Note: Le solite note che, sì, dovrete
sopportarvi. Ma sarò breve. Grazie come sempre alla mia beta plubuffy
che, nonostante non ami le storie tristi, si sia subita pure questa
La storia non so
da dov’è uscita… in realtà l’avevo da almeno due
mesetti cominciata ma solo ora ho finita, quindi capisco se non è un gran che.
In ogni caso, negativo o positivo, mi piacerebbe sapere come sempre cosa ne
pensate!
Josie.
THE MASK
Lui non riusciva
a sorridere ed Heechul ne era triste. Lui non era felice e non lo era nemmeno
lui.
Sapeva solo che da quando l’aveva visto l’unico suo obbiettivo
era diventato vederlo sorridere, e che la causa di quel sorriso fosse stato
lui.
Hangeng non era felice e glielo
si leggeva dietro quel sorriso fatto solo di circostanze, ma lui era l’unico ad
accorgersene.
Sorrideva quando, appena dopo un live, si toglieva quella
maledetta maschera e, sudato, poteva
“festeggiare” con gli altri il successo di un nuovo concerto. Perché la realtà
era che infondo quella maschera ancora non l’aveva tolta ed Heechul
lo sapeva.
Aveva imparato a conoscere ogni singola espressione di Hangeng e ogni suo singolo
neo, a parte quelli nascosti dai vestiti. Heechul segretamente
aveva immaginato tanto quel corpo e lo aveva desiderato.
Maledetto cinese che gli aveva fermato il cuore, o meglio,
Heechul avrebbe detto che l’aveva cominciato a far
battere. Per quanto si sforzasse di ricordare non era mai esistito un momento
in cui si era sentito così vivo.
Ricordava perfettamente i luoghi e le circostanze in cui
tutto era accaduto, così velocemente, così irreparabilmente. Lo aveva avvicinato
sussurrandogli di togliersi la maschera, a chi vogliamo prendere in giro, glielo
aveva ordinato, e aveva letto il terrore nei suoi occhi.
Forse fu in quel momento che si accorse che sul quel
volto avrebbe voluto vedere solamente sorrisi o forse fu nel momento in cui gli
comparve per la prima volta uno vero, aveva capito che era indispensabile.
Heechul non lo sapeva, e
nemmeno Hangeng sapeva che lui segretamente aveva
lavorato tanto, più degli altri, per vederglielo.
Aveva voluto condividere quel volto con tutti, anche se avrebbe voluto comportarsi come un
egoista e tenerselo tutto per sè, perché infondo Heechul era egoista. Si era scoperto irrimediabilmente
geloso, ma quel volto meritava di essere ammirato da tutti perché lui non si
sarebbe mai scocciato di ammirarlo.
Era stanco e vuoto da quando la sua stella splendente era venuta a mancare nella sua vita ed aveva
finito per indossare lui quella maschera, una maschera fatta di falsi sorrisi e
dolci illusioni.
Si era ripetuto, costantemente, ogni giorno, che presto
sarebbe tornato, che “quel bastardo di un
cinese” sarebbe ricomparso con la coda tra le gambe sulla soglia di casa,
che casa non poteva definire più senza di lui. Perché la casa è dove è il tuo
cuore, ed il suo cuore era stato portato via da lui, lontano, in Cina.
Aveva aspettato, ma lui
non era tornato. Non lo aveva mai fatto. Non lo avrebbe mai fatto.
Aveva desiderato rivederlo, ardentemente, con tutto se
stesso.
Aveva versato lacrime amare, vomitato parole mai dette di
persona. Aveva “distrutto” il loro appartamento e le sue cose, così come lui aveva
distrutto i suoi sogni, le sue promesse. Heechul
aveva distrutto i suoi giorni, li aveva resi tutti maledettamente uguali,
vuoti, insignificanti… come aveva iniziato a pensare
che la sua vita fosse quando Hangeng non era intorno
con la sua buffa parlata.
Erano giorni tediosi quelli, tutti uguali, e Heechul compiva esattamente gli stessi identici gesti, che facevano
parte della sua routine, da almeno un anno. Tutto quello in cui si era
trasformato era un automa.
Nulla era cambiato nemmeno quando si era ritrovato a
pochi metri di distanza dal suddetto cinese, così vicino da poterlo quasi
sfiorare, ma così lontano che riaverlo vicino ormai sembrava solo un’utopia.
Tutti avevano festeggiato quel grandioso e fasullo ritrovo,
ma Heechul era stato buono, nel suo angolino,
aspettando il suo turno e preparandosi minuziosamente ogni singola parola
cattiva che avrebbe voluto rinfacciargli, o almeno avrebbe preferito
urlargliele.
Trovarselo avanti aveva avuto tutt’altro effetto, tutte
quelle parole, tutta la sua freddezza andò in frantumi. Quella maschera di cera
si sciolse sul suo volto sottoforma di lacrime nel momento in cui le sue labbra formularono quelle parole.
“Mi dispiace”. Heechul non sapeva quando tutti avessero lasciato la stanza,
ne tantomeno gli diede importanza. Ci furono solo urla, dolore, pene,
rimpianti, tanti ti odio che fino a quel momento aveva potuto sfogare solo
sottovoce, sedie rovesciate, pugni sul petto e ancora urla. Aveva bisogno di
una valvola di sfogo e Hangeng non fece nulla per
fermarlo. Rimase lì a guardarlo solo con uno sguardo triste che provocò in Heechul nuova rabbia. Lui non doveva essere triste, non se si
era ridotto così per renderlo felice. Lui non meritava di essere triste!
“La cosa buffa sai
qual è?! È che dovrei odiarti con tutto me stesso! Ti odio, ti odio, ma in
realtà ti amo… e fa male!” Il più grande, infine, si abbandonò in un
pianto di sfogo, si aggrappò al cinese come se fosse l’unico disperato
appiglio. Non voleva perderlo, non di nuovo, voleva essere quell’Heechul egoista che era prima che conoscesse lui.
Il più piccolo strinse a sé quel corpo fragile, più di
quanto sembrava. Tremava Hangeng, e piangeva
silenziosamente ogni qual volta vedeva le spalle di Heechul
scosse da violenti singhiozzi, e piangeva, Hangeng,
pensando al momento in cui avrebbe dovuto abbandonarlo di nuovo.
“Mi dispiace, ma
devo andare” Heechul ricominciò ad urlare. Queste
parole fecero male.
Con il tempo, però, aveva imparato a ricucire con
accuratezza tutte le sue ferite ogni qual volta le sue labbra pronunciavano quelle maledette parole. Sorrideva
scettico, il più grande, intimando al povero cinese di “levarsi dalle palle”.
Sorrideva scettico ma dentro di sé conservava quel sorriso pieno di amore che
gli avrebbe riservato ogni qual volta l’avrebbe visto rientrare da quella
porta.