Note dell'autrice. Spero non penserete male di me.
Questa fiction è basata su un prompt di Cellar_Door. In
aggiornamento.
Note delle traduttrici.
Perché ci siamo messe a tradurre questa fic? Beh,
perché è Ivy. E poi ci siamo accorte, nonostante
la fic originale sia appena al quarto capitolo, che l'idea, lo stile e
qualunque altra cosa vi possa venire in mente sono
semplicemente perfetti. Se volete capire chi è Sherlock
Holmes dovete leggere questa storia: nemmeno Moffat ci avrebbe pensato
(ok, magari lui sì).
Un'altra piccola precisazione e poi non vi tedieremo più:
non siamo delle esperte linguiste, ma siamo pignole e precise fino allo
spasimo: rimaniamo ore a riflettere (via Twitter, Facebook e segnali di
fumo) su una singola frase o parola e quindi speriamo di avere la
vostra comprensione e il vostro apprezzamento per quello che facciamo.
Lo stile di Ivy è telegrafico ed è davvero
difficile da rendere in un italiano corretto e corrente,
perciò a volte ci siamo dovute prendere delle "licenze
poetiche": ovviamente siamo ben contente di ascoltare consigli,
suggerimenti e quant'altro che ci aiutino a migliorare le
traduzioni.
Questo è il link
alla storia originale, mentre il capitolo che state per leggere
è stato tradotto da isteria
e corretto dalla preziosissima WibblyWobbly.
Detto questo, buona
lettura!
Cardine
Eccolo
(qui): sei minuti dopo le sette (precisamente). Proprio al momento
giusto. Come se ci fosse un momento giusto, o un comando stabilito.
Come se un corno [1] risuonasse da qualche parte, un ordine, un
qualcosa di urlato nella mattina: scendi
dal letto, John Watson, fai il caffè. Le
Costanti Abitudini di John Watson: Pronostici Dalla Mattina Alla Sera.
Cinque sesti della tazza e non di più (latte, senza
zucchero); tre colpetti sul tavolo con l'anulare mentre ci passa
vicino. (Perché? Nessun ipotesi. Non riesco a immaginare il
motivo.)
Si sta stropicciando
gli occhi adesso, molto probabilmente. Come fa lui. Per nessuna
ragione: non c'è niente che non vada nei suoi occhi. Solo
abitudine. (sollievo? Non lo so). Inspira, espira. Respirare la mattina
e rispedirla fuori di nuovo. Risvegliarsi. Si sta svegliando.
Digrigna i denti
quando riempie il bollitore. Rubinetto aperto: acqua.
Non riesco a sentirlo
digrignare, ovviamente, non da qui, non con il rubinetto aperto, ma
è vero: un'altra costante abitudine. Irremovibile.
Si muove lentamente, i
suoi passi sono lievi sul pavimento. Cauti. Sta provando ad essere un
fantasma. Shhh, silenzio;
pensa che potrebbe svegliarmi. Shhh,
non rompere la calma. Non
svegliare il tuo coinquilino. Sono sveglio, John. Ti posso
sentire. Va tutto bene. Non mi dispiace.
Inspira, espira
ancora: un sospiro. Riesco a sentirlo. Le pareti sono sottili. Inalare,
esalare. Respira contro la piastrella [2], il vetro (non ancora in
frantumi).
Fa fresco stamattina.
Più tardi pioverà. Non c'è niente da
fare oggi tranne che pensare alla morte. Non sua, però. No.
Non lo lascerei accadere. Solo di Moriarty.
E la mia.
Non ho casi: John me
ne potrebbe trovare uno sui giornali. Lestrade potrebbe chiamare. O
qualcosa di interessante potrebbe comparire sul sito (improbabile). Ma
qualcosa potrebbe esserci.
Forse, forse. Speriamo
sia così. Altrimenti il mio cervello verrà
lasciato a se stesso. Pericoloso. Forse produttivo.
Sta arrivando, lo so.
È tutto già scritto, e stiamo seguendo un
copione. Sinistra, destra, sinistra: ordini di marcia. Non
c'è modo per uscirne; l'ho costruito io. Lo so. Ricordo il
mio vantaggio. La morte senza morire: pensa. Come? C'è un
modo. C'è.
C'è tempo.
C'è ancora tempo. Sistemerò tutto. Ma prima un
caso: sì. Un caso. Qualcosa che mi distragga. Qualcosa di
divertente.
Riesci a immaginarlo,
John? Riesci già a capirlo? Riesci a vederlo? Sembra
così ovvio. L'orologio sta ticchettando. Sta per succedere.
Non lo vedi, vero? È il cardine. È imminente.
Vetro infranto sospeso sul pavimento. Farà male.
Click di un
interruttore: il bollitore è acceso. Passi: sinistra,
destra, sinistra. La rigidità se ne è andata.
Sbadiglia. Sta venendo qui. Sta per entrare.
A volte lo fa. Non
sempre. Ogni tanto mi controlla. Spalanca la porta spingendola, entra.
Non so perché. (Ancora manie di controllo?) Vuole sapere
dove mi trovo. Vuole vedermi. (Sicurezza? La sua, o la mia? Ha
importanza?) Si ferma un attimo da me mentre dormo. Non mi tocca. Non
dice niente. Mi guarda soltanto.
Conoscerà
la differenza tra quando dormo e quando faccio finta di dormire? Mi ha
visto in entrambi i modi. (Io no: è praticamente impossibile
vedere te stesso dormire. Ho solo visto lui; lui non finge). Mi studia?
Può capire la differenza? È per questo che mi
osserva? No: non è il suo stile. Mi guarda solo per
controllarmi: è un'abitudine.
È giusto?
Forse. Come tamburellare con il dito sul tavolo. (Anulare. Mano
sinistra. Tre volte. Perché?)
Il sonno è
lento: respirazione lenta, attraverso il naso. Rallentare i battiti del
cuore. Temperatura corporea abbassata. Occhi chiusi, postura rilassata.
Incosciente. Vulnerabile. Atonico. È così che ci
appare chi dorme: molle e rannicchiato sotto le coperte. La testa
affondata in un cuscino; la mente che si nutre di se stessa. Shhh, non svegliare il tuo
coinquilino, John. Sto
dormendo. Sono addormentato.
Un furgone in
movimento. Un cane inizia ad abbaiare da qualche parte verso ovest,
leggermente a nord. In parte levriero russo, se dovessi provare a
indovinare. Nervoso. Per un movimento inaspettato.
Le sue dita toccano la
porta: così delicate, cautamente. Il cardine non
scricchiola. (Montato durante la ristrutturazione,
millenovecentoottantuno; robusto.) Lui mi guarda. (Perché?
Perché esattamente?) Una mano appoggiata alla maniglia della
porta. Inspira, espira. Inspira.
Lo riesco a sentire;
il suo corpo emana calore [3]. A piedi nudi sul pavimento. Il suo
respiro caldo. La sua mano rimane sulla maniglia. Il cardine
è silenzioso. Posso sentire la sua presenza, mentre sta
lì. Ecolocazione [4]: potrei allungarmi e toccarlo senza
nemmeno aprire gli occhi. Potrei afferrargli il polso, sentire le sue
pulsazioni.
Mi volto
affinché possa vedermi, i miei occhi che si muovono, rapidi.
Guarda: questo sono io addormentato, poi sveglio.
Succede velocemente,
l'istante tra un stato e l'altro, ma ci vuole un momento per adattarsi.
La distrazione del passare da un universo a un altro. Entrambi sembrano
reali visti dall'interno, e svaniscono dall'esterno.
Una spinta per il mio
subconscio a ritirarsi, per la coscienza a prendere il sopravvento;
l'attività cerebrale si decide a seguire uno schema. Sveglio.
Puoi dire che questo
non sia reale, John? Realtà o finzione: te ne importa? Ti
importa di quello che vedi? Non conta niente. Sono stato sveglio per
ore, sai? Stavo aspettando che tu facessi iniziare la giornata. Stavo
pensando a come risolvere la situazione.
(Magazzino; centrale
elettrica; sponda del fiume; parcheggio; tunnel: dove? Come,
esattamente? Morire, non morire. Non lo so. Non ancora. Non lo so.)
Inizio a domandarmi se sia il caso di permettergli di uccidermi.
Non una soluzione
ideale, lo ammetto. Ma definitiva, almeno. Per lui. Ma anche per me.
Il bollitore borbotta
sul bancone della cucina; la routine mattutina di John. Il tempo si
muove inesorabilmente, non è vero?
Niente che possa
fermarlo, non i miei nervi, o il mio cervello, o la mia forza di
volontà. Ti posso sentire, John. Guarda: la pantomima del
risveglio. So come funziona, a memoria [5]. La reciterò per
te.
Può
osservarmi: mi esibirò. La nostra routine continua. Mattina.
Abitudini. Caffè, toast. I giornali. Sta per accadere. Tutto
finirà: male, temo. No: troverò un modo per
risolvere tutto. Lo troverò. E questo insieme di abitudini
continuerà ininterrotto.
“Buongiorno.”
Lo dice piano. Lievemente, come i suoi passi sul pavimento. Quello del
risveglio è un processo che rispetta. Inizia gentilmente e
senza far rumore, e lui non vuole disturbarlo. Lo lascia sbocciare. Un
piccolo fiore alla luce del sole. Sveglio.
“Caffè?”
Sa già la
risposta, ma chiede sempre. Non è un'offerta, non proprio:
adesso lo capisco. È un saluto. Significa eccoci ancora qui, tu ed io.
È mattina, e siamo svegli e la nostra solita conversazione
deve iniziare di nuovo. Come se potesse non partire, se
non facesse quella domanda. Come fare un rituale per obbligare il Sole
a sorgere ogni mattina. Sorgerà comunque, lo sai. Stanne
certo. Lo farà. Per adesso.
È
incorniciato dalla porta. I suoi capelli sono arruffati per il sonno.
La sua mano è ancora sulla maniglia.
Il fischio [6] si
è calmato; sta per bollire. Il cardine del salotto
continuerà a muoversi per un altro giorno. Altri ancora,
prima che si rompa e lo spinga a mettersi un paio di pantofole di
mattina. Niente cambierà, per un po'. Mi sorride. La luce
è debole e lattiginosa attraverso la finestra.
“Sì.”
è quello che rispondo sempre. È la mia battuta.
“Caffè, sì.”
Nessuno dei due
morirà, oggi. Non oggi.
Note
alla traduzione:
[1]: qui abbiamo
inteso proprio un corno usato come “richiamo”. Il
verbo usato infatti è “blowing” .
[2]: "Breath
against the tile, the glass (not shattered yet)" e qua ci siamo
veramente dannate. Abbiamo inteso che John, mentre aspetta che il
bollitore fischi, si appoggi alle piastrelle (tile) e al vetro (glass).
[3]: nell'originale
è "warm point", letteralmente "punto caldo". L'abbiamo reso
con un'espressione italiana con lo stesso significato.
[4]: per ecolocazione
(o ecolocalizzazione) si intende "la capacità di alcuni
organismi (Pipistrelli, Cetacei e alcuni Uccelli) di emettere
ultrasuoni e rilevare gli echi riflessi per localizzare la posizione di
ostacoli o fonti di cibo", è tipica dei pipistrelli e degli
odontoceti (di cui ho appena scoperto fanno parte i delfini). Qui
altre informazioni.
[5]: nel testo "inch
by inch", quindi come dire "centimetro per centimetro". Dato che non
suonava bene, abbiamo preferito rendere l'espressione con un
più libero "a memoria" visto che stiamo parlando di
recitazione.
[6]: in
realtà la parola che traduce "kettle" è
bollitore, il problema che usare "bollitore" avrebbe portato a una
ripetizione veramente brutta: "Il bollitore si è calmato;
sta per bollire". In inglese questo problema non esiste, ma in italiano
ho dovuto cambiarla, perché mi faceva venire la pelle d'oca.
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