Lonely
by
Black Lightning
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L’acqua
calda della doccia la bagnava dall’altro con le sue minuscole
gocce.
Rannicchiata
contro il muro, con le braccia intorno alle gambe, non sapeva
più
dove finiva l’acqua e iniziavano le lacrime.
Quanto
tempo era rimasta li?
Seduta
sul pavimento alla ricerca di un calore che, temeva, non avrebbe mai
ritrovare.
Quanti
ricordi racchiusi in quell’unica, piccola stanza?
Appena
trasferite avevano deciso di cambiare la vasca con una più
grande,
in modo da poter fare il bagno insieme. Ed insieme al suo interno che
crearono alcuni dei ricordi più belli.
Che
dire delle notti passate a fare il bagno dopo gli appuntamenti
romantici?
Come
dimenticarli?!
Nanoha
disponeva le candele in vari punti del bagno cercando di creare
‘la
perfetta atmosfera’. Come la chiama lei.
Quelle
notti non sarebbero finite con solo una ‘buona
notte’.
Si
iniziava con un abbraccio, poi un casto bacio che diveniva
lussurioso, bisognoso. Le mani iniziavano a cercare il corpo
dell’altra e i respiri diventavano pesati e, ben presto, la
vasca
sarebbe diventata troppo piccola e troppo calda per le loro
attività.
Oppure,
le ore passate semplicemente ammollo nell’acqua calda
tenendosi
strette in un abbraccio fin quando l’acqua sarebbe divenuta
fredda.
A
quei ricordi, un sorriso affiorò sul viso della ragazza
bionda ma
scomparse con la stessa rapidità con cui era comparso appena
scorse
la vasca vuota. Nel tentativo di reprimere le nuove lacrime si morse
il labbro inferiore. Così forte da poter sentire il sapore
amaro del
sangue.
Tutto
inutile.
Nuove
lacrime le rigarono il volto -questa volta più pesanti- e
presto il
bagno fu nuovamente riempito da singhiozzi, e lo scorrere
dell’acqua
divenne un triste sottofondo.
Quando
le lacrime furono consumate e l’acqua divenne troppo fredda,
decise
che era ora d’uscire da lì.
“C’è
troppo silenzio” pensò
percorrendo il corridoio che la porterà nella camera da
letto.
Quella
sarebbe dovuta essere la camera più luminosa del piccolo
appartamento ma, senza di lei, tutto sembra buoi e freddo. Anche con
il sole pomeridiano che filtrava dalla finestra e si poggiava sul suo
corpo, non sentiva alcun calore.
Prese
l’intimo da uno dei comodini accanto al letto e, dopo averlo
indossato, passò all’armadio a muro dove, senza
prestare molta
attenzione, prese i vestiti. Jeans scuri e felpa nera.
Nero.
Non perché fosse il suo colore preferito, ma
perché era il colore
del suo attuale umore.
Decise
d'evitare lo specchio. Sapeva che il suo aspetto era pessimo anche
senza guardare la sua immagine riflessa. La notte dormiva poco sullo
scomodo divano –il letto era troppo grande per lei sola- dove
gl’
incubi l’ assalivano, e di giorno si immergeva nelle
scartoffie
d’ufficio per tenere la mente occupata.
Quando
le arrivò la notizia, aveva appena finito
l’allenamento con
Signum. . .
Un
soldato nelle sua semplice tenuta, entrò nella palestra
riportando
l’accaduto senza molti convenienti.
La
donna dai capelli rosa assistete al cambiamento d’espressione
della
bionda. Prima lo shock, poi la rabbia ed, infine, la paura.
Se
Fate non fosse corsa immediatamente verso l’uscita, Signum
avrebbe
preso a calci in culo quell’idiota per il poco tatto, ma
doveva
fermare la sua amica prima che si mettesse nei guai. Infatti la
bionda dagli occhi rubino stava per spiccare il volo senza alcuna
autorizzazione.
Forse
avrebbero lasciato correre per questa volta, visto che Fate non aveva
mai infranto il regolamento e vista la gravità della
situazione, ma
preferì non rischiare.
Quando
arrivarono in ospedale Hayate e gli altri guardiani erano
già li,
aspettando che un medico qualunque uscisse dalla sala operatoria
portando qualche notizia.
Vita
in lacrime, Hayate con gli occhi rossi, gonfi, Shamal pianse
nell’abbraccio protettivo di Signum. Anche Zafira, che di
solito
non mostrava alcuna emozione, era preoccupato. Glielo si leggeva
negli occhi.
Fate,
semplicemente, si sedette ed aspettò. Forse la sua mente
doveva
ancora registrare le informazioni o forse si rifiutava di farlo. Ma
stette li. Impassibile. Finché un medico si
presentò davanti al
gruppo.
Ancora
oggi, dopo quindici giorni, le parole di quel medico le sembravano
irreali.
Dopo
varie parole inutili e difficili termini medici- che solo Shamal
capì- concluse con “. . . è un
miracolo che sia ancora viva,
ma è meglio prepararsi al peggio. Takamachi Nanoha proviene
dal
mondo non amministrato #97, vero? Sarebbe meglio che contattiate la
sua famiglia per dir loro dell’incidente e
prepararli.”
Scosse
la testa scacciando quelle parole concentrandosi maggiormente sulla
strada. Un incidente non le sarebbe stato di alcun aiuto.
Percorse
velocemente il tragitto tra l’appartamento e
l’ospedale.
~O~
Eccole
li, davanti alla porta della residenza Takamachi sul pianete Terra.
Sono le dieci, cinque giorni dopo l’incidente di Nanoha.
Bussa.
Sentiva
gli occhi gonfi e la stanchezza delle notti passate accanto al letto
della ragazza dai capelli ramanti, guardando come il leggero respiro
della sua ragazza disegnava macchie bianche sulla maschera che le
copriva naso e bocca,e sperando che scomparsa una, un’altra
ne
avrebbe preso il posto.
Una
stretta di mano la riportò alla realtà facendole
guardare alla sua
sinistra, dove si trovava la donna dai capelli verde-acqua.
“Parlerò
io con loro, non preoccuparti.” La rassicurò la
voce calda e
premurosa della madre. La sua presenza al suo fianco la confortava.
Almeno un po’.
Quando
finalmente la porta si aprì, nascose gli occhi sotto la
frangia. Non
avrebbe sopportate di incrociare lo sguardo con l’allegra
Momoko,
così simile a Nanoha, che con un grande sorriso le accolse
in casa
chiedendo della figlia.
Lindy,con
espressione grave, raccontò l’accaduto,
tralasciando solo i
dettagli riservati agli agenti.
Lei
restò in silenzio.
Sentì
addosso lo sguardo di Shiro e ascoltò i singhiozzi di Momoko.
Ebbe
nuovamente voglia di piangere.
Come
poté star li a non far nulla mentre la persona
più importante della
sua vita stava lottando in un letto d’ospedale per riaprire
gli
occhi?
Come
aveva potuto pensare d’essere così forte da poter
dare, da sola,
la notizia ai Takamachi? Era grata per l’insistenza di sua
madre
nell’accompagnarla.
Cosa
avrebbe detto Shiro?
Gli
aveva promesso di proteggere Nanoha anche a costo della sua stessa
vita. E non mantenne quella promessa.
Shiro
sospirò e Fate sentì un brivido freddo lungo la
schiena.
“Grazie,
Lindy-san, Fare-chan. Ma Nanoha è forte, si
riprenderà
sicuramente.” Nella suo voce non era presente nessuna rabbia.
E
li, sulla gentilezza dell’uomo, la bionda cedette
“Perché. .
.?”sussurrò poco più forte di un
respiro, ma abbastanza per far
concentrare l’attenzione su di lei.
“Perché
non sei arrabbiato?” Chiese tra i singhiozzi. “Ho
promesso . . .
Ho promesso che mi sarei presa cura di lei su Mid-Childa. Che. . .
Che l’avrei protetta. Anche a costo della mia
vita.” Strinse i
pugni, sulla gonna della divisa, così forte che le nocche
delle dita
divennero bianche. “E. . . non l’ho fatto. Allora
perché non mi
urli contro accusandomi? Perché non mostri la più
minima rabbia?!”
Finalmente guardò l’uomo negli occhi, solo per
trovarvi uno
sguardo caldo.
“Perché
so che ti senti già abbastanza in colpa anche senza le mie
accuse,
nonostante tu non abbia alcuna colpa. E so che stai soffrendo almeno
quanto noi.” Disse in completa calma.
La
risposta lasciò la ragazza senza parole. Aveva visto molte
facce di
Shiro Takamachi, e queste non l’aveva mai nemmeno immaginata.
~O~
Si
fermò nel parcheggio dell’edificio bianco che
conosceva fin troppo
bene. Quante volte c’era stata per ferite minori?
Eppure
questa volta non erano bastati dei cerotti, qualche benda, e un bel
periodi di riposo per far guarire le ferite della ragazza dai capelli
ramati.
Con
la mente ancora occupata da stupidi e inutili “E se . .
.?” –che
la fecero sentire solo più triste e in colpa- percorse il
corridoio
dalla reception alla camera di Nanoha.
Di
tanto in tanto salutava qualche infermiera mettendo sul viso un falso
sorriso. Non così buono come sperava visto che indietro
ricevette
solo sguardi preoccupati.
Guardò
scorrere i numeri accanto alle porte, fino ad arrivare a quella
interessata.
Bussò,
pur sapendo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
La
stanza silenziosa era illuminata dalla luce del tramonto. Ma quel
caldo colore non bastava a riscaldare la fredda stanza bianca dove
solo i macchinari, collegati attraverso dei cavi al corpo di Nanoha,
producevano fastidiosi suoni.
Si
avvicinò lentamente al letto. “Buona sera,
Nanoha.” Salutò la
ragazza dormiente, scostandole una ciocca di capelli dal visto e
posandola dietro l’orecchio, poi le mise un dolce bacio sulla
tempia.
Si
avvicinò alla finestra chiudendola “Nonostante
stia arrivando la
primavera, fa ancora freddo fuori. Ma si sta bene se stai al sole.
Dovresti vedere il cielo in questi giorni. E’ chiaro come se
fosse
già estate.” Sorrise sedendosi sulla sedia accanto
al letto.
Continuò
a parlare, sperando che farlo potesse aiutare la ragazza a riaprire
gli occhi per mostrarle quelle scintillanti sfere zaffiro piene di
speranza che amava così tanto.
“
.
. . e dovresti vedere Vita in questi giorni. Non la riconosceresti.
Il suo carattere aggressivo sembra essersi addormentato.”
rise. Una
risata che non aveva nulla d’allegro.
“Sai,”
continuò “credo si senta in colpa, visto che era
in coppia con te
in quella missione . . .” i pugni si strinsero sui jeans e
presto
vennero bagnati da piccole gocce.
“Manchi
a tutti, Nanoha. Perché non vuoi svegliarti?
Perché non torni da
noi . . .? Perché non torni da me?”
L’unica
risposta fu data dai fastidiosi suoni delle macchine e dalla leggera
condensa sulla maschera, sopra la bocca silenziosa di Nanoha.
N/A: Rieccomi! Causa trasferimento sono senza connessione, per questo c'è voluto così tanto tempo. Inoltre il mio umore e da schifo (ecco il perché di qualcosa di così triste), e non aiuta a pensare bene.
Spero che, nonostante tutto, la storia sia piaciuta. La prossima avrà un'aria molto più leggere, lo prometo. ^-^
Le recensioni sono apprezzate.
Alla prossima.
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