La Forma del Dolore
ATTENZIONE QUESTA STORIA CONTIENE SPOILER SU HARRY POTTER AND THE DEATHLY
HALLOWS
Disclaimer: I diritti di Harry Potter and co. non
appartengono a me ma alla cara J.K.Rowling, alla meno cara Warner Bros e a tutti
gli altri che li detengono. Io non scrivo assolutamente a scopo lucro il mio è
soltanto un modo di digerire certi avvenimenti della saga.
Beta Reader: mise_keith, Pulciosa.
Note: Vi ricordate quando ho detto che non avrei più
scritto nulla su Harry Potter? Ebbene ho mentito. O meglio non avevo ancora
fatto i conti con la chiusa della saga.
Il settimo libro mi ha dato molti spunti e i miei personaggi preferiti
(bistrattati, maltrattati, barbaramente uccisi) hanno lasciato dei vuoti che
devo tentare di colmare e razionalizzare.
Questo ha dato il via ad una serie di idee per dei missing moments,
anche se, in realtà, non so quanti prenderanno realmente vita. Ho già in
cantiere, quasi completa per dire la verità, una one-shot su di un momento
mancante fra Ron ed Hermione. Spero di poterla inviare già la prossima
settimana, ma non posso assicurarvi nulla perché sono alle prese con l’esame di
Letteratura Italiana.
Ringraziamenti e dediche:
Alla voce spezzata di Chiara dall’altro capo del telefono.
Alla comprensione silenziosa di Gioia nelle nostre chiacchierate
malinconiche.
E a te che, volente o nolente, mi hai reso capace di scrivere questa
storia.
La Forma del Dolore
Salgo le scale strette e buie di questa casa. Diversi occhi
spenti scivolano sulla mia persona, occhi che non vedono ma che di certo in
passato hanno avuto modo di osservare tutti i movimenti di questa immensa
abitazione grigia, ogni sospiro dei suoi orgogliosi abitanti.
Non ho mai avuto l’ardire di pensare come sarebbe stato avere
un elfo domestico; troppo lontana la mia vita di vecchi vestiti smessi e stenti
per riuscire a considerare l’idea di una ricchezza materiale tale da potermi
permettere tanto lusso. Un elfo domestico è un vessillo di nobiltà: la schiavitù
è la sua prima figlia.
Ma adesso, questi occhi ciechi che vagano nell’oscurità di
questa casa vuota, in cima alle macabre teste mozzate, sembrano fantasmi venuti
a giudicarmi da un passato lontano.
C’è troppa solitudine, troppo silenzio in questa casa, e in
questo momento è ciò che più temo, perché, ora che l’adrenalina è scesa, adesso
che la velocità esaltante degli ultimi avvenimenti della mia vita si è fermata,
è giunto il momento di considerare la mia esistenza, le mie mosse future, la mia
storia irrisolta.
È un preambolo lungo e confusionario.
C’è molta confusione nella mia testa, io che di solito sono
sempre così calcolatore, così preciso.
Io che nella vita ho sbagliato tutto.
Quasi inciampo nell’ultimo gradino. Riprendo l’equilibrio
fermandomi un secondo sul polveroso pianerottolo del secondo piano di casa
Black, ad occhi chiusi, cercando di ripristinare una certa calma.
Devo sbrigarmi, prima che qualcuno giunga, prima che qualcuno
possa chiudermi questa porta alle spalle, inesorabilmente.
Cosa sei venuto a fare qui, Severus Snape?
Non vorrei rispondermi, perché fa male, fa così male
tutto.
Cosa sono venuto a fare adesso che il tempo si è fermato per
una breve, inafferrabile pausa, che le ultime ore hanno taciuto dopo il loro
assordante frastuono?
Cerco una traccia di lei.
Un segno, una piccola inutile orma che mi conduca al suo passo,
che mi faccia ritrovare al suo fianco il mio.
Che mi faccia capire perché.
Perché continuo a combattere, adesso che non ho più nulla.
Mi dirigo verso la stanza di Black, di Sirius Black. Apro
lentamente la porta.
Non resto stupito dalla volgare esuberanza con la quale è
addobbata, un boato di rosso e oro, così violento, così di cattivo gusto da
rappresentare il suo inquilino in ogni minimo dettaglio.
Sirius Black è sempre stato un uomo di baccano. Così come il
suo fedele compagno Potter. Quando li ho conosciuti stavano facendo baccano.
Hanno passato sette anni a fare baccano. Sono sempre stati così stupidamente
chiassosi che la loro presenza era una violenza per chiunque non li avesse a
cuore.
Anche Lily, una volta, tanto tempo fa, la pensava come me.
«Evans!»
Entrarono in biblioteca sghignazzando, sommessamente, ma
sghignazzando. Emanavano una tale aura di egocentrismo, con il loro fare pomposo
e spaccone, che riuscivano ad imporre la loro presenza anche quando non facevano
troppo rumore. Anche se avevano ancora solo quattordici anni.
Black ci vide, scosse con una spallata Potter e ci indicò. Si
avvicinarono con fare sornione verso di noi e a pochi passi Potter chiamò la
ragazza sorridendo.
«Evans!» ripeté una seconda volta non avendo avuto repliche,
sporgendosi sul tavolo per sbirciare il libro fra le mani di Lily «Sempre a
studiare?»
Io rimasi fermo al mio angolo, la piuma a grattare sulla
pergamena, fingendo indifferenza.
«Tu invece sempre in giro a disturbare la gente, Potter?»
rispose lei infine, senza alzare lo sguardo.
«Veramente,» disse Black dando un tono falsamente profondo alla
voce, «la nostra venuta qui in biblioteca era dovuta a motivi seri. Di
studio».
Penso che a quel punto i due ragazzi dovettero scambiarsi un
ghigno d’intesa, alludendo con lo sguardo alla mia persona. Poi Potter prese
parola:
«Infatti volevamo studiare bene come il naso del nostro caro
Snivellus potesse prendere una tinta più unita a quella dei suoi capelli».
Non ebbi nemmeno il tempo di smettere di scrivere e alzare gli
occhi che un fiotto di inchiostro volò dalla mia boccetta posta sul tavolo al
mio viso, colpendomi in pieno.
Annaspai qualcosa, mentre Lily ringhiava loro improperi di ogni
tipo, al di sopra delle risate degli stessi.
Ma prima che potessi reagire la bibliotecaria aveva già
rimproverato e trascinato i due di peso fuori, forse direttamente dalla
McGonagall.
Io, nuovamente, avevo subito come un fesso.
«Oh, Severus» Lily sussurrò per me, ancora troppo arrabbiato,
l’incantesimo per ripulirmi «Io non lo sopporto, non finiranno mai di darti il
tormento! Sono così odiosi. Sono così rumorosi… tanto che sembra sia quasi una
violenza averli vicino».
Chiuse il libro, incrociando le braccia, gli occhi verdi a
brillare nel vuoto.
«Ti giuro che prima o poi la pagheranno» le promisi.
Sorrise.
Mi chiedo da anni come, infine, Lily Evans si sia innamorata di
James Potter.
Come l’abbia potuto sposare. Come abbia potuto fare un figlio
con lui.
Come d’improvviso la violenza del suo baccano sia diventata una
calda compagnia, la musica capace di riempirle le giornate.
Mi chiedo come questo sia successo. Dove fossi io quando ciò è
accaduto.
Ero impegnato a riscattarmi. A vendicarmi.
Mi riscuoto dai miei pensieri e mi muovo dalla soglia della
porta. Non ho molto tempo da perdere, non posso indugiare ancora.
Do un occhiata intorno ed inizio a frugare fra gli effetti
personali di quella testa calda di Sirius Black, senza prestare troppa
attenzione o curarmi di non metterli in disordine.
So che ci deve essere qualcosa di suo qui.
Dumbledore è morto poche settimane fa. È stato tutto tanto
veloce che non riesco ancora a crederci.
L’ho ucciso io e, se non l’avessi fatto, sarebbe morto comunque
di lì a poche ore, giorni al massimo.
Sarei morto anche io.
E di certo sarebbe stato ucciso anche Draco Malfoy.
Eppure l’aver materialmente provocato la sua scomparsa, anche
se sotto suo preciso ordine, mi fa sentire comunque profondamente colpevole.
Come se una nuova macchia si fosse posta sulla mia pelle, come se un nuovo
strato di sudiciume si fosse incrostato su di me.
Avevo giurato che non avrei mai più ucciso.
L’avevo giurato a mezza bocca con il ricordo negli occhi di
Lily bambina che correva verso di me sorridendo.
Ma in fondo sono solo questo.
Un assassino, per scelta.
Ma quando l’ho scelto veramente? Quando giravo con i miei
compagni Slytherin per sentirmi protetto e forte nei confronti di Potter e della
sua stupida gang, quando ho sentito addosso il fascino delle arti oscure, quando
parole di potere ed echi di violenza mi hanno sedotto senza scampo?
Quando…
…quando ho visto la bocca di Potter posarsi senza chiedere
permesso sulle labbra di Lily, i loro occhi chiusi, le loro braccia aperte,
l’una verso l’altro, così stretti, così vicini.
Abbandonati.
Quando ho scoperto di aver perso.
Non una cosa. Non un amore.
Quando ho scoperto di aver perso la mia sfida con la vita.
«Vattene, Severus!» lo urlò spingendomi via, divincolandosi. Le
avevo preso il braccio, senza troppa forza, troppo debole, ancora, di nuovo,
troppo me stesso, troppo vuoto, troppo poco, troppo maledettamente poco per lei.
«Non sono affari tuoi!»
«Sì!» le urlai. «Sì… noi, noi siamo amici…»
«NO!» piangeva, scotendo la testa, i capelli rossi ondeggiavano
nell’aria semibuia come fiamme smorte di un camino in agonia. «No. Lo eravamo.
Adesso tu... »
«Ma come è possibile? Tu odi Potter, Lily, tu lo hai sempre
odiato, lui è un uomo spregevole!»
Ansimavo, non avevo parole, non avevo fiato.
«È cento volte migliore di te!» la sua voce, nel corridoio
deserto, riecheggiò pugnalandomi da ogni angolo. Rimasi stordito.
Potter. Il borioso, odioso, rumoroso, incivile, stupido
Potter.
Cento volte migliore di me.
Per Lily Evans.
«Non ti credo» balbettai.
Le lacrime le arrossavano il volto e gli occhi. Stringeva con
l’altra mano il braccio che le avevo afferrato.
«Lui è diverso. Tu sei uno di loro. Hai fatto la tua scelta,
Severus».
Diedi un pugno al muro senza preavviso. Lily sussultò.
Restammo qualche secondo così. La mia mano ammaccata aveva
iniziato a sanguinare. Lei la guardava, singhiozzando piano e rabbrividendo,
senza muoversi dalla sua posizione a pochi metri da me.
«Non sono io ad aver scelto» la mia voce risuonò calma in
maniera innaturale «Sei stata tu ad averlo fatto. Io non avevo ancora preso la
mia decisone. Prima».
Come un codardo non la guardai. Andai via voltando le spalle
alle sue lacrime.
«Severus… non farlo».
Fu un sussurro. Da venti anni mi domando se lo abbia detto
davvero o se sia stata la mia immaginazione a regalarmelo.
Credo di essermi fatto tatuare il Marchio Nero per smettere di
soffrire.
Pensavo che diventare un Death-Eather, mettermi al servizio di
un ideale superiore in grado di dare potere, mi avrebbe salvato.
Pensavo che sarebbe finito prima o poi, che l’immagine di Lily
naufragata sul corpo di Potter, lì, nell’intimità dell’amore, diventasse
indifferente come lo sguardo opaco di un uomo esanime ai miei piedi.
Non mi importava di uccidere. Troppo era morto dentro di
me.
Non mi importava, volevo solo che tutto questo smettesse.
Non so che forma abbia il dolore. Non so se sia spigolosa e
dura, oppure se si plasmi come una maschera di cera sulla dimensione di
ciascuno.
Non so se in fondo abbia una forma, oppure sia veleno aeriforme
che ciascuno aspira per poi veder venir meno il fiato.
Non so che forma abbia il dolore. Nella mia mente ha gli occhi
color verde marino di Lily, aperti e sorridenti, persi e innamorati, come quando
si scioglievano in quelli bruni del suo Potter.
Nella mia mente ha la forma del rimpianto, di ciò che non sono
mai riuscito ad ottenere, di ciò che non ho saputo difendere.
So solo che con il dolore occorre imparare a convivere. Il
dolore della perdita, un vuoto troppo pieno perché non possa essere sempre
presente.
È lì, al centro del petto, fra i pensieri e la meccanica della
quotidianità, in ogni gesto, in ogni pausa, fra i sogni ed il risveglio.
Una voragine che ha iniziato a ruotare quando per la prima
volta ho visto la sua mano in quella di Potter.
Una voragine che mi ha inghiottito inesorabilmente quando ho
posato le mie labbra sulla sua gelida fronte di perla.
Dumbledore era riuscito a concedermi qualche minuto solo con
lei.
Mi aveva messo una mano sulla spalla e mi aveva spinto dentro
quella stanza dal forte profumo di fiori freschi, dove lei e Potter giacevano
immobili.
Il rumore dei miei passi era sordo.
Io non riuscivo a pensare a nulla che non mi straziasse il
cuore.
Gli occhi di Lily erano chiusi. Non guardavano più niente.
Né con astio e sdegno me, né con amore il suo caro marito.
Era così bianca da sembrare d’avorio.
Finta, una bambola.
L’unica cosa ad essere ancora viva erano i capelli, color
fiamma, ben rassettati, che le ricadevano da entrambe le parti del viso.
La disperazione era troppo forte per poterla
razionalizzare.
In quel momento non mi importava di nulla.
Non mi interessava di averla persa, che non fosse più mia.
Non me ne fregava niente che sospirasse notte per notte agli
amplessi di Potter.
Non contava nemmeno che io fossi ancora vivo, che non fossi ad
Azkaban.
Che avessi una vita davanti.
Io volevo solo che fosse viva.
Di Potter, lontana, persa.
Ma viva.
Che esistesse. Che il suo pensiero ogni tanto mi sfiorasse,
come una carezza mesta e triste.
Che potesse gioire, anche per me, anche al posto mio.
Che i suoi occhi si aprissero e osservassero il mondo, di
nuovo, riempiendolo di colore.
Volevo unicamente che Lily Evans non fosse morta.
Tutto il resto non contava.
Io non contavo
«È colpa mia, Lily?», mi accorsi di sussurrarle piano queste
parole bagnate da tutte le lacrime che non riuscivo a piangere sulla bocca senza
respiro «Sei morta per colpa mia, Lily? Rispondimi, Lily, ti prego…
rispondimi…»
Avrei voluto premere le mie labbra sulle sue, lì, con forza,
con la passione che non avevo mai vissuto.
Vi gemetti sopra. Poi deviai la mia bocca alla sua fronte,
lasciando un bacio sulla sua pelle di cera, con levità, con tutta la delicatezza
che non ero mai stato capace di dimostrarle.
Era così fredda…
Ho trovato una lettera fra le cianfrusaglie vecchie di
Black.
Mi sono sentito come un ladro di passato ed emozioni. Mi sono
sentito confuso e agitato insieme stringendo fra le dita questa vecchia busta di
carta.
So che è sua, anche se i caratteri a stampatello sul retro sono
ormai troppo scoloriti per essere leggibili.
Mi siedo al bordo del letto di Black, mentre attorno a me un
disastro di roba sparpagliata marchia il segno della mia presenza.
Apro piano la lettera, qualcosa mi cade in grembo, ma sul
momento non vi presto attenzione.
È la sua grafia. La riconoscerei fra mille. Così piana e
pulita. Così serena e pacata, come il verde dei suoi occhi.
Non riesco a leggere. Non riesco a capire le parole.
Caro PadFoot,
C’è lei in quella lettera. Tutta la sua voglia di vivere. Tutta
la sua devozione per quei dannati Potter.
C’è lei in ogni suo vezzo, c’è lei in ogni movimento, c’è lei
in ogni espressione del volto.
C’è lei con i suoi sogni e le sue speranze.
Così intima, così vera.
C’è tutto il suo amore.
Non riesco più a vedere. Ho gli occhi appannati, e qualche
lettera è stinta d’amore e dolore insieme.
Sto piangendo. Sto sciogliendo i tratti del suo inchiostro
nella mia sofferenza.
Sto piangendo.
Io, Severus Snape, il Death-Eater, l’assassino.
Piango, verso il mio dolore antico, il mio amore per Lily che
non è mai morto.
Sono venuto qui per ricordare che, in questa solitudine
sterminata, in questi lunghi, complicati, infernali mesi, io devo vendicare Lily
Evans.
Io devo rendere imperituro il mio amore.
Devo pagare il mio debito.
Devo continuare a proteggere Lily, ciò che resta di lei.
Non mi importa di morire.
Non m’importa di nulla da quella dannata notte.
Ho vissuto solo per questo e la presenza tangibile di questa
donna che è stata, lo testimonia.
Raccolgo, con il volto devastato dal pianto, ciò che mi era
caduto poco prima in grembo.
È una foto. C’è il piccolo Potter che gioca su di una scopa
giocattolo, il padre.
E Lily.
Come me la ricordo, con i suoi capelli rossi, con i suoi occhi
pieni di vita.
Sorride.
Al futuro, all’amore.
Come l’ho vista fare per anni, come ha fatto quella mattina in
biblioteca.
Anche quello era un modo di amare, Severus?
Strappo la foto in due, conservo il pezzo con l’unica donna
della mia vita.
Prendo l’ultima parte della lettera.
Non devo dimenticare. Non posso.
Ma ho bisogno, adesso che anche il volto amico di Dumbledore mi
ha lasciato, adesso che nessuno sa chi io veramente sia, adesso ho
bisogno di essere guidato.
Con tutto il mio amore,
Lily
Perché forse la vera forma del mio dolore è quella
dell’amore.
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