The Seventh:Winter
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PROLOGO.
Sometimes you have to go
halfway around the world to come full circle.
[Svartalfheim,
Rocca Reale, Quarto mese, Diciassettesimo giorno dell'anno 3028 della II Era.
Corrispondente alla data terrestre del 13
Settembre 2012]
Una volta
entrato negli appartamenti reali, il Capitano delle Guardie si prostra a terra
tremando: è considerato oltraggioso irrompere nelle stanze private del Re,
soprattutto se egli vi si è ritirato ed è in compagnia, ma la notizia che
doveva recare non poteva tardare oltre.
Allacciandosi la
casacca furiosamente, Re Malekith scosta le cortine dell’alcova con un gesto
rabbioso, una smorfia feroce a sfigurargli ulteriormente il volto: "Se non
reputerò la questione sufficientemente urgente, la tua testa rotolerà fuori da
questa stanza." Si piega sulla guardia e lo forza ad alzargli la testa
afferrandogliela con la mano bianca.
"Maestà...
vi è un intruso..."
Il viso del
Capitano sbatte violentemente contro il tavolo di marmo a fianco, le ciocche
dei capelli tra le dita del Re e la lama della sua spada a pochi centimetri
dalla gola "...è di Asgard!" mugola velocemente sputando un fiotto di
sangue.
A sentire la
notizia Malekith si blocca: lascia andare la testa della guardia, che geme
rialzandosi per arretrare, e stringe il pugno bianco. "Un Asgardiano
profana nuovamente la mia terra?"ringhia sputando per terra. "Lo
voglio in ceppi. Vivo, ma in ceppi."
"Maestà, vi
prego..."
Nell'alcova, una
donna scivola tra i veli del letto, lunghi capelli dorati a coprire la pelle di
luna si avvicina alle spalle del Sovrano sfiorandole con le mani candide e
mormora: "Permettetemi di controllare l'identità dello sconosciuto."
Al cenno del Signore di Svartalfheim, raggiunge l'immenso specchio della
camera. Un tocco circolare sulla superficie, poche parole sussurrate e
l'immagine muta: al posto del riflesso femminile ora vi è l'entrata di una
grotta. Un altro sussurro, e lo specchio mostra il volto concentrato di un giovane
uomo dai lineamenti affilati.
La donna
sorride. "Io so chi è..." Si volta verso il Re, gli occhi azzurri che
brillano: "Il suo nome è Loki, il Principe cadetto di Asgard."
"Il
principe caduto, vorrai dire." Sul volto di Malekith si fa largo un
ghigno: "Come merce di scambio, non potevo chiedere di meglio.
GUARDIE!"
"Aspettate!"
La donna continua a guardare lo specchio, studia le mosse di Loki, il modo in
cui si china, la delicatezza con cui sradica il fiore luminescente e come
plasma la sabbia tra le dita a formare un'ampolla. "La sua magia, la sua
conoscenza sono cresciute molto." Sospira. “È qui solo, senza soldati né
compagni. Non è giunto qui da parte di Asgard."
“Non ha
importanza, è un invasore e come tale va distrutto. O hai un diverso suggerimento?"
Lei riflette
accarezzando lo specchio, seguendo i lineamenti marcati del volto del principe,
la piega della sua espressione concentrata, le dita lunghe che infilano il
fiore nella fiala: "Credo occorra capire le sue intenzioni. Lasciatelo
andare, mio Signore. Sarà mia premura seguire i suoi spostamenti, spiare le sue
mosse ed indagare sui suoi scopi."
"Che
sciocchezza...!"
"Mio
Signore, pensate: Egli è stato bandito da Asgard, immaginate quale rancore
coverà verso Odino... Ed essendone stato il Principe, chissà quali segreti
conosce del vostro antico nemico! Potrebbe esservi utile, potrebbe rendervi ciò
che è vostro e potrete avere la vendetta che Svartalfheim merita!"
Le dita di
Malekith percorrono la schiena della donna. "E tu sei certa di poter vantare
ancora qualche ascendente su di lui, Amora?"
"Certo, mio
Signore: è stato pur sempre il mio allievo prediletto."
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A
volte mi domando come sarebbe stato se.
Se
non avessi dato ascolto
al mio istinto, a quell'increspatura nell'aria che mi suggeriva che, no, i due
buchi nel collo della mia amica non erano dati da un aggressore armato di
punteruolo.
Se
avessi controllato i miei poteri, davanti agli insegnanti, ed i libri non
avessero preso fuoco facendomi spedire dritta nell'aula di detenzione senza un
vero motivo.
Se
non avessi chiamato Fury, la sera del mio Prom, e fossi scappata saltando da
una delle finestre della scuola come facevo quando c'era una lezione che non mi
andava proprio di seguire, per andarmene semplicemente dalla festa.
O
se avessi premuto il pulsante della mia ricetrasmittente, quella sera in New
Mexico, per informare Coulson nel perimetro era entrato qualcun'altro. Qualcuno
che nessuno sembrava vedere.
Che
l'increspatura nell'aria l'avvertivo da quando ero scesa dall'elicottero ed
avevo posato piede nella base mobile dove Coulson mi aveva salutato sorpreso:
"Non eri in Romania?"
"Riassegnata
praticamente in volo. È una dannata scocciatura, non trovi?"
"Oh,
io invece ne sono quasi sollevato: il lavoro di Baby Sitter non mi si
addice." Aveva sorriso versandomi una tazza di caffè. "Men che meno
trattandosi di Tony Stark."
Barton
era entrato nella stanza lanciando la sacca con la sua attrezzatura sul tavolo
e rifilandoci uno sguardo torvo: Decisamente, non era in vena di simpatici
convenevoli.
"E
così hai dovuto lasciare Natasha tutta sola con lo Scapolo d'Oro di New
York?" domando a voce volutamente alta e falsamente casuale. A Clint
scappa una mezza smorfia, a noi un mezzo sorrisetto, che stuzzicare Barton
usando Nat come esca è come sparare sulla Croce Rossa.
"Oh
sì, e mi ha chiesto di ringraziarti per l'abito animalier che le hai
comprato: le stava a pennello, ha fatto un successone alla festa di Stark."
Clint si mette ad armeggiare rumorosamente con l'attrezzatura, sbattendo sul
tavolo di metallo i vari componenti delle sue armi. "Anche se la vera
attrazione di quella festa è stato proprio il padrone di casa...."
"Ho
sentito. Praticamente la versione Luxury di una feste del college."
"Ma
tu eri già sotto addestramento ai tempi del college, non hai frequentato le
lezioni."
"Infatti.
Sono solo andata alle feste" rispondo sorseggiando il mio caffè.
"E
come hai fatto a farti invitare alle feste se non frequentavi? Immagino che sia
un po' difficile conoscere gente se non si è al campus..."
"Oh,
beh: in effetti alla festa di una sorority la smorfiosetta capo ha avuto
da ridire sulla mia partecipazione. Così sono uscita, ho chiamato Natasha e poi
siamo rientrate con una banda di Hell's Angels. Nessuno ha più osato
contraddirmi quando mi imbucavo." Coulson annuisce, è un aneddoto molto
plausibile.
“Venite,
vi faccio vedere il perché siamo qui.”
"Eccolo
qui. Questo è il nostro Oggetto Non Identificato catalogato come NMUSA768/A"
Quasi
mi è sembrato di avvertire una leggera scossa quando tocco il nastro di cuoio
con cui è rivestito. “È un martello"
"Ufficialmente
è l'Oggetto Non Identificato NMUSA768/A"
"Che
ha la forma di un martello finemente intarsiato."
"Ma
è ufficialmente l'Oggetto Non Identificato NMUSA768/A, e sei pregata di
chiamarlo con il suo nome per evitare fraintendimenti o conclusioni affrettate.
Sto aspettando i primi esiti dalla Linguistica."
"Aspetta
e spera." mugolo, che i topi da biblioteca della divisione linguistica mi
sono sempre stati antipatici. Con la punta delle dita seguo il contorno della
Triscele incisa.
Coulson
si avvicina mentre Barton rimane al suo posto, che certe cose lui le vede
meglio da una certa distanza."Sbaglio o hai una vaga idea di cosa
sia?"
"Sì,
e dovresti avercela anche tu, visto che sei scozzese. Questo, Coulson, è un
simbolo dei nostri avi."
"William
Wallace?"
“Hey,
ma hai fatto da Baby Sitter a Stark o alla sua collezione di liquori?” Alzo gli
occhi al cielo "Celti. Ed altri popoli norreni, per esempio i
Vichinghi."
"Credi
che lo usassero come arma? Voglio dire, se penso ai Vichinghi, mi vengono in
mente omoni alti e grossi con lunghe barbe e trecce che si rincorrono brandendo
asce, scudi e spade. Ma martelli..."
"Prova
a tirare uno di questi in testa ad un nemico. L'effetto deve essere alquanto
soddisfacente." Indico l'impugnatura: "Guarda: il cuoio nel manico è
liso, come se fosse stato tenuto in mano, usato. Invece il corpo del martello
sembra nuovo, non è scalfito, non è rovinato. Non è strano?"
"E
la cinghia attaccata al manico a cosa servirebbe?"
"Portachiavi,
Barton."
Con
l'intruso catturato, i miei sensi avrebbero dovuto acquietarsi, anche perché
Coulson mi ha ordinato di presenziare all'interrogatorio per stilare un profilo
psicologico dell'uomo.
Ed
invece l'aria è ancora elettrica, un flusso continuo di energia che parte da
quel dannatissimo martello. Non che quell'uomo biondo e sporco di fango che ha
appena sbaragliato una decina dei nostri mentre Barton lo teneva sotto tiro con
le frecce ed io ero pronta a grigliarlo a dovere con il Fuoco Fatuo mi causasse
meno fastidi. Tra martello - pardon, Oggetto Non Identificato catalogato
NMUSA768/A – ed intruso doveva assolutamente esserci una connessione.
Passando
sulla passerella al piano superiore - che sotto il biondone aveva
combinato un casino e non avevo intenzione di insozzarmi gli stivali né di
rovinarmi la messa in piega - l'increspatura nell'aria risulta ulteriormente
più eclatante. Una sensazione di fastidio talmente potente da farmi quasi
fischiare le orecchie ed aumentare i battiti cardiaci: E proviene da sotto, nel
piano zero, dove il martello era sorvegliato a vista. Decidendo di controllare,
mi affaccio dalla balaustra: In mezzo a guardie e tecnici che non sembrano
notarlo – uno con il metal detector è appena passato talmente vicino da quasi
sfiorarlo - c'è un uomo. Dandomi le spalle riesco solo a vedere i suoi capelli
neri pettinati all'indietro ed il cappotto verde scuro, dal taglio elegante.
Posso indovinarne l'altezza – tra il metro e novantacinque ed i due metri, ad
occhio e croce – e quando si volta appena per stringere il manico del
martello posso notare le dita lunghe e pallide. L'indice mi si sposta dalla
tasca al tasto della ricetrasmittente alla cintura, pronto a premerlo e a
lanciare l'allarme. Verso cosa poi, che nessuno a parte me sembrava vederlo?
Decido di restare in attesa di una sua mossa, a capire se sarebbe riuscito
a spostare l’oggetto o meno. Potrei anche domandargli con quale presunzione
pensi di riuscire nell'impresa.
Ha
provato a tirare una volta. Due. Quando afferra il manico anche con l'altra
mano, dalla mia posizione catturo una porzione di viso, la bocca piegata in una
smorfia di sforzo, prima di smettere e ritornare a darmi le spalle,
riassettarsi i vestiti ed alzare il volto al cielo con un mezzo sospiro
frustrato.
Un
ultimo sguardo al martello prima di incamminarsi verso l'uscita.
China
sulle ginocchia lo seguo con lo sguardo attraverso il ferro della ringhiera:
cammina lentamente, senza fretta, verso lo squarcio nel cellophan che il
biondone aveva procurato, lasciandosi inghiottire - dissolvendosi - nel
buio.
Non
ho fatto nulla per attirare la sua attenzione, né lui ha notato la mia
presenza: celato alla vista umana - cos'era, un mago? un demone? entrambi? -
ma non a quella di chi umano lo è solo in parte. E non si dato neppure pena di
controllare che non ci fosse, nei paraggi, qualche elemento di natura
superiore.
Piuttosto
presuntuoso.
La
mano mi scivola via dalla ricetrasmittente.
E
se avessi agito diversamente? Sarebbe cambiato qualcosa?
Sono
arrivata alla conclusione che non sarebbe cambiato niente. Quell’uomo – Loki
– sarebbe comunque scomparso nel nulla: non era come il tizio nella stanza
a fianco, privato dei suoi poteri, sprofondato sino alle ginocchia nel fango e
e nell'umiliazione della sua impotenza.
Avrebbe
comunque mandato il Distruttore a spazzare via tutto e causato l'ira di Thor.
Sarebbe stato sconfitto, lasciandosi scivolare dal Bifrost per cercare una
Morte che l'avrebbe invece consegnato al più fedele dei suoi servitori.
Avrebbe
comunque tentato di invadere la Terra, scatenato una guerra intergalattica e
seminato paura e morte. L'avrei sbeffeggiato in una prigione di vetro
infrangibile palesandogli i miei poteri.
Avrebbe
comunque perso, sarebbe stato comunque imprigionato di nuovo e sottoposto al
giudizio di Odino. E sarebbe ricapitato, di nuovo, sul mio cammino.
Forse
le modalità sarebbero state diverse. Forse ci avremmo messo più tempo.
Forse
non mi avrebbe salvato da un veleno corrosivo e forse non avremmo stretto
un’ultima, disperata alleanza davanti all'avanzata del più devastante dei
nemici.
Forse
non saremmo morti, non saremmo stati sepolti nella stessa tomba e non ci
saremmo svegliati fianco a fianco.
Ma
sono certa che ci saremmo ritrovati un giorno o l'altro, in una dimensione o
nell'altra, a scambiarci un ultimo bacio.
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Šumšu, Isole Curili (Russia) 11 Novembre
2012
“Qui
Romanoff, squadra Delta. Edificio sgomberato.”
Natasha
abbassa la punta del fucile e fa segno agli altri membri della squadra di
proseguire e di perlustrare il perimetro.
Gli
uomini si allontanano cauti, avviandosi nelle postazioni indicate. Tutti,
tranne uno.
Ha
ancora la freccia incoccata, ma tiene l’arco con una mano sola e puntato verso
terra, mentre si passa il dorso della mano sul viso sudato. Si guarda intorno e
quando è sicuro che gli altri membri del team siano abbastanza lontani le si
avvicina appoggiandole una mano sulla schiena. “Bel lavoro, Nat. Fury ne sarà
pressoché commosso.”
Lei
abbozza un mezzo sorriso scostandosi un ricciolo dalla faccia e concedendo un “Ho
avuto degli ottimi partners.” come gratifica.
“Ti
spettano quattro giorni di riposo, Agente Romanoff, come intendi passarli?”
“Raggiungendo
a Istanbul. La pista ci porta direttamente là, troverò sicuramente informazioni
utili per…”
“Troveremo”
La corregge Clint.
“Non
mi pare che Fury ti abbia incluso nella missione.”
“Lo
do per scontato, dato che il Direttore mi ha assegnato come partner l’Agente
Romanoff.” Gli altri agenti rapportano via radio sui vari ritrovamenti
dell’edificio, e Clint decide che la freccia può tornarsene nella faretra. “I
quattro giorni di licenza escludono il viaggio ad Istanbul. Possiamo riposarci,
ce lo meritiamo. È da tre settimane che stiamo alle calcagna di questi qui.” Lo
sguardo di OcchioDiFalco percorre il lungo capannone in cui hanno ritrovato la
zecca clandestina di un sofisticato traffico di banconote che finanziava buona
parte del terrorismo internazionale.
“Clint,
non mi serve.”
“Serve
a me. Mi serve saperti riposata, mi serve sapere che non stai
esagerando. Puoi, per favore?”
Gli
occhi verdi e severi di Natasha sono piantati nei suoi, nel suo sguardo nessuna
intenzione di cedere. Ne ha bisogno, di mantenersi occupata, di non tenere la
testa alla mercé di pensieri troppo densi da poter assorbire.
Eppure
Clint ha ragione: gli strascichi delle operazioni al polmone sono stati più
pesanti di quanto lei si aspettasse. A cui si sono aggiunte crisi da astinenza
da morfina ed un equilibrio mentale precario.
Si
è chiusa a riccio, negli ultimi due mesi: ha cercato di recuperare la sua
proverbiale freddezza, il suo famoso distacco. C’è riuscita solo in parte: chi
ha condiviso con lei l’avventura più drammatica della sua esistenza non l’ha
lasciata andare. C’è Clint, che più che partner di lavoro e di vita può
considerarlo la sua ombra. C’è Steve che la cerca spesso. Ci sono Pepper e
Tony, che insistono ad organizzare meeting in un’Avengers Lounge appena
ricostruita e con una sedia di troppo nel tavolo. C’è Banner che ogni volta che
la vede le chiede come stia, occhi a malapena alzati da terra ed atteggiamento
sulla difensiva, desideroso di porgerle il suo aiuto ma timoroso di un rifiuto
che potrebbe fare infuriare l’Altro.
Incrocia
la Hill nei corridoi e quasi non si parlano: La loro folle notte a Las Vegas
sembra di un’altra epoca, la foto che ha intravisto appesa nell’armadietto
della vice di Fury sembra appartenere ad un altro gruppo di ragazze. Eppure i
loro visi sono ben riconoscibili: Lei con un cappello da cowboy glitterato e
rosa Pepper avvolta in una bandiera francese, Jane vestita da sexy Elvis, Maria
con la fede al dito, ed Addison infilata nel tubino Union Jack che aveva reso
celebre Geri Halliwell.
Addison
non c’è più. GreyRaven è morta, caduta sul campo.
Basta
quella mancanza ad incrinare tutto il mondo.
Quando
era in convalescenza si era messa a riordinare, catalogare, raggruppare gli
effetti personali di Adie, decisa a sgomberare la sua stanza, a non avere tutti
quei ricordi più sott’occhio per tutto il tempo. Aveva lanciato gli scatoloni
fuori dalla camera chiedendo a Clint di farglieli sparire dalla vista. Senza
dire una parola l’aveva accontentata e lei non aveva voluto sapere che fine
avessero fatto. E non aveva più riaperto quella porta.
Odia
ammetterlo, ma se non ci fosse stato lui quei mesi sarebbero stati ancora
peggiori. Detesta dover aver bisogno di lui, ma nonostante tutti i suoi sforzi
non riesce a farne a meno, è così e basta e solo con il tempo e con la mente
sempre impegnata, potrà tornare forte come prima.
Ed
indipendente. Emotivamente indipendente da chiunque.
Gliel’avevano
detto, che i sentimenti erano una debolezza che una come lei non poteva
permettersi.
Ma
ora non può fare a meno di Clint e – povero – lui che è sempre così
solerte, così efficiente sul lavoro e presente nella sua vita, lui che in quei
due mesi ha accettato il ruolo di stampella, di infermiere, di punching ball a
volte, si merita un piccolo premio per la sua costanza, la sua pazienza.
Il
suo amore.
“Tre
giorni, non di più.”
“Grazie.”
Lei alza un sopracciglio e gli volta le spalle. Odia anche sentirsi così: grata
ed in debito di nuovo con OcchioDiFalco, e odia sentirsi meglio
nell’avere accontentato una sua richiesta. Cerca di dissimulare il suo stato
d'animo, si volta con il fucile in mano fingendo di perlustrare la zona.
Un
buco nel pavimento, perfettamente circolare.
Quasi
ci finisce dentro. Non c'era prima, Natasha ne è sicura.
Chiama
Barton e glielo indica con un cenno del capo. Lui si infila l'arco a tracollo,
estrae la pistola dalla fondina e una torcia dal taschino del giubbotto.
"È
assurdo." mormora, puntando il fascio di luce nel buco. "Non illumina
l'interno."
"Che
cos'è questo odore?" Natasha annusa l'aria. "Sembra..."
"...zolfo."
Rumore
di passi dentro del buco.
Toc.
Toc. Toc, Come se
qualcuno stesse risalendo i pioli di una scala di metallo. Una scaletta
lunghissima.
Natasha
toglie la sicura al fucile e lo imbraccia meglio, Clint punta la pistola.
I
passi si fermano, sembrano proprio all’entrata del buco, eppure la torcia di
Clint illumina il nulla più assoluto.
Una
mano.
Compare
dal bordo e si appoggia sul cemento del pavimento, seguita dall’altra.
Dita
candide, femminili, dalle unghie curate e laccate di nero.
Clint
intima di fermarsi.
Le
mani sembrano indugiare, poi compare una testa castana. "Ho detto FERMO
o sparo!"
"...Clint..."
La mano di Natasha è sulla canna della pistola. Sposta lo sguardo verso di lei:
è impallidita, il labbro inferiore le trema. Fissa la testa - i capelli
ondulati che coprono il viso - e deglutisce con fatica.
Le
braccia, le spalle. Il busto avvolto da un tessuto argentato e setoso che
scivola lungo i fianchi e le gambe sino a terra.
Quando
è completamente in piedi davanti a loro, Natasha ha già abbassato il fucile, un
fremito nelle mani. Un movimento fluido della testa e la chioma castana si apre
su due occhi dorati.
Lo
strillo acuto che rimbomba tra i muri di cemento armato è di Clint.
Una
piccola ombra vola attraverso il buco, disegna una parabola per aria e le si
posa sulla spalla gracchiando.
Addison
Borgo incrocia le braccia , la testa piegata di lato e le labbra vermiglie
stese in un sorrisetto sardonico.
"Un
Bentornata poteva bastarmi."
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Pare che ce la stia facendo, a scrivere questo
benedettissimo sequel!!
Voi l’avete voluto, e mo ve lo pigliate.
Scherzi a parte, gongolo ancora adesso nel notare l’affetto
e il riscontro positivo di The Seventh, oltre al fatto che ho ancora tanta
voglia di scrivere di Adie.
E di Loki.
E di Nat e Clint. E di Steve, Bruce, Tony, Maria, Thor….
Insomma, mo ve lo beccate.
Cercherò di aggiornare settimanalmente, ormai dovrei essere
a buon punto con la stesura della storia e non dovrei subire ritardi… ma ormai
sapete meglio di me quanto possa essere pignola e pedante a scrivere,
rasentando la patologia.
Vi chiedo solo una cortesia: fatemi sapere cosa ne pensate.
Commenti positivi o negativi che siano, ma fatemi sapere.
Perché ci tengo a fare un buon lavoro, perché ci tengo a
questa fic, perché ci sto mettendo tutto il mio impegno… ed anche un
minicommento mi rende la persona più felice dell’universo EFP.
Grazie, grazie, grazie.
Alla prossima.
EC
PS: La citazione iniziale è una delle Tagline del film
"Lost in Translation".
PPS: l'anno nella data iniziale è una citazione di Titan AE,
film del 2000 in cui Joss Whedon era uno degli sceneggiatori.