Tra
gli strali del sottobosco scuro i due elfi si muovevano silenziosi, gli
occhi puntati avanti, i passi silenziosi che li portavano a costeggiare
le radure invase dagli arbusti, dai rovi e dalle spine intricate
tipiche della vegetazione rigogliosa e insana dell'interno del Bosco
Atro. Era una giornata calda, con pochi sprazzi di sole che filtravano
dalle chiome opprimenti e minacciose, torreggianti sui sentieri coperti
dal fogliame, nascosti, quasi totalmente cancellati. Al limitare delle
loro percezioni si accalcavano suoni grotteschi, spezzati, privi di
un'armonia di fondo o di un qualsivoglia ritmo. Lo zampettare sinistro
delle creature che popolavano quei luoghi reconditi avrebbe fatto
salire brividi freddi lungo la schiena di chiunque non vi fosse nato e
cresciuto, e i due che avanzavano erano tra quegli Eldar che
conoscevano la vita aspra a difesa della vita in quelle zone. Si
mossero sinuosi tra gli alberi, non più distanti di venti
metri l'uno dall'altro, ombre dal passo svelto che parevano danzare sul
soffice sottobosco evitando gli ostacoli con la grazia tipica dei
Primogeniti. Il primo reggeva un lungo arco di frassino,
tenuto basso, una freccia dal piumaggio candido già
incoccata, le spalle curve ed un ampio mantello del colore di quella
selva scura drappeggiato attorno al corpo elegante e affusolato, il
secondo teneva tra le dita di ogni mano tre pugnali dalla corta lama,
che emergevano dalle pieghe del mantello come aculei. Entrambi erano
incappuciati, e nascondevano alla vista le lunghe chiome di capelli
splendenti.Tra le tante aberrazioni sonore che sconfinavano prepotenti
nel loro margine percettivo, una in particolare li spinse a fermarsi
all'unisono, pronti a celarsi dietro la sagoma nodosa e storta degli
alberi-ombra che popolavano quelle terre dimenticate dai Vala. Le
orecchie puntute ebbero un fremito, mentre gli occhi degli Elda
saettavano avanti, spaziando oltre i tronchi abbattuti ed il
sottobosco. Qualcosa ringhiò, ed una risposta non
tardò ad arrivare poco distante.
Biascicò una voce raschiata, grottesca, profonda, senza
curarsi di abbassare il tono. L'altro individuo parve erompere in una
risata acuta, come una fredda stilettata tra le tenebre.
« Tu
avvicinati e ti sbudello, abbiamo degli ordini e la donna rimane viva
fino a quando lo dico io, te lo sei dimenticato?» Un altro
ringhio, cupo, profondo.
«Ho
bisogno di carne tenera!»
«Tra
un istante lo sarai per gli altri..»
Qualcosa
scintillò lì dove un piccolo fuoco da campo
crepitava.
«Tieni
a freno quella mano puzzolente, schifoso. Non andrò da
nessuna parte. Non ora...»
Un
sibilo raschiato, poi le due sagome si scostarono l'una dall'altra,
avvicinandosi lì dove altri orchetti stavano accalcandosi,
sbavando ed urlando la loro soddisfazione animalesca.
I
due Elfi avanzarono. L'accampamento nella foresta era niente
più che una serie di tende di pelle mal conciata radunate
attorno a fuochi da campo che scoppiettavano con riluttanza e che
rischiaravano timidamente l'ampia radura, e che scottavano la carne di
enormi ragni infilzati, le zampette chitinose radunate in uno
spettacolo raccapricciante sugli addomi rivoltati. Attorno brulicavano
orchetti del Morannon e goblin di piccola taglia tipici abitanti delle
Montagne Nebbiose, nervosi ed esagitati come sempre.
L'Elfo
con l'arco serrò la mascella, il volto tra le pieghe del
cappuccio non tradiva alcuna emozione. Rivolse un'occhiata al suo
compagno, sapendo senza guardare dove si trovava. La mutua intesa non
tardò a giungere. Entrambi si sporsero dagli alberi, ormai
prossimi alle luci dell'accampamento. Sollevarono una mano. Si
prepararono a lanciare.
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