Heseret.
La principessa Heseret, figlia del glorioso faraone Tamose e
sorella del caro Nefer.
Quanto più ti rendevano speciale quegli appellativi ai miei
occhi, quanto più mi cullavo nella dolce penombra di fronde di palma al
pensiero che tu esistevi, che tu eri bella e perfetta. Quante volte quella
sensazione di piacevole stupore mi colpì, al pensiero che eri come il fior di
loto che tenevo tra le mani.
Eri bella, eri candida, eri misteriosa e preziosa, eri
tutto, mia dolce Heseret.
Lo ricordo alla perfezione, il momento in cui perdutamente
mi innamorai di te, delle tue dolci labbra fresche d’acqua, dei tuoi occhi che
scintillavano per il riverbero del fiume, dei tuoi seni protetti solo dal
sottilissimo lino della veste, quando ti chinavi e sfioravano il Nilo
producendo piccole increspature, come se il fiume divino tremasse al contatto
con la perfezione, con la degna figlia delle divinità, sua sovrana.
Mia sovrana, sovrana impietosa del mio cuore, ricordo bene
come rimasi estasiato a guardarti, priva di compagne, uno sguardo dolce come
miele, malizioso come i sinuosi movimenti del serpente, e rivolto a me, a me
soltanto. Come una madre culla il suo bambino primogenito, così cullai nel mio
petto quello sguardo che mi degnasti di rivolgere; lo rubai al tempo per farlo
mio per sempre, lo strappai alla realtà per donarlo all’eternità immota.
A me sarebbe bastato restare a guardarti per sempre, a
gloriarmi della tua bellezza, avrei voluto annullarmi, perché cos’altro poteva
darmi la vita, cosa esisteva più di uno sguardo tuo a me rivolto? Non pretesi
mai da te null’altro, e lo sapevi bene, sapevi bene che la mia adorazione si
sarebbe limitata a un amore spirituale, ad una tua sola parola.
Ma volesti rischiare, e ancora piccola ed inesperta mi
portasti da te nel tuo luogo segreto. Ero nel giardino più meraviglioso e
mistico che si potesse immaginare, era tutto così perfetto. Io, tuo, tuo
schiavo per sempre, aspettavo solo una tua mossa e ti avrei giurato la mia
fedeltà, la mia schiavitù; avrei messo la mia vita nelle tue mani.
Parlammo a lungo, e non uno solo di quei baci ardenti che
avevo promesso di riservare solo a te fu esaudito. Ma il mio cuore era in
giubilo, perché tu avevi acconsentito alla mia infantile proposta, tu, fior di
loto saresti stata mia per sempre, solo mia, e solo tu regina temibile e
magnifica avresti regnato nel mio cuore!
Avrebbe dovuto essere per sempre, o mia imperatrice.
Ma cosa è successo? Cosa ti ha portata via da me, cosa ha
strappato la mia anima, quale avvoltoio dagli aguzzi artigli ha pasteggiato con
il mio cuore gonfio d’amore e sanguinante? Dei, dei malefici e nemici degli
uomini, con quale diritto avete cancellato ciò che era scritto?
Heseret, mia luna d’estate, mio cielo stellato, Heseret! Ero
il figlio di un uomo influente, avrei potuto diventare un soldato di fama e un
buon marito; quale follia mi ha tolto prima il padre e poi l’amata?
Heseret… mi avevano detto che Naja ti avrebbe sposata, che
il reggente l’avrebbe fatto per proteggerti, e invece ho visto il tuo sguardo per
lui.
Dolce come il miele, malizioso come mai lo rivolgesti a me.
Prendesti ad evitarmi mentre la mia fortuna spariva, ti
chiesi disperato cosa dovevo fare, ti implorai di darmi una possibilità per
dimostrarti la mia devozione. Fosti sorda alle mie grida, freddo come marmo
l’esile polso che giunsi a stringere per farmi guardare ancora da te. Eri
tentata di farmi arrestare, l’ho visto dal tuo sguardo colmo di fastidio, ma
non di odio.
Nemmeno l’odio mi riservasti infine! Nemmeno un sentimento
forte, solo un pallido fastidio, ti davo noia ma null’altro, neanche dolore!
Non reagisti a niente, non alle mie preghiere, non ai miei insulti, mi
considerasti solo come un insetto inutile.
Anima mia derelitta, piangi di te stessa e percuotiti con
scherno, perché non riconoscesti in occhi infantili una prossima regina, non
riconoscesti la mancanza di pietà che l’avrebbe caratterizzata. Ti innamorasti
di lei senza conoscerla, ti innamorasti di lei sapendo che non l’avresti avuta
mai davvero, fuggevole come vento. Adesso, anima derisa, anima offesa, piangi,
e non guardare indietro, non lacerarti con il dolore di ricordi che strappasti
al tempo per conservare in eterno.
Li porterò dentro di me, e mi faranno male, e mi
ricorderanno che mai più di te nessuna ho amato, e mi frusteranno come la tua
risata troppo forte ai commenti del reggente tuo sposo. E mi uccideranno quando
stanco andrò a cercare conforto sotto una palma, usando le sue foglie spinose
come coperta, la sabbia fastidiosa come giaciglio, il sole crudele e ardente
come compagno.
Heseret, pericolosa come una vipera, quanti altri cuori hai
gettato in pasto ai coccodrilli? Heseret, figlia del sole, quanti occhi di
ragazzo hai incatenato ai tuoi?
Eppure eri casta, e rimanesti fedele. Ma cos’è la castità
ostentata quando fai scempio in questo modo di anima e cuore miei?
Rimanesti fedele a Naja, non cedesti mai alle mie veementi
richieste. Altera, superba, bellissima, mi rifiutasti sempre e sempre.
Mia Heseret, sii una brava sposa, una brava madre, onora il
tuo popolo e il tuo re.
Io saprò che aspide sei, saprò che dea malvagia sei.
Saprò sempre che sublime dolcezza stillano i tuoi occhi
quando sono innamorati.