- What you call
‘love’ -
Bolle.
Tante piccole e delicate bolle di sapone salivano leggere dalla vasca da bagno,
per poi raggiungere il soffitto e sparire silenziose.
Piccoli cristalli instabili,
labili, in bilico della più impalpabile vibrazione d’aria.
Una di
quelle creature incolori si posò sul palmo aperto di una giovane
mano.
Luchia
osservò il suo riflesso colorato in quella vivace sfera
trasparente.
Stette
a guardarla fino a quando la bolla sparì, portando con
sé il ricordo della sua immagine.
Ricordi…
Quanti
pensieri le gremivano la mente e quanti avvenimenti significativi si erano susseguiti negli ultimi giorni! La
sconfitta di Gaito, la pace era stata ristabilita nei sette oceani, Kaito aveva
scoperto la sua vera identità…
“Kaito”
Luchia sussurrò quel nome, pensando al suo tenero amore.
Adesso
lui sapeva che era lei la sirena che lo aveva salvato da
piccolo.
Adesso
lui sapeva che tutto il suo amore era sempre stato rivolto verso un’unica
persona.
Adesso…
Che cosa sarebbe successo
adesso?
Avrebbero potuto vivere
serenamente la loro storia d’amore, senza più ostacoli.
Arrossì.
Ostacoli…
Era
proprio sicura che non si sarebbero frapposti altri ostacoli al loro
amore?
Gettò
lo sguardo sull’estremità opposta della vasca.
La
parte inferiore del suo corpo, foggiata a forma di coda
di pesce, sbucava rosea in mezzo alla schiuma, dondolando, fendendo l’aria con
il suo oscillare scandito e continuo.
Le
iridi celesti della ragazza si soffermarono inevitabilmente sulla sua coda di
sirena.
Era
davvero convinta che il loro non fosse un amore
impossibile?
No, non
sarebbe bastato un dettaglio così insignificante per
dividerli.
Uscì tacita dal bagno, l’odore
del bagnoschiuma impregnava ancora la sua pelle, coperta da
un soffice accappatoio. Mentre si stava dirigendo verso
la camera, sentì squillare il telefono.
Si
avvicinò alla cornetta. Ma, dopo neppure due squilli,
quel suono vibrante cessò, lasciando di nuovo il posto al silenzio apparente
dell’alloggio. Qualcuno, prima di lei, aveva già avuto l’accortezza di
rispondere. Un attimo dopo, udì dei passi frettolosi salire le scale e vide
Hanon venirle incontro. Sulle labbra abbozzava un sorriso
sornione.
“Luchia, ti vogliono al
telefono! -le disse facendole l’occhiolino- è
Kaito!”
Al solo
udire quel nome, Luchia sentì il proprio cuore aumentare violentemente il
battito e afferrò subito il telefono con mano trepidante. Almeno, per sua
fortuna, Kaito non si sarebbe accorto di quel discreto rossore che aveva invaso
le sue guance, pensò.
“Pronto?” disse con dolcezza.
E quella parola le suonò tremendamente banale. Non era
certo il termine più adatto per esprimere la miriade di
emozioni che percepiva in quel momento.
“Ehi,
ciao Luchia! -le rispose Kaito- ti va di vederci oggi
pomeriggio?”
Trattenne il fiato. “Sì, certo!”
Sorrise. E il calore di quel
sorriso raggiunse il cuore del ragazzo.
“Allora
ci vediamo alle 18, al solito posto. Ciao!”
“Ciao!”
Abbassò
la cornetta. Ce l’aveva fatta! Aveva un appuntamento
con Kaito! Era incredibile come l’incontro con quel ragazzo la
sconvolgesse molto di più che combattere contro
Gaito.
Era
al settimo cielo! Contava secondo per secondo i minuti che passavano. Tutto
quello che le stava accadendo era incredibile! Come poteva tanta felicità
toccare a una semplice ragazza come
lei?
La
sua vita era perfetta, era tutto come lo aveva sempre
desiderato.
Ma allora cos’era quella
sensazione dentro di lei che non le permetteva di essere completamente felice?
Quella paura, tanto grande quanto inconsapevole, che si annidava dentro
il suo cuore?
Perché aveva lo strano presentimento
di non poter essere completamente felice?
E che tutto fosse solo un sogno
confuso da cui svegliarsi bruscamente?
Si
distese sul letto. Il caldo afoso dell’estate la infastidiva,
cominciava a girarle la testa.
Alcuni
raggi di sole filtravano arditi dagli spiragli delle tende, le sfioravano il
viso, proiettavano ombre sulla parete bianca alle sue
spalle.
Sentiva
le palpebre pesanti.
Chiuse
gli occhi, abbandonandosi a un dormiveglia temporaneo,
cullata da intricati pensieri che le lambivano l’animo.
Non
sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando si era
sdraiata lì, immobile, ad occhi chiusi, ma all’improvviso sentì il bisogno di
riscuotersi da quel torpore. S’infilò le ciabatte ancora assopita e gironzolò
per la stanza.
Si
guardò allo specchio. Gli occhi stanchi, ma felici. I
capelli, tinti di raggi dorati, le scendevano lisci fin sopra le spalle. Rimase
a fissare nello specchio quella figura apatica, come se la vedesse per la prima
volta, quasi non riconoscesse più se stessa, la sua
immagine.
Solo in
quel momento, riecheggiò nella sua mente l’appuntamento con Kaito e realizzò che… non sapeva cosa mettersi! Improvvisamente
l’assalì un’incontrollabile ansia, aprì rapidamente le
ante dell’armadio, ruffolò nei cassetti, gettò gli abiti prescelti sul letto.
Dopo
poco, allo fregare delle grucce sull’appendiabiti
metallico, al cigolio dei cassetti, allo strofinare delle suole sul pavimento,
si aggiunse un rumore sordo.
-toc
toc-
Qualcuno aveva bussato alla
porta.
“Luchia
posso entrare?” chiese una voce femminile adulta, al dì là
dell’uscio.
“Entra
pure!” rispose con un’euforia contagiosa, avendo riconosciuto la voce della
persona in questione. La porta si aprì e comparve una giovane donna, dai lunghi
capelli viola raccolti. Guardò dolcemente la ragazza, cercando invano di
nascondere l’apprensione demarcata del suo volto.
“Fra
poco uscirò con Kaito. Che te ne pare di questa
maglietta o forse dovrei mettermi qualcosa di più sportivo?” Luchia la
interpellò con dolcezza.
Si comportava come una normale adolescente al primo amore.
Eccitata, fissa davanti allo specchio, accostava i vari capi al viso,
esaminandone il colore e sovrapponendoli alle curve pressoché perfette del suo
corpo. Solo un elemento stonava con quell’apparente normalità: la collana che
portava al collo, l’oggetto che la classificava come “sirena”.
“Posso
parlarti?” chiese Nikora. Il tremolio della voce tradì la calma superficiale
della sua persona. Luchia percepì quel tremolio, le
sfiorò l’anima, trasmettendole in parte il dolore e la preoccupazione
della donna. Spostò lo guardo dallo specchio di fronte
a lei a Nikora. Confusa.
Solo in
quel momento si accorse della presenza di Hanon e Rina, alle spalle di
Nikora.
Rina la
guardava, dall’alto della sua figura. Il suo sguardo lasciava difficilmente
trasparire qualsiasi tipo di emozione, ma un’insolita
opacità rattristava le sue iridi smeraldo.
Hanon
aveva gli occhi lucidi e, a contatto con lo sguardo interrogativo dell’amica,
non riuscì a trattenere un singhiozzo.
“Cosa succede?” chiese allarmata la sirena dalla perla rosa.
Cominciava a preoccuparsi.
Nikora
prese fiato. “Ricordi perché siamo venute qua sulla
Terra?”
“Si,
certo! Per portare a termine la missione che ci era
stata affidata e ristabilire così la pace nei sette regni.” Rispose, come se
stesse ripetendo una lezione a memoria. Perché mai le
chiedeva una cosa così ovvia? Dove voleva
arrivare?
“Fortunatamente Gaito non
rappresenta più un problema e tu devi tornare al tuo vero compito… -fece una
pausa- governare il tuo regno.”
Gli
occhi della giovane sirena si aprirono in una contrazione mista a sorpresa e
smarrimento.
Non
poteva essere! Non poteva finire tutto così!
La sua
mente rifiutava quella verità che le era ormai lampante.
Perché quella verità, a cui Nikora
stava cercando di prepararla, le avrebbe portato via la cosa più preziosa che
aveva… l’avrebbe costretta a rinunciare all’amore.
“Devi
tornare nel tuo regno, Luchia, dai tuoi sudditi e da tutte le persone che ti
voglio bene.”
“Ma quando potrò ritornare qui sulla Terra?”
chiese.
Questa
era la sua unica e fondamentale preoccupazione.
“Stavolta la partenza è
definitiva. Non torneremo più sulla Terra.”
Queste
parole risuonarono nella stanza, interrompendo quel freddo silenzio, scandito
solo dai battiti incalzanti dei loro cuori.
“Mi
dispiace, partiremo stasera stessa al tramonto.”
Quelle
parole suonavano ancora peggio di una condanna. Non c’era più spazio per dubbi o
incertezze. Non aveva neanche la forza di replicare, di
ribellarsi.
Avrebbe
fatto quello che le chiedeva Nikora.
Per
lei.
Per il
suo regno.
E soprattutto per quel destino
che, alla nascita, aveva inesorabilmente deciso il suo
futuro.
Subito
lampeggiò nella sua mente l’immagine di un bambino. Aveva i
capelli ribelli di un colore castano chiaro, gli occhi nocciola. Era
disteso sulla spiaggia e guardava la sirena che lo aveva salvato con un misto di
curiosità e di gratitudine. Quel bambino era cresciuto e lei non avrebbe mai più rivisto il suo primo
amore…
Proprio in quel momento capì cos’era quella sensazione che la attanagliava, la consapevolezza che
non sarebbe mai stata felice: doveva compiere il suo dovere, non c’era spazio
nel suo cuore per sentimenti umani. Perché lei non era
un’umana, era una sirena.
“Gli umani lo chiamano ‘amore’ -pensò-
ma per gli abitanti marini innamorarsi è considerata una colpa. Ebbene, se provare dei sentimenti è una colpa, non voglio può
essere una sirena!”
Strinse forte la collana a forma di conchiglia, serrata
nel pugno della sua mano, e stava quasi per gettarla in terra, quando si rese
conto della colpevolezza di quel folle gesto, dettato dal dolore.
Gli occhi le pizzicavano, ma non voleva piangere. Sarebbe
stato troppo facile trovare conforto nelle lacrime e attutire così la sua
sofferenza.
Lei VOLEVA soffrire, voleva
essere cosciente di quello che stava per fare.
Kaito…
Avrebbe dovuto lasciarlo, avrebbe dovuto dirgli “addio”… proprio adesso che si erano finalmente
ritrovati.
-toc toc-
Qualcuno bussò di nuovo alla porta.
“Che c’è ancora?” urlò. Ma si pentì subito di aver risposto così sgarbatamente. Perché il volto triste e afflitto che sbucò dal limitare
della porta, il volto di Hanon, le fece capire che lei, Luchia Nanami, non era
la sola a perdere la cosa più preziosa.
Hanon le si avvicinò e si sedette
sul letto accanto a lei.
“Scusami Hanon -anche in situazioni come questa riusciva sempre a trovare parole di conforto per gli altri-
sono stata così egoista da dimenticarmi quanto deve essere difficile per te
lasciare Tarou…”.
Lei scosse la testa. “No, non preoccuparti -rispose asciugandosi con fretta una lacrima indisponente- rivedere
i miei sudditi mi rende felice. Ammetto che è doloroso lasciare per
sempre il mio professore preferito, ma… Tarou non mi ha mai amato e mi accorgo
solo ora che forse questo è stato un bene, perché almeno lui non soffrirà per
me.”
Con quelle parole stava dando
prova di una maturità maggiore alla sua tenera età.
“Ma tu, Luchia… -gli occhi ritornarono verso l’amica- tu e
Kaito… come farai? Vuoi che ti accompagni da lui?”
“No, Kaito capirà. Ora sa che sono una sirena, sa che cosa è meglio per il mio regno…”
“Ma per te, Luchia, cos’è meglio?
Cos’è che ti rende felice?”
Silenzio, solo silenzio. La sirena dalla perla rosa non
rispose a quest’ultima domanda.
Ma, sfortunatamente, la sua anima
straziata non riuscì a sottrarsi a quel quesito.
“Il suo sorriso… -pensò- non
rivedrò mai più il suo sorriso…”
*
Erano le 17:56. Il piccolo
marciapiede del lungomare gremiva di gente. Gli abitanti di quella ridente
località turistica avevano scelto di sfidare la calura estiva, anziché starsene
comodi a casa loro.
Luchia percorse il viale, sollecitata di
tanto in tanto dagli spintoni di qualche passante.
Poi si fermò di scatto e lo vide. Lui. Kaito.
Aveva i gomiti appoggiati al corrimano, lo sguardo rivolto
verso il mare.
Come se un filo invisibile unisse i loro pensieri, lui si
accorse subito della presenza della ragazza.
“Ciao” le disse, felice di vederla.
“Ciao” abbozzò un lieve sorriso.
“Sai -continuò lui- stavo
osservando il mare. Ti parrà strano ma è la prima volta
che lo vedo così bello… che lo vedo sotto un altro aspetto…”
La mano della ragazza era stretta a pugno. Osservava il
profilo del suo amore, dipinto dell’ingenuità di un bambino. Il naso dritto, i raggi del sole che giocavano fra le ciocche dei
suoi capelli.
Osservava il suo sorriso sottile che si
increspava agli angoli della bocca.
Non avrebbe mai più rivisto quel sorriso… come avrebbe
fatto a dirgli che la colpa di ciò sarebbe stata
sua?
“In tutti questi anni ho continuato a cercare la sirena
che mi aveva salvato la vita. C’è stato un periodo in cui ho creduto che fosse
tutto frutto della mia fantasia. Ma ho continuato a cercare e non mi sono
accorto di quanto mi fosse vicino. E, quando l’altra
notte ho scoperto che quella sirena eri tu, non avrei potuto essere più
felice.”
La guardò, attraverso quelle iridi
ambrate incredibilmente sincere e, sentire il contatto delicato fra le loro
mani, provocò a Luchia una fitta al cuore.
Si girò di spalle. In silenzio. Lo
sguardo fisso sulla strada asfaltata, dove qua e là il cemento spaccato
creava delle piccole increspature.
“C’è qualcosa che non va?” chiese il
ragazzo, notando il suo sguardo assente.
“Io…”
Doveva dirglielo, non sarebbe
servito a niente guadagnare tempo.
Anche il tempo era contrario al
loro amore.
“Io… mi trasferisco…”
Una parola, non del tutto inappropriata, ma troppo
inconsistente per esprimere l’enorme distanza che si
sarebbe creata fra loro. Una parola, uscita dalla sua bocca, per impulso, per
errore, o semplicemente per paura di fargli capire come stavano realmente le
cose.
“Ah, capisco! Comunque resti
sempre in questa zona? Non andrai mica dall’altra parte del mondo?”
Sorrise, come se fosse toccato a lui tranquillizzare la
ragazza e non viceversa.
Le mani di lei si stringevano a
pugno, con maggior veemenza.
“Ritorno a casa… la mia ‘casa’… -si girò a guardarlo-
nell’oceano Pacifico.”
Il sorriso sparì dal volto del ragazzo, diventando
un’impercettibile linea, lasciando il posto a un misto
di stupore e incredulità.
“Non dirmi che vai via per
sempre… ti prego, Luchia, non dirmi che non ti rivedrò mai più!”
Non ce la faceva. Riusciva a stento a trattenere le
lacrime. Come poteva guardare il ragazzo negli occhi e dirgli che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro?
Annuì con il capo.
La frangetta bionda le copriva gli occhi color
nocciola.
Kaito le afferrò le spalle.
“Non ti lascerò andare via! Non adesso che ti ho
ritrovato! Verrò anch’io con te!”
Mai si sarebbe aspettata di sentire quelle parole, né
aveva previsto una simile reazione da parte dell’amato.
Scosse la testa risolutamente.
“Non se ne parla minimamente! E’ fuori discussione! -disse
decisa, nonostante l’opposizione amorevole di Kaito le avesse accarezzato il
cuore- Non potresti mai vivere un’intera vita in profondità… senza ciò che ami… senza fare surf.”
“Dimentichi che sono un discendente dei Pantarassa! Mio fratello
ha vissuto 14 anni avvolto dagli abissi! Non capisci che tutto ciò che amo ce l’ho già! Sei tu! -la ragazza sgranò gli
occhi- io resterò con te e tu non potrai fare niente per farmi cambiare
idea!”
“Perché mi stai facendo questo?”
“Perché ti amo!”
“Anch’io ti amo. Solo che ti
amo talmente tanto da non poterti permettere di
rovinare la tua vita così…” pensò Luchia.
Sapeva che Kaito non le avrebbe dato retta, avrebbe dovuto prevederlo.
Testardo.
Testardo e innamorato. Di lei.
Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa per allontanarlo da
lei.
Perché, sebbene a malincuore, questa era
l’unica cosa da fare. Per lui.
Ma come poteva spingerlo ad
allontanarsi bruscamente da lei? A odiarla?
Una soluzione le balenò nella mente, l’unica. Ma la sua crudeltà la inorridiva.
Avrebbe avuto il coraggio di farlo?
“Ma smettila -gli disse fingendo
un sorriso beffardo- il tuo non è amore. Quello che tu chiami ‘amore’ non è
altro che una semplice attrazione dovuta al fatto che nelle tue vene scorre il
sangue dei Pantarassa e, come tale, sei ammaliato dal mio aspetto di
sirena.”
Il ragazzo la guardò confuso.
“No, Luchia, il mio è amore e tu lo sai fin troppo bene
per inventarti inutili scuse! Perché ti comporti
così?”
“Il tuo sarà anche amore, ma quello che so per certo è che io… io non ti amo. Saresti solo d’impiccio per me!”
Il tono crudele e freddo della voce non si addiceva alla
sua indole dolce e ingenua.
Lui le scrollò le spalle. “Non può essere vero! Non ci
crederò finché tu non mi guarderai negli occhi e mi dirai che non ti importa niente di me!”
“Io non ti ho mai amato, Kaito.” disse guardandolo negli occhi, come lui le aveva chiesto.
Kaito la guardò shockato. Abbassò la testa e si appoggiò
alla balaustra, quasi a volersi sorreggere.
Pochi secondi dopo, riportò lo sguardo sul viale, in cerca
della ragazza.
Troppo tardi, era già sparita.
Per sempre.
Era entrata nella sua infanzia come una raffica di vento,
altrettanto veloce se n’era andata via, portando con sé il fascino dell’amore
proibito e la fugacità delle cose belle.
Fissò il punto dove prima stava, in piedi e immobile, la
sua Luchia.
Un sorriso sarcastico e afflitto si diffuse sul suo viso.
Dopotutto era stato un addio senza lacrime, meno toccante di quello dei film, ma
molto più atroce.
Il marciapiede era asciutto. Lei non avrebbe versato lacrime per lui e lui non voleva essere da
meno.
Ma una goccia perlacea, uscita
negligentemente dai suoi occhi, tradì immediatamente quel disperato
giuramento.
*
Correva, correva senza sapere
perché. Figure sfuocate, risate anonime, rumori assordanti la colpivano,
scivolavano sul suo dolore, ignorandola, mentre tutta la fragilità e lo
sconforto cercavano di trovare uno spiraglio per scaturire. D’un tratto, si sentì chiamare.
Si guardò intorno.
Nessuno.
Nessuno badava a lei.
Non c’era nessuno che l’aiutasse, che capisse il suo
dolore o che la compatisse.
Un senso di profonda solitudine l’afferrò. Dov’erano le sue amiche?
Forse avevano già raggiunto i loro regni. Era stata lei
stessa, prima di uscire di casa, ad esortarle. Era
stata proprio lei che aveva ribadito di voler rimanere
da sola, di voler risolvere i suoi problemi da sola. Sola. Sola senza neanche la compagnia delle sue lacrime.
“No, non piangerò -pensò- non lo
farò perché devo essere forte. Devo pensare al mio regno. Non sono forse una
principessa?”
Ma si accorse subito
dell’incoerenza di quelle parole. Perché sapeva bene
che, se n’avesse avuto la possibilità, avrebbe rinunciato a tutti i sette regni
in cambio del vero amore.
Si tolse i sandali e li prese in mano. Camminò lungo un
piccolo tratto di spiaggia che portava alla scogliera.
“Luchia…”
Si fermò di scatto e si guardò intorno. Non c’era nessuno.
Che strano! Eppure questa volta le era sembrato davvero
che qualcuno la stesse chiamando. Non ci fece caso.
Camminò scalza su un grande scoglio, incurante del dolore
che le sporgenze della roccia provocavano alle piante sensibili dei suoi piedi.
Come se lei stessa ricercasse un dolore fisico per attutire il
dolore che aveva dentro.
All’incirca un metro sotto di lei, il vento levigava la
superficie del mare, che con le sue onde simulava dolci colline e con il
riverbero del sole riproduceva colori che spaziavano dal verde
acqua al blu oltremare.
Indietreggiò di qualche passo,
come se volesse prendere la rincorsa, e senza esitare spiccò un
salto.
Si
trovò immersa nell’acqua limpida e spumeggiante dell’oceano. Il suo corpo fu
invaso da una sensazione incomparabile di freschezza. I lunghi capelli color del
grano fluttuavano avanti e indietro, sospinti dalle correnti marine, ondeggiando
in sintonia con il guazzare della sua coda e, di tanto in tanto, le
solleticavano il corpo.
Con una
spinta più decisa riemerse in superficie e socchiuse un
poco gli occhi alla vista del sole. Sulle labbra un gustoso sapore di
sale.
Il
vento le accarezzava il viso e le prosciugava le ultime tracce di
salsedine.
Puntò
lo sguardo a sinistra, all’orizzonte, dove il cielo entrava nel mare e il mare
si confondeva con esso, lì dove c’era la sua
‘casa’.
Poi,
con una fitta al cuore, rivolse lentamente lo sguardo verso destra, verso la
spiaggia.
Ebbe un
sussulto vedendo Kaito, seduto sulla spiaggia.
Poteva
riconoscere senza difficoltà la sua figura esile e atletica. Sotto ad un braccio
reggeva la tavola da surf. Pareva aver perso la voglia di cavalcare le onde
dell’oceano, di renderle docili sotto il suo tocco. Guardava il mare, guardava
colui che, insieme alla voglia di fare surf, gli aveva
portato via la persona che amava.
Due
lacrime…
Due
lucenti lacrime scaturirono dagli occhi incredibilmente limpidi della giovane
sirena.
Emisero
un’impercettibile vibrazione a contatto con l’acqua, per poi perdersi per sempre
nell’oceano, rendendo le ignare onde partecipi del suo dolore. Allo stesso modo,
due cuori, insignificanti fra i tanti, venivano divisi
da quell’enorme distesa salina.
“L’amore fra una sirena e un
essere umano è impossibile… e ciò equivale quasi a non
esistere.
Ma allora, quello che tu chiamavi
‘amore’ cos’era in realtà, Kaito?” si disse.
I raggi
del sole avevano ormai cancellato le sottili scie perlacee lasciate dalle
lacrime sul suo volto.
“Addio
Kaito” pronunciò.
E prima
di scomparire per sempre in mezzo a quella vaporosa schiuma, di cui molte volte
aveva rischiato di far parte, la sua voce intonò un
ultimo e disperato canto.
“Per sempre tu sarai in fondo all'anima
così che
neanche il tempo ci può separare
Oh, Dolce melodia sprigioni vita e
mi fai
cantare forte un messaggio d'amore”
Kaito
si ridestò all’improvviso dai propri pensieri e guardò inconsciamente verso il
mare.
Sgranò
gli occhi. Si mise una mano sulla fronte per parare il sole e vedere
meglio.
Per un
attimo, gli era sembrato di vedere qualcosa di estremamente lucente sparire fra le onde. Qualcosa di
ancora più lucente dello scintillio delle onde che
danzavano sul mare.
“Sarà
stato un colpo di sole.” pensò.
Luchia,
nuotava sempre più in profondità, inghiottita dalle fredde e oscure acque di
quell’abisso.
Al
collo oscillava la sua perla rosa, la splendente luce che aveva emanato si stava
pian piano affievolendo. Non avrebbe mai più brillato della luce
dell’amore.
“Luchia… Luchia…” Di nuovo quella voce.
“Chi
sei?”
“Luchia…” la voce si faceva
sempre più forte.
La
giovane sirena girò su se stessa, si guardò intorno.
Cominciava ad avere paura di quella voce che, sebbene inspiegabilmente
familiare, le era ignota.
“Luchia, svegliati!” esclamò con
maggior enfasi quello stesso richiamo.
La
sirena percepì una mano calda scrollarle la spalla. La sua vista si stava
offuscando. Tutto, intorno a lei, stava svanendo, irradiato da una forte luce che si faceva sempre più
intensa.
Cosa le stava
accadendo?
Sussultò. Spalancò d’un tratto
gli occhi color nocciola che si andarono a soffermare
su un paio iridi celesti, leggermente irritate.
“Hanon…
cos’è successo?” disse lentamente, mettendo a fuoco
l’immagine dell’amica. Sentiva le palpebre degli occhi pesanti e una sensazione
di stordimento la opprimeva.
“Dovrei
farti la stessa domanda! -il tono della sua voce si stava
alzando- non avevi un appuntamento con Kaito un’ora fa? Come ti è saltato
in mente di addormentarti?”
Sgranò
gli occhi, incredula. Con uno scatto improvviso si alzò a sedere sul letto e non
si accorse di essere scossa da tremiti.
“Come?
-fece eco la sua voce- vuoi dire che ho dormito tutto
questo tempo? E che non mi sono mai mossa da casa e che… -
trasse un respiro, scettica- e che non ho incontrato
Kaito?”
Hanon
la guardò con rimprovero e pazienza. “Cosa devo fare
per farti capire che hai dormito tutto il pomeriggio? Ma non ti ricordi niente? È da un’ora che ti
chiamo!”
Una
terribile notizia… un addio… due lacrime. Questi furono i ricordi che le
tornarono alla mente. Possibile che si fosse trattato solo di uno stupido sogno?
Possibile che i sentimenti, crudi ed estremamente reali
che aveva provato, fossero stati solo frutto della sua
immaginazione?
“Hanon…
-disse flebilmente. Doveva essere sicura di essersi sbagliata. Aveva paura di
sentire quelle parole, ma doveva farlo- Noi non dobbiamo partire, vero? Non dobbiamo tornare
nell’oceano?”
“No,
non credo proprio -rispose, spiazzata dalla domanda-
non è previsto che noi ritorniamo a governare i nostri regni, o almeno non
adesso. Nikora ci avrebbe sicuramente avvertito e…”
Non
fece in tempo a finire la frase che la principessa dalla perla rosa l’abbracciò
e le rivolse un dolce sorriso. “Grazie!” le sussurrò.
“Ma adesso è meglio che ti prepari, corri da lui, Luchia!”
disse Hanon, imbarazzata da quell’improvvisa manifestazione
d’affetto.
La
ragazza non se lo fece ripetere due volte. Corse giù dalle
scale, incrociando Hippo che, terrorizzato, scappava dalle predizioni di
Madame Taki.
“Ciao
Luchia, vuoi che ti faccia una predizione?” la salutò l’anziana
indovina.
“No,
magari un’altra volta! Oggi non potrebbe andare meglio di così!”
sorrise.
Un
ampio sorriso si increspò sul volto dell’anziana donna,
andando a far compagnia alle sottili rughe che il tempo aveva disegnato durante
gli anni.
Luchia
si infilò i sandali. Aprì la porta di casa e attraversò
il giardino del Hotel, di un verde irreale,
estremamente curato. In fondo al vialetto intravide una
figura.
“Nikora!” urlò agitando una
mano. Le andò incontro. Felice.
“Luchia, dimmi. Hai bisogno di
qualcosa?”
“Hai
notizie del mio regno?”
“Non
preoccuparti, stanno tutti bene. Ora che Gaito non rappresenta più una minaccia,
la pace è tornata a regnare anche nell’oceano Pacifico del nord. Non c’è ragione
che tu stia in pensiero, né che tu ritorni laggiù. Per
ora, pensa solo a vivere serenamente qui sulla Terra!”.
“Lo
farò!” disse. Fece per incamminarsi, ma poi si voltò di
nuovo.
“Voglio
che tu sappia che un giorno sarò felice di ritornare nel mio regno.” aggiunse.
Riprese
a correre, portando con sé la vitalità spensierata dell’adolescenza. Protesa verso una meta che, unica fra tante, avrebbe potuto renderla
felice.
La sera
si stava tingendo di rosso. Timide nuvole navigavano nel
cielo, arrossivano, scaldate a tratti dagli ultimi raggi dall’ardente
stella.
Alla
fine del viottolo scorse l’ombra di un ragazzo appoggiato al
muricciolo.
Lui,
sentendosi chiamare, spostò il suo sguardo sulla ragazza.
“Finalmente!” disse. Un saluto che all’inizio suonava come un rimprovero, ma che
si addolcì per la gioia di vederla.
“Scusami.” si precipitò a raggiungerlo.
“Kaito,
se per qualche strano motivo non potessi più rivedermi, saresti triste?” chiese,
senza nemmeno dargli il tempo di parlare. Pochi centimetri separavano i loro
visi.
“Certo,
è ovvio. Ma perché me lo chiedi?” rispose
confuso.
“Devo
dirti una cosa.”
Kaito
la guardò interrogativo. Stava iniziando a preoccuparsi. Luchia era così strana
quella sera. Ma non sembrava triste. Tutt’altro. Sul
suo volto era dipinto un bellissimo sorriso. Quale cattiva notizia poteva avere
un volto così solare?
“Ti
amo. Ti amo e non mi stancherò mai di dirtelo.” disse tutto d’un fiato.
“Era
questo che volevi dirmi?” chiese, diventato leggermente
rosso.
“Sì.”
Abbozzò un sorriso malizioso.
Lui la
avvicinò a sé. “Anch’io ti amo. Per un attimo ho avuto
paura di perderti e che tu…”
Non
fece in tempo a finire la frase. Un intenso contatto, inaspettato e piacevole,
unì le loro labbra.
“Adesso
lo so, Kaito. Ne sono certa. E’ proprio questo quello
che tu chiami ‘amore’… ” pensò.
THE END