Merope
era sempre stata un'eterna bambina, che aveva vissuto reclusa tra le
quattro mura della sua piccola casa e conosceva il mondo solo
attraverso le occasionali visite al villaggio di Little Hangleton e i
libri di suo fratello Orfin, sfogliati di nascosto.
Nel
mondo che lei sognava e idealizzava, c'erano case sempre linde e
profumate, con le stanze tirate a lucido grazie a un semplicissimo
colpo di bacchetta. I figli venivano amati e ben trattati, anche se
l'affetto e l'orgoglio verso di loro aumentavano dopo che avessero
mostrato dei primi segni di magia. Madri dagli occhi dolci
accarezzavano il volto dei loro bambini, e durante l'ora di cena la
tavola risuonava di chiacchiere e risate.
E,
sempre nei suoi sogni favoleggianti, l'amore era un vero e proprio
dono. Era una parentesi paradisiaca al di là di ogni
immaginazione,
di ogni piacere conosciuto.
Era
qualcosa di bruciante e costantemente presente, che avrebbe
illuminato i suoi occhi al mattino e accompagnato il dolce incedere
del sonno della notte.
Merope
credeva che la vita, oltre la sua casa aggredita dai rampicanti e gli
sguardi freddi di suo padre, fosse una favola. Un idillio che lei non
avrebbe mai avuto occasione di toccare. Almeno finché non
aveva
incrociato gli occhi scuri di Tom Riddle, quegli occhi che, anche
solo sfiorando di sfuggita il suo sguardo, le facevano ribollire lo
stomaco.
Quello
era l'amore.
Era
il sentimento sconosciuto che lei aveva solo potuto immaginare. Ed
era meraviglioso, quel sentimento, aveva iniziato ad accompagnare
ogni suo pensiero, ogni suo passo, ogni suo gesto. Le aveva fatto
conoscere il battito furioso del cuore e il sorriso spontaneo che lei
aveva perso da tempo. Per la prima volta in vita sua, Merope aveva
qualcosa a cui aspirare, a cui pensare, per cui trovare la forza di
alzarsi la mattina.
Nelle
sue fantasie, Tom l'amava più di ogni altra cosa al mondo.
Le
rivolgeva il sorriso mesto e affascinante che l'aveva conquistata da
subito, le ricopriva le labbra di baci morbidi, colmi di una dolcezza
straziante, le sfiorava il viso con mani incredibilmente delicate. I
suoi abbracci la chiudevano fuori dal resto del mondo, cancellavano
ogni lacrima o ogni ricordo del dolore che aveva provato. La sua voce
le sussurrava quel tanto sospirato e agognato “Ti
amo.”
La
prima volta che avevano fatto l'amore, Merope aveva avuto paura.
Aveva
solo una vaga idea di come sarebbe stato, ma la voce di Tom, calda,
bassa e rassicurante, le aveva dato il coraggio di rimanere
lì,
distesa sotto di lui, coi capelli sparsi sul cuscino e il cuore che
batteva per l'agitazione. Insieme al desiderio, un istintivo brivido
di repulsione si era impadronito di lei quando Tom l'aveva sfiorata
tra le gambe. Poi se l'era ritrovato dentro, e un immediato seppur
sopportabile dolore le aveva strappato un gemito.
Era
quello l'amore, si era chiesta con crescente orrore? Era
così
invasivo, così strano, faceva così male?
Con
il tempo, superato il dolore iniziale, Merope aveva imparato ad
apprezzare anche il contatto più profondo dell'amore. E
aveva
continuato a illudersi che la sua vita fosse una favola, che la sua
storia perfetta, fatta solo di dolcezze e sorrisi, fosse qualcosa di
naturale in ogni parte del mondo.
Lui
rimarrà per il nostro bambino. Il sentimento sarà
più forte e
importante di ogni cosa., pensò
quando scoprì di essere incinta.
Fu
l'ultima delle sue illusioni.
Merope
scoprì presto quanto la vita reale fosse dura.
Scoprì che la vita
aveva denti, denti che mordevano, che l'avrebbero lacerata e
avrebbero fatto sanguinare il suo cuore.
-Ma
tu mi ami lo stesso, non è vero?- aveva mormorato tra i
singhiozzi
il giorno in cui aveva confessato a Tom la vera natura del loro
legame.
-No.
La
sua voce, di solito così gentile, s'era fatta dura e
inespressiva.
Ma il peggio fu incontrare i suoi occhi: scuri, esattamente come
quelli di Orvoloson e Orfin. E colmi dello stesso, identico odio che
lei aveva sempre letto in quelli del padre e del fratello. La stessa
espressione di puro disgusto. E quello fece più male di
qualsiasi
parola.
L'incubo
era tornato e la vita non era una favola.
Merope
aveva creduto, o aveva voluto credere, che la pozione fosse solo un
ponte per arrivare a ciò che Tom provava realmente nel
profondo del
suo cuore. Come pensare che lui non fosse davvero innamorato, quando
le prendeva la mano e le diceva con un sorriso quanto fosse bella?
Si
era costruita un mondo di ideali e illusioni, e quel fragile mondo
era crollato sotto un soffio di vento, mandando in pezzi la sua
favola e aprendole il baratro della cruda realtà.
La
realtà era fatta di grida e sguardi sprezzanti, di lacrime,
sofferenze e freddo. Alla realtà ci si doveva adattare e la
si
doveva affrontare con coraggio. Ma Merope non era fatta per la
realtà, perché non l'aveva mai davvero
conosciuta.
La
vita l'aveva nuovamente colpita, aveva affondato in lei i suoi
pugnali di ghiaccio; Merope sarebbe morta, completamente sola e priva
di tutto: senza una casa, senza amore, senza una mano amica, con
l'unica consolazione del figlio appena nato che non avrebbe mai
conosciuto.
Merope
Gaunt era un'eterna bambina che finì i suoi giorni piangendo
sulla
sua favola spezzata.
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