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Come
sempre, vi consiglio la lettura accompagnata da questa canzone che
è la storia
di per se. Ci
vediamo giù belli e belle.
Forever
and always.
Nella
piazzetta le voci della gente si mischiavano a formare un brusio
incomprensibile. I due
ragazzi camminavano in silenzio discosti dal marasma generale,
addossati al
muro illuminato di una casa. Da lontano
già si potevano vedere la compagnia del più
giovane che lo salutava. “Allora…
grazie per avermi accompagnato.” Soffiò
timidamente Harry, le mani ancora nelle tasche e il mento affondato
nella sciarpa
spessa, le guance rosse non solo per il freddo dicembrino. Louis lo
guardò intenerito, anche lui impegnato nel contempo a
ripararsi dal gelo
pungente. “Figurati.” Si fermò e
così fece anche l’altro. “Salutami
mia sorella.” Gli
aggiustò il cappello in testa e gli tolse un po’
di neve dalle spalle, per poi
sorridergli più di prima. “Ok…” Mormorò
senza convinzione il diciassettenne, ancora con la testa bassa. Louis gli diede
un buffetto sulla guancia ancora più imbarazzata di prima e
cominciò ad
allontanarsi. “Ehm…
Louis?” Si fermò e
si voltò interrogativo verso il piccolo che aveva alzato
timidamente gli occhi,
incitandolo a continuare. “Non vuoi
venire con noi?” Me. ‘Me’
avrebbe tanto voluto dire, ma non gli sembrava il caso. Quello
sorrise - come quella sera non riusciva a smettere di fare - e scosse
la testa. “Mi
spiace, non posso. Devo tornare al lavoro.” L’altro
arrossì esageratamente e si maledì. “Certo,
certo che stupido. Ciao Louis.” Si girò
velocemente e quasi corse verso i suoi amici sotto lo sguardo di
rimprovero
della sorella del maggiore. Il liscio
entrò nella propria macchina e, non prima di aver acceso il
riscaldamento, si immise
nel traffico che caratterizzava le strade prima di Natale. Non
passarono neanche una decina di minuti, nei quali il ragazzo
rifletté su ciò
che doveva fare quella sera in ufficio, che sentì un colpo
al lato sinistro
della vettura. Sobbalzò
e, preoccupato, fermò la macchina sul ciglio della strada,
scendendo poi
velocemente. Ciò che si
trovò davanti lo fece fermare stranito: Harry, piegato sulle
ginocchia,
ansimava pesantemente. “Ma che…
Harry?” Quello
deglutì conancora
la bocca aperta e lo
guardò, gli occhi verdi e lucidi che lo inchiodarono
dov’era. “Louis,
solo… ti prego, solo adesso.” Il
ventiseienne lo scrutò sempre più confuso, fino a
quando il piccolo gli si
avvicinò tremante e lo appoggiò sulla carrozzeria
della macchina. “Harry…” Cominciò
Louis, ma l’altro si affrettò a premere le labbra
su quelle del più grande. Lo baciò,
lo baciò come solo un diciassettenne sa fare, insicuro e
spaventato, le mani
che si muovevano scomposte sul suo viso. Stette
fermo per tutto il tempo, gli occhi spalancati. Lentamente
Harry si staccò, le mani ancora sulla pelle
dell’altro. “Oddio..” Cominciò
ad indietreggiare. “L-Louis
scusami… io.. me ne vado… scusa.” Balbettò,
incespicando sulle proprie parole e sui piedi camminando
all’indietro, il
maggiore che lo guardava ancora attonito. Poi, la
caviglia messa male, il ragazzo cadde per terra, finendo con
metà faccia in una
pozzanghera sporca, gemendo. Louis lo
vide non alzarsi da terra, lì, sporco ed umiliato. D’un
tratto, sentì dei singhiozzi. “Scusami
Louis.. S-scusa.” Il giovane
cercò di alzarsi malamente, piangendo di se stesso e della
sua misera vita. Due
braccia lo avvolsero da dietro e lo tirarono su. “L-lou…” Mormorò,
con la voce spezzata. Lo guardò
in silenzio, stringendolo sempre. “Sta
zitto.” Ed Harry poté
dire di essere felice, quando l’uomo gli premette la bocca
contro la propria. “Sempre.” Gli
sussurrò il liscio. Harry
scosse la testa ormai leggera e pianse ancora un po’. Gioia. “Per
sempre.” Lo
corresse. §
Il
silenzio nell’abitacolo prendeva quasi forma di fianco al
ragazzo che,
immobile, guidava fissando la strada. Si
fermò con calma al semaforo rosso, frenò
gradualmente fino a fermare la
macchina, poggiandosi con la stessa velocità allo schienale,
le mani ancora a
stringere il volante. Davanti,
sulle strisce pedonali, passarono una mamma con due bambini
scorrazzanti. Ma
lui riusciva solo a vedere la luna.
“Lou! Lou guarda come
brilla!” Si avvicinò alle spalle
del piccolo - che, ormai, più tanto piccolo non era, ma a
lui piaceva ancora
pensarla così, ricordarsi delle sue braccia che riuscivano
ad avvolgerlo
completamente - e gli poggiò il mento su una di esse,
osservando più il viso
sorridente di Harry che l’oggetto preso in considerazione.
Gli pose le mani sui
fianchi e sorrise baciandogli il collo. Il ragazzino mugugnò con
disappunto e lo richiamò. “Lou, guarda la
Luna.” Ripetè
con sicurezza, rialzando il braccio ed
indicandola, segretamente pago delle attenzioni rivoltegli dal
fidanzato. Quello ridacchiò
accontentandolo finalmente e fissò lo sguardo dove gli era
stato chiesto. “Si Haz, è
piena.” Commentò senza molta
convinzione, preferendo di gran lunga rimirare altro che quel corpo
celeste
onnipresente. Il riccetto sembrò non
accorgersi dello scarso interesse del compagno ed abbassò la
mano portandola su
quella di Louis, ancora poggiata sulla sua anca, al contrario dello
sguardo che
brillò più di prima. “Ma… non
è bellissima?” Louis aspettò un secondo
ancora, guardò la Luna e poi Harry. La Luna ed Harry. Harry. Lo prese dalle spalle e
lo girò, fissandolo negli occhi. “Si.” Mormorò, accarezzandogli
le guance morbide con le mani ed, infine, le labbra sorridenti con le
proprie. Si
accorse del semaforo verde a causa di un colpo di clacson della
macchina dietro
di lui; ingranò la marcia ed alzò una mano in
segno di scusa, per poi
ripartire. Le
strade a quell’ora della notte - si trovò a notare
- erano più buie e vuote di
quello che si potesse immaginare. Guardando
sui marciapiedi ci si poteva quasi immaginare il passo frenetico delle
persone
a mezzogiorno, quello infreddolito dovuto ai geli invernali ed ancora
quello
spensierato durante le afose estati. Ora,
invece, osservandoli si scorgevano ombre e mattonelle vuote,
saracinesche
abbassate e cestini stracolmi. E il silenzio. A
quell’ora della notte, insomma, la vita dormiva. Svoltò
incerto un angolo per arrivare all’ampio e semideserto
parcheggio, si infilò in
un posto auto vuoto e girò la chiave nel quadro della
macchina, sentendola
tossicchiare un’ultima volta per poi spegnersi. Stette
alcuni minuti con la fronte bassa e le mani ad accarezzare il volante
consunto. Alzò
giusto un attimo gli occhi, quel tanto che bastò per fargli
scorgere una
collina in lontananza. E,
per la prima volta quella sera, gli occhi si fecero pesanti. “Facciamolo.” Il grande aggrottò la
fronte, continuando però ad accarezzare il braccio nudo del
ragazzo sdraiato
completamente sopra di lui. Stava sudando in maniera
esagerata perché, pur non avendo né coperte ad
infastidirlo né finestre aperte
che facessero entrare il caldo estivo e sopra la testa girasse
ondeggiando una
pala, il corpo nudo di Harry ad opprimerlo contro il materasso sfatto
non lo
aiutava a mantenere una temperatura corporea a livelli piacevoli. Ma non l’avrebbe
spostato per nessun motivo, constatò con un sorriso
sarcastico in viso. “Pensavo ne avessimo
parlato Haz, non posso comprare anche un cane; ho già
Fred...” Si fermò un attimo a
riflettere,
poi spostò gli occhi sul ragazzino e gli sorrise, portando
l’indice a
sfiorargli il naso leggermente rosso e guardandogli le labbra socchiuse. “…e
te.” Harry si esibì in una
smorfia di profonda offesa e si liberò dalla stretta di
Louis, scendendogli da
sopra ed andando a sdraiarsi dalla parte opposta dell’immenso
lettone
matrimoniale, la schiena rivolta al ragazzo. “Non ti parlo
più.” Sentenziò chiudendo gli
occhi, deciso ad ignorarlo. Il grande esplose in una
gioiosa risata che fece tirare le labbra anche all’altro. Si maledì per essere
così condizionato da quel suono e le serrò con
convinzione, mentre il liscio
gli si metteva a cavalcioni e gli portava i polsi ai lati della testa. Le rughe che gli
increspavano gli occhi. Le labbra aperte che gli
sollevavano gli zigomi. Le guance gonfie. La barba leggera sul
mento poco pronunciato. Il naso che si
arricciava di tanto in tanto. I capelli arruffati, una
ciocca a cadergli sulla piccola fronte. Harry non si accorse di
essere immobile senza opporsi, lo sguardo incantato
sull’umano più bello della
galassia e un sorriso stupido sul volto fino a quando Louis gli
lasciò i polsi
e si chinò sul suo viso, ancora a cavalcioni sul suo addome. “Mi hai già
perdonato.” Era un’osservazione, non
una domanda, e questo portò Harry a muoversi fintamente
infastidito per
levarselo di dosso; il liscio ridacchiò lievemente, prima di
appoggiare le
labbra sulla guancia del suo ragazzo, un bacio che solo lui sapeva
regalargli,
meglio di qualunque altra effusione. Il riccio si rilassò e
sorrise finalmente anche lui, premendoselo ancora ed ancora su quella
porzione
tenera di pelle ora umida. “Non intendevo
quello.” Asserì tranquillo, come
se stesse parlando ad un bambino cocciuto. L’altro
sollevò la testa
confuso, spostandogli una matassa di capelli che gli cadeva sulla
fronte. “Ah no?” “No.” Si mise comodamente
seduto sulla sua pancia e puntò le mani sui suoi pettorali,
guardandolo curioso
in attesa di una spiegazione. Harry cominciò ad
accarezzargli le cosce, non più sicuro di quella propostache prima gli sembrava
così giusta; poi però
deglutì e si diede coraggio. “Andiamo a vivere
insieme.” La sua voce un po’
tremava, ma la paura se n’era andata con la stessa
velocità con cui si era
presentata. Si alzò frettolosamente
dal letto, scostandosi di dosso il ragazzo ed avvicinandosi eccitato
alla
finestra. “Guarda.” Puntò un dito sul vetro
freddo lasciandoci l’impronta ed indicò una
casetta su una collina in
lontananza. “Immagina: io che torno
da scuola, apro la porta e preparo il pranzo in casa nostra; tu che
torni di
pomeriggio dal lavoro e ritrovi il pasto pronto… - qui
ridacchiò, perso nelle
sue fantasie - o almeno immagina sia così, sai che non sono
un ottimo cuoco.
Poi però io sentirei la porta sbattere da camera nostra,
metterei da parte i
libri e correrei giù dalle scale per venire ad abbracciarti
come si deve. Tu
saresti stanco, ma mi sorrideresti e tenteresti di apprezzare la mia
cucina -
ridacchiò nuovamente, guardando la collina -. Di sera
potremmo ordinare
qualcosa dal cinese e mangeremmo davanti al camino, con Fred che ci
miagola
intorno e, magari, un cane, perché la casa sarebbe enorme. E
saremo insieme.” Harry finì il racconto
con il fiato corto e gli occhi luccicanti, voltandosi infine verso
Louis, non
trovandolo però come avrebbe voluto. Questo lo guardava con
una punta di disagio sul volto, seduto sul letto. “Haz, io lavoro,
l’hai
detto anche tu, ho ventisei anni, mentre tu…” Deglutì, si
passò una
mano tra i capelli e posò lo sguardo ovunque, tranne che sul
ragazzo che era
ancora in piedi di fianco alla finestra, impaurito. Finalmente alzò gli
occhi e li puntò su quelli verdi dell’altro. “…tu ne hai
diciassette.” Lo scrutò un
po’,
maledicendosi nel vedere il viso innamorato del ragazzino spegnersi
lentamente di
quella luce meravigliosa che lo aveva caratterizzato fino a poco prima. “Non sto dicendo di no,
solo che mi sembra presto.” Tentò disperatamente di
riparare la situazione, picchiettando poi sul materasso incitandolo a
raggiungerlo. Harry guardò per terra,
sorridendo timidamente, fingendo di aver compreso quando
l’unica cosa che
avrebbe voluto era amare senza freni. “Si… si hai
ragione, è
troppo presto ancora.” Camminò fino al letto e
spinse Louis contro il materasso, riponendosi nella posizione originale
non
prima però di aver spento la luce. “Buona notte
Lou.” Mormorò, stringendosi al
petto del maggiore. “Haz…” Tentò, ma non aggiunse
altro. Louis lo accarezzò tutta
la notte, non chiuse occhio, perché sapeva che Harry, pur
con gli occhi chiusi
e il viso da bambino, di sogni non ne stava facendo.
Si
alzò stancamente dal sedile e chiuse la macchina, mentre si
avviava sul fronte
dell’edificio la cui insegna risplendeva nella notte
più buia e deserta che
mai. Hospital. Non
permise ad altre riflessioni di fargli breccia nella mente ed
entrò attraverso
le porte scorrevoli, attraversò il corridoio immenso che
fungeva da sala
d’aspetto, una colata infinita di cemento illuminato da luci
ad intermittenza. Louis
si guardò intorno mentre la receptionist da lontano lo
vedeva arrivare e,
davvero, non credé di aver mai visto nulla di più
lontano. Si
sentì solo, solo insieme ad Harry, solo a lottare per due,
in un edificio i cui
muri cadevano a terra e che probabilmente, compreso lui, le persone
presenti
nella struttura non superavano i tre. Si
fermò davanti al bancone, non salutò, non
alzò lo sguardo. “Harry
Styles.” Si
limitò a sussurrare, come se anche solo il pronunciare il
suo nome avesse
potuto consumarlo. La
donna digitò per alcuni secondi sul computer ronzante per
poi riferirgli con
compassione “Stanza trenta, secondo piano, reparto di terapia
intensiva.” Louis
si girò e cominciò a camminare in quella
desolazione. Fece
le scale come se non ne avesse mai viste prima, fece ogni
cosa come se fosse la prima, anche respirare. Sarebbe
impazzito se non avesse trovato un occupazione. Arrivò
al secondo piano e camminò, camminò e
camminò. Vuoto,
ecco tutto ciò che vi era tra quei corridoi e nella sua
mente. Ventidue,
ventiquattro, ventisei, ventotto… Trenta. Si
fermò davanti alla porta e, tremante, fece volare lo sguardo
sulle seggiole
d’attesa. Vuote. Ci
si accasciò sopra, stanco, vuoto anche lui, non volendo
quasi accorgersi dei
due poliziotti che gli si affiancavano. “Louis
Tomlinson?” Disse
uno dei due, controllando e leggendo con difficoltà il nome
da una cartellina
con tono freddo e formale. Il
ragazzo alzò lo sguardo e si schiarì la gola, si
passò una mano sugli occhi ed
aggiustò la postura. “Si?” Gracchiò
con voce malferma, sentendola rimbombare per i corridoi, assordandolo. I
due si sedettero nelle sedie ai lati del ventenne. “Il
suo amico ha avuto un incidente d’auto, e
vede…” Ma
la voce dell’uomo si perse nell’aria nel momento
che un’infermiera aprì la
porta trenta ed uscì, indifferente e fredda come tutte le
persone quella sera,
lasciando però a Louis una fugace visione di ciò
che in quel momento non
avrebbe mai voluto scorgere. Due
piedi. Due
piedi immobili, bianchi come un foglio di carta, due piedi scoperti
sopra ai
quali partiva un lenzuolo azzurrino che ne nascondeva le caviglie. La
camera fu chiusa in fretta. Ma
i ricordi erano arrivati a quel ragazzo ormai uomo che non udiva
più alcun
suono, non quello dei poliziotti o del vento urlante, ma solo
l’eco di una
risata. “Lou, posso farti una
domanda?” Il ragazzo annuì
distrattamente, mentre leggeva il giornale e masticava una brioche
ancora
calda. Accidenti ai blocchi
stradali. “Però mi
prometti di non
spaventarti, ok? È solo una curiosità.” Ci tenne subito a
precisare il piccolo, prevenendo un possibile infarto del fidanzato,
fidanzato
che alzò gli occhi dal pezzo di carta e gli sorrise mandando
giù il dolce. “Certo Haz,
dimmi!” Il riccio si accucciò
meglio sul divano e si rilassò. “Hai mai pensato a dei
bambini?” A differenza di quello
che pensava - conoscendo il carattere del ragazzo - quello si
aprì in un
sorriso e si alzò dalla sedia, andandosi ad inginocchiare di
fianco a lui. “Si, ci ho pensato, ma
penso di essere ancora troppo giovane per averne.” Gli accarezzo
teneramente una guancia e gli passò una mano tra i ricci. “Però…” Si avvicinò alle sue
labbra, mentre il piccolo gli sorrideva contento. “…se dovessi
averne, li vorrei
con te.” E lo baciò. Quel bacio e quel
‘Sempre e per sempre’ sussurrato Harry se li chiuse
nel cuore. Louis
si alzò dalla sedia, interrompendo il racconto dei due
poliziotti che lo
guardarono confusi avvicinarsi alla porta. Afferrò
la maniglia e, piano la abbassò. “Ei
aspetti, lei non può entrare!” Lo
ammonì un’infermiera, senza però
realmente fermarlo, forse disinteressata o
troppo stanca. A
malapena Louis udì ciò che gli altri gli dicevano
e fece un passo dentro alla
trenta, l’odore di disinfettante nell’aria. Rivide
quei piedi e si fermò, chiudendo gli occhi. Puoi farcela, Louis? Si chiese.
Poteva
farcela? Poteva vederlo e non crollare? Perché
se lui crollava, nessuno avrebbe più lottato per loro, per
due piedi freddi e
bianchi e immobili. Respirò
e soffiò fuori l’aria e poi, come a rallentatore,
scostò la tendina che
nascondeva il letto. E
lui era lì. Forse
Louis avrebbe dovuto interrogarsi meglio, più a lungo,
perché capì che lui, da
quel momento, un cuore non ce lo avrebbe più avuto. Non
vide il corpo martoriato coperto dal telo azzurrino, non vide le gambe
tumefatte fasciate, non vide le braccia collegate a quelli che gli
parevano
migliaia di aghi e tubi, non vide il suo viso rosso, gonfio, non vide
gli occhi
chiusi, non vide e non avrebbe visto i capelli ricci tagliati e il capo
bendato. Vedeva
un corpo coperto e il volto del suo dolce Haz che rideva guardandolo. Puntò
lo sguardo sul petto e così stette per quella che gli pareva
tutta la sua vita,
lo vedeva abbassarsi e tratteneva il fiato fino a quando, piano e con
troppa
fatica, quello si rialzava. Si
inginocchiò al letto, non sapeva dove mettere le mani. Non
voleva toccarlo. “Haz…” Sorrise
folle e lo scosse tremante con una mano. “Haz,
dai, non fare così.” Tirò
su con il naso e ridacchio, pulendosi con il pugnetto la faccia che,
senza
accorgersi, si era bagnata. “Harry.” Cominciò
ad essere arrabbiato e lo scrutò con la fronte corrugata e
la mano sempre a
scuoterlo piano, ma forse troppo per l’altro. “Signore
deve uscire.” Lo
riprese l’infermiera di prima. Quello
la guardò con odio, perché Harry
si
divertiva a fargli questo genere di scherzi e quella donna lo stava
aiutando. Ma
una parte, piccola, sapeva che Harry in quel momento non stava tentando
di
trattenersi dal ridere. Guardò
ancora la donna, in piedi davanti a lui, e poi i due poliziotti che
stavano
sulla soglia della camera. E
forse, forse fu per quello, forse fu perché la mano di Harry
non poteva essere
così poco sua, forse perché il viso di Harry,
lui, non lo riconosceva più, un
barlume di consapevolezza gli si affacciò nella mente. Fissò
con occhi sgranati il corpo steso e le lacrime si fermarono. “Harry…” Lo
scosse un’ultima volta e, come un incantesimo, il volto
sorridente del piccolo
si dissolse, lasciando il posto ad uno tumefatto e gonfio. Si
portò una mano al cuore ed ansimò. No. No,
no no. Gli
prese la mano e se la portò alle labbra chiudendo gli occhi,
pensando a quando,
tre ore prima, quella stessa mano si muoveva da sola
nell’atto di accarezzargli
i capelli. Si
raggomitolò sulla sedia di fianco al letto e
cominciò a pregare. Pregò
per ore, continuando ad accarezzare allo stesso ritmo continuo il palmo
freddo. Pensò
alla casa sulla collina. Pensò
ai bambini che avrebbero dovuto avere, insieme. Pensò
al loro ultimo sguardo. Pensò
al fatto che stava morendo, solo. Si
alzò di scatto e si asciugò la faccia con una
mano, guardò il suo ragazzo e gli
mormorò sorridendo “Aspettami.” Per poi
correre fuori. Cercò
ovunque, ma alla fine la trovò. La
cappella dell’ospedale. Si
precipitò nel reparto medicazioni e recuperò due
cerotti. Li
chiuse a formarne due anelli e li infilò in tasca. Tornò
alla trenta e fermò i due poliziotti. “Dovete
farmi da testimoni, vi prego.” Gli
uomini lo guardarono straniti ma alla fine cedettero a quella faccia
che
sorrideva perché non poteva più fare nulla. Si
posizionò nuovamente di fianco al letto del giovane e lo
guardò con amore,
mentre il suo petto continuava a percorrere quel costante movimento
regolare. “Haz,
ti amo tanto.” Sussurrò,
prendendolo per mano, e tutti i momenti gli passarono davanti agli
occhi. Pensò
alla risata di Harry in mezzo ai suoi amici di università. Pensò
al loro primo sguardo. Pensò
a quel ragazzo senza nessuno che portava su di se i problemi di tutti. Pensò
alla spensieratezza che lui aveva, pur avendo solo quella. Pensò
alla sua pessima cucina. Pensò
alla genuinità del carattere del suo piccolino. Pensò
a tutte le volte che avevano fatto l’amore. Pensò
alla sua timidezza. Pensò
al ‘Sempre’ ‘No, per sempre.’
Che gli aveva giurato. Pensò
al suo fidanzato, al suo migliore amico, a lui che era il suo futuro. E
mentre il prete parlava e la gente che si fermava davanti alla porta
della
camera ridacchiava insieme ai poliziotti, lui cominciò a
piangere, perché c’era
il viso contratto dalle risate di Harry nel corpo a cui stringeva la
mano,
perché le risate di quelle persone estranee erano ignorate
da entrambi, non
solo da lui stesso. “Ti
voglio per sempre…” Sempre e per sempre, mormorò
piangendo sempre
più forte il grande. “Attraverso
le cose buone, cattive e brutte…” Continuò
lui stesso, stringendo con entrambe le mani quella immobile
dell’angelo riccio. “Cresceremo
insieme…” Gli
accarezzò una guancia ed Harry, il suo Harry, gli sorrise
ancora una volta
ridendo, facendo ridere anche lui. “E
ricordati sempre Haz che felice, triste o qualsiasi cosa tu
sia…” Gli
baciò la mano, il petto che continuava a muoversi, i ricordi
e le parole che
devastavano Louis. “…
che noi ci ameremo piccolo…” E
poi, lentamente, gli infilò uno dei due cerotti al dito e
fece lo stesso con se
stesso, abbassandosi. “…Per sempre e sempre.” Gli
sussurrò all’orecchio, baciandolo ovunque potesse,
Harry che si ritraeva con il
suo sorriso enorme e lo guardava con gli occhioni verdi lucidi,
brillanti. La
testa di Harry si mosse impercettibilmente, e Louis spalancò
gli occhi rossi. Nella
stanza gli infermieri si rincorrevano e strattonavano Louis, ma questo
era
trattenuto da una debole stretta della mano del piccolo. Fissò
il suo volto sfigurato e vide una palpebra sollevarsi, vide lo sforzo
immenso
di Harry nel fare questo gesto, vide le sue labbra che si dischiudevano
e sentì
un sibilo indistinto.
“Sempre e per
sempre.”
§ “Quello
che successe dopo, signori e signore, a noi non piace ricordarlo. Si sentì
solo un ‘bip’ che andava a diminuire e tante,
davvero tante voci che si
accavallavano. Louis si
sentì solo trascinare fuori dalla camera accompagnato dal
lungo e costante
fischio dell’apparecchio attaccato al suo piccolo, ma non
distolse nemmeno per
un secondo lo sguardo dal corpo di Harry. Quando fu
portato fuori, fece ancora in tempo a vederlo un’altra volta,
in mezzo a tutto
e tutti, lui e la mano ancora penzoloni fuori dal letto, il petto che
veniva
scoperto, prima che la porta fu chiusa, per sempre. Ma a noi
non piace ricordarla così la fine di questa storia. Harry non
era morto da solo, anche se non c’era nessuno ad aspettarlo
nei corridoi di
quel lugubre ospedale, accudito da infermiere che rasentavano i robots. A noi
piace ricordare Louis che fu felice quando la porta gli fu sbattuta in
faccia,
perché Harry gli aveva permesso di vedere un'ultima
volta le sue iridi verdi, perché
sapeva che Harry, poco prima, gli aveva promesso
l’eternità. Ed anche a
Louis piace ricordarla così la sua storia, la sua vita
trascorsa con di fianco
il suo Haz e, nel cuore, quell’ultima promessa. Forever
and always.”
Driu. Ed
eccomi qui, gente! Allora,
prima di qualunque altra cosa voglio
ringraziare tuuutte coloro che hanno recensito la mia scorsa (e prima!)
one
shot “Be us.” : littleblackraincloud _harrysdimples Sunset sheloveshim890 everythingaboutyoux Brandy amber (amo la sua
fic **) Ed
ovviamente anche le seguite, preferite e piaciute (?). Grazie
ragazze, siete dolcissime con me, tutte. Poi
vorrei spiegarvi che… NO, non sono masochista. Scrivo
queste brutture perché amo la Larry Stylinson e
finchè non verrà fuori per me
sarà sempre una tragedia. E
tanto per spendere due parole su tutto ciò, bhè,
a me non convince per niente. Voglio
dire, è una cosa scritta nella fretta più
assoluta e abbastanza sconclusionata,
ma la pubblico comunque per rendere onore a questa canzone magnifica (della quale, tra parentesi, vi
consiglio di leggerne il testo perchè è un
qualcosa di magnifico) e per dar pace al mio blocco dello scrittore. Scusate
eventuali errori ortografici ed altro, l’ho riletta un
centinaio di volte
quindi abbiate pietà!
Mi
farebbe davveropiacere
ricevere
qualche opinione ragazzi, davvero davvero davvero tanto. QUALUNQUE
cosa, qualunque cosa vi passerà per la mente quanto
leggerete l’ultima parola
di questo spazio autrice, bhe, mi farebbe piacere sentirla,
perché forse voi
non ve ne rendete conto, ma l’autostima e le riflessioni
personali di una
“scrittrice” dipendono completamente da voi. Vi
risponderò nel modo più adeguato ed esaustivo che
riuscirò, riuscite già a
farmi dei regali enormi con tutte le mie altre storie (non credevo che
“Be us”
potesse ricevere 6 recensioni che, per me, sono un piccolo successo),
sono
sicura che mi stupirete ancora - spero in meglio! - :) Un
bacione a tutte, a presto. Driu. Ps.
Tanti auguri piccolo..