messo di pessimo umore
ma poi mi ricordai dei due meravigliosi occhi verdi che avevo
incontrato quella sera e mi tornò un leggero sorriso sul
viso.
Forse avevo davvero trovato la soluzione a tutti i miei problemi.
Le
porte dell'ascensore si aprirono direttamente sul mio attico. Era un
regalo dei miei genitori per il mio ventunesimo compleanno, diciamo
che avevano accettato di buon grado la mia idea di andare a vivere da
solo a patto che scegliessi uno degli appartamenti di
proprietà
di mio padre, il che non mi dispiaceva visto che era uno degli attici
più lussuosi di New York. Era enorme, con un salotto
spazioso,
una cucina con tutte le novità in campo culinario, una
camera
da letto con un letto abbastanza grande da contenere tre persone
comodamente – non chiedetemi come faccio a saperlo
– il tutto
arredato da una delle migliori arredatrici d'interni della
città.
Ah, e costava un occhio della testa.
Mi
andai a prendere un bicchiere d'acqua e inizia ad allentarmi la
cravatta.
Il
telefonino squillò. Per un attimo pensai che fosse Kristen,
poi vidi il nome di mia madre sul display.
«Mamma,
ciao».
«Robert,
tesoro. Perché sei sveglio a quest'ora?».
«E
perché tu mi chiami a quest'ora?».
«Io
sono appena tornata da una cena di beneficenza, e tu?».
«Io
da una cena di lavoro» mentii.
«Oh»,
sentii in sottofondo mio padre che chiedeva se ero io al telefono e
mia madre rispondergli che si, ero io e che si, ero ancora sveglio a
quell'ora – "cosa da pazzi, Richard, ma sai com'è
tuo
figlio!" - «quindi, tesoro.. ti ho chiamato per chiederti
se venivi a pranzo a casa questa domenica».
«Uhm,
questa domenica... ecco..».
«Robert,
per favore. Non vieni da settimane, mi manchi, ci
manchi,
tesoro...», ed eccola che tirava fuori la carta del "fai
felice la tua mamma" che io odiavo con tutto il cuore. Non ero
come le mie sorelle, che andavano a pranzo da mia madre tutte le
domeniche e passavano anche le vacanze e buona parte della settimana
a casa dei nostri genitori, io ero quello che non chiamava mai,
quello che non si faceva sentire, quello che non dava soddisfazioni.
«Mamma,
per favore, non iniziare..».
«Niente
"mamma non iniziare" Robert! Siamo preoccupati per te!
Lavori tutto il giorno e poi passi la serata con i tuoi amici e
quando ti chiamo sei sempre stanco o hai mal di testa e io passo la
notte preoccupandomi, chiedendomi come sta mio figlio, cosa fa', come
si sente... hai bisogno di qualcosa, tesoro? Lo sai che io e tuo
padre siamo sempre qui per te, tesoro. Sempre.»
Già,
lo sapevo.
Lo
sapevo anche fin troppo bene.
Mio
padre era sempre con me, era come averlo sempre dietro di me, che mi
alitava sul collo come un falco.
Lo
stesso per mia madre, con la sua iperprotettività.
«Si,
lo so, mamma, lo so, lo so».
«Magari
possiamo parlarne domenica, che ne dici?».
«Avrei
un impegno veramente..».
«Davvero,
e con chi?».
«Mamma,
non credo che siano affari tuoi con chi esco io».
«Robert
Thomas Pattinson! Non parlarmi così!».
«Esco
con una persona e basta».
«Una
ragazza? Sei fidanzato, Robert? Non mi hai detto niente, sai che io
ci tengo a queste cose, sei mio figlio, voglio solo sapere
se..».
«Si.
Si, mamma, lo sono! Ho una ragazza!», ma che cazzo dico? So
solo che voglio concludere questa telefonata il più presto
possibile e l'unico modo è farla contenta e dirle quello che
vuole sentirsi dire.
«Oh..
oh, Robert! Tesoro mio, sono così contenta per te! Richard,
Richard, amore!», la sento chiamare mio padre, che risponde
con
un stanco "che c'è adesso..?", «Robert! Robert
ha una ragazza!», sento mio padre chiedere a mia madre "e
perché non la invita a pranzo domenica per farcela
conoscere?", ma vaffanculo papà, grazie eh. «Hai
ragione, amore! Robert, tesoro, Rob», mi
chiama "Rob"
e non "Robert" quando vuole ottenere qualcosa, la conosco
troppo bene e so già che perderò anche stavolta,
«vogliamo conoscerla, assolutamente. Venite a pranzo
domenica,
poi magari restate anche a cena e andiamo fuori a mangiare, e
poi..».
«Mamma!».
«Va
bene, va bene.. quindi, vieni?».
Sospiro,
troppo stanco per controbattere. «Si..
verrò».
«Ottimo!
Ti voglio bene, tesoro. Buonanotte, ci vediamo domenica».
«Si...
ti voglio bene anche io, mamma, a domenica».
Chiudo
la telefonata e mi getto a letto con ancora i vestiti addosso e gli
occhi della ragazza di stasera che mi appaiono davanti in sogno.
Pov
Kristen
Ci
stavo davvero andando? Stavo davvero andando a quello strano
appuntamento invece di dormire tutto il giorno come sono solita fare?
Dio, dovevo tornare a lavoro alle cinque e invece che recuperare il
sonno perso me ne stavo gironzolando per la città alla
ricerca
del famoso Caffè che Robert mi aveva descritto in un
messaggio. Dovevo essere impazzita una volta per tutte, sicuro. Alla
fine entrai in una caffetteria che si chiamava "Raggio di Luna",
un posto elegante, dove mi sentii subito a disagio; indossavo i miei
vecchi jeans scuri e una maglietta a maniche corte visto che c'era un
bel sole stamattina, le mie scarpe da ginnastica facevano un casino
sul pavimento in legno del locale. Tutti si voltarono a guardarmi
quando varcai la soglia.
L'impulso
di scappare via e lasciar perdere tutto si fece più forte
che
mai ma proprio in quel momento Robert mi vide e mi venne incontro.
Era bellissima, come me lo ricordavo. Oggi indossava una camicia
bianca lasciata fuori dai pantaloni neri, eleganti anche questi. Le
scarpe firmate mi fecero imbarazzare ancora di più, in cosa
mi
stavo cacciando?
«Kristen,
ciao» mi salutò e fece per chinarsi per darmi due
baci
sulle guance ma io mi tirai indietro, facendogli capire subito che
non ero lì per quello. Volevo solo sapere cosa aveva da
offrirmi, poi sarei tornata a casa mia. Dove non mi sentivo
così
fuori posto.
«Ciao..».
«Oh..
vogliamo accomodarci? Ho fatto prenotare un tavolo solo per noi due,
così possiamo parlare tranquillamente» mi disse.
Un
tavolo? Per fare colazione? In un ristorante? Non mi era mai successo
ma Robert sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente, si
muoveva tranquillo e mi guidava fra le file di tavoli. I camerieri mi
lanciavano occhiate curiose, altre di disprezzo, era chiaro che
nessuno di loro pensava che fossi "come a casa mia", tutto
il contrario. Ma feci finta di niente, che ne sapevano loro? Magari
ero ricca quasi quanto Robert per quanto ne sapevano loro.
«Prego»
- Robert allontana la sedia dal tavolo per me, invitandomi a sedermi.
Lo
feci, esitante.
Lui
si sedette davanti a me.
«Grazie...».
«Ti
piace? Il posto, intendo».
«Si,
uhm, carino».
«L'ho
scoperto da poco, mi piace venirci» mi spiegò,
senza che
nessuno gli avesse chiesto niente, ovviamente.
«Ci
vieni spesso, quindi?».
«No.
È la prima volta che ci vengo a colazione, ad
esempio».
«Oh..»,
non sapevo che dire, ero imbarazzata come mai in vita mia. Di solito
ero sempre in pieno controllo della situazione, ma questa volta non
sapevo neanche il motivo della mia presenza lì.
«Robert,
senti.. cosa devi dirmi?».
«Aspetta.
Non abbiamo neanche ordinato» protesta lui.
«Non
ho molta fame..», ho lo stomaco sottosopra.
«Ma
devi mangiare» dice, con tono autorevole.
Non
sono una tua proprietà, coglione.
«No, se non voglio».
La
cameriera arriva, interrompendo un possibile primo litigio.
«Cosa
desiderate? Posso consigliarvi qualcosa?», è
carina, sui
venticinque anni, indossa una divisa molto più bella e
formale
della mia e lancia sguardi languidi verso Robert, che è
impegnato a leggere il menù che lei gli ha dato. Per me,
niente menù. Stronza.
Robert
risponde senza neanche sollevare lo sguardo dal menù:
«Due
pancake, un caffè, una cioccolata calda con molta panna,
cannella e polvere di cioccolato e una spremuta d'arancia,
grazie»
le porge il menù con un sorriso di sufficienza che fa'
impazzire la cameriera, che torna in cucina quasi ballando.
Io
invece sono furiosa.
Che
presuntuoso maschilista!
«Perché
cazzo hai ordinato anche per me!? Non sono mica scema, sai?».
Robert
non sembra capire, ancora una volta non sembra comprendere le mie
parole, è come se parlassimo due lingue diverse.
«Ma..
ma.. volevo solo.. non so, pensavo ti andasse bene».
«No!»,
scatto, inviperita, «ovvio che non mi va bene! Non puoi
decidere cosa devo mangiare, che cazzo! Non farlo mai più,
chiaro?».
«Non
capisco dove sia il problema».
«Non
ho cinque anni.. e tu non sei mio padre!».
«Continuo
a non vedere dove sia il problema. Pagherò io questa
colazione, tanto».
«Tu
sei fuori di testa! Faremo a metà!».
«Non
voglio discutere su questo. Non volevi forse sapere perché
ti
ho chiesto di venire?».
Sono
costretta a calmarmi.
«Si..
parla, forza».
«Non
preferiresti prima sapere almeno qualcosa di me?» cambia
discorso.
«Ma
hai appena detto..».
«So
cosa ho detto. Ti sto facendo una domanda».
«No,
non mi importa. Dimmi perché mi hai invitato qua».
«Come
vuoi...», sembra triste per un secondo, poi torna a indossare
la sua solita maschera. Oh, piccolo figlio di papà.
«Ho
bisogno che tu mi aiuti».
Ci
metto un secondo di troppo a capire le sue parole. «Tu vuoi
aiuto da... me?», non capivo.
«Perché
ti sembra così strano?» mi chiede, divertito.
Oh,
non so, forse perché tu sei vestito così
bene e
io così male.
O
perché tu sei bellissimo e io sono semplicemente io, con le
mie scarpe da ginnastica che hanno fatto un casino mentre entravo
qui.
O
forse perché tu sei nel tuo ambiente naturale mentre a me
sembra di entrare in un altro mondo semplicemente stando in un
ristorante a fare colazione. Che dici?
«Spiegati..»
dico, evitando la sua domanda.
«Ecco..
il vero problema qui, è la mia famiglia».
«Che
ha che non va' la tua famiglia? Ti ha tolto la paghetta?» lo
prendo in giro ma lui fa' finta di non notarlo.
«In
realtà.. è mia madre il problema».
Oh
ma allora non sei solo un figlio di papà, sei anche un cocco
di mamma!, ma non lo dico, perché adesso sono davvero
curiosa.
Che genere di problemi può avere un ragazzo che
può
permettersi di venire a fare colazione in un posto del genere?
«Tua
madre, eh? Parla, ti ascolto».
«Ecco,
lei..».
Ma
veniamo interrotti dalla cameriera con le nostre ordinazioni.
Un
buonissimo odore di cioccolata calda mi riempie l'anima e appena vedo
quanta panna montata c'è mi viene quasi da piangere dalla
felicità. Ci affondo subito il cucchiaino, è
densa.
Robert prende un sorso del suo caffè e spinge il piatto con
i
pancake verso di me, anche quelli hanno davvero un ottimo profumo.
«Mia
madre è molto apprensiva» mi spiega, mentre io
mangio la
mia colazione, «mentre io preferisco stare per i fatti miei.
Vuole che vada a pranzo da lei la domenica, mentre io detesto stare
in famiglia e preferisco uscire con gli amici quando non lavoro. E
qui entri in gioco tu».
Sollevo
lo sguardo dalla mia cioccolata.
«Io...?».
«Si,
tu. Mia madre mi sta chiedendo se ho una fidanzata da mesi e sono
stanco di risponderle di no. Il tuo compito sarebbe, come dire?,
fingerti la mia fidanzata».
Ancora
una volta ci metto un secondo di troppo per comprendere appena quello
che ha appena detto.
«COSA!?».
«Shh!
Non urlare, per favore. È un luogo pubblico, sai?».
«Fanculo,
tu sei pazzo!».
«Non
ti sto mica chiedendo di esserlo per davvero, tutto
quello che
dovrai fare è venire a pranzo con me dalla mia famiglia
qualche volta, magari accompagnarmi a qualche evento, stare al mio
fianco, sorridere e divertirti. Semplice».
«Tu.
Sei. Pazzo.» scandisco bene.
«E
tu sei terribilmente bella, ecco perché ho scelto proprio
te»,
i suoi occhi non si staccano dai miei e sento le guance prendere
colore.
«Risparmiati
le cazzate per le tue amichette, io me ne vado» faccio per
alzarmi – a malincuore, la cioccolata era davvero troppo
buona –
ma la mano di Robert mi afferra il polso attraverso il tavolo. Dio,
devo davvero togliergli questo odioso vizio di mettermi le mani
addosso.
«Riflettici,
prima di dirmi subito di no. Ci guadagni anche tu».
«Non
mi interessa, nessuna cifra potrà mai..».
«Mille
dollari al giorno».
Oh,
porca troia.
Ricado
sulla sedia, stordita. «Non dici sul serio..».
«Dico
sempre sul serio. Mille dollari se vieni a pranzo con me dalla mia
famiglia questa domenica, altri mille se resti anche a cena e ancora
altri mille se vieni al compleanno di mia sorella la settimana
prossima», i suoi occhi sono vuoti, è come se
stesse
contrattando un affare, che a pensarci bene è proprio quello
che sta facendo. E sono io l'affare. Mi fa' sentire
terribilmente sporca e usata. Ma sono mille dollari e io non pago la
luce da una vita.
«Sarebbe
solo per finta...» mormoro.
«Esatto.
Solo per finta, niente di vero. Ho davvero bisogno di togliermi mia
madre dai piedi e tu sei la mia salvezza. Mia madre ti
adorerà»,
perché questo pensiero non mi elettrizza neanche un po'?
«Non
puoi trovarti una ragazza vera? Oddio, non dirmi che sei..».
«No»,
scoppia a ridere.
«Non
ci sarebbe niente di male, eh. Solo che, non so.. tu.. non.. niente,
lascia perdere».
«Non
sono gay. Semplicemente non sono interessato a una relazione in
questo momento, ho troppo lavoro».
«Che
lavoro fai?», ma a me.. che cazzo frega?
«Lavoro
nell'azienda di mio padre».
«Lo
immaginavo..».
«E
tu lavori nel bar dell'altra sera?».
«Indovinato».
«Vivi
con i tuoi?».
«Quanti
anni mi dai, scusa?».
«Non
so.. diciassette?».
«Eeeh,
sbagliato.
Quasi diciannove».
Lo
vedo rilassare le spalle.
«Grazie a Dio, non mi andava di fare affari con una
minorenne.
La galera non mi attira».
«Non
attira a nessuno. E tu, quanti anni hai?».
Lui
sorride e si sporge sul
tavolo, ha un sorriso malizioso. «Troppo giovane per
possedere
l'impero di mio padre ma abbastanza da essere ai vertici
dell'azienda», oddio, che.presuntuoso.del.cazzo.
«Venti».
«Ventitré».
«Come
cazzo fai a essere così ricco e ad avere un lavoro come il
tuo
a soli ventitré anni, si può sapere?»,
è assurdo,
è troppo giovane.
«Papà.
Tutto merito di papà.. e di un ottima
università».
«Pagata
da paparino» specifico.
Annuisce,
«E che
potrai pagarti anche tu dopo un paio di giorni con me,
tranquilla»,
non dico niente, l'idea di andare all'università non mi ha
mai
attirata ma anche perché non me la sono mai potuta
permettere.
«Non
mi interessa. Voglio i dettagli del nostro.. "accordo"».
«Non
ora. Li stabiliremo volta per volta. Se vuoi puoi stimarmi una lista
dei tuoi impegni e delle cose che ti rifiuti categoricamente di fare,
che so.. tipo baciarmi», osserva il suo caffè e
nel
frattempo un angolo della sua bocca si solleva, in un sorriso furbo
da grandissimo figlio di puttana.
«Io
non ti bacerò» dico, decisa.
«Scrivilo
nella tua lista di cose che non farai. Potremo modificarla a nostro
piacimento».
«Non
credo che cambierò idea su questo dettaglio. Io non ti
bacerò
mai, è finzione, ricordi? E tu mi pagherai.. o io me ne
andrò».
«Ti
pagherò».
«Bene.
E io non ti bacerò».
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ehi! ciao.
ehm, si... è una nuova ff.
so cosa state pensando! "ma questa qua non ce la fa' a finirne una
prima di iniziarne una nuova'" be', la risposta è no.
è più forte di me, ho troppe idee in testa e ho
scoperto il mondo delle ff solo di recente quindi, siate buoni,
fatemi sperimentare.
per questa storia ho preso ispirazione da un bel po' di cose, diciamo
che è un misto di...,
cinquanta sfumature di grigio, gossip girl, pretty woman (?) e varie
canzoni che conoscerete con l'andare avanti della storia.
preso ispirazione non vuol dire "copiato" quindi non sarà
come
nelle citazioni qua sopra, diciamo che ho preso varie parti,
le ho modificate, cambiare, completamente rivoltate e infine rese mie.
non so quando la continuerò, non so neanche quando
finirò
"believe in me" o "fire and rain", so soltanto che avevo questa idea in
testa
e non ce la facevo più a tenermela dentro così ho
iniziato a scrivere e ho dovuto lottare molto per dirlo subito. ho
aspettato,
volevo pubblicarla dopo la fine di "believe in me" ma... a quanto pare
ho finito l'ispirazione e anche un po' per colpa della scuola
i miei ritmi sono cambiati, in più ho anche blake - il mio
amato
pastore tedesco - che occupa gran parte della mia giornata, quindi...
siate clementi, okay?
se non vi piace... be',
credo che scriverò lo stesso ahahaha,
ma comunque sia spero che questa storia - o almeno questo inizio - vi
sia piaciuto.
voglio un sacco di recensioni perché voglio farmi un'idea di
cosa ne pensate, chiaro?
minimo 10, altrimenti niente prossimo capitolo.
si, sono cattiva.
anyway, i love you all so..
ciao! vi voglio bene, alla prossima (che non so quando sarà).
xoxo.
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