miao
Afraid
Ok inizio proprio dicendo che questo sclero inatteso è stato
scritto in mezz’ora quindi mi immagino che bellezza sia -.-. in ogni caso,
volevo comunque parlare della mia coppi preferita su questo splendido romanzo: Astharoth
e Gabriel, il tutto dal loro primo incontro che ha fatto sbocciare il loro
amore. Non avendo mai scritto storie del genere so già che farà schifo quindi
anche i commenti negativi sono ben accetti ç_ç sappiate però che ho agito in
buona fede.
Rare volte, un demone potente come lui aveva provato veramente
terrore durante la sua esistenza. Sapeva, che molte cose che faceva, potevano
far adirare Lucifero oltre ogni dire, cosa che in fondo era già accaduta in
passato quando aveva provato (quasi riuscendoci) a rubargli il trono per
reclamarlo come proprio. Ricordava con vago timore la punizione che gli era stata
inflitta: lingue ardenti simili a serpenti a mordergli la pelle, le sue urla
trattenute a stento che rimbombavano per le umide e gocciolanti pareti della
cella, gli occhi scarlatti d’ira del signore degli inferi contro i propri.
Si, quel giorno, come tanti altri, aveva provato un vago
terrore, ma non paura.
Uno come lui, la paura non la doveva conoscere. Non voleva
nemmeno provarla.
Quella notte, il cielo era tinto da un manto oscuro, come
per celare il piano che avevano escogitato lui e altri suoi compagni
all’insaputa del loro re, tanto era il timore delle sue truppe di venire
scoperte per un gesto del genere.
Astharoth, come sempre, era il capo indiscusso di quelle
azioni e non temeva di venire scoperto né di subire la punizione per una regola
trasgredita anni fa da un suo compagno a cui era toccata la morte.
La morte, non lo spaventava, nulla lo avrebbe mai
spaventato.
Stringendosi il mantello scuro attorno alle spalle robuste,
lasciò vagare gli occhi verdi in alto, alla ricerca di qualche stella che
illuminasse il cielo come un buon presagio per quello che stava accadendo. Ma
nemmeno una fioca luce fuoriusciva da quella nube peccaminosa, e il nero era il
colore predominante che inghiottiva le figure incappucciate dei demoni,
accalcati in fila indiana con le ali tremanti.
Si, questa volta, nel suo cuore, Astharoth sentiva di star
compiendo una sciocchezza, un’infrazione da cui non sarebbe più potuto uscire.
Allearsi con gli angeli per procreare una nuova specie. Una cosa punibile solo
con la pena di morte.
Ma non doveva avere paura, perché credeva in quello che
faceva. E sinceramente, troppe volte l’apatia aveva preso il suo essere,
facendogli desiderare la morte come una carezza sensuale. Nulla poteva
spaventarlo. Lui era sempre stato tutto quello che voleva essere: secondo solo
a Lucifero per forza e per bellezza, riusciva ad ottenere tutto quello che
voleva, dal sesso gratuito ai soldi, alle anime dei mortali vaganti
all’inferno.
Non temeva di perdere un compagno, perché non si era mai
affezionato a qualcuno e nessuno avrebbe provato a usurpare quello che era suo
perché sapeva benissimo che sarebbe morto.
Come poteva temere qualcosa che non esisteva?
Eppure, quella notte,
qualcosa era destinato a cambiare.
Dall’oscurità, arrivò d’improvviso una luce accecante, che
lo costrinse a strizzare indispettito gli occhi e calarsi maggiormente il
cappuccio verso il volto affilato. La luce divenne piano una figura, poi molte
altre si staccarono, assumendo forme e colori fino a diventare esseri distinti
di pura luce. Gli angeli, erano arrivati e osservavano con fierezza i loro
acerrimi nemici ora alleati, con le ali all’erta e le tuniche bianche
svolazzanti sull’umido terreno. Astharoth inspirò piano, gettando una fugace
occhiata ai suoi compagni che, indecisi sul da farsi, attendevano un suo
ordine. Con decisione, passò in rassegna ogni singolo volto coperto degli
angeli e nonostante il disgusto istintivo per loro gli stava attorcigliando lo
stomaco, fece un passo avanti alzando le braccia al cielo, in segno di resa.
Non aveva paura di loro, non aveva senso avere paura per uno come lui. Doveva
solo scegliersi un angelo e fecondarlo, poi sarebbe tornato alla vita di
sempre, apatica, noiosa, inutile. Con suo stupore, una piccola figura si staccò
da quella calca luminosa e avanzò
goffamente verso di lui, incespicando delicata nei propri passi. Lunghe ali
chiuse spuntavano dalla sua schiena come cascate ardenti di pura e candida luce
e le punte tinte di dorato erano la testimonianza che quell’essere non era un
angelo comune. Astharoth si fermò al centro di quella terra desolata, il volto
accigliato. Un arcangelo. Come poteva un essere di tale potenza, essere così
piccolo e gracile mentre camminava lento verso di lui? Molte volte la sua mente
aveva immaginato gli arcangeli come esseri invincibili dalle tuniche dorate e i
volti fieri, spalle robuste erette e spade strette nelle mani. Come poteva un
essere così piccolo incutere paura?
Come poteva, un essere così piccolo, non provare paura?
L’arcangelo si fermò a pochi passi da lui, il volto celato
che lasciava intravedere solo un lieve sorriso gentile. Quel piccolo essere
sembrava studiarlo curioso, senza lasciarsi osservare però osservare a sua
volta e per interminabili minuti, Astharoth sentì dietro di lui le sue truppe
trattenere il fiato, spaventate all’idea di un attacco a sorpresa. Fu una calda
e dolce voce a scuoterlo da quello stato di trance : “ Astharoth, il principe
degli inferi.”
Lui annuì e sporse il mento in avanti, osservando con un
sopraciglio alzato l’arcangelo misterioso dall’alto. “Potrei sapere con chi sto
parlando? Scusate ma dobbiamo sbrigarci se non vi dispiace”
Una leggera risata uscì da quelle labbra sottili e Astharoth
si bloccò impietrito mentre dita affusolate calavano il cappuccio, scoprendo il
volto.
Eterea, perfetta. Fu questo il pensiero che arrivò nella sua
mente alla sua vista.
Una donna bellissima dal volto ovale simile a fine
porcellana, una cascata di ondulati capelli castani ad incorniciare un naso
sottile e due enormi occhi chiari, dell’ingenuità più disarmante che avesse mai
visto. Dentro di lui, quella notte, qualcosa di sconosciuto si mosse nello
stomaco,opprimendogli il respiro.
Cosa mi succede? Non trovò risposta.
La ragazza sorrise e gli porse la mano. “Perdonami, io sono
l’arcangelo Gabriel. Le nostre tende devono essere più avanti giusto? Allora,
chi sarà il mio compagno principe degli inferi?”
I suoi occhi verdi
cercarono i suoi trovandoli intenti a squadrare curiosi i suoi corti capelli
bianchi che scendevano ribelli fin dietro le orecchie. Quando portò lo sguardo
sul suo e i loro occhi si incatenarono, un velo scuro li rese ancora più
affascinanti. Astharoth provò a parlare ma dalle labbra non gli uscì alcun
suono. Qualcosa, mentre lei si avvicinava a lui col volto inclinato, continuava
ad agitarsi dentro di lui, impedendogli la parola, il respiro, le azioni.
Poi, lei gli afferrò la mano e le loro dita si intrecciarono
decise e veloci. Lui la guardò, lei sorrise arrossendo. “ Sii tu il mio
compagno”
*
La tenda dove si trovavano era piccola, spoglia, ma
Astharoth non si sentiva a disagio tante erano state la volte che si era
accoppiato con le sue compagne sulla nuda terra. Non gli ci volle molto a
togliersi il mantello e la giacca bianca, il volto fisso sul terreno mentre
dietro di lui, sentiva i lembi della stoffa scendere dalla pelle dell’angelo.
Quando si volse però la luce della luna lasciava intravedere solo una spalla
nuda. Gli occhi di Gabriel erano enormi, sgranati e persi nel vuoto mentre lo
fissavano, le mani tremavano strette attorno al mantello chiaro.
“Cosa ti prende?” . Voleva andarsene, l’idea di fecondare un
angelo era stupida e inutile, avrebbe dovuto capirlo sin dal primo momento.
Provò a trovare una traccia d’ira nel suo essere ma quando gli occhi chiari di
lei lasciarono sgorgare calde lacrime, quella strana sensazione tornò a
imprigionarlo. Si avvicinò a lei cauto, stringendole la spalla sottile con una
mano. Lei abbassò il volto. “Gabriel…”
“Perdonami…io…ho paura”. Rimasero entrambi fermi, lei col
volto abbassato e il corpo sussultante, lui con gli occhi fissi sulla sua scura
nuca. Il dolore allo stomaco era così intenso che dovette respirare forte, il
respiro alla vista delle sue lacrime era così irregolare da offuscargli la
vista. Cosa stava accadendo?
Non temeva il suo signore, non temeva di morire, non temeva
nemmeno di perdere tutto.
Lei alzò gli occhi verso i suoi e Astharoth trattenne il
fiato.
Quegli bellissimi
occhi imprigionanti avevano inghiottito il suo essere e se l’erano preso così,
senza il suo permesso. Lei era stupenda e lui…lui aveva paura di lei.
“Anche io ne ho…”
Stupita, schiuse le labbra per formare un piccolo bocciolo,
per poi sorridere dolce. Un nuovo nodo, si formò nella gola del demone.
“Di cosa?”
“Non...riesco a capirlo. Tu sei bella, ma non come molte mie
compagne. Ma i tuoi occhi sono così profondi da spaventarmi, da…confondermi”
Un lieve rossore salì in quelle guance nivee e Gabriel portò
una mano per scostarsi una ciocca, portandolo dietro l’orecchio.
Istintivamente, Astharoth le afferrò la mano, intrecciando le loro dita e lei
lo guardò, stupita da quell’inatteso gesto d’affetto. Fu un istante, mentre i
loro sguardi si incatenavano, colpiti e impauriti da qualcosa che entrambi non
riuscivano a spiegarsi, poi le loro labbra si bramarono ardenti, i loro corpi
si strinsero frenetici ed entrambi, divennero un unico essere.
La luna, era spuntata improvvisa dal cielo, illuminando
tutto radiosa con i suoi raggi argentati.
*
La calda luce del mattino illuminò il volto del demone
addormentato e Astharoth strizzò gli occhi infastidito, portandosi la mano a
coprire il volto. Grattandosi la nuca, si mise a sedere e la schiena gli lanciò
una lieve fitta di dolore. Il letto, accantonato in un angolo della tenda, gli
sembrava troppo piccolo quella mattina. Istintivamente, abbassò lo sguardo alla
ricerca di un corpo nudo accanto al suo.
Ma di lei, non c’era traccia.
La tristezza invase il suo essere mentre sfiorava quelle
lenzuola ancora accaldate dai loro corpi, segno che la notte prima qualcosa era
realmente accaduto. Era stato lui, a voler prendere quella stupida iniziativa,
a prendere i suoi compagni e convincerli. Era lui, che voleva finire al più
presto quell’alleanza inopportuna.
Ma allora cos’era, quel dolore all’altezza del petto che non
aveva mai provato?
Come poteva,quel piccolo angelo, averlo sconvolto a tal
punto?
Astharoth non aveva mai provato paura, mai. Ma quella notte,
quegli occhi lo avevano intimorito, quel corpo delicato premuto contro il suo
gli era parso talmente fragile che aveva avuto paura di spezzarlo sotto il suo
tocco. Quella donna lo aveva spaventato, risvegliato in lui sentimenti mai
provati che non sapeva identificare.
Eppure, quella paura, la paura che lui aveva sempre cercato
di evitare…
Nulla gli era mai parso così dolce.
Alzandosi, si vestì in fretta, lisciandosi i capelli con le
mani. Un nuovo giorno era spuntato e lui doveva solo fingere che nulla fosse
successo, reprimere quello strano sentimento e continuare la sua vita di tutti
i giorni. Non gli importava nulla di lei, ormai era fecondata.
O si sbagliava?
Un rumore dietro di lui lo fece sussultare, la tenda che
veniva scostata lasciando entrare un ospite inatteso. Sbuffando, si volse con
la giacca in mano, pronto a urlare in faccia al primo compagno inopportuno che
aveva invaso la sua privacy. Ma era lei ad essere entrata, radiosa come il
giorno prima, sebbene con i capelli scarmigliati e gli occhi gonfi di sonno. “Buongiorno, Astharoth”
La paura, tornò a invadere il suo essere. Quando lei avanzò
timorosa, baciandolo fugace sulle labbra, lui non riuscì a ritrarsi.
Lei gli sorrise e qualcosa si sciolse nel suo petto.
A volte, forse, provare paura non era così male. Almeno, se
quel sentimento così dolce era lei a portarlo.
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