Un lampo illuminò i
nuvoloni neri che coprivano il cielo del mattino, ed una manciata di secondi
dopo il tuono rispose al suo richiamo. Ma non c’era da preoccuparsi per
quell’acquazzone scoppiato all’improvviso, diceva Nami: il vento era debole,
e loro si stavano avvicinando ad un’isola dal clima estivo, ne era sicura. A
conferma di ciò, la bella navigatrice aveva aperto un vecchio volume
polveroso – recuperato dalla libreria della propria cabina, che ormai
condivideva da un po’ con l’altra donna dell’equipaggio, Nico Robin – sul
tavolo della cucina, sotto gli occhi dei compagni, più intenti ad ingozzarsi
con la colazione che ad ascoltarla. Eccezion fatta per il biondo cuoco,
naturalmente, che mai, per nulla al mondo, avrebbe perso una sola delle
sillabe uscite dalle deliziose labbra della cara Nami. Labbra che ora il
giovane fissava, per una volta in vita sua, senza apparente desiderio.
«Nami-san,» cominciò
quindi ad esprimere i propri dubbi il galante Sanji, il cipiglio
preoccupato, mentre si accostava alla ragazza, seduta come di consueto tra
Robin ed il più pigro dei membri della ciurma di Cappello di Paglia, Roronoa
Zoro. Nami alzò distrattamente lo sguardo sul cuoco, e questi continuò:
«Qualcosa non va?»
Il cuore della
navigatrice fremette per un solo, maledetto istante, confermando tosto
l’ansia del compagno nella donna che le sedeva accanto. Robin, tuttavia, non
fiatò, e Nami fu libera di sfoggiare uno dei suoi migliori, quanto falsi,
sorrisi, pronta a rassicurare Sanji che tutto andava ottimamente.
«Ma ti sei morsa le
labbra, per caso? Sei nervosa? Sicura che non ci sia nulla che non ti turbi,
mia cara?»
A questo nuovo attacco,
la fanciulla dal caschetto rosso aggrottò le sopracciglia quasi quanto
quelle del musone che sedeva alla sua sinistra – Zoro era infatti spesso
monoespressivo quando lo si lasciava da solo, immerso nei propri pensieri, e
la sua fronte risultava perennemente corrucciata senza reale motivazione. La
punta dell’indice e del medio della mano sinistra di Nami – con la destra
ella continuava a tenere la forchetta – andarono quindi a sfiorarle la
bocca, riconoscendo subito, al contatto, la veridicità delle parole di
Sanji.
Merda. Si era
morsa le labbra per il nervosismo e non se ne era nemmeno accorta. «Sarà
stato l’improvviso calare della temperatura, dovuto alla pioggia, che me le
ha screpolate.»
«Ma non avevi detto che
ci stavamo recando su un’isola estiva?»
Colui – pover’anima –
che pronunciò quella subdola quanto legittimissima domanda, fu seccato da
due pupille furibonde, oltre che da una forchettata fra gli occhi che Nami
giustificò con uno dei suoi soliti e ragionevoli attacchi di isteria. «Se
allora ascolti la gente quando parla, perché fingi sempre di non capire quel
che ti si dice?!» ululò fra le urla di dolore del povero capitano che ora,
piombato in terra dalla panca sulla quale era seduto fino a poco prima,
agitava convulsamente le gambe per aria, tentando di estrarre i denti della
forchetta del proprio ufficiale dalle cervella, senza possibilmente
trascinare anche queste fuori dalla scatola cranica.
Inutile dire che
Chopper, dopo aver istintivamente usato il Guard Point, timoroso di essere
in qualche modo coinvolto dai nervi della ragazza, si precipitò in soccorso
di Rufy in qualità di medico di bordo.
«Basta, m’è venuto mal
di testa…» sospirò la cartografa, una mano alla fronte. «Vado a prendere un
po’ d’aria» affermò poi, tendendo le braccia in avanti per recuperare il
libro. Lo richiuse e lo strinse sotto al braccio sinistro mentre scavalcava
la panca alle spalle dei due compagni che le sedevano accanto, in modo da
non disturbarli.
«Nami-san, vuoi che ti
prepari una tisana rilassante?»
«No, Sanji-kun, grazie.
Non occorre» sorrise al solo fine di tranquillizzarlo. Quindi, si accomiatò
dal resto del gruppo ed uscì sul ponte sotto gli occhi preoccupati non
solamente del cuoco, ma anche di Usop che, un grosso tozzo di pane fra i
denti, non aveva bevuto le scuse accampate dalla compagna. Scuse che, era
palese, nessuno di loro aveva prese per vere, ma che nessuno si scomodò a
smontare per non dover fare la fine di Rufy che, poveraccio, ora si
accingeva nuovamente a sedere al tavolo con un vistoso cerotto sulla fronte
che gli conferiva un aspetto tremendamente ridicolo, ed il cappello di
paglia sulle spalle, scivolatogli dal capo allorquando Nami lo aveva
violentemente sbalzato a terra.
Lo sguardo felino di
Nico Robin cercò silenziosamente la rude figura dello spadaccino che ora,
sparita Nami, le sedeva accanto: Zoro era forse il solo che aveva continuato
a mangiare e a bere senza far troppo caso a quanto gli era appena accaduto
intorno. Un episodio visto e rivisito, a onor del vero, che si ripeteva su
per giù quelle quattro o cinque volte a settimana, e al quale egli, come
lei, aveva ormai fatto il callo.
Chiusa la porta della
cucina alle proprie spalle, Nami rabbrividì subito per la doccia fredda che
pioveva prepotentemente dal cielo ancora occupato dai pesanti e scuri nembi
che non volevano saperne di lasciar filtrare neanche il minimo fascio di
luce solare. Non poteva tornare in cabina, non le sarebbe riuscito di
rilassarsi. Non lì, sul suo letto, dove invece avrebbe avuto voglia di
rifugiare se stessa dalla pioggia e dai propri pensieri.
Ma cos’è che turbava la
bella navigatrice della Merry? Delle immagini. Immagini troppo assurde per
esser vere, ma troppo, dannatamente realistiche per appartenere alla sfera
onirica.
La sera prima, sulla
nave, si era svolto un festino, uno dei tanti che la ciurma organizzava
sovente per distruggere la noia che a tratti calava su di loro durante le
lunghe traversate fra un’isola e l’altra. E come accadeva il più delle
volte, avevano tutti alzato il gomito. Ecco, lei era stata una delle amanti
più focose dell’alcol servito da Sanji, quella notte, ed il risultato della
sua ingordigia era divenuto presto la cagione del tormento che adesso
l’assaliva. Era stata troppo brilla, infatti, per ricordare ora, a mente
lucida, se quel che, a sparuti flash, le tornava alla mente rispondeva a
verità oppure al sogno. Sapeva solo che quella mattina si era svegliata sì
nel proprio letto, il logpose appoggiato come sempre sullo scrittoio per
paura di danneggiarlo nel sonno, i vestiti e le scarpe gettati alla rinfusa
sul pavimento come ogni qual volta eccedeva con l’alcol; però… Ecco, c’era
un però. Un però che nemmeno ricollegava al suo essersi svegliata avvolta
nel lenzuolo di cotone – ed unicamente in quello – ma a qualcos’altro. Più
precisamente a quelle maledette immagini alle quali ancora Nami non riusciva
a venire a capo, e che tutt’ora la facevano rabbrividire – se per ribrezzo o
altro non sapeva ben stabilirlo.
Scrollò quegli odiosi,
assillanti pensieri con uno scossone del capo, decisa più che mai a
dimenticare ogni cosa, e mosse i primi passi verso la scaletta che, a poppa,
l’avrebbe condotta dagli amati mandarini un tempo appartenuti alla sua mamma
adottiva.
La porta della cucina,
però, si spalancò una seconda volta, mostrando uno Zoro sbadigliante, una
mano ancora alla maniglia, l’altra nella pancera verde che gli faceva
perdere i tre quarti del fascino che avrebbe altrimenti avuto un giovane
dall’aspetto piacevole ed aitante come lui. Lo spadaccino si accorse solo in
un secondo istante della sua compagna – la quale già meditava una fuga,
senza tuttavia osare metterla in atto per non dar credito alle parole
pronunciate da Sanji pochi minuti prima.
«Hai mangiato
pochissimo» osservò Roronoa, richiudendo la porta e facendosi più vicino
alla ragazza. «Sicura di star bene?»
«Certo» rispose Nami
dopo un attimo di esitazione, e senza dare un tono particolare a quella
risposta. Ma, per quanto si sforzasse si apparir rilassata, i suoi occhi non
volevano saperne di incrociare lo sguardo di lui, andando piuttosto a
posarsi sulla sua figura. Ahi. La pioggia battente era così infingardamente
bastarda da avergli già inzuppato la maglietta bianca, rendendola perciò
trasparente. E come un lampo, una delle immagini più vivide rimaste impresse
nella memoria della rossa, quella di due corpi nudi che si cercavano fra le
lenzuola, la fece nuovamente sobbalzare.
Distolse con fare
precipitoso gli occhi dal compagno, portandosi, impacciata, la mano destra
al petto, la sinistra che ancora stringeva il libro dalla copertina rigida
che bene o male riparava in qualche modo le pagine dalla pioggia.
Accortosi di questa
reazione, e unita a quelle seppur impercettibili che aveva scorto a tavola,
Zoro si massaggiò la nuca con una mano, sospirando pesantemente: sapeva bene
cosa provava la ragazza, lo sapeva fin troppo bene. Risoluto a parlarne con
lei per dissipare ogni equivoco di sorta, tese una mano, al fine di
richiamare la sua attenzione, e la prese con fare gentile per un polso.
Non aspettandosi una
mossa del genere, Nami trasalì al punto da lasciar cadere il libro in terra
senza neanche avvedersene, lasciando che si inzuppasse d’acqua. Ed
osservando quella mano grande, forte, ruvida – così diversa dalle sue
piccole e lisce! – una nuova immagine, quella di una carezza gentile data da
quella stessa mano, le balenò alla mente.
«Non mi toccare!»
esclamò spaventata la ragazza, liberando il braccio dalla presa di lui con
un brusco scossone.
Impietrito, Zoro la
fissò sconcertato, la mano ancora tesa in avanti che ormai stringeva il
vuoto. Non fiatò.
Fu Nami a farlo quando,
accarezzandosi con fare confuso il polso che lui le aveva appena stretto,
balbettò un poco comprensibile: «Ah…» Si era immediatamente resa conto di
aver avuto una reazione spropositata a quel gesto del tutto innocente.
La pioggia continuava a
cadere scrosciante, arrivando a formare delle pozze d’acqua ormai su quasi
tutta la superficie del ponte, specie sulle tavole di legno degli scalini
alle spalle della navigatrice. Era, quello dell’acqua che cadeva dal cielo e
baciava il suolo, l’unico rumore che si udiva intorno a loro.
Non reggendo più né
l’opprimente silenzio né l’imponente figura dello spadaccino, la ragazza
cercò di rispolverare il sorriso che aveva rivolto a Sanji a colazione, ma
con ben scarso successo; anche perché quell’espressione più agitata che
allegra fu accompagnata da una serie di inutili parole bofonchiate
nell’imbarazzo più completo.
«Scusa, sai… Questa
pioggia mi aumenta il mal di testa, per cui divento nervosa…» farfugliò,
dando quindi conferma, anche se con una menzogna, alle parole del cuoco.
Zoro però rimase muto, e
l’ansia di Nami crebbe. La cartografa indietreggiò di un passo, poi di un
altro, senza avvedersi di aver ormai raggiunto le scale. Il giovane se ne
accorse, invece, e temendo che la compagna mettesse un piede in fallo e
precipitasse malamente di sotto, si mosse verso di lei con uno scatto.
Ancora una volta, però, quel nobile gesto venne temuto dalla ragazza, che
subito indietreggiò nuovamente, come d’istinto. E pur rischiando di cadere
per il dislivello fra il primo gradino ed il ponte su cui si trovavano,
riuscì a mantenere l’equilibrio.
Adombratosi per il suo
modo di fare, Zoro strinse le mascelle ed incupì lo sguardo. «Smettila di
comportarti come una sciocca: quel che è fatto è fatto, ormai» la riprese
quindi bruscamente, senza più tanti riguardi.
Il cuore di Nami
sussultò di nuovo, e di nuovo lei si morse le labbra: allora era accaduto
davvero…
Chinò il capo, lasciando
scivolare le braccia lungo i fianchi in un senso di abbandono, e finalmente
parlò con fare sicuro. «Hai ragione. Quel che è fatto è fatto. Però… avresti
anche potuto aver riguardo, visto che non ero lucida» affondò a quel punto.
«Perché, quando mai tu
ne hai avuto per me?» ribatté lui, con veemenza tale che la ladra,
indispettita, lasciò immediatamente da conto il pudore – che invero non
aveva mai avuto in vita sua – per caricarsi di sentimenti negativi.
«Tu…! Brutto animale…!»
iniziò, puntandogli il dito indice contro, con fare accusatorio. «Ti sei
approfittato della situazione!»
«Certo! Non sono mica
scemo!» confessò Zoro, spazientito, facendola ammutolire. Lei subito sgranò
gli occhi, allibita. «Chiunque al mio posto avrebbe agito in quel modo!»
Ah! Lo ammetteva,
quindi! D’accordo, sapeva di esser bella e sexy, una fatale consapevolezza
che la rendeva ulteriormente pericolosa per l’intero genere maschile. Ma da
qui ad irretire nelle sue maliarde reti di sirena seduttrice persino l’unico
uomo tutto d’un pezzo dell’equipaggio…! Accidenti, si era sottovalutata. Già
a Whisky Peak aveva vinto l’orgoglio del compagno battendo le ciglia e
mostrando due occhioni da lui offesi e delusi – oltre a tutte le volte in
cui l’aveva avuta vinta a suon di legnate, si intende – ma mai si era
immaginata di raggiungere un tale traguardo: vincere Zoro tentandolo con le
proprie grazie.
No, un secondo. Se anche
lei lo aveva tentato sotto i fumi dell’alcol, arrivando così a trascinarselo
in cabina e a passare una notte d’amore, tutt’altro che deludente per quel
che ricordava, Zoro non era assolutamente tipo da approfittarsi così
biecamente delle persone, figurarsi di lei.
Eppure l’aveva appena
ammesso: chiunque, al suo posto, avrebbe agito nel medesimo modo. Era stato
dunque tanto avvinto dalla sua bellezza da perdere completamente il nume
della ragione? Oppure – Nami rabbrividiva di nuovo al solo pensarci – si era
riscoperto addirittura innamorato di lei, al punto da non riuscire, con la
forza della sola mente, ad avere la meglio sulla passione che traboccava
ormai dal suo cuore, completamente rapito dallo splendore di lei?
Quest’ultimo pensiero
lusingò la fanciulla così tanto, che ella si ritrovava, ora, molto più ben
disposta di prima ad ascoltare le spiegazioni del suo pretendente – tale lo
vedeva, adesso – uomo di grande valore, al punto che, complici le immagini
della notte precedente che ancora scorrevano davanti agli occhi di lei, la
mente di Nami annullò di colpo tutti i pregiudizi su di lui e le di lui
mancanze in fatto di gentilezza.
«Bene…» cominciò quindi
a balbettare la ragazza, cercando di dominare le emozioni che, sotto lo
sguardo perplesso di Zoro, non erano riuscite a non sfumarle il viso di un
rosa così grazioso da renderla, insieme ad un’insolita, innocente, nuova
luce che le splendeva negli occhi nocciola, ancora più bella del solito.
«Quindi… che si fa?» domandò, non senza un lieve tremore nella voce, non già
squillante come al solito, ma dolce e – quasi – timida.
Infilando le mani nelle
tasche dei pantaloni neri nel più rozzo dei modi, Zoro alzò le spalle. «Ci
atteniamo a quanto stabilito ieri notte, no?» osservò nella più totale
ovvietà.
Ovvietà che, si può ben
immaginare, a Nami non parve tale. Ricordava la notte d’amore, seppur a
brevi ed interrotti flash, ma delle parole, delle promesse, dei sussurri e
dei giuramenti non v’era la minima traccia nella sua povera testa sempre più
confusa.
Decise di analizzare la
questione. Zoro: era rozzo, volgare, anti-romantico per eccellenza, e
violento; ma di un’imponenza, una virilità, un orgoglio ed un coraggio senza
pari. Era vieppiù ottuso, ignorante come una capra, e cocciuto; e tuttavia
aveva dalla sua un senso di giustizia, di amicizia e di lealtà
ineguagliabili. Nami non aveva la più pallida idea di quel che lui poteva
averle promesso mentre davano sfogo alla passione, ma di una cosa poteva
esser sicura: Zoro non era un bugiardo, Zoro manteneva sempre la parola data
– tutt’al contrario di lei, insomma. E queste qualità immense, unite al suo
aspetto per nulla sgradevole – era invero un gran bel ragazzo, sosteneva
Nami, e se si fosse vestito in maniera un po’ meno trasandata, ne avrebbe
guadagnato non poco – e agli sparuti frammenti d’amore che l’avevano
inizialmente spaventata, ma che ora le apparivano preziosi al punto da farle
trepidare il cuore in presenza di lui, le davano un’unica certezza: quella
notte le loro anime si erano unite. E se pure non aveva notato grandi
cambiamenti nel modo in cui Zoro le si rivolgeva, questo era indubbiamente
da attribuirsi al suo essere poco avvezzo alla galanteria e alle buone
maniere. E non di meno, Nami ora sentiva di poterlo amare follemente, o di
poter essere sulla buona strada per farlo. Davvero, non lo avrebbe mai
creduto possibile, e invece…
Stese le labbra nel più
civettuolo dei sorrisi, e, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno ad
un dito, chinò il capo, senza però scostare lo sguardo da lui. «Lo diciamo
agli altri?» domandò, ben immaginando la risposta: sebbene la cosa potesse
farlo grande ed invincibile contro Sanji, da sempre suo rivale nelle più
svariate questioni, orgoglioso com’era, figurarsi se lo spadaccino avesse
potuto aver voglia di fornire ai più infantili del gruppo un pretesto per
canzonarlo.
Le parole che egli
pronunciò, tuttavia, le fecero corrucciare la fronte. «Lo sanno già, non
ricordi? Li ho chiamati a testimoniare mentre concludevamo il tutto.»
Nami impallidì.
«Co-come… come “mentre concludevamo”…?» e lasciò la frase a metà per lo
stupore.
Zoro sorrise con fare
furbetto. «Beh, non sono mica così sciocco da contare unicamente sulla tua
parola…»
Il pallore lasciò posto
all’ira, e la ragazza avvampò, urlando: «Che cavolo vuol dire che non puoi
contare sulla mia parola?! Su una questione tanto delicata, poi?!»
«E’ proprio per via di
questa “questione” che non mi sono voluto fidare» insistette lui, di gran
lunga più rilassato, cosa che contribuì ad urtare i nervi della compagna.
«Ah, e così non ti
fidi?!»
«No, per nulla.»
«E me lo dici con tanta
tranquillità?!»
«Vuoi che faccia un
annuncio solenne con le trombe?» sdrammatizzò Zoro, non vedendo dove fosse
il problema. «Non posso fidarmi di te, visti i tuoi precedenti.»
«Questa è tutt’altra
questione, per la miseria!» continuò a vociare Nami nella sua animata
protesta. «Come puoi pensare ch’io sia capace di... di…?!» e concluse la
frase con un ruggito di rabbia, pestando un piede in terra e schizzandosi
così l’acqua fino alle caviglie. «Tu non mi conosci affatto, Zoro!»
«Oh, sì che ti conosco,
mia cara» sbuffò a quel punto lui, cominciando a credere che, nonostante
tutto, Nami volesse rimangiarsi la parola data. «E gli altri sono stati
tutti d’accordo con me» aggiunse, pronto a perorare la propria causa con
mille argomentazioni ed appoggi.
E così tutti la
credevano una poco di buono, una sgualdrina?! Tutti?! Certo, non aveva un
grande senso del pudore, ma da lì a far l’amore con qualcuno ne passava!
Insomma, ora si parlava di sensibilità, di rispetto e di… di amore…
Il senso di delusione
che si abbatté su di lei, schiacciandola in un oscuro stato di smarrimento e
desolazione, fu tale che Nami perse ogni voglia di controbattere – con
grande stupore dello spadaccino che mai era riuscito a ridurla al silenzio
così vittoriosamente e senza troppo impegno. La navigatrice lo fissò
un’ultima volta, con furia, delusione, rancore, e si voltò di scatto verso
le scale, pronta a piantarlo lì senza mai più rivolgergli la parola.
Fu un attimo: si girò,
il suo piede scivolò sulle tavole bagnate, e lei rovinò per i gradini in
modo disastroso. Eppure non si fece nulla, giacché non cadde da sola, e
neanche le fu concesso di piombare lunga, stesa fra le pozze d’acqua dovute
alla pioggia che adesso cominciava a scemare.
«Tu…» sentì rantolare
vicino a lei. Tremendamente vicino. «Tu sei la mia catastrofe personale…»
Riaprì gli occhi,
riprendendo coscienza, e solo allora realizzò di essere fra le braccia del
compagno che, accortosi prima di lei della brutta caduta che stava per
prendere, era balzato in suo aiuto, precipitandosi così ad attutirle il
colpo ed evitarle eventuali fatalità.
«Sei una stupida!» fu
l’urlo agitato che Zoro, il cuore che ancora batteva a mille per lo spavento
preso – Nami poteva ben sentirlo, stretta com’era al suo petto – ebbe la
grazia di starnazzarle all’orecchio, incurante del fatto che i loro amici
erano accorsi dalla cucina per comprendere quanto stava accadendo di fuori.
«Vuoi stare un po’ più attenta a dove diavolo metti i piedi?!»
«E’… è colpa tua che…»
provò timidamente a protestare la ragazza, subito zittita dallo sguardo
furibondo di Roronoa che, scattando finalmente a sedere e sbalzandola di
lato per scrollarsela di dosso, riprese immediatamente nella sua ramanzina.
«Ti rendi conto che
potevi rischiare grosso?! Te ne rendi conto o no?! E se non c’ero io a
fermare la caduta?! Se avessi battuto la testa?! Perché, per quale
dannatissimo motivo devi mettere quei trampoli per fare il pirata?! Tu e la
tua stupida, inutile vanità! Come se non fossi già bella di tuo! Come se ti
mancasse l’altezza! Cosa diavolo hai per la testa, si può sapere?!»
Pareva talmente evidente
a tutti i presenti che l’agitazione di Zoro derivasse da uno spavento fuor
del comune, che nessuno, neppure Sanji – che in ben altre circostanze
avrebbe sputato fuoco e fiamme contro di lui – osò fiatare prima che lo
facesse Nami.
Questa, mortificata
oltre ogni dire, e sempre più sopraffatta dalle mille emozioni che
continuavano a travolgere il suo cuore di minuto in minuto, si morse le
labbra ed esalò un affrantissimo e fievole “Mi dispiace”, reazione che la
fece apparire agli occhi dei più come una bambina rimproverata aspramente
dal papà.
Zoro, che detestava
veder piangere la gente, specie le donne – e Nami in particolar modo –
affondò il viso nella mano. Un lungo, lunghissimo sospiro accompagnò quel
suo gesto nel tentativo di poter calmare i nervi. Era un tipo iracondo, così
come lo era anche lei, ma non era solito scattare per un nonnulla, perdere
il controllo in tal modo senza ragione. Con quello spavento, però, si era
giocato almeno dieci anni di vita: Kuina, la cara, amata Kuina, compagna di
screzi e spade, colei che aveva condiviso il suo sogno più grande, era morta
proprio in quella maniera: le era stata fatale una caduta dalle scale. Se
Nami fosse finita allo stesso modo? Zoro non volle – non poté – neanche
pensare ad un’eventualità del genere, né a cosa sarebbe accaduto ad ognuno
di loro senza di lei. Nami era necessaria a tutti, e non solamente in quanto
navigatrice, ma anche e soprattutto come amica. Il vuoto che avrebbe
lasciato, non solo fisicamente, sarebbe stato insopportabile, fatale
anch’esso come quella caduta che già aveva privato lo spadaccino di una
persona per lui tremendamente importante. Se Nami avesse seguito Kuina, Zoro
era sicuro che ne sarebbe impazzito – e già folle lo si considerava da un
pezzo, a dirla tutta, dalla maggior parte delle persone con cui aveva a che
fare anche solo superficialmente.
«E’ colpa tua, però» fu
la frase che lo riportò alla realtà, segno che, ripresasi dalle urla e
riacquistato un po’ di orgoglio, Nami aveva già smesso i panni della bambina
giudiziosa che impara dai propri errori ed ammette le proprie colpe senza
mettere in discussione l’autorità paterna. Zoro scostò il viso dalla mano di
quel tanto che potesse consentigli di indirizzarle un’occhiata malevola. «Mi
hai dato della sgualdrina.»
«Io?!» trasecolò il
giovane, apparendo a dir poco sbigottito.
«Sì, tu!»
«Cos’avrebbe fatto,
questo lurido marimo?!» strillò l’indiscusso difensore delle fanciulle, il
quale si sarebbe volentieri buttato giù dal cassero se Robin non glielo
avesse impedito, trattenendolo con il proprio potere, curiosa – come gli
altri tre – di vedere come si sarebbe conclusa quella discussione tra
navigatrice e spadaccino.
«Quando mai avrei
detto…?!» non si capacitava quest’ultimo, cominciando a temere che,
nonostante tutto, la compagna avesse comunque battuto la testa nella caduta.
«Oh, non rimangiarti la
parola, sai?!» prese colore Nami, indispettita per quell’ennesima delusione.
«L’hai detto tu che non ti fidi di me!»
«Sì, ma che c’entra col
fatto che…» prese a farfugliare confusamente lui, capendone sempre meno ed
arrabbiandosi sempre più.
«E non avevi chiamato
loro» e la rossa indicò i compagni alle proprie spalle. «per
incastrarmi?! Incastrare, poi, una fanciulla ubriaca che… che per una volta
in vita sua aveva deciso di dar retta al cuore anziché alla ragione! E’ un
oltraggio!» si ritrovò costretta a confessare la poveretta, sopraffatta dal
dolore e dalla vergogna di essersi ormai più che esposta davanti a tutti.
Zoro la fissò, se
possibile, ancor più stranito di prima, tacendo per timore di non riuscire
ad articolare una frase di senso compiuto, o forse nella speranza che
l’altra si spiegasse meglio. Ma il rossore ed il dispetto di lei erano tali
che il ragazzo dovette rassegnarsi a non ricevere altre delucidazioni al
riguardo. Si risolse quindi ad aprir bocca. «Nami, ma tu… Ti ricordi cosa ci
siamo detti, ieri?»
Lei divenne ancor più
paonazza di prima e si strinse nelle spalle. «Non… non rammento le esatte
parole, ma…»
«Non rammenti quelle, o
anche tutto il resto?» A questo punto ammutolì, facendosi pensierosa. Colto
da uno strano tic, Zoro riprese: «Tu mi stai accusando di un qualcosa che si
basa solo su delle stupide congetture da romanzetto rosa?»
Nami, coda di paglia,
levò un dito al cielo con fare minaccioso e glielo agitò sotto al naso. «No!
Ehi! Aspetta!» esclamò, fortemente contrariata, senza quasi rendersi conto
del brusco cambiamento che stava per sopraggiungere nella sua testolina
rossa. «Chi ha mai parlato di “romanzetti rosa”?!» domandò, acida. «Sperare
di poter parlare con te di un qualcosa che vada oltre il dormire, il
mangiare ed il maneggiar spade è pura illusione!»
«Ma hai parlato di
sentimenti» infierì la serafica Robin, tappando anche la bocca a Sanji
quando questi cominciò ad ululare insulti troppo volgari da potersi scrivere
qui in direzione dello spadaccino.
«TACI, TU!» sbottò Nami,
sul punto di una crisi isterica, additando la compagna questa volta. «C’è
sempre da parlare di sentimenti, di cuore, di amore, quando si tratta di
denaro!»
Ah, ecco. La sua bocca
era arrivata prima di lei al punto. Ora ricordava. Tutto, nei minimi
dettagli.
Durante la sbornia in
tandem, Nami aveva condonato il vecchio debito dello spadaccino, debito che
ormai ammontava – a dire della cartografa – a circa un milione di berry e
che mai, con tutta la buona volontà – che invero non aveva – Zoro avrebbe
potuto saldare.
La bella fanciulla con
l’hobby dell’estorsione saettò un malevolo sguardo in direzione di quel
gorilla a tre spade che ancora le sedeva accanto e, ringhiando, lo afferrò
violentemente per il bavero. «Tu…!» iniziò, furibonda, per poi lasciarsi
andare ad urla truculente, tali da atterrire anche il pirata più coraggioso
dei quattro mari. Frattanto, Usop aveva messo su un banco di scommesse su
quanti secondi sarebbero passati prima che Nami stordisse Roronoa a suon di
botte, e Rufy si era subito precipitato a fare la sua puntata, mentre
Chopper correva invece a prendere la cassetta del pronto soccorso e Sanji si
riprendeva e, la bocca ora libera, cominciava ad incitare la compagna alla
rissa. «Sei uno schifosissimo approfittatore!»
«Ah! Io?!» ribatté Zoro,
troppo stupito, nella sua rabbia, per poter reagire altrimenti.
«Certo!» continuò a
gridargli in faccia la ragazza, cominciando, in più, a mostrare il pugno.
«Come diavolo t’è venuto in mente ch’io potessi accettare di azzerare per
davvero il tuo debito?!»
«Sei stata tu a
propormelo, e loro ne sono testimoni!» replicò ancora il giovane, facendo
cenno verso il resto della ciurma.
«Confermo» risposero
prontamente in coro gli interpellati; eccetto Sanji, privato nuovamente di
parola per ovvie ragioni, che ora si agitava nuovamente per accorrere in
soccorso della sua amata al fine di punire quel villano dalla testa di
verza. Tuttavia, il galante cuoco non osava forzare troppo la prigione di
braccia con cui Robin lo teneva immobile, incollato alla paratia esterna
della cucina, e che alla lunga Sanji scopriva non dispiacergli affatto,
vista la quantità di mani che l’affascinante archeologa gli aveva messo
addosso – sempre troppo poche, per lui.
«Un accordo del genere
non può essere valido, se effetto di una sbornia, mio caro» risolse allora
Nami, mollando la presa sulla maglia di Zoro e distendendo apparentemente i
nervi, vista l’evidenza dei fatti. «Ti sei approfittato dei vantaggi che
potevi trarne senza tener minimamente conto il senso dell’onore. Che
delusione…» sospirò infine, fingendosi davvero affranta. «Ti avevo
sopravvalutato, Zoro.»
Questi, più calmo di
lei, inarcò un sopracciglio; e dopo un attimo di silenziosa riflessione,
mormorò: «Eppure ieri notte hai detto esattamente il contrario.»
Nami sobbalzò,
cominciando a sudare freddo. Rivolse una timida occhiata al giovane ed
impallidì ulteriormente quando ne incrociò lo sguardo: quel bastardo
sorrideva. Soddisfatto, per di più.
«Di che parli?» chiese,
al solito curioso come un bimbo, il capitano, cominciando a pendere come una
scimmietta dalla balaustra del cassero che affacciava sul ponte, il cappello
di paglia legato al collo che pendeva nuovamente dalle sue spalle.
Lo sguardo della
navigatrice si restrinse, e lei segò sul nascere ogni altra possibile
domanda da parte di terzi. «Di niente.»
«Di niente?» ripeté lo
spadaccino, con chiaro intento provocatorio.
«Di niente» confermò
lei, ricambiando il sorriso da schiaffi che l’altro le rivolgeva.
Eccola lì la Nami che
conosceva, si disse compiaciuto il giovane. Se fosse rimasta a far la parte
della fanciulla in fiore, di sicuro avrebbe dato di stomaco. Ma Nami
rimaneva sempre Nami, da qualunque parte la si guardasse. Aveva già
anteposto il vecchio credito da riscuotere all’altro e più inquietante – ed
accattivante – ricordo della notte appena trascorsa.
Era accaduto tutto quando,
dopo aver stabilito che Zoro non le dovesse più un soldo, la ragazza si era
alzata ed aveva barcollato per tutto il ponte, ridendo senza sosta, ed
additando la luna piena aveva esclamato: «Sembra la pancia di Rufy!» E la
risata si era fatta più forte per via del paragone azzeccato: il capitano
era schiattato accanto all’albero maestro pochi istanti prima,
addormentandosi di colpo con un pancione da far invidia al vecchio Lou,
membro della ciurma del Rosso. Usop e Chopper, invece, avevano continuato
ancora per un po’ l’uno nelle vesti dell’eroico pirata che aveva salvato un
ippopotamo dalla furia cieca di un mostro della Calm Belt, l’altro,
evidentemente troppo brillo per ricordare che gli ippopotami non vivono
nelle acque salate, in quelle del suo più grande ammiratore. Dall’altro capo
della nave, Sanji, stanco per la titanica impresa di star dietro allo
stomaco di Rufy, una volta libero di uscire dalla cucina, si era subito
messo a tallonare la giunonica Robin, l’unica del gruppo ad essere tanto in
sé da risolvere di andarsene a coffa con la solita coperta, il solito libro
di mille pagine e la solita caraffa di caffè caldo per compagnia nella
veglia del suo turno di vedetta.
«Uh, Sanji-kun mi
trascura di nuovo per Robin» aveva osservato Nami, fissandoli da lontano più
con curiosità che disappunto. Ma la vanità femminile è grande, e di sentirsi
messa in secondo piano rispetto ad un’altra donna, la bella navigatrice non
poteva sopportarlo. Aveva quindi adocchiato la propria vittima stravaccata
poco più in là, dietro di lei, ancora intenta a tracannare birra; con lo
stesso passo barcollante, reso stavolta strascicato dall’aggiunta di malizia
nel suo modo di esporsi, la rossa era tornata da dov’era venuta, era
piombata alle spalle del giovane, circondandogli il collo con le braccia e
buttandosi a peso morto su di lui, unico abbastanza lucido, oltre Robin, da
poterle dar retta. Lui l’aveva guardata male, aveva grugnito, ma poi aveva
ripreso a bere come se nulla fosse accaduto, come se non avesse mai avuto un
paio di mastodontiche tette seminude incollate alla nuca. Stizzita, Nami gli
aveva allora soffiato in un orecchio, facendolo rabbrividire, e, scivolando
su di lui, gli aveva letteralmente spalmato i seni contro la schiena nuda.
Aveva poi riso nell’udire le sue imprecazioni, biascicate fra i denti, e per
la sua espressione imbarazzata che lei avrebbe incorniciato all’istante.
Infine, divertita dalle sue proteste quando gli aveva scippato di mano la
bottiglia, era scattata in piedi ed era fuggita in coperta, ben sapendo che
– non essendoci altri fiaschi disponibili nei paraggi, se non quelli vuoti
lasciati sparsi sul ponte – lui l’avrebbe senza dubbio inseguita, foss’anche
soltanto per schiaffeggiarla.
Ma gli schiaffi non
l’avevano raggiunta, e la bottiglia era comunque stata vuotata in due, poco
prima che Zoro, vedendola vicina – troppo – e stuzzicato nella fantasia dal
comportamento audace della compagna, aveva reputato l’immagine di lei,
illuminata dalle risate, dal rossore del bel volto accaldato per via
dell’alcol, e dalla lucentezza degli occhi scuri che lo fissavano fra
scherno e malizia, la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua.
L’aveva baciata.
Risvegliata come da un
sonno improvviso, Nami aveva ripreso parziale coscienza di quanto stava
avvenendo; eppure non si era allontanata né aveva protestato. Semplicemente
aveva deciso di prendersi quel bacio, così come lui glielo aveva dato. E
quando le loro labbra si erano scostate l’una dall’altra, lei aveva voluto
ripetere l’esperimento, trovandolo ancora una volta tremendamente piacevole,
proprio come il compagno le stava apparendo più attraente del solito.
Il resto, poi, era
venuto da sé. E nel migliore dei modi, persino, per quel che potevano
ricordare entrambi, abbastanza brilli da potersi permettere un tale ardire,
e tuttavia ancora lucidi al punto da capire e da vivere appieno le proprie
azioni.
Ma, fra i due, Nami era
quella che aveva bevuto di più, e che quindi la mattina seguente avesse
avuto un attimo di sbandamento prima di rendersi del tutto conto che quanto
accaduto appena poche ore prima corrispondeva effettivamente alla realtà e
non ad un sogno, come aveva inizialmente creduto, non parrà strano a nessuno
di noi.
E adesso? Rimessi insieme
tutti i tasselli del puzzle, la ragazza ce l’aveva con lo spadaccino. E non
certo perché avevano fatto l’amore nel bel mezzo di una sbornia. Quello che
invece ora Nami rimproverava al proprio amante, era la faccia tosta con cui
aveva fatto finta di nulla, nonché il fatto di averle fatto fare la figura
della scema, divertendosi alle sue spalle, persino. Roba da pestarlo tanto
forte e tanto a lungo, da renderlo pressoché irriconoscibile. Beh, magari
non così forte e così tanto, si ritrovò a riflettere meglio la ragazza,
segretamente allettata dall’idea di poter ripetere anche quel secondo
esperimento, di gran lunga più approfondito del primo. Sì, perché Zoro ormai
le piaceva. Molto. Forse troppo. Ed era lampante che la cosa non era
propriamente positiva, visti i risultati ottenuti.
«Ah…» sospirò,
arrendendosi a se stessa, la navigatrice, tirandosi finalmente in piedi e
portandosi entrambe le mani alle tempie. «Mi è aumentato il mal di testa per
colpa tua…»
«Mia?» ribatté con fare
scocciato Roronoa, restando seduto dov’era a fissarla dal basso. «E io che
c’entro? Sarà per tutto l’alcol che hai bevuto ieri sera.»
Nami sorrise – e non
certo di gioia – e lo guardò molto male. «Ti diverti, eh?» mormorò quasi fra
i denti, tanto che nessun altro, a parte lo spadaccino, poté udirla.
«Mai quanto ieri notte»
confessò il giovane, alzandosi per torreggiare su di lei con la sua
imponente altezza, le mani in tasca, il sorriso strafottente sulle labbra,
gli occhi nei suoi.
La ladra, seccata,
arrossì. «Stupido» farfugliò, riprendendo le scale per raggiungere gli altri
mentre il compagno continuava a seguirla con lo sguardo, un’espressione
raddolcita in viso. No, non era stata soltanto Nami quella che aveva subito
delle conseguenze a livello emotivo dopo quanto accaduto. La vide chinarsi
per raccogliere il libro che aveva fatto inavvertitamente cadere alcuni
minuti prima, e scrollarlo per levargli dalla copertina e dalle pagine zuppe
il grosso dell’acqua. «Speriamo non si sia rovinato troppo…» si lagnò la
ragazza, seriamente dispiaciuta. Rivolse una nuova, minacciosa occhiata
all’amico rimasto di sotto, e quello inarcò un sopracciglio, perdendo il
sorriso: sapeva già cosa gli avrebbe detto. «Ovviamente me lo ripagherai.»
«Sei stata tu a
farlo cadere! Io che c’entro?!»
«Taci e mettiti al
lavoro per asciugare il ponte insieme agli altri» liquidò la questione lei,
agitando una mano per aria come a non volergli più dare troppa importanza.
«Ha smesso di piovere, e fra non molto il cielo sarà completamente sgombro
di nubi. Tutti al lavoro, ragazzi!» ordinò quindi alla ciurma, attirandosi
consensi, imprecazioni e baci volanti.
«La solita aguzzina
senza cuore» ringhiò Zoro, prendendo uno spazzolone dal magazzino lì vicino
ed issandoselo in spalla, pronto ad obbedire come sempre.
E mentre si dirigeva a
prua, una voce lo raggiunse: «Farete tutte queste scenate ogni volta?»
Sgranò gli occhi e vide
Robin che, un sorriso a fior di labbra, gli passava accanto per andare nella
direzione opposta. Argh… ecco l’unica che aveva capito tutto. Accidenti a
quella, imprecò fra sé e sé Roronoa. E grattandosi la nuca con fare
impacciato, il volto in fiamme per l’esser stato oggetto di analisi da una
terza persona, ma soprattutto di scherno da parte di questa, proseguì verso
prora.
Avendo osservato lo
scambio di sguardi, Nami scoppiò a ridere, e, cercando di non farsi notare
da nessuno, si nascose alla vista degli altri dietro la porta della cucina
dove ancora Sanji doveva finire di rimettere in ordine. Si lasciò andare
contro la paratia, lo sguardo che da lontano cercava la figura del burbero
spadaccino che l’aveva amata poche ore prima.
Chissà, si disse, che
cosa le avrebbe risposto se gli avesse chiesto nuovamente di bere insieme,
da soli, nella sua cabina… E ben conoscendo l’esito di quella domanda, per
nulla preoccupata di apparire arrogante anche solo a se stessa, la
navigatrice mise via il libro per tornare sul ponte ad aiutare il resto del
gruppo.