La lettera giaceva sul tavolino di cristallo, dove l’aveva
poggiata dopo averla letta almeno una decina di volte.
Kaori, una tazza di caffè fumante in mano, la osservava
attentamente, come se quel foglio rettangolare ripiegato in due
contenesse tutte le risposte alle sue domande.
La donna sospirò, guardando l’orologio dal
cinturino sottile dal quale non si separava mai.
Era quasi ora di cena, e quella sera aveva ospiti: la sua vicina di
casa, che poi era anche sua sorella, voleva farle conoscere il suo
ragazzo.
Kaori l’aveva intravisto una volta sola, una notte che lui
aveva riaccompagnato a casa Sayuri, e immediatamente le aveva fatto una
buona impressione.
Sua sorella diceva che lei aveva un dono speciale, quello di
comprendere una persona non appena le posava gli occhi addosso.
Kaori non aveva ancora compreso se quella particolare dote fosse una
causa o una conseguenza del suo lavoro di psicologa.
Era sempre stata un’attenta osservatrice, qualità
indispensabile per esercitare un lavoro come il suo, che la portava ad
essere in continuo contatto con la gente; in più, un certo
innato istinto “femminile” le permetteva di leggere
nei gesti e negli atteggiamenti dei suoi pazienti tutto ciò
che non dicevano a parole, per vergogna o per riservatezza.
Kaori non sbagliava quasi mai una diagnosi, e quel Dave,
l’attuale ragazzo di sua sorella, aveva un sorriso aperto e
cordiale e degli occhi sinceri. Inoltre Kaori aveva notato che la
gestualità del suo corpo era spontanea, non c’era
niente di calcolato o di artificioso in quel ragazzo.
Era, insomma, tutto il contrario di Nick, l’ex-marito di
Sayuri, che nel giro dei pochi mesi di vita coniugale – otto,
per la precisione – l’aveva riempita di debiti per
poi fuggire a Cuba con una brasiliana conosciuta a Londra durante uno
dei suoi “viaggi di lavoro”.
Cominciò ad apparecchiare la tavola minuziosamente,
lisciando ogni inesistente piega della elegante tovaglia rosa pallido:
tenere le mani occupate l’aiutava a non pensare
all’insoddisfazione che la trascinava, come una zavorra, in
un vortice di apatia e di inerzia.
Non aveva più voglia di uscire, di divertirsi il sabato
sera, di andare a pattinare nel parco la domenica pomeriggio. Nemmeno
il suo lavoro la stimolava più come un tempo.
Insomma, Kaori si era resa conto che, a 28 anni suonati, era
completamente insoddisfatta della sua vita.
Sua sorella la rimproverava, perché era convinta che la sua
apatia fosse il risultato della rottura con Shiro, il ragazzo con cui
aveva addirittura convissuto per un breve periodo.
La loro storia era finita circa sei mesi prima, e Shiro aveva avuto il
cattivo gusto di mollarla proprio la vigilia di Capodanno, rovinando
quel giorno di festa non soltanto a lei, ma anche a sua sorella, che si
era agitata talmente tanto da farsi ricoverare in ospedale quando
mancavano soltanto cinque minuti alla mezzanotte.
Beh, se il buongiorno si vede dal mattino…
In realtà, non si trattava soltanto della fine di una storia
che, in un modo o nell’altro, era comunque destinata a
concludersi.
Era piuttosto la solitudine, che la tormentava.
Una solitudine che la spaventava, ma di cui nello stesso tempo non
poteva fare a meno.
Certo, c’era Sayuri con lei, ma sua sorella aveva una propria
vita privata, aveva un lavoro che la soddisfaceva, un uomo che
l’amava, quindi probabilmente non avrebbe compreso la sua
frustrazione.
E poi, c’era sempre il fatto che la conosceva da appena due
anni, cioè da quando Hideyuki era morto, rivelandole che non
era il suo vero fratello, che era stata adottata da piccola e che aveva
una sorella negli Stati Uniti.
Mentre si imbarcava su un aereo per New York, due anni prima, Kaori
aveva giurato a sé stessa che non sarebbe mai più
tornata in Giappone. Quel paese rappresentava il passato, quel passato
doloroso dal quale desiderava riscattarsi, mentre l’America
era il futuro, l’ignoto, la terra promessa che le avrebbe
regalato una nuova vita.
Guardando la sua immagina distorta riflessa sul dorso di un cucchiaio,
Kaori sorrise amaramente.
Cosa ne era stato della “nuova vita”? Dove era
finita tutta la sua risolutezza, il suo entusiasmo, la sua voglia di
fare?
Era come se le mancasse qualcosa, come se ci fosse un tassello mancante
che le impediva di essere felice, costringendola ad una continua ed
estenuante ricerca.
E poi, due giorni prima, era arrivata quella lettera intestata a lei,
come un segno del destino.
Beh, si corresse mentalmente Kaori, quando speriamo ardentemente che
accada qualcosa nella nostra vita, succede che qualsiasi
cosa si trasforma in un segno del destino.
In ogni caso, quella lettera era lì, e lo sguardo della
donna tornava incessantemente ad accarezzare quella calligrafia
ordinata, quegli ideogrammi sottili che le sembravano un richiamo alla
vita.
E se avesse ricominciato proprio da lì, da quel paese da cui
era fuggita due anni prima con la promessa di non tornarci mai
più?
La lettera era di Akane, una ragazza che aveva conosciuto in Giappone
anni prima, durante la sua prima esperienza di lavoro come insegnante
di scuola materna.
Aveva bisogno di soldi per potersi permettere gli studi universitari in
Psicologia, e lo stipendio da poliziotto di suo fratello, nonostante i
numerosi straordinari, non bastava mai.
Così aveva deciso di proporsi per una supplenza di cinque
mesi in una scuola materna a Shinjuku, il quartiere nel quale
condivideva un appartamento con suo fratello.
L’esperienza le mancava, ma aveva un modo di fare che aveva
conquistato prima i bambini, anche i più riluttanti a
separarsi dalle proprie mamme, e poi anche i genitori e le sue colleghe.
Akane era stata la prima collega con cui avesse immediatamente fatto
amicizia, forse perché aveva un carattere deciso e cordiale,
o forse perché aveva soltanto qualche anno più di
lei.
Le due ragazze avevano inizialmente cominciato a pranzare assieme alla
mensa della scuola, poi si erano incontrate sempre più
spesso, per fare colazione insieme, per bere qualcosa il sabato sera, o
semplicemente per passeggiare la domenica lungo le strade affollate di
Shinjuku, guardando le vetrine dei negozi.
I cinque mesi erano volati, ma Kaori e Akane avevano continuato ad
uscire insieme, almeno fino a quando Kaori non aveva abbandonato il
Giappone.
La loro amicizia, però, non si era dissolta nonostante la
lontananza. Tramite telefonate, e-mail o tradizionali lettere, le due
ragazze continuavano a mantenersi in contatto regolarmente, e
l’anno prima si erano anche incontrate, in occasione del
matrimonio di Akane.
Kaori le aveva parlato della sua insoddisfazione, e del suo bisogno di
cambiare ambiente per un po’ di tempo. Così, non
appena se ne era presentata l’occasione, Akane le aveva
inviato quella lettera.
Una sua amica, che insegnava lingua e letteratura inglese al college
nel centro di Shinjuku, era rimasta incinta, così aveva
richiesto un anno di aspettativa.
Di conseguenza, il suo posto era rimasto libero, ed era stato indetto
un concorso per assegnare una supplente al più presto, visto
che l’anno scolastico stava per cominciare.
Akane era convinta che Kaori avrebbe ottenuto quel posto ad occhi
chiusi, perché pochissime persone si erano iscritte al
concorso, ma anche perché Kaori, pur non essendo laureata in
Inglese, aveva vissuto per più di due anni a New York, e di
conseguenza l’inglese era ormai diventato la sua seconda
lingua.
Se si fosse trattato di bambini al di sotto dei sei anni, Kaori avrebbe
fatto le valigie immediatamente.
I bambini le piacevano, e di riflesso lei piaceva ai bambini.
Ma come se la sarebbe cavata, alle prese con una ventina di ragazzi
sedicenni, nel pieno della propria adolescenza?
Sapeva per esperienza che quella era un’età
critica, e che il passaggio dall’infanzia
all’età adulta provoca inquietudine e incertezza,
rendendo i ragazzi ribelli e spesso aggressivi.
E se non si fosse dimostrata all’altezza del suo compito, e
delle aspettative che Akane sembrava nutrire nei suoi confronti?
Kaori si conosceva bene, perché molto spesso
l’oggetto delle sue analisi psicologiche era lo specchio che
rifletteva la sua stessa immagine.
Sapeva benissimo che non erano dei ragazzini di 16 anni a spaventarla,
quanto piuttosto la prospettiva di fallire, di non riuscire a
comprenderli, prima ancora di provare ad insegnar loro qualcosa.
La tavola era apparecchiata; mancavano soltanto i bicchieri.
Kaori aprì la credenza, afferrando tre calici di vetro,
sempre immersa nei suoi pensieri, rimuginando senza sosta sui suoi
dilemmi.
Il suono del citofono la fece sobbalzare, rischiando di farle cadere i
bicchieri dalle mani.
Guardò l’orologio, in un gesto che era per lei
abituale, come mangiucchiarsi le unghie fino a farsi sanguinare le dita
quando era particolarmente nervosa.
Sua sorella era in ritardo, come al solito.
Si affrettò a sistemare i bicchieri sul tavolo, poi corse ad
aprire la porta.
Come aveva immaginato, vi trovò sua sorella, con il dito
appoggiato al campanello, pronta a suonare una seconda volta.
Sayuri indossava un tubino nero, con borsetta ed accessori abbinati. La
abbracciò, baciandola sulle guance, poi le
presentò il suo ragazzo, che indossava una elegante camicia
bianca, sotto una giacca nera come i suoi pantaloni.
“Kaori, questo è Dave.”
“Dave, mia sorella Kaori.”
Il ragazzo le strinse la mano, una stretta decisa ed amichevole allo
stesso tempo. Kaori ricambiò la stretta, sorridendogli di
rimando.
Poi la padrona di casa li fece accomodare, cominciando a servire la
cena.
Aveva preparato del risotto ai frutti di mare, ricordando che una volta
sua sorella le aveva detto che Dave adorava il pesce.
L’interessato si disse “estasiato” dalla
sua cucina, a differenza di Sayuri che non sapeva nemmeno cucinare un
uovo alla coque.
Kaori sorrise, mentre sua sorella si vendicava dell’offesa
pizzicando il braccio del suo ragazzo.
Tuttavia, un pizzico di invidia le ricordò che anche lei
avrebbe tanto desiderato un uomo accanto, con il quale scherzare,
litigare, e avere quelle piccole schermaglie amorose che, nonostante
tutto, le mancavano…
Chiacchierarono per tutta la sera, e Kaori rafforzò la sua
opinione positiva su Dave: sembrava che finalmente sua sorella avesse
trovato l’uomo giusto per lei.
Poi, mentre tagliava la torta al cioccolato che aveva preparato quel
pomeriggio e disponeva le fette in tre piattini, gettò
un’occhiata alla lettera e seppe quello che doveva fare.
Dopo aver terminato il dolce, Dave uscì sulla veranda a
fumare una sigaretta, mentre Kaori e Sayuri terminavano di sparecchiare.
Poi le due donne raggiunsero il ragazzo, e i tre parlarono del
più e del meno, godendosi lo spettacolo mozzafiato delle
luci notturne di New York.
Guardando l’orologio distrattamente, Sayuri
esclamò: “Cavolo, è già
mezzanotte!! Non mi ero accorta che fosse così tardi! Noi
togliamo il disturbo, sorellina.”
Kaori li accompagnò alla porta, e prima di salutarla Dave si
profuse in mille ringraziamenti e in mille complimenti per la cena.
Sayuri la salutò con la mano, cominciando a scendere le
scale.
Kaori trasse un profondo respiro. Ora o mai più!
“Sayuri!”
La maggiore delle due sorelle si fermò, voltandosi a fissare
Kaori con aria interrogativa.
“Dimmi, sorellina.”
“Potresti salire un momento? Ho dimenticato di dirti una
cosa.”
Sayuri disse a Dave di aspettarla in macchina, poi risalì
gli scalini a due a due, fermandosi incuriosita davanti a sua sorella.
La fissò per qualche secondo con aria indagatrice, poi
scoppiò a ridere.
Kaori era sconcertata. Cosa le prendeva?
“Ho capito!!!”, esclamò trionfante
Sayuri. “Hai un nuovo ragazzo!!!”
Le prese le mani, scuotendole con gioia.
“Congratulazioni, sorellina!!”
Kaori sorrise nonostante tutto. Sayuri e il suo inarrestabile ottimismo!
“Ehm…veramente no.”
La faccia di Sayuri si intristì in maniera talmente
repentina che il risultato fu quasi comico.
“Oh…peccato.”
“Ecco…però ci sarà un
cambiamento, nella mia vita…”
Sayuri sgranò gli occhi, fissandoli sul ventre di sua
sorella.
“Sei incinta???”
Kaori agitò le mani davanti al volto, arrossendo
violentemente.
“Ma come ti viene in mente una cosa del genere, Sayuri? Tu
vedi troppe telenovele, sai…”
Sayuri emise un sospiro di sollievo.
“Meno male, per un attimo ho temuto il peggio…ma
allora cosa c’è? Sembra quasi che tu stia per
dirmi addio.”
Kaori prese coraggio, poi fissò sua sorella negli occhi.
“Non è un addio, Sayuri, è solo un
arrivederci. Ma effettivamente ho deciso di partire.”
Sua sorella la fissò, sbigottita. Kaori non aveva mai
intrapreso un viaggio, da quando si era trasferita negli States.
“Parti? E dove vai?”
Un sospiro. Ma nella sua voce non c’era traccia di
esitazione, quando rispose.
“In Giappone.”
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