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{I forgot to say out loud how
beautiful you
really are to me
I can’t be without
you, you’re my perfect
little punching bag
And I need you, I’m
sorry.
.. please, please,
don’t leave me. }
Alec è sveglio,
appollaiato sul divano zebrato che Magnus ha
comprato in un mercato durante la loro vacanza. Alec odia quel divano,
perché
pizzica ed è scomodo, ma odia ancora di più
l’idea di dover rimanere sveglio a
fissare il buio con Magnus sdraiato di fianco e tutte quelle domande
senza
risposta che galleggiano nell’aria.
Alec non è bravo con le
emozioni, quindi non sa bene come
definire quel nodo alla gola che gli si forma quando pensa a Magnus.
Alec è
confuso, perché quel nodo sa di rimpianto, e di paura, e di
voglia, e di gioia.
Ma sa anche di colpevolezza e gelosia, di sorrisi rubati e poesie
improvvisate.
Alec vorrebbe che non fosse tutto
così maledettamente
difficile. Si dice che è stato stupido, che avrebbe dovuto
pensarci prima e che
non dovrebbe pretendere di sapere tutto di Magnus, perché
ottocento anni sono
tanti e lo Stregone avrà anche i suoi buoni motivi per non
dirgli niente. Ma
Alec, infondo, è solo un ragazzo che ha detto troppe parole
sbagliate al posto
di tutte quelle che avrebbe voluto dire, ed ha solo bisogno di sentirsi
dire
“va tutto bene”.
Alec ha paura. Ha paura che Magnus
non lo voglia più, ha
paura di crescere, ha paura di aver sbagliato a liberare Camille per un
suo
stupido capriccio, ha paura di non essere più di alcun aiuto
a nessuno. Forse è
per questo che, quando i primi raggi del sole bucano le tende fucsia e
Magnus
appare sulla soglia, non alza la testa.
- Alec? – domanda Magnus,
stropicciandosi gli occhi
assonnato, con solo dei boxer ridicoli addosso. Alec
si stringe in se stesso, la testa
appoggiata alle ginocchia, gli occhi serrati e la voglia di scomparire
per
sempre.
Ah. Per
sempre.
Alec stringe le labbra, e si ostina a
guardare fuori dalla
finestra. Sente Magnus sospirare e sedersi accanto a lui, appoggiando
un
braccio allo schienale, l’altro mollemente abbandonato su un
fianco.
Per un po’ si limita a
guardarlo, assottigliando gli occhi
per la luce del sole che disegna il profilo del ragazzo, poi gli passa
un
braccio attorno alla vita e lo attira contro di sé.
- lo sai che ti amo, vero?
– gli sussurra in un orecchio,
allacciando definitivamente le braccia intorno a lui. Alec sobbalza,
arrossisce
e annuisce vigorosamente.
- anche io – pigola, senza
guardarlo negli occhi. Magnus
sospira, un sorriso ad increspargli le labbra, mentre appoggia la testa
sulla
spalla dell’altro.
{What you would do if You
were the one Who
was spending the night Oh
I wish that I Was
looking into your eyes.}
è seduto sullo stesso
divano, Magnus, e adesso lo trova
brutto anche lui. Odia il modo in cui gli ricorda Alec, i suoi
borbottii
scontenti ogni volta che ci si sedeva sopra. Ma non può
andare in nessun altra
stanza, perché sarebbe solo peggio. La camera da letto, poi,
è fuori
discussione.
Deglutisce il groppo alla gola,
mentre afferra il Presidente
Miao per la coda e comincia ad accarezzarlo. Il gatto protesta, lo
graffia, ma
Magnus non ci fa caso.
Pensa solo a quanto sia vuota, la sua
casa, ora. A quanto
sia vuota la sua vita.
Ride amareggiato, quando realizza che
ha fatto di tutto pur
di entrare nella vita di Alec, finendo con il lasciarlo in una stupida
fogna
buia.
Che stupido, che è stato.
Ha sempre saputo di esserlo,
infondo. Solo uno stupido può innamorarsi ancora dopo
ottocento anni di
delusioni e ferite. Ancora
più stupido,
perché questa volta ci aveva creduto un po’ di
più, perché questa volta si era
lasciato andare un po’ di più. Perché
questa volta era diversa, e aveva fatto
finta di non accorgersene.
Il Presidente miagola infastidito.
- stupido gatto – borbotta
lo stregone, lasciandoselo
scappare dalle braccia. Lo guarda mentre zampetta nel corridoio,
sparendo in
cucina, probabilmente alla ricerca di cibo.
Alec è stato qui.
L’ha sentito non appena entrato in casa.
Ha percepito la sua presenza, come un alone che rimane
nell’aria, tanto da
fargli pensare che si fosse fermato sul divano ad aspettarlo. Ma sul
divano
c’era solo il Presidente addormentato, e sul comò
c’era la piccola chiaved’argento.
È lì ancora
adesso, Magnus non l’ha toccata e quasi vorrebbe
farla apparire con uno schiocco di dita nelle tasche dello
Shadowhunter, perché
tanto lo sa che non può più vivere senza di lui.
Forse me ne
posso
andare, si dice, con una parvenza di speranza che in
realtà è disperazione,
potrei fuggire prima che la guerra
incominci. Sparire e tornare solo quando sarà tutto finito.
Quando non
ricorderò nient’altro che i suoi occhi, senza
però riuscire ad associarli a
nulla. Solo un lampo di azzurro e nient’altro.
Ma Magnus sa che non
dimenticherà mai niente, di Alec. Tra
duecento anni, probabilmente, si ritroverà ad ordinare lo
stesso tipo di caffè
che piace a lui solo per sentirlo più vicino.
Che idiota.
Voglio
davvero un
rimpianto così grande? Si chiede per un millesimo
di secondo.
Poi Magnus si ricorda che
è arrabbiato, che Alec si è
lasciato raggirare da Camille come un babbeo, che voleva renderlo
mortale. Non
che lui non c’abbia pensato, per l’amor di Dio. Ma
è la sua vita. E Alec
sarà anche il suo ragazzo, ma non ha alcun diritto
di scegliere per lui. Sarebbe come se Magnus lo costringesse ad
abbandonare la
sua famiglia per lui.
E, con un lampo di rabbia, pensa a
quanto sia stato idiota
pensare che Alec fosse diverso: diverso dai Lightwood che ha sempre
conosciuto;
diverso da Camille, che ha sempre giocato con lui come con un
burattino;
diverso da William, che non ha mai capito; diverso da chiunque altro
Magnus
abbia amato in passato.
E forse Alec è davvero
diverso, o forse è semplicemente
l’ennesimo errore. Magnus non lo sa, sa solo che si sente
tradito come poche
volte prima d’ora.
Chissà poi cosa deve
avergli detto Camille, per convincerlo.
Non dev’essere stato poi così difficile, Alec
è facile da prendere in giro,
Magnus lo sa bene. Probabilmente le è bastato raccontargli
qualche bugia e
stuzzicarlo un po’. Dev’essersi sicuramente
divertita parecchio, a confonderlo.
Magnus si sente in colpa per
averglielo permesso, per non
essersene accorto prima. L’ha sempre saputo, no, che Camille
s'interessa
solamente dei propri scopi. Ha usato Alec contro di lui, e poi ha usato
anche
lui. Che stupido, mioddio, che stupido.
Il telefono suona, ma Magnus neanche
si alza. Non vuole
parlare con nessuno, vuole solo stare solo, vuole lasciare che la sua
rabbia lo
consumi dentro senza più lasciargli spazio per respirare.
Parte la segreteria.
“Magnus”
Magnus
sobbalza, sentendo la voce di Alec provenire dal telefono, e si alza di
scatto,
dirigendosi verso il mobile dove si trova il maledetto aggeggio.
“io, umh, eh. Io .. io non volevo
chiamare.
Cioè, si, volevo, sennò non l’avrei
fatto, ma avevo … . È che Isabelle ha detto
che se non avessi chiamato io l’avrebbe fatto lei, e sarebbe
stato ancora
peggio.”
Magnus fissa il telefono come
ipnotizzato, mentre si immagina
di avere Alec di fronte a sé le guance in fiamme e i capelli
tutti arruffati.
Può vedere distintamente i suoi occhi azzurri che saettano
ovunque, tranne che
su di lui, per l’imbarazzo.
Alec sospira, e in un sospiro si
disperdono i pensieri dello
stregone, che sta pensando un milione di cose in contemporanea ma
è come se non
ne stesse pensando nessuna: c’è la rabbia,
l’amaro sulla lingua, ma anche il
cuore che batte a mille e la voglia di vederlo. Si scontrano, si
picchiano
senza pietà, e Magnus immagina le sopracciglia corrucciate
del cacciatore, il
tremolio delle dita che stringono il telefono.
“io.. io lo so che
hai altro da fare, e che
ascoltare un ragazzino in crisi non sta in cima alle tue
priorità. Lo so che
sono stato un idiota, Magnus, credimi. Sapevo di esserlo anche mentre
andavo a
parlare con Camille. Mi .. mi sono sentito un mostro. E mi dispiace.
Non ho
scusanti, lo so. Non ti sto chiedendo niente.” Prende
un respiro profondo,
e Magnus lo sente che sta tentando in tutti i modi di non suonare come
un
patetico ragazzino piagnucolante. Per un attimo si dice che
è vero, non ha
scusanti, non si merita nemmeno che lui ascolti questo stupido
messaggio sulla
segreteria. “volevo
solo..” altro
attimo di silenzio, e lo stregone già pensa a come sarebbe
bello essere la
risposta ad ogni sua domanda, ad ogni sua frase lasciata in sospeso,
perché
Magnus se lo vede, confuso come non mai, mentre tenta di dare una
spiegazione a
qualcosa di inesprimibile.
“oh,
lascia perdere.
Non fa niente. Non lo so nemmeno io, cosa volevo. Fa finta che non
abbia
chiamato, ok?”
Sta per attaccare, e Magnus non
può permetterglielo. Non può
permettersi un altro rimpianto, non può permettersi il
dolore di Alec e non può
permettersi nemmeno di scappare. È sempre stato un
vigliacco, Magnus, e lo sa. È
sempre fuggito quando l’istinto gli diceva che stava per
succedere qualcosa di
terribile. È fuggito quando Camille l’ha trattato
come uno zerbino, e
fuggirebbe anche adesso, se solo Alec non fosse così
importante. Più importante
del suo fottutissimo istinto di conservazione.
Afferra la cornetta con un scatto.
- Alexander – dice, con
voce profonda, prima che l’altro
riesca a fare qualsiasi cosa. Nemmeno lui sa bene cosa fare, vorrebbe
avere
qualcosa da dire, qualcosa che dia la pace ad entrambi.
Lo sente che trattiene il fiato,
pietrificato nell’imbarazzo
e nella paura irrazionale che ogni tanto lo coglie, quando si tratta di
sentimenti.
Se ne stanno zitti per un
po’, e forse Magnus neanche ha
voglia di parlare. Si chiede perché non possa tornare tutto
come prima, prima
che Jace sparisse; si chiede perché non possa semplicemente
schioccare le dita
per rimettere le cose a posto.
- perché hai risposto?
– domanda ad un certo punto Alec, la
voce incrinata.
- non lo so – rispondesincero Magnus, inclinando il volto di lato.
- che razza di risposta è,
non lo so?! – ribatte Alec,
piccato, e Magnus ride dell’imbarazzo palese nella voce
dell’altro.
- anche tu hai detto di non sapere
perché hai chiamato. –
risponde lo stregone, arrotolandosi il filo del telefono attorno ad un
dito.
Alec si zittisce, incassando il
colpo. Rimangono in silenzio
un altro po’, e Magnus vorrebbe poterlo guardare negli occhi
per leggere tutte
le sue emozioni.
- hai detto di non volermi vedere mai
più – pigola Alec.
- mentivo – dice con
naturalezza Magnus, stupendo anche se
stesso, mentre si porta una mano nei capelli. Uno sbuffo di rabbia e
stupore, e
Alec attacca. Magnus rimane a bocca aperta, il suono del telefono che
gli ronza
nel cervello. Gli ha appeso.Non
ci può
credere.
Il Presidente, dalla cucina, miagola
di un suono acuto e
fastidioso, chiaro segno che ha fame e che le due crocchette rimaste
nella sua
ciotola non sono neanche lontanamente abbastanza.
Ma Alec gli ha appena attaccato in
faccia, e Magnus fa
fatica ad elaborarlo.
Appoggia il telefono, fa comparire il
cibo al gatto senza
nemmeno pensarci e medita se sia il caso o meno di prendersi una seria pausa da tutto quanto. La risposta
è chiaramente si, ma dubita che il suo cervello riuscirebbe
a smettere di
arrovellarsi.
Guarda la stanza, piena di mobili
che, senza un pizzico di
magia, non entrerebbero nemmeno dalla porta. Ed improvvisamente gli
sembra
vuota. Gli sembra di essere la sola persona viva in un raggio infinito
di
chilometri. Si chiede come sarà, tra qualche millennio o
forse meno, quando
sulla Terra non ci sarà più niente se non lui.
Polvere alla
polvere.
Dice una voce nella sua testa, ma Magnus sa che difficilmente
diventerà
polvere, lui.
E poi pensa che Alec sia davvero
l’ultimo che ha diritto ad
essere arrabbiato, e che non avrebbe dovuto attaccargli. Che
è lui quello che
dovrebbe essere arrabbiato, che lui è
arrabbiato.
Si lancia sul divano, affondando tra
i cuscini e facendo
comparire una bottiglia di birra. Si sente solo e molto, molto
stupido. La TV si accende ad uno suo gesto, e Magnus prova a
dimenticare per un po’, perdendosi nelle repliche
dell’ennesima fiction
sdolcinata. E la vita
gli fa
decisamente schifo.
{Cause here we are
again in the middle of the night We're
dancing round the kitchen in the
refrigerator light Down
the stairs I was there I remember it all
too well}
Neanche venti minuti dopo, il
campanello suona. O meglio,
suona ininterrotto. Chiunque sia,
sta
pigiando il dito sul bottone senza alcuno scrupolo.
Si alza svogliato, deciso a rifiutare
qualsiasi cliente, con
qualsiasi problema o richiesta. È già abbastanza
nervoso così.
Si sistema i capelli, poi apre la
porta e: - non sono in
servizio – dice la sua bocca, senza riuscire a fermarsi,
anche se il suo
cervello ha perfettamente registrato la figura ansante di Alec, fermo
davanti
alla porta con cipiglio deciso, il dito ancora premuto sul pulsante. Ha
i
capelli scompigliati dal vento, le guance rosse come due mele ed il
cappotto
nero allacciato storto. Magnus lo trova terribilmente attraente, anche
se non
vorrebbe.
- non m’interessa
– replica lo Shadowhunter, recuperando il
fiato e fissandolo dritto negli occhi;lo
stregone si chiede come sia possibile che, a volte, l’altro
sembri così
insicuro. E se abbia corso fino al suo appartamento solo per sputargli
addosso
tutti gli insulti che, in parte, Magnus si merita.
Si fissano e: - potresti almeno
togliere il dito dal
campanello – commenta lo stregone, ed Alec lo stacca di
colpo, arrossendo,
realizzando solo in quel momento di aver passato gli ultimi minuti con
il dito
pigiato sul bottone. Gli viene in mente di quando lo faceva ogni volta
che
passava di lì e di come, le prime volte, ancora lo suonasse,
nonostante avesse
la chiave in tasca.
Magnus è appoggiato allo
stipite della porta, le braccia
incrociate e le sopracciglia incurvate, nella stessa identica posizione
in cui
il Cacciatore l’ha visto la prima volta; non lo invita ad
entrare, non dice
niente, si limita a guardarlo come se potesse capire tutto quello che
gli ronza
in testa solamente guardarlo.
Alec deglutisce la propria ansia, e
prende un respiro
profondo: i sentimenti non sono il suo forte, e non sa nemmeno cosa
vuole dire
a Magnus, o perché la rabbia che lo ha spinto fino a
lì si sia improvvisamente
sgonfiata alla vista dello Stregone, ma sa che non può
lasciare che le cose
rimangano così. Avrà anche
diciott’anni, ma non è stupido, e non vuole che
Magnus se ne vada solo perché ha pensato
di
fare qualcosa.
Apre la bocca, sta per dire qualcosa
di probabilmente
insensato, quando Magnus lo interrompe:
- se sei qui per insultarmi,
Alexander, credo dovrai
prendere il biglietto e fare la fila –
- non sono qui per insultarti
– replica Alec e, senza
nemmeno pensare, aggiunge: - e non chiamarmi Alexander -
Magnus non replica, tira solo le
labbra in una strana
smorfia.
- l’hai ammesso tu, che
mentivi, quando hai detto di non
volermi vedere. – gli fa notare, leggermente stizzito. Non si
aspettava certo
baci e abbracci, ma almeno Magnus potrebbe evitare di sembra
così infastidito
dalla sua visita.
- questa non mi sembra una buona
scusa per venire qui dopo
avermi appeso in faccia – ribatte Magnus, divertito. Si
impedisce fisicamente
di continuare, chiedendogli magari di entrare a bere qualcosa,
perché è vero
che ama Alec, ma è anche vero che Alec ha preferito credere
a Camille,
piuttosto che avere fiducia in lui.
- si, bhe, e tu sei uno stronzo.
– la parola gli scivola
fuori involontariamente, e sembra cadere tra di loro come un pezzo di
vetro,
andando in frantumi subito dopo, colpendoli con mille e più
schegge e
lasciandoli entrambi a bocca aperta. Magnus pensa che, in una
situazione
normale, gli occhi esageratamente spalancati di Alec e la mano che
è corsa a
coprirgli la bocca, sarebbero esilaranti.
- bene – replica gelido
Magnus, assottigliando gli occhi,
inviperito. – allora credo che non abbiamo
nient’altro da dirci –
Alec boccheggia, preso in
contropiede, e Magnus quasi si
sente soddisfatto della sua espressione contrita e addolorata. Lo sa
che
l’altro sta per scoppiare, che finalmente riuscirà
a tirargli fuori dalla bocca
qualcosa di più delle sue solite, tranquille risposte. Quasi
spera che l’altro
pianga, in modo che lui si renda conto di quanto sia patetico stare con
un
ragazzino di diciotto anni. O forse vuole solo che l’altro
sappia cosa vuol
dire sentirsi traditi dalla persona più importante.
È come venir trafitti da un
ferro rovente all’altezza del petto e, se Magnus abbassasse
lo sguardo, è
sicuro che si potrebbe vedere la ferita che Alec gli ha lasciato.
Ma Alec non fa niente di quello che
Magnus avrebbe potuto
prevedere: semplicemente, con un sospiro tremante e gli occhi grandi e
spalancati, fa un passo indietro. E poi un altro, a testa bassa.
Non lo guarda quando: - forse..
– mormora, – forse hai
ragione – e la sua voce sa di rimpianto ed occasioni perse
per sempre.
Per sempre.
Magnus deglutisce l’amaro
che gli brucia in bocca, pensando
a quanto sia lungo, l’eterno. Alec non ha tutto quel tempo,
Alec morirà, ed
anche presto, e Magnus non riesce neanche a prendere in considerazione
l’idea.
Com’è possibile?
Si sente più lunatico di una donna con il
mestruo: è incredibile come, fino ad un attimo fa, fosse
talmente arrabbiato
con Alec dal volergli fare male, mentre adesso non può
neanche accettare che
morirà. È Alec, è l’effetto
che gli fa quasi sempre: non riesce a rimanere
arrabbiato, neanche quando vuole, e lo fa sentire così
stupido.
Alec, che ora chiude gli occhi e si
volta.
Non si guarda indietro, mentre scende
le scale. Le stesse
scale che ha salito e sceso ogni giorno, dove si sono baciati,
abbracciati,
salutati miliardi di volte.
- Alexander – lo chiama,
senza poter resistere,
maledicendosi in tutte le lingue che conosce.
Alec sobbalza, fermo a
metà scala, e Magnus inizia
seriamente a chiedersi che cosa non vada nella propria testa. Ci dev’essere per
forza qualcosadi
storto. Forse i troppi libri gli hanno
incasinato la mente più di quanto credesse.
Ma anche Alec dev’essere
piuttosto confuso perché, quando si
gira verso di lui, la sua espressione va dall’arrabbiato allo
sconcertato.
- smettila – dice, con lo
stesso cipiglio deciso che ha in
battaglia. – non ho intenzione di giocare al tira e molla con
te. –
Magnus vorrebbe ribattere che lui non
sta giocando a tira e
molla, sta solo tentando di capire cosa vuole sul serio e che la sua
mente non
fa altro che mandargli messaggi discordanti, ma Alec continua a parlare
come un
fiume in piena: - hai detto che non volevi vedermi mai più
ma rispondi alle mie
chiamate, affermi che non abbiamo più niente da dirci ma mi
fermi prima che me
ne vada. Cosa vuoi, Magnus? – scuote la testa, ed i capelli
gli si arruffano
ancora di più. – io non ti capisco. Ma
è inutile che io ci provi, perché tanto
non mi dici mai niente, non mi racconti nulla! A quante delle mie
domande hai
risposto, eh, Magnus? – gli lancia uno sguardo di sfida cui
Magnus risponde con
un’occhiata sorpresa. Alec sale di qualche gradino.
– ti stupisce tanto pensare
che io abbia preferito fidarmi di Camille piuttosto che di te?
–
- hai complottato con lei per
rendermi mortale! –
ringhia Magnus, mentre il suo cervello si
divide in due parti che ingaggiano una guerra tra di loro, impedendogli
di
pensare lucidamente. Alec continua a salire.
- no! – esclama Alec,
alzando la voce per la prima volta. – ho
pensato di farlo, è vero. È inutile negarlo,
giusto? Ma questo non cambia il
fatto che io abbia rifiutato l’accordo. Non l’avrei
fatto, Magnus. Te lo giuro
sull’Angelo –
E Magnus vorrebbe tanto
credergli, perché si vede che Alec è sincero, in
questo momento. Ma la rabbia
gli brucia ancora in petto e fa male, malissimo.
Ormai Alec è arrivato al
pianerottolo, ma non si avvicina a
lui. Con la mano aggrappata alla ringhiera, lo guarda con un misto di
tristezza
e dispiacere che lo rendono affascinante come un attore di un film in
bianco e
nero.
- mi dispiace, lo so di essere stato
un idiota e di aver
sbagliato. Ma non posso credere che tu mi stia lasciando
perché ho pensato di
fare qualcosa – fa uno strano
sbuffo, tra il divertito e l’amareggiato. Magnus lo guarda, e
sente la rabbia
sciogliersi e scivolargli sulla pelle, giù, giù,
fino al pavimento. – è
ridicolo, non trovi? Se tutte le persone dovessero pagare un prezzo per
quello
che pensano, credo che saremmo tutti al verde. –
Gli sorride mestamente, le guance che
diventano
improvvisamente rosse quando realizza di aver appena fatto un discorso
riguardo
ai propri sentimenti senza che nessuno lo spronasse o senza sentirsi
terrorizzato. Magnus stesso se ne sorprende, si stupisce di come Alec
si sia
aperto con lui; e si sente in colpa, perché Alec infondo ha
ragione e lui ha
passato il suo tempo ha fare l’idiota.
Ma come fa a sapere che Alec non
l’avrebbe fatto davvero? È
ovvio che abbia potuto solo pensarlo, forse l’ha scoperto
prima che potesse
fare niente.
- i..io credo che siano le azioni, a
contare, Magnus. –
scrolla le spalle, mordendosi il labbro inferiore. – in
battaglia si pensano
sempre mille strategie prima di scegliere quale mettere in atto. -si fissa le mani,
macchiate da righe nere e
cicatrici, poi le lascia cadere mollemente lungo i fianchi.
- e adesso è il momento di
fare una mossa. – sospira, fissa
gli occhi cerulei in quelli verdi di Magnus, che vorrebbe solo non
essere così
stupido da essere ancora innamorato di lui.
Li separano solo due passi, ma a
Magnus sembrano milioni di
chilometri.
- immagino di si – mormora
lo stregone, prima di allungarsi
ad afferrare l’altro per un braccio, tirandoselo addosso, il
più vicino
possibile, perché anche se non vuole ammetterlo Alec gli
è mancato come l’aria.
Si baciano, come quelle coppie nei film che Alec prende sempre in giro,
perché
sembrano mangiarsi la faccia a vicenda.
Non vuole che si allontani. Non vuole
che se ne vada mai
più.
{I’d
spend a life time with you
I
Know your fears and you know mine
We’ve
had our doubts but now we’re fine
And
I love you, I swear that’s true
I
cannot live without you.}
Le labbra di Alec sanno di notte e di
freddo, quando si
scontrano con le sue, cozzandocome
se
non sapessero più bene come muoversi.
Le mani dello stregone corrono sotto
il cappotto dell’altro,
lo strattonano senza un motivo particolare, mentre quelle di Alec si
aggrappano
alle sue spalle con forza, le dita affondate nella maglia leggera che
ha
indosso.
Magnus vorrebbe ridere, quando la
lingua del cacciatore
diventa più irruenta, scontrandosi con la sua dopo quelli
che gli sono sembrati
anni, ma che in realtà sono solo giorni. Lo trascina dentro
casa, chiude la
porta con un calcio e ce lo sbatte contro, senza mai smettere di
baciarlo. Si
rende conto solo ora che stargli lontano è stato come
smettere di respirare per
dispetto, ed ora tutte le sue cellule si tendono allo spasmo verso
l’ossigeno.
Che stupido a poter credere di vivere senza di lui.
Si stacca solo per prendere fiato, e
per guardare le schiuse
labbra dell’altro, e i suoi occhi azzurri, offuscati ma
luminosi.
- scusa – mormora Alec,
sulle sue labbra, mandando infiniti
brividi su tutto il corpo dello stregone.
- scusa tu – replica in un
soffio Magnus, intenerito dal
pigolio dell’altro, passando a mordicchiargli il lobo di un
orecchio con
malcelata malizia. Alec sussulta, geme flebile e: - sono stato un
idiota –
Magnus sorride contro la sua spalla,
Alec lo sente schiudere
piano le labbra: - lo siamo stati entrambi –
Alec mugugna il suo apprezzamento,
sospira pesantemente e si
rilassa contro la porta. Ma Magnus intuisce che sta per parlare
un’altra volta,
lo sa dal modo nervoso in cui si muovono le dita del cacciatore sulla
sua
schiena, così lo blocca in tempo: - Alexander Gideon
Lightwood – esordisce, il
respiro affannoso – di’ solo un’altra
parola e giuro che ti faccio apparire il
Presidente nei pantaloni –
Alec borbotta qualcosa tra lo
scandalizzato e l’imbarazzato
a morte, ma alla fine, lasciando che Magnus lo spogli del cappotto e
della
felpa sgualcita che ha indosso.
È uno stupido, Magnus se
ne rendo conto anche adesso, adesso
che Alec si sta lasciando baciare come se non fosse successo niente,
mentre le
sue mani giocano timide con il bordo della maglia dello stregone.
È uno stupido, ma la cosa
gli piace terribilmente, lo fa
sentire molto più entusiasta e vivo,e
forse in un futuro neanche troppo lontano i problemi gli ricadranno
addosso
come macigni e rimpiangerà un sacco di cose, ma ora
c’è solo Alec, con i suoi
occhi blu e le smorfie imbarazzate. Alec, fatto di vetro, trasparente e
fragile, forse un po’ scheggiato, ma comunque ancora intatto.
Alec, che sorride contro la sua
spalla quando Magnus gli
sussurra: - Aku cinta kamu –
- ma questa volta cambia, vero?
– domanda il Cacciatore,
speranzoso, posandogli un bacio casto sul collo che manda il sangue di
Magnus
tutto in basso.
Magnus si scosta, lo guarda negli
occhi, dicendosi che
adesso è ancora in tempo, può ancora scappare,
che se deve farlo è adesso o mai
più. Ma si sente un mostro al solo pensiero: ha tentato
tutta la vita di non
apparire come tale, non può diventarlo proprio davanti alla
persona più
importante.
Così gli sorride.
- cambia tutto – afferma in
un sussurro, quasi stupendosi
delle proprie parole, e Alec si morde il labbro inferiore, abbassando
lo
sguardo, le guance rosse come fuoco.
Magnus si preme contro di lui, con
tutto il corpo, come se
volesse impedirgli di andarsene; ma Alec non ne ha alcuna intenzione,
glielo fa
capire perfettamente quando gli mordicchia piano il labbro, gli occhichiusi, come se tutto
questo fosse troppo
imbarazzante per essere visto.
Le dita dello stregone gli si
arrampicano lungo la schiena,
sotto la maglietta scura, salendo con tocchi leggeri che fanno
sobbalzare ogni
volta il Nephilim. Magnus trova adorabile e incredibile come
l’altro riesca a
rimanere sempre così innocente.
Gli segna il contorno delle labbra
con la lingua, ad occhi
chiusi, mentre gli sfila anche la maglietta. Poi, per par condicio, si
spoglia
della propria, lanciandola da qualche parte, soddisfatto dello sguardo
di Alec,
fisso su di lui.
Stringe le braccia intorno alla vita
del ragazzo,
sollevandolo un po’ dal pavimento, mentre lo bacia, il viso
piegato per avere
un angolazione migliore. E Alec lo lascia fare, gli stringe le gambe in
vita
istintivamente, troppo preso dal bacio per accorgersi sul serio che
Magnus lo
sta trasportando fino al maledetto divano zebrato.
Lo stregone ghigna, alla vista degli
occhi spalancati di
Alec, quando lo lancia con poca grazia sul divano. Si tira a gattoni
sopra di
lui, le mani ai lati del suo volto. Si perde qualche attimo a
guardarlo, le
labbra gonfie di bachi e gli occhi azzurri, così trasparenti
che Magnus riesce
a distinguere tutte le sue emozioni. Forse è per questo che
Alec raramente
fissa la gente negli occhi: probabilmente sa di essere un libro aperto.
Magnus si passa la lingua sulle
labbra, mentre si china su
di lui, e l’altro chiude gli occhi in aspettativa. Sono ad un
soffio l’uno
dall’altro, quando il telefono di Alec squilla, la musichetta
dell’orrore che
Magnus ha impostato per il numero di Isabelle che riecheggia per tutto
il
salotto.
- per l’Angelo! –
borbotta Alec contrariato.
Magnus si alza in fretta, recupera il
cellulare dalla tasca
del cappotto e: - che vuoi? – sbuffa.
- picchiarti – risponde
prontamente Isabelle.
- non ne vedo il motivo –
replica con un ghigno lo stregone.
- ce ne sono fin troppi, credimi. Ma
visto che hai risposto
tu presumo che non sei così idiota come credevo –
Alec appoggiato sui gomiti, lo guarda
incuriosito, mentre
riprende lentamente fiato.
- volevi solo sapere quanto sono
idiota? – domanda Magnus,
estremamente divertito, facendo ridere Alec, che si passa una mano trai
i
capelli arruffati.
- no. devo parlare con Alec
–
Magnus sospira e, senza nemmeno
salutare la ragazza, lancia
il telefono ad Alec, che lo afferra al volo.
- Izzy, dimmi –
Magnus lo guarda ascoltare la
sorella, e dalla sua
espressione capisce che dovranno continuare un’altra volta.
Non che si
aspettasse un po’ di pace, per una volta, eh.
Recupera la maglietta del ragazzo da
terra.
- si. Si. Izzy, ho capito. dammi
cinque minuti e arrivo –
Chiude la telefonata con un sospiro,
infilandosi il
cellulare nella tasca dei jeans. Poi alza lo sguardo su di lui.
- mi dispiace – dice, e
Magnus, in tutta risposta, gli
lancia la maglia e la felpa: - non fa niente –
Alec si alza, vestendosi in tutta
fretta ed infilandosi la
felpa al contrario, poi recupera il cappotto dalle mani di Magnus. Se
lo
allaccia con fare poco convinto, e sta per aprire la porta quando si
gira verso
lo stregone:
- ci.. ci vediamo più
tardi? – chiede timoroso, cercando lo
sguardo dell’altro.
Magnus sorride, afferra senza nemmeno
pensarci la piccola
chiave d’argento, e gliela ficca in mano.
Alec la stringe e guarda stupito. Poi
gli sorride, di un
sorriso così innocente e sincero che il cuore di Magnus
manca un battito.
Sorride anche lui, posandogli un bacio casto sulle labbra.
- quando vuoi, dolcezza –
{Stay and I'll be
loving you for quite some time No
one else is
gonna love me when I get mad mad mad So
I think that
it's best if we both stay stay stay stay}
NDA.
Questa FF fa letteralmente schifo.
Magnus sembra stare sull’altalena,
e su e giù e su e giiù.. sembra isterico (forse
lo è). E
probabilmente è meno arrabbiato di quello
che dovrebbe essere. Molto meno.
Non che io pensi che lui sia dalla
parte del giusto, eh. Io sto
dalla parte di Alec punto e stop. C’è, io mi
offenderei ad essere lasciata per
aver pensato di fare qualcosa (ma Alec ha l’autostima sotto i
tacchi e quindi
si sente uno schifo comunque).
Per non parlare della prima parte.
Quella si che è
terribile.
Comunque. Fingendomi una persona
seria che non ha appena
postato una castronata, la FF è ambientata alla fine di
COLS. Ho allegramente
ignorato gli snippets della Cassie sul telefono di Alec,
perché mi serviva e
quindi YEAH.
Insomma, se non si capisce, essendo
io mentalmente confusa
riguardo alla Malec, ho scritto di come dovrebbero tornare insieme. O
meglio:
vorrei che tornassero insieme in un modo un po’ migliore, ma
questo è già un
inizio.
l'idea, comunque, era di farli
coffcopularecoff, ma non è riuscita. bha. bho.bhe.
riuscitò mai ad andare oltre il giallo?! chi lo sa.
Le parti in corsivo sono canzoni. In
ordine:
·Please
don’t leave me-
P!ink
·Thinking
of you – Katy Perry
·All
too well – Taylor Swift
·Goodbye
my lover – James Blunt
·Stay
stay stay – Taylor Swift
A conti fatti, vi pregherei di
lanciare ortaggi non a me ma
a Lils_(me la pagherai,
infida creatura!) che mi ha costretta
a postare. Fosse stato per me,vi avrei anche salvato
da questa disgrazia.
(ma anche a me. me
li merito per aver scritto 'sta scempiaggine)