DISCLAIMER: i
personaggi della serie televisiva “Queer as folk”
citati nella storia non sono di mia proprietà, ma
appartengono ai legittimi ideatori. Sono stati da me utilizzati senza
il consenso degli autori, non a fini di lucro ma solo per divertimento
personale.
Rating: giallo
Warning: slash
Personaggi: Brian /
Justin / altro personaggio.
Genere: drammatico
Note: siccome non
voglio essere lapidata, prima che decidiate di leggere questa
“cosa” deprimente vi faccio notare che si tratta di
una storia “drammatica”.
Lettore
avvisato, lettore salvato!
Justin,
immobile di fronte alla lapide bianca, osservava il volto della persona
che tanto lo aveva amato.
Era trascorso
un anno dalla sua prematura morte e sapere che lo avrebbe rivisto solo
nei suoi sogni gli faceva male.
Stringendosi
nel cappotto, per ripararsi dal freddo pungente di quella mattina
invernale, lasciò che lo sguardo indugiasse sulla piccola
foto da cui l’ex amante gli sorrideva felice e una lacrima
sfuggì ai suoi occhi per solcargli le gote arrossate dal
vento gelido.
Quando
sembrava essere riuscito a dare un senso alla propria vita, il destino
aveva deciso che non avesse sofferto abbastanza e lo aveva privato
della possibilità di essere felice accanto
all’uomo che, il giorno del suo trentesimo compleanno, gli
aveva regalato ciò che desiderava da sempre chiedendogli di
sposarlo.
Mentre il
vento soffiava senza tregua, facendo danzare i fili d’erba,
chiuse gli occhi e rivide se stesso nell’attimo in cui,
commosso, accettava la proposta di matrimonio del compagno.
Asciugando
mestamente la guancia umida di pianto, ricordò la sua
felicità in quel momento e le immagini del passato tornarono
facendogli rivivere gli ultimi attimi di gioia prima del triste epilogo.
*****
Conferito a
Emmett l’incarico di organizzare le nozze, Justin si era
dedicato solo al futuro marito, per fargli capire quanto lo rendesse
felice la prospettiva di trascorrere insieme il resto dei suoi giorni.
Arrivata la
vigilia di nozze, aveva insistito affinché passassero la
notte separati. Non che fosse superstizioso, però aveva
già avuto sin troppa sfortuna nella vita e non voleva
rischiare.
La tradizione
richiedeva che lo sposo non vedesse la sposa il giorno prima delle
nozze e aveva pensato che valesse anche nel caso in cui gli sposi
fossero due uomini e, sordo alle proteste del futuro marito, aveva
affittato una stanza in albergo.
All’alba
del giorno delle nozze era stato svegliato da una telefonata in cui gli
veniva chiesto di recarsi in ospedale perché il suo compagno
aveva avuto un incidente.
Giunto in
clinica, un’infermiera molto gentile lo aveva accompagnato in
una saletta privata, dove era stato informato della morte
dell’uomo che avrebbe dovuto sposare quello stesso giorno.
A causa di un
guasto elettrico era scoppiato un incendio nella palazzina in cui
risiedeva e il fuoco aveva sorpreso gli occupanti dello stabile nel
cuore della notte. I soccorsi erano giunti tardi e per gli inquilini
non c’era stato scampo.
In pochi
secondi, quello che doveva essere un giorno di gioia si era trasformato
in una tragedia. Di nuovo il destino si era accanito contro di lui,
precludendogli la possibilità di essere felice.
*****
A un anno
dall’incidente che si era portato via Manuel,
l’uomo che avrebbe dovuto sposare, Justin si trovava di
fronte alla sua lapide per trascorrere insieme quello che doveva essere
il loro primo anniversario di nozze.
Posata una
rosa sul freddo marmo, rimase immobile a contemplare il suo volto
incapace di credere che anche lui lo avesse lasciato, quando un rumore
lo distrasse e, voltandosi, vide una figura avvolta in un cappotto nero
avvicinarsi e fermarsi al suo fianco.
Riconosciuto
l’inaspettato visitatore, Justin si pietrificò e
il suo sguardo si fissò in quello dell’uomo come
tante volte era successo in un passato lontano dieci anni, un passato
che credeva morto. «Brian», fu tutto ciò
che riuscì a dire, prima che i ricordi lo sommergessero.
In quel giorno
terribile, in cui il dolore per la perdita dell’amato
sembrava troppo forte da sopportare, come un fantasma, Brian,
l’uomo che aveva amato più della sua vita, era
ricomparso.
Le loro strade
si erano divise dieci anni prima, quando lui aveva lasciato Pittsburgh
in cerca di gloria e Brian, un mese dopo la sua partenza, si era
trasferito all’altro capo del mondo per aprire una nuova
agenzia.
Da quel giorno
non si erano più sentiti, ciascuno troppo impegnato a vivere
la nuova avventura per pensare di portare avanti una relazione che era
destinata a morire e, in quel momento, Brian era lì, di
fronte a lui e il suo sguardo penetrante, che tante volte aveva scavato
nel profondo della sua anima, aveva raggiunto il suo cuore come una
pugnalata. E mentre il vento gelido sferzava i loro volti, i due ex
amanti continuarono a osservarsi in silenzio, trasportati in un tempo
remoto che doveva essere morto e che un unico sguardo aveva riportato
in vita.
Il pianto di
un bambino, sgridato dalla madre perché giocava in quel
luogo di pace, li destò, sottraendoli al vortice di ricordi
in cui erano stati risucchiati.
«Che
ci fai qui?» chiese Justin sbalordito, ma Brian non rispose e
indicò la foto sulla lapide.
«Bell’uomo»,
asserì, e sul viso di Justin apparve un tenue sorriso. Come
sempre Brian stava eludendo le sue domande. In quello non era cambiato
e decise di stare al suo gioco per capire cosa avesse in mente.
«Ti
sarebbe piaciuto», replicò, ma Brian storse le
labbra scuotendo la testa.
«Troppo
vecchio per me», dichiarò serio e Justin sorrise
di nuovo. Gli era mancata la sua sottile ironia.
«Quest’anno
avrebbe compiuto quarantaquattro anni e, ammesso che non abbia perso il
conto, siete coetanei».
«Appunto,
troppo vecchio per me», replicò Brian malizioso.
«Il mio fascino continua a mietere vittime tra gli
sbarbatelli di venti, trent’anni. I quarantenni non
m’interessano».
Un sorriso
impercettibile affiorò sulle labbra di Justin.
«Non cambierai mai Kinney». «Mai, Raggio
di Sole», fu la replica di Brian, mentre alzava il bavero del
cappotto per ripararsi dal freddo pungente e, sfregandosi le mani, fece
un cenno con la testa. «Mi si sta gelando il culo»,
affermò rabbrividendo, mentre alito caldo usciva dalle sue
labbra per formare una nuvoletta di vapore che si perdeva
nell’aria gelida trasportata dal vento. «Suggerisco
di andare a prendere qualcosa di caldo prima che mi iberni».
La sua
proposta non ebbe risposta, sicché Brian scrutò
il giovane al suo fianco che sembrava avere altri progetti.
«Non vorrai passare tutto il giorno in questo
posto?» gli chiese con tono accusatorio. «Hai
intenzione di prenderti una polmonite? O peggio, di farla prendere a
me?»
Justin rivolse
un’occhiata alla lapide del fidanzato e si chinò
per toccare la foto. In effetti, la sua intenzione era di stare tutto
il giorno con Manuel, ma Brian aveva ragione, la temperatura gelida
avrebbe rischiato di fargli prendere una polmonite. «Se ti
seguo, mi dirai perché sei qui?» chiese, alzandosi
e rivolgendogli un’occhiata indagatrice.
«Davanti
a una tazza di caffè bollente mi scioglierò come
neve al sole e ti dirò tutto quello che vuoi
sapere», rispose Brian, incredulo di aver pronunciato una
frase tanto sdolcinata.
«Allora
andiamo». E insieme lasciarono l’immenso cimitero
per raggiungere un luogo caldo, dove finalmente avrebbero parlato
serenamente per l’ultima volta perché, dopo quel
giorno, le loro strade erano destinate a dividersi ancora.
*****
Seduti in
fondo al locale a un tavolo piuttosto appartato, Justin notò
lo sguardo del giovane cameriere, che li stava servendo, indugiare sul
volto di Brian e sorridergli in modo troppo amichevole.
Appena il
ragazzo li lasciò soli, Brian estrasse una sigaretta dal
pacchetto e sorrise. «Che ti avevo detto? I mocciosi mi
adorano!»
«Non
avevo bisogno di una prova, ti credevo sulla parola»,
ribatté Justin sincero. Nonostante non fosse più
un ragazzino, Brian continuava a essere bellissimo e il suo fascino,
negli anni, era aumentato. Non era cosa insolita che i giovani gay
fossero attratti da lui. Il suo corpo urlava sesso quando aveva
trent’anni e continuava a urlarlo ancora, nonostante avesse
passato i quaranta.
Versata una
bustina di zucchero nel caffè, Justin riportò il
discorso sul motivo per cui si era fatto convincere a lasciare il
cimitero. «Ho acconsentito a seguirti, ora sta a te parlare.
Perché sei tornato a cercarmi dopo dieci anni?
Perché proprio oggi? E come sapevi dove trovarmi?»
«Emmett»,
rispose Brian incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi che
tanto aveva amato e in cui non riusciva a scorgere l’antico
splendore che, provato dall’ennesima disgrazia, si era spento.
«Emmett?
Lui ti ha detto di venire?»
Accesa la
sigaretta, Brian la accostò alle labbra per inspirare una
boccata di fumo che scese a solleticargli la gola. Il medico gli aveva
detto di smettere di fumare e lui, sentendo il gusto della nicotina in
bocca, sorrise. Non era ancora nato chi potesse privarlo di un simile
piacere.
Osservando la
tazzina di caffè appoggiata sul tavolo, la
allontanò per concentrarsi sul volto del giovane che gli era
seduto di fronte. «Perché non mi hai detto del
matrimonio?»
La domanda
improvvisa fu seguita da alcuni secondi di silenzio.
«Se
lo avessi saputo, saresti venuto?» replicò Justin,
mentre sulle sue labbra era apparso un sorriso ironico.
«No!»
«Allora
perché dirtelo?»
«Giusta
obiezione!» annuì Brian spegnendo la sigaretta
poi, passando il pollice sul sopracciglio, e stendendo le gambe sotto
il tavolino, cercò il suo sguardo. «Mi dispiace
per il tuo uomo», ammise sincero. «E mi dispiace
non essere stato al tuo fianco durante il funerale, ma non pensavo
fosse giusto esserci, non era più posto per me».
«Eppure,
oggi sei qui!»
«Ancora
una giusta obiezione, Splendore».
Cercando di
nascondere il turbamento che stava provando, trovandosi di nuovo al suo
fianco, Brian sorrise ironico. Non poteva dirgli che in tutti quegli
anni non aveva mai smesso di amarlo. Non poteva dirgli che il giorno in
cui aveva saputo del matrimonio era stato come se lo avessero pugnalato
in pieno petto. Non poteva dirgli che lo avrebbe voluto ancora accanto
a sé. Non poteva e non lo avrebbe fatto, perché
sapeva che non era possibile.
Scacciando la
tristezza ritrovò l’ironia che lo aveva
contraddistinto per anni e vi si rifugiò, per portare avanti
quella giornata che, sapeva, sarebbe stata dura, non solo per Justin,
ma anche per lui. «Emmett mi ha telefonato una settimana fa
per informarmi che oggi sarebbe stato l’anniversario della
morte di Manuel. La super checca era preoccupata perché,
secondo lui, negli ultimi mesi sei cambiato».
«Cambiato?»
chiese Justin perplesso, fingendo di non capire.
«Secondo
Emmett sei diventato taciturno e il fatto che non ti fai trovare,
quando lui e Debbie ti cercano, lo ha messo in ansia».
«Ed
ecco spiegato il motivo per cui sei qui», lo interruppe
Justin. «Emmett si preoccupa troppo. Io sto bene, hai fatto
tanta strada per niente».
Brian,
afferrata la tazzina per bere il caffè ormai freddo, storse
le labbra. «Dici di stare bene, eppure sembri dimagrito e il
tuo culo è flaccido».
L’occhiata
pungente che Justin gli indirizzò, accompagnò la
sua replica seccata. «Sono anni che non vedi il mio culo, non
credo tu possa giudicarlo».
Appoggiata la
tazzina sul tavolo, Brian si passò le mani tra i capelli.
Sapeva che Emmett aveva ragione e non avrebbe ceduto finché
non fosse riuscito a strappare la verità a Justin, una
verità che il giovane si teneva dentro da troppo e che lo
stava consumando, e lui non avrebbe permesso che continuasse a farsi
del male.
Schiarendosi
la voce iniziò il discorso che, sperava, lo avrebbe aiutato.
«Tempo fa un tale mi disse che per risolvere un problema
occorre parlarne».
«Quel
tale doveva essere un vero genio», ironizzò Justin.
«Non
era un genio, ma un cazzo di strizza cervelli»,
ribatté Brian. «E con un gran bel culo»,
aggiunse, sorridendo malizioso per mantenere la conversazione su toni
sarcastici, le scene drammatiche non facevano per lui, preferiva
lasciarle a Emmett.
«Ti
sei fatto uno strizza cervelli?»
«Più
di uno, ma chi li ha mai contati! Un buco è un buco, ed io
non dico no a una buona scopata, dovresti saperlo».
La sua
risposta fece sorridere Justin che sembrò rilassarsi e gli
fornì la possibilità di sondare il terreno.
«Perché non rispondi alle telefonate di
Debbie?» s’informò, avvicinando la
seconda sigaretta alle labbra.
«Perché
quando chiama sono indaffarato».
«A
fare che?» replicò Brian, mentre una nuvoletta di
fumo usciva dalla sua bocca.
«A
scopare!» rispose Justin seccato.
«Se
fosse così, sarei contento per te... ma il vero motivo per
cui non rispondi è che non vuoi dirle ciò che ti
turba e che, ovviamente, io so!».
La sua
affermazione fu accolta dalla risata sarcastica di Justin.
«Non pensavo bastasse scopare un paio di strizza cervelli per
acquisire la laurea in psicologia», replicò acido,
tanto che Brian rise divertito.
«Noto
con piacere che la tua lingua è sempre tagliente,
chissà se la sai ancora usare per qualcosa di più
utile che dire cazzate».
Justin
evitò di ribattere e riprese a giocare con la tazza di
caffè per eludere il suo sguardo, ma Brian non aveva
intenzione di lasciar cadere il discorso. «Da quando Manuel
è morto, quante scopate ti sei fatto?»
La domanda non
ottenne risposta.
«Dal
tuo silenzio deduco poche, o forse nessuna».
Di nuovo
Justin non rispose e Brian, con una delicatezza che aveva sempre
riservato solo a lui, gli prese la mano per stringerla tra le proprie.
Il contatto con la sua pelle gli procurò un brivido che
ignorò e riprese a parlare. «Quando Hobbs ti
aggredì, pensai che fosse colpa mia»,
confessò con un sussurro. «Pensai che se fossi
stato più veloce avrei potuto fermarlo prima che ti facesse
del male».
Ricordare
l’episodio in cui Justin era quasi morto gli procurava un
immenso dolore, ma sapeva che era l’unico modo per aiutarlo e
lo avrebbe sopportato. «Pensare che avrei potuto evitare che
fossi assalito mi stava logorando e iniziai a bere e drogarmi
più di quanto facessi abitualmente».
Faticosamente,
Brian cercò di nascondere il leggero tremolio alla voce e
riprese il discorso, mentre Justin continuava a tenere lo sguardo fisso
sulla tazzina di caffè ancora piena. «Anche se
impiegai parecchio tempo, alla fine capii che non avrei potuto evitare
che Hobbs ti aggredisse e se volevo tornare ad avere
un’esistenza normale dovevo smettere di incolparmi».
Justin
cercò di sottrarsi alla sua presa ma Brian strinse
più forte, non lo avrebbe lasciato andare, non quella volta.
«Se tu fossi stato con Manuel la sera
dell’incendio, non avresti potuto fare nulla», gli
disse, incapace di mascherare la commozione, e finalmente Justin
alzò la testa per cercare il suo sguardo, mentre la prima
lacrima gli solcava il volto pallido.
«L’ho
lasciato da solo», confessò con voce rotta dal
pianto. «Se non fossi stato tanto idiota da voler passare la
notte in albergo, lui non sarebbe morto».
Angosciato,
Justin chinò di nuovo la testa, mentre lacrime amare
scendevano dai suoi occhi spenti a rigargli le gote scarne. Da quando
Manuel era morto, non aveva fatto altro che incolparsi e il peso del
rimorso lo stava consumando.
«Se
fossi stato con lui, sareste
morti entrambi». Pronunciando la terribile
verità, Brian avvertì un brivido corrergli lungo
la schiena all’idea che in quel cimitero potesse esserci
anche la tomba di Justin e scacciando l’angosciante pensiero
continuò a parlargli. «Devi smettere di incolparti
e tornare a vivere, sono sicuro che Manuel non vorrebbe vederti
così».
Le sue parole
arrivarono al cuore di Justin che di nuovo sollevò la testa,
e quando i loro sguardi s’incontrarono, Brian
avvertì un dolore soffocante. Vedere gli occhi del giovane,
colmi di lacrime per l’uomo che aveva occupato il posto che
una volta era suo, faceva male, troppo male.
Costringendosi
a scacciare il dolore si alzò per sedersi accanto a lui e
accoglierlo tra le braccia, come aveva fatto tante volte quando era
solo un ragazzino impaurito in preda agli incubi.
Con estrema
dolcezza gli passò la mano tra i capelli per cercare di
calmarlo, mentre il suo cuore continuava a sanguinare perché
consapevole di ciò che aveva perso e che il destino gli
stava di nuovo negando.
Stretto nel
caldo e rassicurante abbraccio di Brian, Justin finalmente
ritrovò la calma e la forza di parlare. «Mi
amava», sussurrò commosso. «E
anch’io lo amavo».
«Lo
so Splendore».
Le parole di
Justin lo avevano colpito come una stilettata in pieno petto, ma di
nuovo Brian aveva soffocato il dolore per il bene di quel giovane che,
nonostante il tempo, nonostante la lontananza, non aveva mai smesso di
amare. «Immagino fosse una brava persona», disse,
sciogliendosi dall’abbraccio che ancora li univa.
«Sì,
lo era», rispose Justin con un sorriso stentato.
«Vuoi
parlarmi di lui?»
«Davvero
vorresti che ti raccontassi di Manuel?» chiese Justin
perplesso non aspettandosi una simile richiesta.
«Secondo
lo strizza cervelli che mi sono scopato prima di venire da te, la
terapia migliore in questi casi è il dialogo».
Estraendo dal
pacchetto l’ennesima sigaretta, Brian la accostò
alle labbra. Sapeva che a Justin avrebbe fatto bene parlare per
ricordare i momenti vissuti con il compagno e lui lo avrebbe ascoltato
aiutandolo, con la sua ironia, a ritrovare l’antico splendore.
Ritirato
l’accendino e inalata la prima boccata di fumo, gli
strizzò l’occhio. «Avanti, parlami di
lui e vedi di soffermarti sui particolari piccanti che sono quelli che
preferisco, sempre che ce ne siano».
Justin rimase
in silenzio per alcuni secondi, il tempo di una breve riflessione. Lui
e Brian non erano più una coppia da dieci anni e
pensò, con un pizzico di malinconia, che l’ex
fidanzato avesse messo una pietra sul passato e sapere della sua storia
con Manuel non lo avrebbe turbato.
Egoisticamente
aveva sperato che provasse un minimo di gelosia e l’idea di
aver formulato un simile pensiero lo fece sorridere, perché
per un attimo la mente lo aveva riportato alla sua adolescenza, quando
Brian era il suo mondo e avrebbe dato tutto pur di saperlo geloso di
lui.
Scacciati i
ridicoli pensieri, finalmente iniziò a parlare e le
successive ore le usò per raccontare la storia che aveva
vissuto con Manuel e, poco per volta, il peso che lo opprimeva
scomparve sostituito da una rinnovata serenità.
«Quindi,
a letto ci sapeva fare!» esclamò Brian con malizia
quando fu certo che il racconto fosse finito.
«Era
una bomba», ammise Justin sincero, suscitando la sua replica
immediata.
«Era
più bravo di me?» chiese Brian arcuando un
sopracciglio e il sorriso comparso sul volto di Justin coinvolse anche
i suoi occhi spenti.
«Non
è ancora nato qualcuno che a letto sia più bravo
di te, mister Kinney, e mai nascerà!»
E
così, tra una battuta e l’altra, la mattinata
volò. Justin sembrava finalmente sereno e Brian poteva
tornare a casa, il suo compito era finito.
«Il
mio volo parte tra un’ora. Credo sia meglio che vada, non
vorrei perderlo».
Guardando
l’orologio appeso alla parete, Brian si alzò
pronto a lasciare il locale.
«Il
lavoro ti aspetta!» annuì Justin vedendolo
indossare il cappotto.
«E
non solo quello, Splendore», replicò lui con
malizia.
Usciti dal
bar, Brian chiamò un taxi mentre Justin lo osservava
commosso. Aveva affrontato un lungo viaggio solo per trascorrere quella
giornata con lui, aiutandolo a superare l’ennesimo ostacolo
che la vita aveva posto sul suo cammino e gliene sarebbe stato grato
per sempre. E mentre sentimenti mai dimenticati riaffioravano,
udì la sua voce e si sforzò di non cadere nel
passato.
«Ormai
sei un artista famoso. Credo che la tua carriera non ne risentirebbe se
decidessi di abbandonare la Grande Mela per tornare a casa. Pittsburgh
ha bisogno del suo Raggio di Sole per risplendere».
Ascoltate le
parole di Brian, Justin sorrise e con lo sguardo lo seguì
mentre si allontanava per raggiungere il taxi. «Ci
rivedremo?» chiese speranzoso vedendolo posare la mano sulla
maniglia.
«Chi
può sapere cosa ci serba il futuro», rispose Brian
con un’alzata di spalle e aprì la portiera, ma la
voce di Justin gli impedì di salire sull’auto.
«Quando
ho detto che amavo Manuel era vero».
Brian si
voltò per guardarlo. «Lo so Splendore».
«Ma è anche vero che
non potrò mai amare nessuno come ho amato te».
Trascorsero
pochi secondi, in cui il tempo parve fermarsi per fare un balzo
indietro in un passato lontano in cui tutto sembrava possibile, un
passato che non poteva tornare.
Stringendosi
nel cappotto per difendersi dal freddo gelido Brian sorrise, il sorriso
più bello che Justin avesse mai visto e che avrebbe
ricordato per sempre.
«So
anche questo, Splendore», ammise tristemente, mentre il suo
cuore si spezzava poi, con un ultimo cenno della mano salutò
l’unico ragazzo che avesse mai amato, consapevole che non lo
avrebbe più rivisto.
*****
La visita di
Brian fece capire a Justin quale fosse il suo posto e un mese
più tardi lasciò New York per tornare dalle
persone che lo amavano e che furono felici di riaccoglierlo in seno
alla famiglia.
Ritrovarsi con
loro, e frequentare luoghi che da ragazzino erano stati importanti,
attenuò il suo dolore offrendogli la possibilità
di ricominciare a vivere.
Trascorsero
altri tre mesi e il sorriso valsogli il nomignolo di
“Splendore” riapparve sul suo volto. Finalmente era
sereno perché l’affetto degli amici gli aveva
donato la felicità persa.
La sua vita
era di nuovo degna di essere vissuta. Solo una cosa mancava, una cosa
che, tornando a Pittsburgh, aveva capito di rivolere: l’amore
di Brian.
Non avrebbe
mai negato il profondo affetto per Manuel, ma dopo aver rivisto Brian,
il sentimento che li aveva uniti era tornato prepotente e vivere a
Pittsburgh, dove ogni luogo gli ricordava il loro amore, aveva reso
tutto più difficile.
Dopo essersi
fatto mille esami di coscienza, ammise a se stesso che solo con Brian
sarebbe stato veramente felice e decise che lo avrebbe riconquistato.
Come gli aveva
detto l’uomo, nessuno poteva conoscere il futuro e se era
destino che la loro storia riprendesse, nessuno avrebbe potuto
ostacolarla. Ma Brian aveva mentito, perché lui sapeva cosa
il futuro gli avrebbe riservato e, una domenica come tante, in cui la
famiglia era riunita a casa di Debbie, giunse la notizia che nessuno si
aspettava e che avrebbe svelato il destino infame: nel cuore della
notte Brian era deceduto, stroncato dalla malattia che sei mesi prima
era ricomparsa e così, dopo dieci anni, il gay
più desiderato di Pittsburgh avrebbe fatto ritorno nella sua
vecchia cittadina, in cui era stato una leggenda, per trascorrervi
l’eternità.
*****
Durante le
esequie funebri, Justin non disse nulla. Non una parola uscì
dalle sue labbra e immobile osservò la bara che lentamente
veniva calata nella fossa, mentre due mani invisibili si stringevano
attorno al suo cuore per procurargli un dolore terribile. Un dolore
straziante che gli impediva persino di respirare.
Osservando la
bara sparire, ingoiata dalla profonda buca, le immagini di Brian a New
York tornarono per devastargli l’anima.
Già
allora l’uomo sapeva della malattia eppure lo aveva raggiunto
per stargli accanto, aiutandolo ad affrontare il suo dolore.
Come sempre,
il primo pensiero Brian lo aveva rivolto a lui senza curarsi del male
che era tornato per portarsi via la sua vita. E lo aveva ascoltato
mentre gli parlava di un altro uomo. Lo aveva ascoltato soffrendo in
silenzio, perché Brian non aveva mai smesso di amarlo e la
prova del suo amore era visibile a tutti.
Toccando
l’anello infilato sull’anulare sinistro, Justin
pensò a tre giorni prima quando, tra gli effetti personali
di Brian, lo aveva trovato. Lo stesso anello che l’uomo aveva
acquistato per il loro matrimonio e che aveva conservato a
testimonianza di un amore mai morto.
Osservando la
bara scendere verso l’abisso, Justin rivide il sorriso che
Brian gli aveva rivolto a New York e, disperato, si lasciò
cadere sulle ginocchia, annientato dalla consapevolezza che il suo
amico, il suo amante, il suo grande amore, non sarebbe più
stato al suo fianco.
Non avrebbe
più sentito la sua voce irriverente e sensuale, non avrebbe
più visto il suo sorriso ironico e sexy, e non avrebbe
potuto confessargli che non aveva mai smesso di amarlo,
perché quella era la verità. Nonostante si fosse
innamorato di Manuel, una parte del suo cuore gli era sempre
appartenuta.
Brian era
stato il primo. Era stato la sua casa, la sua famiglia, la sua forza e
sapere che non lo avrebbe più visto, se non nei suoi sogni,
era un dolore troppo grande da sopportare.
Toccando la
fede, testimone dell’amore che l’atroce destino
aveva di nuovo osteggiato, Justin si portò le mani al volto
abbandonandosi a un pianto silenzioso che scivolò nei cuori
dei presenti.
E mentre la
mano di Emmett si posava tremante sulla sua spalla, seppe che niente e
nessuno avrebbe placato la sua sofferenza.
Morendo, Brian
aveva portato con sé la sua anima e neppure il tempo avrebbe
mai allievato il dolore che sarebbe stato il suo unico compagno per il
resto della vita.
E
così, in una fredda giornata primaverile, in cui il vento
sferzava i volti angosciati dei presenti e il sole era rimasto nascosto
dietro una fitta coltre di nubi grigie, finiva un’epoca, che
negli anni sarebbe stata ricordata da tutti per la storia
d’amore più romantica e più intesa che
l’aveva segnata.
Fine
Ps: non
odiatemi, ha fatto male pure a me scrivere questa cosa orrenda, ma vi
avevo avvertito di non leggere se non foste state pronte a una storia
drammatica.
La prossima
sarà più allegra, lo prometto…
Un bacio.
Questa
storia ha partecipato al contest: “Hurt contest”
indetto da Faffina! – classificandosi QUARTA.
Questa
storia ha partecipato al contest: “La malinconia, flash
contest” indetto da Fanny_rimes – classificandosi
TERZA
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