Medui Estel - L'Ombra di Angmar

di Anacarnil
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Tra gli strali del sottobosco scuro i due elfi si muovevano silenziosi, gli occhi puntati avanti, i passi silenziosi che li portavano a costeggiare le radure invase dagli arbusti, dai rovi e dalle spine intricate tipiche della vegetazione rigogliosa e insana dell'interno del Bosco Atro. Era una giornata calda, con pochi sprazzi di sole che filtravano dalle chiome opprimenti e minacciose, torreggianti sui sentieri coperti dal fogliame, nascosti, quasi totalmente cancellati. Al limitare delle loro percezioni si accalcavano suoni grotteschi, spezzati, privi di un'armonia di fondo o di un qualsivoglia ritmo. Lo zampettare sinistro delle creature che popolavano quei luoghi reconditi avrebbe fatto salire brividi freddi lungo la schiena di chiunque non vi fosse nato e cresciuto, e i due che avanzavano erano tra quegli Eldar che conoscevano la vita aspra a difesa della vita in quelle zone. Si mossero sinuosi tra gli alberi, non più distanti di venti metri l'uno dall'altro, ombre dal passo svelto che parevano danzare sul soffice sottobosco evitando gli ostacoli con la grazia tipica dei Primogeniti. Il primo reggeva un lungo arco di frassino, tenuto basso, una freccia dal piumaggio candido già incoccata, le spalle curve ed un ampio mantello del colore di quella selva scura drappeggiato attorno al corpo elegante e affusolato, il secondo teneva tra le dita di ogni mano tre pugnali dalla corta lama, che emergevano dalle pieghe del mantello come aculei. Entrambi erano incappuciati, e nascondevano alla vista le lunghe chiome di capelli splendenti.Tra le tante aberrazioni sonore che sconfinavano prepotenti nel loro margine percettivo, una in particolare li spinse a fermarsi all'unisono, pronti a celarsi dietro la sagoma nodosa e storta degli alberi-ombra che popolavano quelle terre dimenticate dai Vala. Le orecchie puntute ebbero un fremito, mentre gli occhi degli Elda saettavano avanti, spaziando oltre i tronchi abbattuti ed il sottobosco. Qualcosa ringhiò, ed una risposta non tardò ad arrivare poco distante. Biascicò una voce raschiata, grottesca, profonda, senza curarsi di abbassare il tono. L'altro individuo parve erompere in una risata acuta, come una fredda stilettata tra le tenebre.

« Tu avvicinati e ti sbudello, abbiamo degli ordini e la donna rimane viva fino a quando lo dico io, te lo sei dimenticato?» Un altro ringhio, cupo, profondo.

«Ho bisogno di carne tenera!»

«Tra un istante lo sarai per gli altri..»

Qualcosa scintillò lì dove un piccolo fuoco da campo crepitava.

«Tieni a freno quella mano puzzolente, schifoso. Non andrò da nessuna parte. Non ora...»

Un sibilo raschiato, poi le due sagome si scostarono l'una dall'altra, avvicinandosi lì dove altri orchetti stavano accalcandosi, sbavando ed urlando la loro soddisfazione animalesca.

I due Elfi avanzarono. L'accampamento nella foresta era niente più che una serie di tende di pelle mal conciata radunate attorno a fuochi da campo che scoppiettavano con riluttanza e che rischiaravano timidamente l'ampia radura, e che scottavano la carne di enormi ragni infilzati, le zampette chitinose radunate in uno spettacolo raccapricciante sugli addomi rivoltati. Attorno brulicavano orchetti del Morannon e goblin di piccola taglia tipici abitanti delle Montagne Nebbiose, nervosi ed esagitati come sempre.

L'Elfo con l'arco serrò la mascella, il volto tra le pieghe del cappuccio non tradiva alcuna emozione. Rivolse un'occhiata al suo compagno, sapendo senza guardare dove si trovava. La mutua intesa non tardò a giungere. Entrambi si sporsero dagli alberi, ormai prossimi alle luci dell'accampamento. Sollevarono una mano. Si prepararono a lanciare.





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