Highschool never ends
Capitolo
2 ~ Call me when you’re sober
Lexie fissò criticamente il suo
riflesso all’enorme specchio che troneggiava in camera sua
(enorme quanto il
suo ego, la prendevano in giro le sorelle), inveendo tra sé
e sé contro
l’impulsività del momento in cui aveva deciso di
comprare quell’abito turchese:
le ingrossava i fianchi già pronunciati di loro, cosa che al
momento la
infastidiva non poco.
Smetti di fare la vanitosa in bagno e vieni a
prenderci.
Lexie ridacchiò davanti all’sms
di Willow e volò giù dalle scale dopo aver
raccattato la borsetta, rischiando
di prendersi una storta proprio sull’ultimo gradino, urlando
un saluto alla
famiglia che non la calcolò. Salì in macchina e
si diede una manata in fronte,
rendendosi conto di aver dimenticato in camera le ballerine che avrebbe
dovuto
utilizzare per guidare. Sbirciò con desiderio il portoncino
di casa sua, ma
l’ennesimo squillo di Willow - o Tia, o Florrie - la fece
desistere.
«Bene, Lex, oggi proveremo la
meravigliosa ebbrezza di una guida con dei tacchi dieci! Forza,
macchinina
adorata, facciamo vedere di che pasta siamo fatte», si
incoraggiò allegramente,
mettendo in moto e premendo l’acceleratore. Ci
andò giù così pesante che il
rombo del motore la spaventò e lei saltò sul
sedile, lasciando i pedali e
facendo morire l’auto. «… Ma vaffanculo,
macchina di merda. Ho sempre detto a
mia madre che volevo comprare quella rossa».
Riprovò e stavolta andò meglio,
anche se i dieci minuti che la separavano da casa di Tia le sembrarono
infiniti
quanto una lezione di trigonometria. Frenò bruscamente
davanti alla casa bianca
e gialla, strombettando allegramente nel silenzioso quartiere dove
abitava
l’amica. Tia uscì sbracciandosi e salì,
senza fare commenti sul ritardo di soli
trentacinque minuti.
“Non sarò così fortunata con
Willow”, pensò Lex, facendo inversione di marcia e
dirigendosi verso l’altra
metà della cittadina. Si divertirono ad alzare il volume
della radio, che al
momento passava una vecchia canzone di Madonna, e Lexie
cominciò a canticchiare
tentando un balletto da seduta, che per poco non coincise con la brusca
dipartita di un gatto sulla statale - “GATTOOO!”,
aveva urlato Lexie, sterzando
e quasi finendo fuori strada - e di un ciclista particolarmente lento -
“Ma
perché cavolo devono uscire di notte, dico io”,
aveva borbottato sempre Lex,
mentre Tia tentava di calmarla, inutilmente.
«La prossima volta prendo io la
macchina», esalò Tia quando si fermarono da
Florrie, che uscì di corsa e si
buttò in macchina come un soldato sotto il tiro di una
scarica di proiettili.
«È la terza volta che mi chiama
Willow, se non sei da lei entro un minuto ti trucida»,
riferì Flor,
affrettandosi ad agganciare la cintura, ben conscia della brusca
partenza che
sarebbe avvenuta di lì a qualche secondo. Con uno sprint che
neanche i piloti
del Grand Prix, ripartirono, mentre l’ultima arrivata si
lamentava flebilmente
della pessima scelta della musica - in quel momento, un rap melodico
che non
riscontrava decisamente i suoi gusti.
Sia Lex che Tia le intimarono il
silenzio.
«Che ore sono?», domandò Lex,
inserendo la freccia e svoltando a tutta velocità, facendo
schiacciare verso
sinistra le amiche.
«Non vuoi davvero saperlo», le
rispose Tia, e Florrie annuì da dietro. Lex
ridacchiò e dopo un paio di minuti
si fermarono davanti all’ennesima casa. Willow le stava
aspettando sul
vialetto, le braccia conserte e il piede che batteva ritmicamente sul
selciato.
«Uh, stavolta l’hai fatta
grossa…», commentò Tia, e
nell’abitacolo scese il silenzio - Lex aveva spento
del tutto la radio per evitare di peggiorare la situazione.
Willow aprì la portiera e Florrie
sembrò ritirarsi nel suo sedile fino a fondersi con esso.
«Ciao, Will», la salutò
festosamente Lex, ma chi la conosceva bene aveva già notato
il sorriso teso sul
suo volto. Willow prese posto dignitosamente e in silenzio, le labbra
serrate.
«Poco in ritardo, si dice»,
sembrò buttare a caso ad un certo punto, e tutte
rabbrividirono.
«Sì, scusa, problemi con il
vestito… Ah, novità, pensavo di proporre Tie
your mother down alle prossime prove del glee club, cosa ne
pensi?»
Il volto di Will si addolcì
immediatamente - tutti erano a conoscenza della venerazione che nutriva
nei
confronti dei Queen - e con tono pacato chiese informazioni a riguardo.
L’atmosfera si rilassò nel giro di pochi istanti.
«Eccoci arrivate!», esclamò
Lexie, posteggiando poco prima dell’ingresso della grande
villa di Tim. Scese
dalla macchina con difficoltà, impiegando qualche secondo
per riabituarsi ad un
utilizzo corretto dei propri piedi. Tia e Will le precedettero, e Flor
si
avvicinò sussurrando a Lex:
«Ma la canzone dei Queen…?»
«Ovviamente la prima cosa che mi
è passata per la testa. Ora devo recuperare gli spartiti e
trovare qualcuno da
ricattare per cantarla insieme a me e a Will, tutto entro un paio di
giorni».
Florrie scosse la testa, ma
decise di non commentare.
Dentro la villa c’era già una
folla non indifferente. Al contrario di Lexie, Nicole vantava una
puntualità
che avrebbe certo fatto fare i salti di gioia a Willow, ed era quindi
da tre quarti
d’ora che si stava annoiando terribilmente. Non aveva molta
voglia di
stalkerare insieme a Tess il tipo che le piaceva, quindi si era
appartata con
un gruppetto di amici a commentare dei risultati sportivi. Stava
già per
litigare con un ragazzo più grande che aveva appena offeso
una tuffatrice che
lei adorava, quando con la coda dell’occhio notò
un gruppetto di ragazze
passarle accanto. Riconobbe e salutò sia Florence che Tia,
la prima compagna
del club di disegno e la seconda di quello di atletica, e lo scambio
attirò
l’attenzione delle altre due ragazze con loro, una alta e
mora che ricordava di
aver visto passare di tanto in tanto nei corridoi e un’altra
bionda, che la
fissò negli occhi, la riconobbe e le rivolse un grande
sorriso. Nicole arrossì
e si aggiustò nervosamente i capelli mentre avvertiva il
battito cardiaco
accelerare. Era Lexie, la stessa persona che il giorno prima le era
venuta
addosso, ma il tempo di voltarsi verso il seccatore che continuava
imperterrito
a parlarle per zittirlo con più o meno educazione e quella
aveva già baciato
sulle guance un ragazzo (che le stava decisamente troppo vicino e si
prendeva troppe
confidenze per i suoi gusti) e si era allontanata con lui, lasciando
indietro
le amiche.
«Tutto bene?», le chiese Tess
spuntandole alle spalle e facendola sussultare. Nicole si
voltò con sguardo
profondamente irritato ma preferì non commentare, e vedendo
l’amica agitata e
con il fiatone decise di concentrarsi su di lei.
«Insomma… Tu cosa hai combinato?»
«Niente!», esclamò l’altra con
accento particolarmente acuto. «Avrei dovuto combinare
qualcosa?»
«Tess, siamo venute qua solo per te…»
L’amica trattenne il respiro per alcuni
istanti, prima di sputare tutto d’un fiato: «Ero
venuta qui per Jack, sai quello
alto, biondo, che gioca a hockey, no? Ecco, lui, l’ho cercato
per un po’ sperando
di trovare una scusa per attaccarci bottone e invece mi ha placcata
Magdalena e
mi ha detto che è fidanzato! Con
il suo
miglior amico!»
Nicole sospirò, posandole una mano
sulla spalla: il gay-radar di Tess sembrava drammaticamente funzionare
al contrario,
con lei, dato che era almeno la terza volta che accadeva una cosa
simile.
«Pazienza, non voglio pensarci. Torno
a ballare, vuoi venire?», le chiese, buttando giù
d’un fiato mezzo bicchiere di
Sex on the beach.
«Tess, per carità, non ti ubriacare
che non voglio che mi vomiti in macchina. Comunque no, grazie,
preferisco fare due
chiacchiere con gli altri. Divertiti!»
La guardò allontanarsi e riprese
la discussione abbandonata poco prima, ma verso mezzanotte e mezza il
fumo,
l’odore di alcol e le luci cominciarono a farle girare la
testa. Sentendosi
soffocare, Nicole decise di uscire fuori, evitando due coppiette che
tentavano
di procreare un bambino seduta stante su dei davanzali. Essere
all’esterno le
diede una sensazione di liberazione decisamente gradevole, il mal di
testa
dovuto alla musica troppo alta e l’aria troppo viziata stava
già scemando. Fece
alcuni passi addentrandosi nel giardino, dove il rumore della festa
arrivava
attutito e ovattato, riuscendo ad irritarla comunque, e si sedette su
un
muretto con i piedi pendoloni, pensierosa.
Era passata a malapena mezz’ora, ma
Nicole aveva corso il rischio di essere importunata almeno un paio di
volte da alcuni
ragazzi non propriamente sobri, che però la lasciarono in
pace non appena riuscirono
a focalizzare la sua aria truce. Iniziava a sentirsi triste
là fuori, da sola, e
si stava alzando per andare a supplicare Tess di andarsene quando vide
proprio Lexie
aggirarsi per il prato. Non sembrava particolarmente allegra, e Nicole
si soffermò
a studiare la sua espressione: aveva già visto quello
sguardo, l’aveva colto un
paio di volte quando la ragazza era sovrappensiero e smetteva di
accorgersi di quello
che c’era intorno. Si stava dirigendo verso il parcheggio
improvvisato sulla strada
con passo lievemente ondeggiante, e Nicole immaginò fosse
per il cattivo binomio
dato dai suoi tacchi a spillo a contatto con il terreno morbido e
umido: per lei
che indossava delle comode ballerine passeggiare per il giardino non
era invece
un problema. Si alzò titubante e decise di seguirla,
vedendola armeggiare con la
pochette di raso azzurra davanti ad un SUV nero, particolarmente
costoso, nuovo
e imponente. Ne tirò fuori un portachiavi con un piccolo
gattino di pezza attaccato,
ma invece di aprire la vettura Lexie cominciò a sfregare
ripetutamente la punta
di una chiave sulla carrozzeria della portiera, e lo stridio fece
accapponare la
pelle a Nicole, che emise involontariamente un gemito infastidito.
Lexie sobbalzò
e si girò, squadrandola con aria truce, ma quando la
riconobbe le sorrise, così
che Nicole le si affiancò timidamente.
«Ti stai divertendo?», le domandò
Lex, tornando alla sua occupazione. Il suo respiro, pur se smorzato
dall’aria fredda
e pulita della notte, sapeva di alcol, e la sua voce era fin troppo
tranquilla e
strascicata. Nicole ne dedusse che la cedevolezza del prato non era
l’unico motivo
per cui il passo della ragazza le era sembrato vacillante.
«Mi sto annoiando da morire», sospirò
in risposta, appoggiandosi con la schiena sulla stessa portiera che Lex
stava massacrando.
«Di chi è questa macchina?»
«Di un figlio di troia», chiarì Lex,
senza peli sulla lingua. Nicole aveva immaginato si trattasse della
vettura del
tipo che aveva poi visto avvinghiato a lei come un polipo, ma sentirla
parlarne
in quei termini fece gongolare la bestia nera che covava nel suo petto.
«Il tuo ragazzo?», le domandò, fingendo
di non sapere a chi si stesse riferendo. Lex fermò il suo
lavoro per alcuni istanti,
e la sua aria disgustata fu ulteriore motivo di soddisfazione per la
bestia ferina
di Nicole.
«Ti pare che mi limiterei a rovinargli
la carrozzeria se avessi beccato il mio ragazzo pomiciare con una
sciacquetta dopo
che gli avevo intimato di tenere su di sé le sue belle
manine? Altro che dargli
fuoco alla casa», borbottò inacidita, passando
all’altra portiera della fiancata.
«Ah, era un tipo con cui ti vedevi,
allora? Ma ti piace?»
Lexie scosse il capo, e i lunghi capelli
biondo scuro seguirono quel movimento disegnando un vago ed imperfetto
simbolo dell’infinito
sotto le scapole, sopra la stoffa del corsetto dell’abito.
Nicole avrebbe fatto
qualsiasi cosa per accarezzarle la pelle chiara e liscia della schiena,
e arrossì
appena formulando quel pensiero.
«Lo trovo molto carino, ma non mi
interessa. A me non interessa mai nessuno. Ma sai, le
apparenze…»
«Apparenze?», riprese l’altra, fiutando
qualcosa. Ma Lexie non rispose più per un po’,
finendo il suo lavoro e passando
all’altra fiancata. Su quella del guidatore si poteva leggere
un bel “cornuto”.
«Sei stata fortunata che abbia disattivato
l’antifurto», commentò allora, sperando
di sentirla parlare ancora.
«Nessuno di noi l’ha attivato, sarebbe
stato insensato sapendo il viavai di ragazzini ubriachi che ci sarebbe
stato».
«Già».
Altri minuti di silenzio, in cui Lex
completò il “perdente”
con aria particolarmente
concentrata. Finalmente si voltò verso la compagna di
classe, chiedendole se secondo
lei dovesse provvedere anche al cofano. Nicole assentì
seriamente, cosa che l’altra
sembrò apprezzare.
«Come mai sei venuta, se ti stai annoiando?»
“Bella domanda, ora cosa rispondo?
Che sono venuta per lei?”, rimuginò Nicole, a cui
venne da ridere istericamente.
«Ricattata da un’amica, dato che non
bevo le ho fatto da autista».
«Il ruolo ingrato dell’astemio, o
del costretto tale», commentò gaiamente Lex,
allontanandosi dalla vettura di un
paio di (barcollanti) passi e rimirando la sua opera. «Direi
che ho finito».
Fissò Nicole, che per tutto quel tempo
si era tenuta in disparte sul marciapiede che fiancheggiava la strada,
e considerò
che fosse molto carina. I leggins scuri rivelavano delle gambe snelle e
allenate,
e nonostante la maglia lunga e larga si intuiva un corpo magro e ben
proporzionato.
«Quel verde ti dona, sai?», le rivelò,
commento per cui Nicole sentì di nuovo il pericolo di
arrossire senza ritegno. «Ti
va di restare a farmi compagnia qui fuori? Ho la nausea, non mi va di
rientrare
in casa».
Nicole si sforzò di trattenere un’espressione
entusiasta che sarebbe risultata decisamente strana, ma quando Lexie la
afferrò
per un braccio usandolo come sostegno per camminare non poté
fare a meno di elevare
una preghiera di ringraziamento alla Santa Tess protettrice degli
affranti, contro
cui aveva brontolato fino a mezz’ora prima.
Camminarono avanti e indietro sull’asfalto
per un po’, e Nicole poteva sentire il calore del braccio e
della mano dell’altra
attraverso la stoffa della sua maglia, i suoi capelli appoggiarsi alla
sua spalla
e il profumo fresco e leggero del suo collo. Incrociarono diversi
ragazzi e coppie,
ma Nicole non se ne accorse; era talmente stordita che non si sarebbe
stupita neanche
se fosse caduto un meteorite davanti a loro, in quel preciso istante.
Lexie avvistò delle altalene rosse
nel giardino di un’altra villa dalle luci spente, e vi si
diresse con decisione,
sorridendo come una bambina. Appena vi si sedette sfoderò
un’aria così raggiante
che Nicole voleva strillare per quanto la trovava adorabile. Si
sistemò nell’altalena
a fianco e iniziò a dondolarsi lentamente, con i lisci
capelli biondi che si scostavano
o le coprivano il viso a seconda del movimento.
Parlarono per un po’, la voce di Lexie
che si faceva sempre più sognante e cantilenante, segno che
l’alcol era ormai del
tutto in circolo. Improvvisamente però puntò i
piedi a terra, rischiando di scivolare,
con una mano a coprirle la bocca e lo sguardo lucido.
«Non mi sento molto bene, mi viene
da vomitare», disse, e Nicole balzò in piedi,
allarmata. «Voglio andare a dormire»,
piagnucolò, appoggiando la fronte sulla grossa catena di
freddo metallo.
«Vuoi che ti accompagni?», le domandò
premurosamente Nicole, aiutandola a rialzarsi e trovandosi
così faccia a faccia
con lei. Avevano la stessa altezza, ma grazie ai tacchi Lexie
guadagnava quei centimetri
che sfoderava con orgoglio.
«Devo tornare con le altre, devono
guidare loro la mia macchina…», mugugnò
Lexie, alzando il viso verso il cielo e
perdendosi a contemplare la luna. Non era ubriaca, ma decisamente non
era nemmeno
troppo sobria.
«Senti, facciamo così: io ti porto
a casa, e l’amica che era venuta con me torna con le tue, che
ne dici? Dobbiamo
solo avvisarle e lasciar loro le chiavi, va bene?»
Per tutta risposta, Lexie la fissò
come un cane da tartufo che abbia puntato il suo tesoro e si sporse ad
annusarle
il collo, rischiando di farla squittire dalla sorpresa.
«No, non sei tu… Da dove viene questo
profumo di gelsomino? Io amo il gelsomino!»,
esclamò allontanandosi da lei e andando
a tastare le siepi di delimitazione. Nicole capì che la
situazione si stava facendo
tragica e inviò un sms a Tess, avvisandola di uscire dalla
casa di Tim per parlare,
pregando che in quella bolgia infernale riuscisse a sentire la
vibrazione del
cellulare.
«Lexie, torniamo indietro, dai»,
la pregò, e riconducendola senza fatica per poche centinaia
di metri. Individuò
la figura alta di Tess dalla strada, ma prima condusse Lexie alla sua
macchina,
facendola salire.
«Le chiavi».
Lexie la guardò spaesata.
«Che chiavi?»
«Le chiavi della tua macchina»,
le spiegò pazientemente, indicando la sua borsetta.
L’altra ridacchiò e
trafficando con l’apertura riuscì finalmente ad
estrarre il già visto
portachiavi. Nicole la ringraziò e richiuse la portiera,
correndo da Tess che
ancora non l’aveva vista.
«Tess, mi serve un favore, devi
tornare a casa con le amiche di Lexie, nella sua macchina. Erano
già d’accordo
che fosse una di loro a guidare, devi solo recuperarle e dar loro le
chiavi».
Tess strabuzzò gli occhi.
«Mi stai dicendo che la
riaccompagnerai a casa?»
«Sì».
«Ma è sobria?»
«Diciamo di sì», balbettò
Nicole,
e Tess assottigliò lo sguardo.
«Tesoro, lo stupro è reato, e
approfittarsi di una ragazza ubriaca è praticamente uno
stupro. Detto ciò, COSA
ASPETTI A SALTARLE ADDOSSO? DAMMI QUELLE CHIAVI IMMEDIATAMENTE E VEDI
ALMENO DI
POMICIARCI FINCHÉ NON È COSCIENTE DI
CIÒ CHE FA!»
Nicole imprecò tra sé, tappandole
la bocca e sperando che Lexie non avesse sentito l’urlo
dell’amica, che era
riuscita a spaventare un paio di coppiette, infastidite
dall’atmosfera romantica
ormai rovinata.
«A te non dà fastidio tornare con
le altre, vero?»
«Anche se me ne desse non avrei
comunque diritto di replica, giusto?»
«Mi piace quando afferri il
nocciolo della questione», si complimentò Nicole
ridacchiando. «Cerca una
qualsiasi delle tre e dalle le chiavi, spiegandole la situazione,
vedrai che
non ci saranno problemi».
«Domani ti chiamo così mi
racconti per bene tutti i dettagli», incalzò Tess,
prima di salutarla. Nicole
tornò da Lexie, che sembrava essere particolarmente
affascinata dai cd sul
cruscotto, mise in moto e si avviò, tornando sulla strada
principale.
«Il cd di Adele!», strillò Lex,
guardandola poi con un’occhiata da cucciolo. «Ti
prego?»
Nicole distolse lo sguardo dalla
strada per un paio di istanti, e le sorrise.
«Solo se mi canti qualcosa».
«Sono ubriaca, canterei come una
capra russa ubriaca con il mal di mare», si difese Lexie,
armeggiando con il
lettore cd. Nicole moriva dalla voglia di sentirla cantare da quando
aveva
sentito che era nel glee club della scuola, ma non le sembrava il caso
di
insistere troppo. E fu un bene, perché alla traccia di Rolling in the Deep iniziò a
cantare con un microfono immaginario in
mano, con la classica passione e noncuranza di chi ha perso ormai ogni
concetto
di pudore. Nonostante la sbronza, cantava bene e Nicole
sentì lo stomaco avvitarsi
in qualche tuffo doppio carpiato.
«Dai, canta con me», la pregò Lexie,
appena l’abitacolo si riempì delle note di Rumour
Has It. Nicole però rifiutò
l’offerta.
«Non voglio ucciderti le orecchie.
Non so cantare».
«Ah, non ci credo. Hai una bella voce,
mi piacerebbe sentirti cantare. Sei solo timida!»
«Fidati, è meglio così».
Lexie assunse un vago broncio, ma
non insistette oltre. Smise però di cantare e
sembrò tornare un filo più lucida,
fissando malinconicamente il paesaggio dal finestrino, aprendo bocca
solo per mormorare
qualche breve indicazione. Erano ormai alla quinta traccia quando la
fece fermare
davanti ad una villetta con un grazioso giardino.
«Ti ringrazio molto», le disse Lexie,
slacciandosi la cintura. «Mi spiace che ti sia toccato farmi
da balia».
«L’ho fatto con piacere», si
affrettò
a risponderle Nicole, prima che il silenzio scendesse tra loro due.
Lexie sembrava
aspettare qualcosa, e il cervello dell’altra era in panne.
«Sai, mi piaci molto»,
le disse senza pensare, mentre internamente inorridiva per
ciò che aveva appena
fatto. Rimase a fissare la sua aria seria in preda al panico, pregando
che l’indomani
non si ricordasse più nulla.
«Anche tu non sei mica male», se ne
uscì fuori Lexie cambiando di colpo atteggiamento, dandole
un bacio sulla guancia.
«Ci vediamo lunedì, ciao!»
Scese dalla vettura e si diresse alla
porta d’ingresso, mettendoci un po’ per riuscire ad
aprirla; quindi si voltò e la
salutò entusiasta con la mano, prima di sparire fagocitata
da quelle quattro mura.
Nicole era agghiacciata. Scoppiò in
una risata isterica picchiando la testa contro il volante. Era stata la
dichiarazione
peggiore della sua vita, su questo non c’era dubbio.
Tess nel frattempo era tornata dentro
casa e aveva individuato Tia, che però sembrava
particolarmente presa da un enorme
giocatore di rugby, e per solidarietà femminile non le era
sembrato il caso di disturbarla.
Si era aggirata tra le varie stanze (evitando accuratamente le camere
da letto)
per un po’, assistendo in diretta ad un ragazzo che vomitava
dentro un vaso cinese
di chissà quale valore. Le venne in mente cosa le avrebbe
fatto sua madre se ci
fosse stata lei al posto del padrone di casa e quasi le venne una crisi
d’asma.
Finalmente incrociò lo sguardo di Willow e si
avvicinò a lei, che stava chiacchierando
con un gruppetto di persone.
«Ciao, scusa, non ci conosciamo, però
devo tornare a casa con te!»
Willow si voltò di scatto e la fissò,
pensando fosse ubriaca, e Tess avrebbe voluto sotterrarsi per
l’equivoco.
«Prego?»
«Ehm, scusa, mi sono spiegata male.
Lexie è tornata a casa accompagnata da una mia amica
perché non si sentiva molto
bene, ma così io sono rimasta a piedi, con le chiavi della
sua macchina».
Era evidente che Will non le credesse,
perché quando si accostò Florence chiedendole
cosa stesse accadendo lei si limitò
a risponderle: «Sembra che Lexie sia svanita nel nulla con
una sconosciuta».
«Rapimento alieno?», esalò Florrie,
sbiancando. Will la guardò perplessa per poi recuperare il
cellulare e chiamare
l’amica scomparsa, ignorando bellamente la povera Tess che
iniziava ad innervosirsi.
«Non risponde», ringhiò, chiudendo
la chiamata e tornando a squadrare la nuova venuta. «Chi
sarebbe questa tipa che
l’ha riaccompagnata a casa? E perché avrebbe
dovuto chiedere a lei invece che tornare
da noi?»
«Lei si chiama Nicole Henderson, è
la ragazza con cui seguo biologia, presente? Io invece sono Tess King,
diciassette
anni, incensurata, e mi sembra ridicolo fare tutte queste storie quando
ci siamo
viste di sfuggita per quasi tre anni».
Si pentì quasi istantaneamente del
tono scocciato che aveva utilizzato, ma Willow al contrario
sembrò apprezzarlo.
«Va bene, direi che possiamo anche
tornare a casa. Flor, chiama Tia».
«Ma ci sta provando con quel tipo…»
L’occhiata di Will bastò a far desistere
Florrie, che si avviò dispiaciuta a rovinare i piani
dell’amica.
«Ah, ma se volevate restare…»
«Tranquilla, mi stavo annoiando da
morire», le rispose Willow. «E poi domattina devo
svegliarmi presto per studiare».
“Mio Dio”, pensò Tess. “Che
gabbia
di matti, chi è che studia la domenica mattina? Nicole
è in debito stavolta”.
Lexie era tornata in camera sua con
una certa difficoltà, si sentiva testa e gambe pesanti ed
era molto stanca. Aveva
cercato di fare tutto in silenzio per non svegliare nessuno, e si
concesse un rantolio
stremato solo una volta raggiunto il letto. Si sfilò le
scarpe e le lanciò con i
piedi in mezzo alla stanza, sfilandosi l’abito e infilandosi
sotto le coperte in
biancheria, troppo pigra per infilarsi il pigiama e struccarsi. Stare
sdraiata peggiorò
la sensazione di stare su una giostra del luna-park, ma non poteva
farci nulla:
chiuse gli occhi e si addormentò a bocca aperta, sbavando
leggermente sul cuscino,
per la gioia di sua madre.
Ancora nel dormiveglia, però, ripensò
a Nicole, alla sensazione di averla accanto, e arrossì nel
buio. Decise che non
le sarebbe dispiaciuto darle la possibilità di conoscerla
meglio e che lunedì le
avrebbe parlato di nuovo.
Sempre se fosse sopravvissuta alla
ramanzina dell’indomani di Willow.
Aggiornamento dell’ultima ora, spero
non abbia scritto castronerie.
Ho visto che molte persone seguono,
hanno nelle ricordate/preferite questa storia, quindi mi piacerebbe
ricevere le
vostre opinioni a tal riguardo, soprattutto sui personaggi. Insomma,
cosa ne pensate?
:) Spero che la vicenda vi stia piacendo!
Non aggiornerò sicuramente prima del
31 gennaio, causa esami. (Brutte bestiacce immonde!)
Alla prossima!
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