ciao
9
Crimes
Leave
me out with the waste, this is not what I do
It's
the wrong kind of place to be thinking of you
It's
the wrong time for somebody new
It's
a small crime and I've got no excuse
Lo
guardava.
Lo
guardava e cercava di ricordarsi come fossero le sue carezze. La sua
pelle assopita era ormai dimentica di quelle dolcissime sensazioni.
Amore, protezione, casa.
Quanto
era morbido il suo corpo? Quanto era caldo e rassicurante? Non lo
ricordava. Ne aveva rimosso la consistenza, e ciò che riusciva ad
infonderle nelle lunghe notti in cui si amavano. Passione,
bramosia, delicatezza.
La
grandezza delle sue mani, il sapore delle sue labbra, la dolcezza dei
suoi occhi che le sorridevano sottintendendo un Ti amo che da
troppo tempo non udiva. Ora era tutto effimero, inconsistente.
Un
rapporto freddo, di puro odio forse, che in pochissimo tempo aveva
preso il posto di ciò che con fatica avevano costruito. Insieme.
Perché?
Si
è stufato di me, non mi ama più, mi tradisce.
Perché
non riusciva a trovare una risposta plausibile ai suoi quesiti?
Aveva
paura di ciò che erano diventati. Aveva paura di non poter più
imboccare la via della felicità, com'erano invece riusciti a fare in
passato. Aveva paura di non avere nemmeno il coraggio di guardarlo
negli occhi o poterlo abbracciare.
Dio,
quanto le mancavano i suoi abbracci.
E
le ennesime lacrime minacciarono di sgorgare copiose dai suoi occhi.
Una sofferenza che ormai non poteva più sostenere; una sofferenza
che la stava dilaniando, ma che al tempo stesso la scuoteva
brutalmente, risvegliando in lei un sentimento di puro odio.
Perché
è così. Amore e odio si completano a vicenda.
“Mi
faresti un favore se non te ne stessi tutto il giorno su quel fottuto
divano.” sputò. Le parole ormai che le uscivano dalla bocca,
incontrollate. Percorreva il salotto con falsa tranquillità, senza
distogliere lo sguardo da lui, troppo interessato a ciò che il
maledetto televisore trasmetteva.
Rimpiazzata
da un televisore. Rimpiazzata da un divano. Da un cuscino, una
macchina, una palestra, una piscina, una chitarra. Aveva perso il
conto di quante cose avessero preso il suo posto, nella loro vita.
“Non
rompermi i coglioni.”
Quante
volte le aveva risposto a quella maniera? Si sentiva sempre più
piccola ed indifesa, mentre l'odio che provava per lui cresceva a
dismisura.
“Sei
tu, qui dentro, l'unica rottura di coglioni.” pronunciò con
immensa freddezza. Da mesi, non faceva altro che mentirgli e fargli
credere che fosse un peso, che non soffrisse per lui. Ma non riusciva
a fare altro.
“Esci
di casa, allora.” fu la secca risposta che le diede, come sempre
senza guardarla negli occhi. Forse, non si erano nemmeno più
scambiati un semplice sguardo.
E
furono lamine taglienti quelle parole. Lamine che perforarono, una
dopo l'altra, il suo cuore già stanco e pieno di ferite non ancora
rimarginate.
“Questa
è casa mia. Esci tu piuttosto.” sussurrò ferita.
Tremò.
Tremò
perché aveva tremendamente timore dell'abbandono. Aveva paura che la
prendesse in parola.
Non
farlo. Ti prego, non farlo.
“Benissimo.”
concluse il ragazzo, per poi passarle affianco, facendo ben
attenzione a non sfiorarla con un dito.
Fermati.
Il
tonfo della porta di casa le diede conferma che il suo incubo
peggiore si stava trasformando in realtà.
Is
that alright?
Give
my gun away when it's loaded
Ascoltava
silenziosamente la sorta di scricchiolio che le sue scarpe
producevano, a contatto con l'asfalto ancora umido della precedente
pioggia che aveva scatenato tutta la sua ira sulla città. La stessa
ira che si era impossessata del suo corpo. Le mani nascoste nelle
tasche dei jeans, quella sera più stretti, prudevano fastidiosamente
ed il suo viso contratto cercava di nascondere la voglia di urlare.
Come
ci siamo arrivati? Cosa siamo diventati?
Ignorò
la fitta dolorosa che aveva attraversato violenta il suo stomaco
vuoto da giorni.
Quegli
occhi intrisi di odio. Avrebbe pagato oro per non vederli mai più
puntati a quella maniera sulla sua figura. Ed avrebbe pagato
altrettanto per riavere la sua Lisa, con le sue timide carezze, i
caldi baci quando tornava da una lunga ed estenuante giornata in sala
di incisione, la sua continua ricerca di coccole davanti ad un bel
film. Gli mancava stringerla fra le braccia e sentirla fremere mentre
facevano l'amore, beandosi del suo profumo. Ma soprattutto, gli
mancava dirle che l'amava più di se stesso.
Gli
occhi pizzicarono, nello stesso istante in cui il cielo si era
dipinto di nuovo della cupa tonalità di minuti addietro.
Piangere.
Voleva solo piangere, ora che non doveva affrontare il suo sguardo
pieno d'odio.
E
non si vergognò per nulla quando la prima lacrima scorse lungo la
sua guancia, assieme alla prima goccia di pioggia. Avrebbe finalmente
potuto farlo; nessuno lo avrebbe visto o giudicato.
Is
that alright?
If
you don't shoot it how am I supposed to hold it?
Era
nel suo letto – nel loro letto – quando lo udì rientrare.
Fu il momento in cui riprese a respirare.
Aveva
vissuto attimi terribili, durante la lunga ora in cui era stato
fuori, che sembrava non avesse una fine.
Non
mi abbandonare mai.
Non
si mosse di un muscolo; si limitò a nascondere il viso contro il
cuscino, ancora umido delle lacrime che aveva versato per tutta la
sera, attendendolo impaziente e speranzosa.
Cosa
sarebbe successo? Le avrebbe parlato?
Udì
il fruscio prodotto dai suoi vestiti, che vennero gettati a terra.
Non
una parola. E sapeva bene che non le avrebbe regalato nemmeno una
carezza, una volta a letto assieme a lei.
Percepì
il materasso inclinarsi alle sue spalle ed il profumo che amava
inebriarle i sensi. Poi, il silenzio. Un silenzio quasi inquietante,
che voleva a tutti i costi abbattere, ma era troppo codarda – o
forse solo orgogliosa – per farlo. Avrebbe potuto semplicemente
voltarsi alla sua sinistra ed abbracciarlo con nostalgia ed amore.
Ma
non lo fece.
Is
that alright?
Give
my gun away when it's loaded
Fremeva
dalla voglia di baciarla e stringerla a sé. Ma l'orgoglio, ancora
una volta, si era rivelato vincitore di quella tacita ed ingiusta
guerra. Le osservò le spalle: sembrava contratta, come fosse
timorosa di toccarlo per errore.
Sapeva
che non stava dormendo.
Deglutì
con forza, quando provò ad avvicinare le dita alla sua schiena.
Pochi centimetri e l'avrebbe di nuovo accarezzata, toccata con
dolcezza. Voleva di nuovo percepire la morbidezza della sua
epidermide.
Eppure,
pochi secondi dopo, si era trovato a darle di nuovo le spalle.
Is
that alright?
Quella
mattina, il tavolo era di nuovo pervaso di tensione e silenzio. Uno
di fronte all'altra, intenti a fingere di fare colazione, osservavano
senza interesse le rispettive tazze di caffè.
Avrebbe
tanto voluto dirgli qualcosa, fargli infinite domande.
Dove
sei stato, ieri sera? Ti sei visto con qualcuno?
“Dove sei stato, ieri
sera?” domandò con freddezza, senza nemmeno rendersene conto. Per
la prima volta, alzò lo sguardo su di lei, cosa che le fece perdere
il controllo.
“Prima mi sbatti fuori
di casa e poi vuoi sapere dove sono stato?” ribatté lui con gelido
sarcasmo.
“Non ti ho sbattuto
fuori di casa, sei uscito di tua spontanea volontà.”
“Fai anche la santa,
ora?!” urlò, sbattendo una mano sul tavolo, facendola così
sobbalzare, spaventata, sulla sedia. “Sai benissimo che con me
questa tattica non funziona.”
“Non è una cazzo di
tattica. È la verità.”
Si stava agitando. Non
voleva farlo innervosire ancora di più, ma aveva perso ogni briciolo
di razionalità.
“Quanto sei ipocrita.”
commentò il ragazzo, quasi disgustato. “E comunque, anche mi fossi
sbattuto una, a te non fregerebbe un cazzo.” concluse, alzandosi
dalla sedia, per poi uscire dalla cucina.
Una fitta.
Quelle parole le avevano
fatto male. Molto di più delle altre.
Si alzò di scatto anche
lei.
“Brutto stronzo!”
urlò, spintonandolo alle spalle. “Chi credi di essere per
trattarmi a questa maniera?!” lo spintonò una seconda volta,
stavolta guardandolo negli occhi. Lui sembrava fuori di sé. Non
sapeva come sarebbe andata a finire, ma di certo non era tranquilla.
Sentiva che tutta la rabbia repressa stava sfogando la propria
presenza solo in quell'istante. “Vergognati!”
“Io dovrei
vergognarmi?!” domandò esterrefatto. L'ira ad invadergli gli
occhi, mentre prendeva anche lui a spintonarla. “Vergognati tu, per
tutte le cazzate che continui a dire!”
“La verità fa male,
Tom?!” lo sfidò con cattiveria.
“Ti conviene
smetterla, di provocare!” le strattonò un braccio.
“Perché, sennò che
fai?!” lo derise. “Ti odio!” urlò in fine, con le lacrime agli
occhi. Vide Tom immobilizzarsi. Gli occhi sgranati. “Ti odio, hai
capito?!” gli tirò un pugno sul petto, mentre le prime lacrime
cominciavano a rigarle il viso. “Ti odio, ti odio, ti odio!”
prese a ripetere ad ogni pugno sul petto del ragazzo.
Leave
me out with the waste, this is not what I do
It's
the wrong kind of place to be cheating on you
It's
the wrong time, she's pulling me through
It's
a small crime and I've got no excuse
Erano giunti all'esatto
punto che non avrebbe voluto mai vedere nemmeno in lontananza. La
osservava inerme urlargli che lo odiava, colpendogli con rabbia il
petto – carezze in confronto alle sue parole. Si sentiva uno
stupido perché avrebbe tanto voluto prenderla per il viso e porre
fine a quello sfogo con un bacio.
Mano a mano che il tempo
trascorreva, sentiva i pugni della ragazza farsi sempre più deboli,
così come le sue urla. Sembrava affaticata, affaticata da un peso
troppo più grande di lei per poterlo sopportare. Le sue mani esili
si immobilizzarono sul suo petto ormai marmoreo – a causa di tutte
le ore passate in palestra, per non vederla soffrire – e
scivolarono lentamente verso il basso, fino a rompere il contatto.
“Hai rovinato tutto.”
la sentì sussurrare con un dolore incontenibile, prima di osservarla
correre su per le scale.
Is
that alright?
Give
my gun away when it's loaded
Si rannicchiò sul
letto, quando sentì Tom entrare in camera. Non voleva farsi vedere
piangere per l'ennesima volta, se ne vergognava. Doveva raccogliere
tutta la forza che per mesi aveva gettato in un angolo della sua vita
e reagire.
Non si mosse quando le
si sedette affianco, né disse una parola per minuti.
“Cosa siamo
diventati?” Fu un lieve sussurro da parte del ragazzo, ma la fece
tremare. Aveva percepito, attraverso quelle poche parole, quanto
dolore lo assillasse. “Dove sono finiti tutti i nostri sogni? Io me
li ricordo ancora.”
Anch'io, avrebbe
voluto rispondere, ma non ce la fece. Il magone che le si era formato
in gola era troppo più forte.
“Ho bisogno di sapere
che ne sarà della nostra vita.” continuò a parlare, nel buio e
nel silenzio.
“Sei tu che hai
rovinato tutto.” soffiò, inerme, senza voltare il viso verso di
lui. Ormai aveva paura persino di guardarlo; non voleva leggere nei
suoi occhi la sofferenza, l'odio.
“È così, Lisa? Sono
stato io?” le domandò, retoricamente. Lei non rispose. “Ti
comporti come se io fossi un estraneo; come non avessimo mai
condiviso niente in tutti questi anni che siamo stati insieme.”
“Sei stato tu ad
allontanarti da me. Non mi tocchi nemmeno più.”
Sentì Tom tacere per un
momento, forse sorpreso da quelle parole, pronunciate con
insicurezza, con timidezza. Parole che nemmeno lei si sarebbe mai
sognata di pronunciare.
“Non appena mi
avvicinavo, ti tiravi indietro.” rispose con tono più grave, come
stesse facendo ammissioni che costavano persino a lui.
“Palle.”
Sentì un tonfo accanto
a sé e capì che Tom aveva sbattuto le mani sul materasso e si era
sollevato con rabbia. Non si domandò nemmeno più cosa sarebbe
accaduto di lì a poco; desiderava solamente che lui potesse ignorare
il suo orgoglio, che la caratterizzava da una vita, e potesse
stringerla a sé, amandola come faceva i primi anni; con passione,
con desiderio ma soprattutto amore.
“Non si può parlare
con te! Sei una testarda del cazzo e io non ti sopporto più!” urlò
il ragazzo. Ringraziò il buio, che non le fece osservare il suo viso
contrito in una smorfia di, immaginava, pura ira.
“Te l'ho detto.
Vattene, se non mi sopporti più.”
“Tu mi porterai
all'esaurimento!”
Udì la porta sbattere
con violenza e si raggomitolò nuovamente sola in quella stanza
grande, vuota e buia.
Is
that alright?
If
you don't shoot it how am I supposed to hold it?
Sentiva quella
sconosciuta gemere al suo orecchio. Continuava a muoversi
freneticamente fra le sue gambe, ma non provava nulla.
Non si era mai
permesso. Non l'aveva mai tradita, prima di quella sera.
La odiava. La odiava e
si odiava, per sfogare la rabbia e l'odio così forte a quella
maniera del tutto sbagliata. Strinse le palpebre, mentre una lacrima
scorreva lenta e colpevole lungo la guancia, ma non si fermò.
Stavano sbagliando
tutto, stavano mandando tutto a puttane.
Sbatté la ragazza
contro il muro, possedendola lì senza il minimo garbo o la minima
cura.
Non
mi tocchi nemmeno più.
Le sue parole
continuavano a violentargli la mente.
Dio, quanto avrebbe
voluto farlo. Gli mancava da morire. L'aveva sempre sentita minuscola
fra le sue braccia ed aveva sempre provato un forte desiderio di
protezione, nei suoi riguardi.
Un'altra lacrima seguì
la precedente, ma teneva il viso nascosto fra i capelli di quella
sgualdrina.
Si faceva schifo. Si
faceva dannatamente schifo.
Is
that alright?
Give
my gun away when it's loaded
Quando rientrò in casa,
lei sedeva al tavolo della cucina, curva su se stessa. Gli occhi
erano arrossati per il troppo pianto che ormai non riusciva più a
frenate, le occhiaie avevano posto le loro radici sul suo viso stanco
ed il cuore lo avvertiva frantumato in mille pezzi. Era troppo tardi
per ricomporlo, lo sentiva.
Vide con la coda
dell'occhio Tom fermarsi sulla porta della cucina e quasi sperò che
potesse andare da lei e baciarla, come niente fosse accaduto. Invece,
si limitò a riempirsi un bicchiere d'acqua, ignorandola
dolorosamente.
Lo osservò alle spalle;
l'aveva tradita, lo sapeva. Lo conosceva troppo bene.
Un dolore. Un dolore che
mai prima di allora aveva provato. Quei tipi di dolore che non si
riescono ad evitare e che portano quasi a voler morire.
Un singhiozzo troppo
forte ed incontrollabile; le sfuggì dalle labbra, portando il
ragazzo a voltarsi nella sua direzione, con il bicchiere ancora in
mano. Lei si premette i palmi sugli occhi, cercando di nascondere la
sua debolezza e piangendo in silenzio.
Is
that alright?
Si sentì morire ancora
una volta.
Strinse il bicchiere con
rabbia, cercando di frenare le gocce salate che ancora minacciavano
di smascherarlo. Quelle gocce che aveva versato fino a mezzora prima.
Le si avvicinò
insicuro, fino a toccarla appena sulla spalla, ma lei si ritrasse
inorridita.
“Non mi toccare! Che
schifo!” urlò, fuori di sé, per poi tornare a disperarsi.
Capì. Capì che sapeva.
Il magone gli impedì
ancora di più di respirare.
Dio,
fai finire tutto questo.
Si sedette a capotavola,
accanto a lei e lasciò che le lacrime scorressero copiose sul suo
viso, cercando di strozzare i singhiozzi troppo forti, che andavano a
confondersi con quelli di Lisa.
“Io non ce la faccio
più.” pianse lei, facendogli annodare maggiormente lo stomaco.
“Non ce la faccio più.” ripeté, incontrollata.
Tom si nascose il viso
fra le mani, sfogando anche lui tutto il proprio dolore.
Per la prima volta nella
vita, piangeva come un bambino. Tutto quel malessere era
insopportabile; era un qualcosa di troppo più grande di lui, che non
aveva mai provato prima di allora.
Voleva solo porvi fine.
Is
that alright?
Condividevano un dolore.
Condividevano un tavolo, una cucina, una casa. Condividevano un
desiderio di pace. Condividevano un amore. Eppure non riuscivano a
guardarsi negli occhi e leggere tutto questo. Erano vicini ma lontani
anni luce. Il dolore che ora li univa era incommensurabile; li
rendeva ciechi. Entrambi desideravano il loro amore; entrambi si
detestavano. Entrambi soffrivano, ma nessuno faceva nulla per
evitarlo. Forse erano destinati a vivere a quella maniera, senza mai
capirsi davvero. Senza mai cancellare tutto quell'astio e capire da
dove arrivasse.
I loro singhiozzi erano
testimoni del loro amore quasi morboso.
Un amore che mai avrebbe
trovato pace.
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Una One Shot molto
strana, me ne rendo conto. Una One Shot che non ha una vera
conclusione. Non so nemmeno il motivo per cui io l'abbia scritta; le
parole mi sono uscite di getto, senza controllo, ascoltando questa
canzone – secondo me – bellissima. Motivo per cui questo lavoro
non ha pretese; non vuole avere necessariamente un significato. Mi
sono sentita solamente di descrivere una situazione difficile,
dolorosa e dalla quale sembra impossibile uscire. Qualcosa di
angosciante, a parere mio. Sentivo il dolore dei personaggi,
nell'esatto momento in cui scrivevo e spero che – anche se non ha
voluto dirvi nulla – vi abbia almeno trasmesso qualcosa. Fatemi
sapere.
Kyra.
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