Ronzii
– Parte II.
Aveva
sottovalutato la storia del
burlesque. Prima di tutto, aveva speso oltre cento euro di biancheria
intima;
secondo, aveva decisamente sopravvalutato le sue capacità
atletiche. Perché le
ballerine del Moulin Rouge erano in
grado di alzare la gamba fino alla testa, ma lei, Azzurra, rischiava
uno
stiramento o addirittura uno strappo muscolare. A questo poi, si
aggiungeva il
fatto che, nonostante fossero le due del pomeriggio di
lunedì 17 Dicembre,
Achille non aveva ancora risposto al messaggio della sera precedente.
Lei aveva
saltato il pranzo per andare al centro commerciale, rimandato gli
impegni di
lavoro con la scusa di dover apportare delle modifiche ad un progetto
in realtà
già concluso e lui non riusciva a trovare trenta secondi per
rispondere ad un
sms. Doveva cercare una posizione del Kamasutra
abbastanza dolorosa da farlo pentire dei suoi peccati.
Dall’altra
parte della città, in un
bar del centro poco distante dalla filiale della banca, Achille era
seduto davanti
ad un’insalata triste e quasi intatta. La serata precedente
era stata più
movimentata e frenetica del previsto. Trascorrerla con Chantal lo aveva
lasciato stordito e non gli andava di ascoltare le chiacchiere di
Brambilla,
soprattutto non durante la pausa.
Ricordava
di non aver ancora dato
una risposta ad Azzurra, ma con tutto quello che era successo il giorno
prima,
non sapeva onestamente cosa dirle. Digitò veloce un
messaggio, prima di
abbandonare il pranzo e tornare
a
lavoro.
-
Ci sarò.
I
semafori sembravano essersi messi
tutti d’accordo: l’avevano costretto a fermarsi a
quelle che, nello stato
d’agitazione in cui si trovava, parevano un miliardo di
volte. Achille guardò
il mazzo di ranuncoli bianchi che aveva appoggiato sul sedile accanto
al suo. I
fiori erano un gesto sincero, forse patetico, forse dovuto dal senso di
colpa.
Pensò all’opportunità di ritornarsene a
casa, ma non poteva fare questo ad
Azzurra. Non lo meritava.
Parcheggiò
la macchina sotto il suo
condominio e prese le scale. Arrivò di slancio davanti alla
porta rossa della
mansarda e bussò immediatamente. Doveva dirglielo subito.
Azzurra
gli aprì e la bocca di
Achille si sigillò.
Era
in vestaglia, i capelli che
solitamente portava liscissimi erano un po’ arricciati, aveva
un trucco pesante
sugli occhi e degli inspiegabili sandali neri dal tacco vertiginoso.
Non capì
se la testa di lei appoggiata sulla porta fosse un modo per sedurlo,
per
mostrargli gli imponenti orecchini luccicanti o soltanto per tenersi in
piedi
su quei trampoli.
-
Finalmente! – sussurrò lei.
Lo
prese per il colletto della
camicia e lo trascinò con sé
all’interno della casa, chiudendo la porta con il
tacco della scarpa – per quello non era stata necessaria
Dita, era bastato
guardare una puntata de I menu di Benedetta
e sostituire il forno con la porta.
-
Azzurra, dovremmo parlare… –
provò Achille, ma lei lo zittì.
-
Parlare? Non era esattamente
quello che avevo in mente…
Spalancò
la vestaglia nera in pura
seta e gli mostrò ciò che indossava. Il mazzo di
ranuncoli precipitò sul
parquet, alla vista di un babydoll viola scuro dalla profonda
scollatura
stretta e verticale, tagliato sotto il seno da una cintura di
corallini, con
una balza in fondo e degli strass sugli spallini. Il look era
completato da un
brasiliano dello stesso colore e dallo smalto nero sulle unghie.
-
Oh, okay, beh… accidenti… i-io
no-non me l’aspettavo. – Lui arrossì,
colpito da un’improvvisa crisi di
balbuzie.
-
Ti dispiace?
Azzurra,
con un movimento secco del
capo, cercò di scansarsi i capelli dietro la spalla,
tentando di riprodurre il
fare da panterona consumata che aveva provato davanti allo specchio. Il
risultato fu un suono gutturale che fece aggrottare la fronte di
Achille, il
quale la guardava tra il famelico per il vestiario succinto e il
sorpreso per
quell’inedito comportamento da femme fatale.
-
Ce-certo che no.
Non
sapeva bene perché, ma
cominciava ad avere paura. Azzurra lo prese per mano e lo condusse fino
al
divano. Lo spinse affinché lui si sedesse con un tonfo sul
cuscino. Lasciò che
la vestaglia le scivolasse sulle spalle e le braccia, prima di cadere
sul
tappeto. Gli si mise a cavalcioni, cercando di baciarlo sul collo.
Achille alzò
di scatto la testa, che cozzò con il mento della ragazza.
-
Ahia, cavolo! Mi sono morsa la
lingua! – piagnucolò. – Scusa, Trent,
scusa!
Non
farti distrarre, Azzurra. Puoi farcela anche con la lingua dolorante.
-
Non importa, piccolo. – Gli disse
seducente.
Piccolo?
Che cavolo le era preso? Si stava palesemente facendo prendere troppo
la mano.
Per riconcentrarsi, Azzurra gli tolse, non senza una certa
difficoltà, il
maglione; la maglietta gli rimase incastrata in quei dannati riccioli e
lei
dovette dare uno strattone per liberarlo. Quasi cadde
all’indietro e solo i
riflessi pronti di lui le impedirono di rovinare sul pavimento a gambe
all’aria.
Si
ritrovarono improvvisamente
vicini, sul bordo del divano, lui a torso nudo, lei con quel babydoll
striminzito. Gli puntò un indice tra i pettorali e lo fece
indietreggiare, di
modo che la sua schiena aderisse alla seduta del sofà. Si
chinò a baciarlo
sulle labbra, gli spalancò le braccia perpendicolarmente al
corpo e cominciò a
tracciargli una scia con la lingua sulla pelle, dalla gola fino
a… più in giù,
insomma. Abbassò le mani fino ad afferrare la cintura dei
suoi pantaloni. Si
alzò in piedi e poi s’inginocchiò
davanti a lui.
-
Abiti ancora in via Matteotti?
-
Già.
-
Ti ricordi quella panetteria sotto casa tua dove compravamo i
maritozzi? Li
mangiavamo sempre dopo aver fatto l’amore.
-
Secoli fa.
-
Mi manchi, Achille.
Achille
guardò per qualche secondo
il soffitto, respirando rumorosamente. Non aveva idea di cosa lei
avesse in
mente. O meglio, lo sapeva fin troppo bene, così come sapeva
bene che non
voleva che la prima volta con Azzurra fosse… così.
Soprattutto non dopo quello che era successo la sera
precedente con Chantal. Afferrò con le mani il bordo
superiore dello schienale
del divano e lo strinse forte.
-
È tardi, ormai.
-
È solo mezzanotte e un quarto…
-
Intendo dire che è tardi per noi.
-
Dimmi che non mi vuoi.
Più
o meno inavvertitamente, iniziò
a pensare alla professoressa Savarese, all’abbigliamento di
Ingrid, il donnone
tedesco della banca, persino al chihuahua di
quest’ultima… avrebbe pensato a
qualsiasi cosa, perché era più facile cercare di
domare un’imminentissima
erezione, piuttosto che chiedere esplicitamente
ad Azzurra di non fare quello che lei si era così
magnanimamente offerta di
fare. E che cazzo, è contro natura chiedere ad una donna di
non farti un
pompino!
Achille, non
puoi.
-
Non sei sposato, non sei nemmeno fidanzato… non hai alcun
obbligo nei suoi
confronti. Nessun legame è per sempre.
-
Questo me l’ha insegnato tu.
-
Solo stanotte. Resta con me.
La
mano di lei era già ben oltre il
limite del punto di non ritorno, quando lui finalmente si decise a
fermarla.
-
Aspetta, Azzurra, aspetta.
La
prese per le braccia, la fece
alzare, ma lei non aveva intenzione di mollare. Non aveva passato dieci
ore al
computer per documentarsi su come sedurre un uomo per farsi rifiutare
al primo
tentativo. Diamine, poteva non avere il fisico di Bar Rafaeli o il sex
appeal
di Charlize Theron e, d’accordo, non aveva neppure il
bicchiere da champagne
gigante di Dita Von Teese, ma di certo non era la figlia di Fantozzi!
Perciò,
che Achille non facesse troppe rimostranze, perché quella
sera aveva intenzione
di stenderlo.
Lo
fece alzare a sua volta, lo
abbracciò e lo baciò, un secondo prima di cadere
a peso morto sul divano,
trascinandoselo addosso.
Savarese,
chihuahua, Ingrid, Moira Orfei, spiaggia di vecchie nudiste, Savarese,
chihuahua, clown, i clown! Quelli funzionavano sempre!
Achille
continuava a ripeterlo
all’infinito, nonostante fosse nell’unico posto in
cui da settimane sperava di
trovarsi. La desiderava e lei era calda e morbida sotto di lui. Era
come
l’aveva sempre creduta. Ma non poteva, non in quel modo, non
era giusto per
lei, né per lui.
Era
incredibilmente difficile
pensare a pagliacci e ad anziani svestiti, guardando Azzurra
strusciarsi contro
di lui. Senza preavviso, gli infilò una mano nei boxer.
Sussultarono entrambi, per
ragioni diverse.
-
Vuoi dirmi che non sarei dovuta tornare da te?
-
No. Sono contento tu sia qua...
Achille
stava per cedere, quella
tortura stava mettendo a dura prova i suoi nervi e non riusciva proprio
a
ragionare, con le mani di lei nei pantaloni: il sangue stava affluendo
dal
cervello verso altri lidi.
Azzurra
ritrasse subito le dita, il
secondo in cui realizzò la calma piatta – ma
proprio piatta – che regnava nel
bassoventre del riccio. Non si aspettava certo che l’albero
maestro fosse già
bello e pronto per navigare nei suoi mari, ma insomma, era mezza nuda,
lo aveva
toccato, palpato, strizzato, baciato, leccato… si era
persino inginocchiata
davanti a lui e non di sicuro per pregare insieme! E, in tutto questo,
lui
l’aveva scoraggiata, dissuasa e le risposte che le aveva dato
lasciavano molto
a desiderare… era evidente: Achille non la voleva da quel
punto di vista, o
magari addirittura da ogni punto
di
vista. Lui voleva la fottuta ciambella francese.
Se
lo scansò di dosso, raccolse la
vestaglia da terra e la rinfilò.
-
Credo dovresti andare, ora, – gli
disse sconsolata.
Lui
la guardò senza capire.
-
Cosa? Perché?
Il
sangue doveva essersi fermato
dalle parti dello stomaco, a metà strada tra la testa e
l’inguine, perché le
funzioni cerebrali e quelle genitali erano in grossa
difficoltà, ma, in
compenso, ad Achille era venuta una certa fame. Però Azzurra
non stava
scherzando.
Non
glielo aveva nemmeno detto e
lei già lo stava mandando via? Oddio, mica sapeva leggere
nel pensiero, vero?
-
Buon Natale, Achille. – Lei
strinse forte la cintura sulla vita. Lui tentò di
protestare, quantomeno di
avere delle spiegazioni, ma lei tagliò corto. –
Stammi bene.
Gli
aprì la porta ed abbassò lo
sguardo, in attesa che lui raccogliesse le sue cose e uscisse da quella
casa.
Azzurra
era delusa. Se ne stava sul
letto, a gambe e braccia incrociate, a fissare lo schermo spento della
tv
almeno da mezzora. Il cellulare era in modalità silenzioso
da due sere prima,
perché non ne poteva più di sentire il trillo di
un sms in arrivo o la voce di
Sting che la informava che c’era un Message
in a bottle. Lo aveva capito già alle prime cinque
chiamate di Achille. Non
era stata una grande idea quella di personalizzare la
suoneria… cominciava a
detestare quella canzone. Più di quanto già non
detestasse Achille. Ah, ma chi
ci pensava a quello? Se lui non si era eccitato con la performance di
lunedì
erano chiaramente – ed unicamente – problemi suoi.
Qualunque uomo avrebbe fatto
la fila per una come lei.
Sei
una bomba sexy, chiaro, Azzurra? Certo, potevi fare qualche prova in
più
davanti allo specchio e fare un movimento più sinuoso con il
collo per spostare
i capelli, ma… no. Sei una bomba sexy, punto e basta.
Magari
Achille era gay. Anzi, lo
era di sicuro, perché chi diamine oggigiorno rifiuta una
donna mezza nuda che
ti si offre come il gorgonzola sulla polenta? Un cretino, ecco chi.
Perché lei
era come Beyoncé, un po’ più bianca e
con meno sedere, come Shakira, ma senza
quella mobilità nel bacino… era come Shakira
incinta. Sempre bella comunque,
no?
Non
poteva permettere che quel
cretino gay di Achille Quaresmini mettesse in crisi la sua
indiscutibile
femminilità e avvenenza. Non appena si fosse fatta una
doccia e tolta il
camicione da novizia in convento gliele avrebbe cantate.
Salì in piedi sul
letto e si mise a cantare e ballare Single
ladies. No, doveva lavorarci ancora un pochino.
Non
poteva essere lei. Più Achille
guardava la ragazza in fila allo sportello della filiale,
più si convinceva che
non potesse essere proprio Azzurra. Sarebbe stato sperare troppo. Dopo
giorni e
giorni di chiamate rifiutate, ignorate, soliloqui limitati dai bip della sua segreteria telefonica ed
sms a cui non aveva mai ricevuto risposta, non c’era
possibilità che lei fosse
in carne ed ossa a qualche persona di distanza.
Achille
cercò di assecondare le
richieste dei clienti che precedevano la presunta Azzurra velocemente,
nonostante una signora anziana mezza sorda, un cinese che non conosceva
una
parola d’italiano, il computer impallato… Era una
strana sensazione, quella che
provava. Lei gli mancava. Azzurra sapeva essere saccente, dispettosa,
irritante, infantile, una vera spina nel fianco per dirla in breve; ma
era
anche una presenza costante, rassicurante. Gli venne da sorridere,
pensando ad
una puntata de La vita secondo Jim,
nel quale il protagonista si lamenta delle chiacchiere ininterrotte e
superflue
della moglie Cheryl, ma nell’istante stesso in cui lei
comincia uno sciopero
del silenzio, lui si rende conto che quei blateramenti che tanto lo
indispongono in realtà coprono un sacco di piccoli altri
rumori che lui odia.
Ecco, a lui mancava il chiacchiericcio di Azzurra in sottofondo, quei
fiumi di
parole spesso indirizzate a se stessa, perché lei riusciva a
coprire gli altri
piccoli rumori indesiderati di tutti i giorni. Lei,
non Chantal.
Congedò
rapidamente la coppia che
la precedevano con la scusa del computer bloccato e la vide.
-
Ciao, – le sorrise.
-
Signora, – disse lei rivolta alla
donna dietro di lei, con un inedito piglio determinato. – Le
consiglio di
cambiare fila. Sarà una cosa molto
lunga. Bene, buongiorno Achille. Sono venuta a discutere della tua
débâcle.
L’intera
fila di clienti dello
sportello di Brambilla si voltò verso di lei,
improvvisamente interessata.
-
Débâcle? Quando? – Domandò
confuso. Provò a rimettere insieme i pezzi
dell’ultima volta in cui si erano
visti. Dunque: casa sua, divano, babydoll – e chi se lo
scordava? –, lei
inginocchiata davanti a lui – questo non l’avrebbe mai scordato –, la sua mano
nei pantaloni, la Savarese, i clown… oh
cielo, no! No! NO! Azzurra pensava che lui non si fosse eccitato!
Effettivamente questo aveva molto più senso delle teorie per
cui lei fosse in
grado di leggere nel pensiero o che l’avesse cacciato di casa
perché spaventata
dalle enormi dimensioni del suo
armamentario.
-
Quando? Forse mi confondi con
Chantal.
Lo
dicevo che sapeva leggere nel pensiero!
-
No, Azzurra, lasciami spiegare.
-
Spiega, coniglio! – Urlò,
attirando l’attenzione anche dell’unico essere
umano nella banca che si era
fatto delle remore ad ascoltare così platealmente: Brambilla.
Achille
si guardò intorno, si
chiese quanto fosse appropriato discutere della propria vita sessuale
in mezzo
a clienti che vedeva più o meno ogni giorno e
optò per una soluzione
alternativa.
-
Ne parliamo stasera? Cena, da me.
-
Lo vede come fa, signora? –
Azzurra tornò a rivolgersi alla donna alle sue spalle.
– Fa l’ambiguo. Eppure
le ho provate tutte con lui! Avrebbe dovuto vedere il babydoll che ho
comprato
per lui: seta e corallini. Che diavolo dovevo fare? Mi sono persino
offerta di
fargli…
-
Azzurra! – La bloccò, prima che
scendesse in dettagli che lo avrebbero condotto dritto dritto al
licenziamento.
Doveva provare con la gentilezza. – Tesoro, ti prego, ti
chiamo più tardi. Ora
devo lavorare.
Lei
gli diede un’occhiata gelida.
-
Tesoro? Tesoro ci chiami Chantal.
– Si girò per l’ennesima volta
dalla signora. – È la sua ex francese.
La
Leone arrivò dagli uffici sul
retro ticchettando con le scarpe costose sul pavimento lucido della
filiale,
attirata dal trambusto agli sportelli. C’era troppo casino
perché fosse una
rapina e troppo poco trambusto perché fosse di nuovo quella
vecchia mezza sorda
che urlava come un’oca starnazzante.
-
Ehm… Quaresmini, che succede? –
Achille deglutì, pronto ad un’ennesima ramanzina.
Il fido Brambilla si premurò
di farle un accurato resoconto, fortunatamente dimenticando
la questione della débâcle. –
È una banca, per Giove,
non Uomini e donne. Fai venire la
tua
amica in ufficio, prima che gli altri clienti si mettano a fare gli
opinionisti.
Il
riccio fece segno ad Azzurra di
passare attraverso la piccola porta che conduceva sul retro. Lei fece
un po’ la
preziosa, s’intrattenne a parlare con l’ormai amica
signora Fappani che la
consigliò di risolvere, soprattutto perché doveva
andare a fare la spesa ed
andava di fretta. Il marito non stava bene e… purtroppo la
fine della storia
non l’avrebbe mai saputa, visto che Achille praticamente la
trascinò negli
uffici.
-
Uffa, che modi… –
Si lamentò lei. – Quello
cos’è?
Il
ragazzo diede un’occhiata rapida
a ciò che lei stava indicando e le rispose.
-
È un apparecchio che conta i
soldi.
-
Posso andare allo sportello a
toccarlo?
Eccolo
tornato, il ronzio di
sottofondo.
-
Ovviamente no.
-
Posso prendere l’acqua dal
dispenser?
-
È solo per gli impiegati, – le
spiegò.
-
Ho fatto davvero così pena?
Achille
tacque un istante. Impiegò
qualche secondo a capire con esattezza ciò che lei
intendeva, ma non gli servì
altro tempo per realizzare che era lei a non aver capito.
-
No, – si affrettò a dire. – No.
È
successo a causa mia.
-
Eppure mi ero esercitata tutto il
giorno! Ho guardato i film, letto le istruzioni, ho persino chiamato il
collega
di Dalila in ginecologia per delle delucidazioni tecniche…
non so cosa sia potuto
andare storto… o dritto, in questo caso.
C’era
qualcosa di estremamente
gratificante nel fatto che lei si fosse data tanto da fare per
risultare più
bella, più seducente, per piacergli, quando in effetti a lui
bastava pensare a
lei in pigiama e spettinata per sentirsi già su di giri. Ma,
di nuovo, non
voleva dirglielo così, in banca, con i clienti che se
avessero potuto avrebbero
appoggiato dei bicchieri contro il vetro per ascoltarli e che in
effetti erano
appoggiati al vetro a cercare di leggere il loro labiale.
-
Azzurra, mi sento davvero a
disagio a parlarne qui. Possiamo sentirci dopo?
Lei
si arrese. Annuì abbattuta; ci
aveva provato, in ogni modo immaginabile, però se lui non le
voleva tenderle
una mano, aiutarla, insegnarle come
poter stare insieme, allora non valeva nemmeno la pena continuare a
puntare i
piedi, insistere, ritentare, se il risultato era quello.
-
Ti lascio lavorare.
Achille
la osservò riattraversare
la porticina, ritornare nella stanzona dove tutti i clienti la stavano
guardando, neanche fosse una sfilata, ed entrare nella bussola.
Che
giornata di merda.
Aveva
voglia di urlare, di prendere
a testate quel pirla di Brambilla già solo per la tua
esistenza, sputare in un
occhio alla Leone che, neanche a farlo apposta, lo stava fissando,
scuotendo il
capo.
Cazziatone
in tre, due, uno…
-
Quaresmini, potevi baciarla,
santo cielo! – Il riccio rimase sconvolto: che la regina
delle acide avesse un…
cuore? – Così i nostri clienti si sarebbero
dimenticati dell’abbassamento del
tasso d’interesse sui conti!
No.
Quella aveva un caveau, invece
del cuore.
Afferrò
il cellulare, cercò
freneticamente un numero di telefono e avviò la chiamata.
-
Sergio? Ho bisogno di un favore.
Non era mai stato allo
StudioLab. Era una costruzione
moderna, su più livelli, dipinta di un bianco pulito ed
elegante. Sulla
facciata c’erano una miriade di finestre e, dietro una di
quelle, c’era
l’ufficio di Azzurra. Non aveva idea di quale fosse, ma gli
sarebbe piaciuto
vederla all’opera.
Achille
consultò l’orologio: le
17.30. Se Sergio era riuscito a trattenerla mezzora in più
del consueto, allora
il piano era perfetto e lei sarebbe uscita entro pochi minuti.
Cominciò a
passeggiare nervosamente sul marciapiede antistante
l’edificio; non si sentiva
così dall’ultimo colloquio di lavoro che aveva
fatto. Dio, quell’attesa era
peggiore dell’agonia durante la finale degli europei di
calcio… perlomeno fino
a quando l’Italia non aveva cominciato a prendere goal.
Iniziò
a contare i mattoni a vista
sulla facciata dello studio, i cartelli stradali della via, il numero
di
passanti in sessanta secondi; la matematica aveva il potere di
calmarlo,
renderlo lucido, aiutarlo a ragionare. Ma chi cazzo se ne fregava dei
trentaquattro mattoni, otto lampioni e cinque passanti?
-
Che ci fai qui? – Oh, il ronzio
familiare! Azzurra era piena di borse, borsette e borsine e rotoli di
carta, di
progetti e di stizza. – Hai sbagliato strada?
Procedette
a fatica, in mezzo
all’asfalto del vialetto e all’erba del giardino
intorno allo StudioLab.
-
Ti ho promesso una cena da me,
stasera, – rispose calmo.
-
Non posso, – lo liquidò lei. –
Devo lavorare.
-
Ti aiuto, – si offrì, pur sapendo
che al massimo poteva fare la punta alle matite, se gli architetti
ancora le
usavano. Azzurra aprì con il telecomando la propria auto e
rovesciò tutto ciò
che aveva tra le mani e le braccia nel portabagagli. – Non
accetto un no come
risposta.
-
E a che ora sarebbe?
Glielo
aveva chiesto così, non
aveva intenzione di presentarsi a casa sua; voleva solo illuderlo che
ci stava
seriamente pensando. Era prontissima a dargli buca all’ultimo.
-
Ora. – Beh, questo complicava un
po’ le cose… – Chiudi la macchina e
vieni con me.
No,
Azzurra, no. Se proprio ci vuoi andare, vacci con la tua auto.
Perché a) sta pensando
che ti porterà a letto e dormirai da lui; b) sta pensando
che ti porterà a
letto e poi dovrai prenderti un taxi; c) sta pensando di portarti a
letto e ti
abbandonerà per strada.
-
No, prendo la mia.
Poteva
sempre cambiare strada,
perdersi accidentalmente, dimenticare l’indirizzo di casa
Quaresmini per un Oblivion
autoinflitto. Cose che
capitano.
-
D’accordo, ti seguo.
Ah,
bastardo! Non è che sapeva
leggere nel pensiero? Pazienza, sarebbe andata da lui e gli avrebbe
fatto
passare una serata noiosissima a base di gossip, televisione
spazzatura, film
sdolcinati, roba da femmine.
-
Ripetimi ancora perché stiamo
facendo uno schizzo dell’albero di Natale, invece che farlo
fisicamente…
Disegnare
un abete, palle e addobbi
natalizi per due ore e trentasette minuti non era precisamente
ciò che aveva in
mente di fare con Azzurra. Ma, da cavalier servente, si era offerto di
aiutarla
e non osava proporre attività alternative.
-
Te l’ho detto: faccio l’albero il
5 di Gennaio, – gli rispose, colorando gli aghi
dell’albero. Uno ad uno.
-
E il senso di questa cosa? –
Cercava di essere delicato, però di fronte ad una tale
insensatezza, le buone
maniere venivano un po’ meno.
-
Perché così il 6, quando lo dovrò
disfare, non avrò avuto tempo per affezionarmici,
– gli spiegò per la terza
volta, sempre più saccente.
-
Giusto. – Achille disegnò
l’ennesima stellina sull’ennesima stupidissima
palla e decise che poteva
bastare: era ora di fare l’uomo, magari meglio di come
l’aveva fatto a casa di
lei. – Ehm, dovremmo parlare, Trent. Se lunedì non
è… andata come speravamo,
non è stato…
-
Una ciambella, – lo fermò lei,
sbattendo la matita colorata sul tavolo.
-
Cosa?
-
È perché non sono una ciambella
grondante crema pasticcera, gelato e panna montata, lo so. Io sono un
Oro
Saiwa.
A
lui piacevano gli Oro Saiwa.
Erano un’ottima base per il cheesecake e lui avrebbe venduto
l’anima per
mangiarne una fetta in quel momento. Magari sul corpo di lei,
perché era
tornato quel tono da maestrina così fastidioso e sgarbato.
La cosa lo elettrizzava.
-
Non sei un biscotto secco,
Azzurra, – la calmò. – Sei bella, dico
davvero. E mi piaci, tanto. Non voglio
che pensi neanche per un istante che non ti trovi sexy o che non vorrei
fare
l’amore con te. È solo che mi hai colto di
sorpresa, non me l’aspettavo, forse
non ero nemmeno pronto.
-
Beh, quello l’avevo capito, – mugugnò
imbronciata.
Achille
ignorò il colpo basso e proseguì con il discorso
in sua difesa.
-
La verità è che quella domenica
mi hai piantato in macchina, furiosa per via di Chantal e il giorno
dopo mi sei
saltata addosso non appena varcata la porta di casa tua, con indosso un
babydoll e poco altro. Magari in una situazione normale non ci avrei
pensato
due volte e l’avremmo fatto subito, sul divano; ma so che
stavi aspettando il 20
Dicembre… Non voglio che tu venga a letto con me soltanto
perché ti senti
minacciata da lei.
Azzurra
si voltò oltraggiata verso
di lui, balzando in piedi.
-
Io? Minacciata da quella? –
Achille la guardò severo e lei si sentì
sovraesposta. – D’accordo, forse ho
forzato un po’ la mano. È che mi sentivo in
svantaggio.
-
Perché sono stato con lei e non
con te? E volevi pareggiare i conti? – Qualche
giorno prima sembrava un’idea intelligente…
– Per quanto questo un po’ mi
lusinghi, non è una competizione. Non sceglierò
tra te e lei in base a quanto
ci sapete fare tra le lenzuola. Non sceglierò e basta. Se
insistete, però…
ricordo bene quanto tu sia brava ad insistere.
Si
alzò anche lui, raggiungendola
vicino al divano. Ricordarle uno dei loro piccoli bisticci al
supermercato la
stava facendo sorridere.
-
Ti ho mai parlato della mia
grande abilità nell’evirazione? –
replicò piccata.
Le
mise le mani sui fianchi e la
girò verso di sé. Lei si lasciò
manovrare come una bambola.
-
Trent, hai ragione quando dici
che conosco lei più di quanto conosca te. Ma la conosco
abbastanza da sapere
che non mi piace, non m’interessa.
-
E io?
Ronzio.
La
ragazza spavalda e arrogante
aveva lasciato il posto ad una indifesa ed insicura.
-
Prima devo portarti a letto, sai
com’è… –
sdrammatizzò, prima di tornare serio. – Azzurra,
abbiamo il potenziale
per essere felici per sempre, quanto per ferirci a vicenda e odiarci
fino alla
morte. Non so come andrà tra di noi. Tempo al tempo.
Lei
gli girò il polso per guardare
l’orologio. Forse l’aveva preso un po’
troppo alla lettera.
-
Vuoi andartene di già? – chiese,
timoroso della risposta.
-
No, stavo guardando che giorno è.
Era
il 19 Dicembre, Achille lo
sapeva bene, stava praticamente facendo il conto alla rovescia fino al
20, e
non di certo perché temesse che qualche sciocca profezia
Maya si avverasse, ma
perché Azzurra aveva scelto quella data ed era
così testarda che non l’avrebbe
cambiata. Il che significava che lui aveva ancora un giorno per dirle
tutta la
verità, prima di corrompersi al punto che lei non lo avrebbe
voluto rivedere
mai più.
-
Azzurra…
Lui
prese coraggio, ma lei prese
l’iniziativa. Lo guardò negli occhi,
afferrò i due lembi della giacca del
completo che lui indossava e gliela sfilò. Fece scivolare la
propria mano sulla
cravatta e lo tirò per avvicinarlo a sé. Erano
giorni che non si baciavano, non
si toccavano
ed
entrambi sapevano quanto
importante ciò fosse all’inizio di una relazione,
quando non ci si conosce, ma
si vuole imparare a farlo. E lei aveva deciso che non gli importava di
date,
fine del mondo, stronze d’Oltralpe, sorelle ficcanaso.
C’erano lei ed Achille,
punto.
Lo
baciò senza delicatezza, con una
foga che cozzava con i movimenti delicati delle dita attorno al suo
collo, sul
petto, pronte a svestirlo con una lentezza disarmante ed esasperante.
Gli
allentò il nodo della cravatta affinché potesse
sfilarla dalla testa, dandogli
una pausa da quel bacio che li stava lasciando a corto di fiato.
Azzurra
cominciò a sbottonare piano
la camicia di Achille. Dal canto suo, lui non osava toccarla; non
voleva
spogliarla, l’avrebbe reso vulnerabile e poco lucido,
rischiava di non avere il
coraggio necessario per parlare.
-
Azzurra… –
sussurrò, mentre lei ancora continuava a
slacciargli la camicia.
-
M-hm? – gli rispose distrattamente,
lo sguardo fisso sul corpo nudo di lui che stava scoprendo sotto il
tessuto.
Achille
deglutì a vuoto un paio di
volte, poi le prese le dita piccole e sottili tra le sue mani grandi e
le
immobilizzò contro il proprio sterno.
Azzurra
avrebbe voluto dire
qualcosa di assolutamente seducente e altrettanto imbarazzante imparato
su
qualche numero di Cosmopolitan, ma
il
viso turbato di lui la fece desistere; aveva imparato che lui era un maschio strano e non reagiva come gli
altri a certe provocazioni. Si doveva scongiurare il rischio cilecca.
-
Devo dirti una cosa… – Oh mio
Dio, era davvero gay. O sposato. Cielo, un gay sposato? Un prete. Un
frate. Un
ricercato. Un terrorista. Un terrorista gay sposato in seminario.
– Domenica
sera, dopo che te ne sei andata, sono uscito con Fabrizio… e
l’ho vista.
Dopo
la prima parte della frase,
aveva creduto davvero che lui stesse per fare coming out, ma quella a alla fine dell’ultima parola
aveva
messo in crisi l’intera teoria. Vista.
Escludendo l’ipotesi che lui si premurasse tanto di
comunicarle il fortuito
incontro con sua sorella, sua nipote o una qualsiasi amica,
l’unica opzione
rimasta era la crêpe avariata appena giunta in
città.
-
Chantal? – Il tono interrogativo
tradiva in realtà la matematica certezza di aver indovinato.
Achille
infatti annuì, abbassando
lo sguardo.
-
Si è seduta al nostro tavolo, ci
siamo messi a parlare…
Chissenefrega!
Azzurra decise che
la descrizione della serata fosse necessaria e giunse al dunque.
-
Ci sei andato a letto?
-
No. – rispose subito.
Azzurra
tolse le mani da quelle di
lui e fece un passo indietro.
-
Avresti voluto? – Lui, ormai con
le dita libere che non sapeva dove appoggiare, finì per
passarsele fra i ricci
disordinati. – È una domanda facile, Achille.
Purtroppo
stavolta il ronzio non
era positivo. Ne era conscio, non sempre gli sarebbe piaciuto
ciò che lei aveva
da dire. Certe volte l’avrebbe ignorata o finto di non
ascoltarla, ma voleva
quel dannato ronzio ed era arrivato il momento di prenderselo.
-
Con lei sono ancora il ragazzino
di ventitré anni inesperto che non sa cosa vuole dalla vita
e che ha bisogno di
qualcuno a cui appoggiarsi per non cadere. Ho la presunzione di credere
di
essere cresciuto, o comunque di star ancora crescendo e ora so cosa
voglio: non
voglio più sentirmi in quel modo. Non ho bisogno
di qualcuno che mi faccia sentire in quel modo. Sì, una
parte di me potrebbe
aver desiderato fare sesso con lei, per quello che è stata,
per cosa ha
rappresentato. – Prese fiato e seguì con gli occhi
Azzurra che si stava
spostando fino a guardare fuori dalla finestra. – Non posso
estirpare il
ragazzino ventitreenne da me, vorrei, ma non posso. Ci sto lavorando.
Azzurra
guardò attraverso le tende
leggere ed i doppi vetri: fuori c’era buio. Le sporadiche
macchine che
passavano nella stradina dietro l’abitazione di Achille
scorrevano accanto ai
vialetti dei vicini, decorati ed illuminati da fili di luci colorate.
-
Non è successo niente? Avete
solo… parlato?
Il
riccio guardò la schiena della
ragazza ormai lontana da lui e decise che tanto valeva farsi avanti
vuotare il
sacco.
-
Mi ha baciato, – confessò.
Gli
occhi di Azzurra schizzarono
fuori dalle orbite e in un attimo si girò verso di lui.
-
Quella z… zavorra!
– si corresse all’ultimo. – E tu sei
stato lì, a farti
sbaciucchiare come un mammalucco?
-
No, mi sono tirato indietro. Te
lo giuro, Azzurra.
Voleva
tranquillizzarla,
rassicurarla, ma era come se avesse acceso la miccia di una bomba piena
di
domande e ora fosse costretto a subirle tutte.
-
Perché non ci sei andato a letto?
Se
l’era chiesto anche lui, a bordo
dell’auto di Fabrizio, mentre tornava a casa, poi nel letto
in casa sua, e
ancora in ufficio. La verità era che più ci
pensava, più gli venivano in mente
ragioni per cui aveva fatto bene ad andarsene. Ma bastava ricordare il
passato
– come si sentiva con Chantal –, bastava riflettere
sul futuro – come si
sarebbe sentito con Azzurra pochi giorni –, bastava vivere il
presente – come
si sentiva senza una e senza l’altra – e tutto
sembrava essere come avrebbe
dovuto.
-
Perché non era giusto, – rispose
semplicemente.
-
Per chi?
Achille
scrollò le spalle.
-
Per te, per me, per lei. Ci tengo
a te, anche se al momento ti è difficile crederlo.
-
Okay. – Il riccio fece una
smorfia imperscrutabile che spinse Azzurra a spiegarsi meglio.
– Ti credo.
Lei
gli credeva. Così, senza il
bisogno di chiedere delucidazioni o di approfondire
l’argomento. Si fidava,
insomma. Bene. Era una bella cosa, giusto? Achille ci pensò
un attimo e non
capì. Azzurra era una donna, e in quanto tale, dietro ogni
sua parola
apparentemente innocua per l’intero universo maschile celava
un immenso mondo
di trappole e significati oscuri. Per quanto tutto ciò
potesse sembrare
paradossale, era lui a non fidarsi del fatto che lei si fidasse.
-
Sul serio? – osò domandare. – Non
per tirarmi la zappa sui piedi, ma mi aspettavo che dessi fuori di
matto e
bruciassi la bandiera francese o mi rasassi i capelli a zero.
Lei
lo guardò sorpresa e
infastidita.
-
Sono una signora, Achille. Le tue
insinuazioni mi offendono.
Ogni
uomo dotato di una buona dose
di raziocinio a quel punto avrebbe taciuto, si sarebbe dato un cinque
da solo e
avrebbe ringraziato tutti gli dei protettori della casa e del focolare
di aver
superato indenne una tale prova. Ma ad Achille Quaresmini le cose
facili non
erano mai piaciute.
-
Hai montato un caso
internazionale per due pesche e un’albicocca, sono solo
stupito che tu ti stia
rivelando così comprensiva…
Azzurra
gli lanciò un’occhiata
scocciata e cominciò a tamburellare sul pavimento con il
piede, indecisa se
dargliela vinta o continuare con quella mezza farsa.
-
Lo sapevo, okay? – sbottò
all’improvviso. – Sapevo del vostro incontro.
-
Come?
La
domanda del riccio si collocava
a metà tra un “In che
modo potevi
saperlo?” e un “Scusa,
puoi ripetere?
Devo aver capito male”. Purtroppo per Azzurra, lui
aveva capito bene e lei
stava per fornirgli la risposta al primo quesito.
-
Potrei aver chiamato Fabrizio e
lui potrebbe avermi scambiato per tua sorella, – disse vaga.
-
Potrebbe?
-
Deve avere mal interpretato le
mie parole, – spiegò.
-
Quali?
-
Tipo “Ciao Fabrizio, sono Elettra”…
Achille
le sorrise divertito.
Adesso gli era chiaro perché lei diceva di fidarsi di lui;
con le dovute
precauzioni e indagini preliminari, pure l’apostolo Tommaso
si sarebbe
ricreduto.
-
Beh, ora capisco come possa
essersi confuso…
-
Avevamo litigato, non rispondevi
al cellulare, Chacquetta era
tornata
in città, stavo solo cercando di preservarti dal fare un
errore gigantesco.
Oh,
certo, si era spacciata per sua
sorella per evitare che lui finisse in una situazione compromettente
con la sua
rediviva e recidiva ex.
-
Quindi non è perché non ti
fidavi… –
suppose.
-
Era più una cosa
patriottica, –
lo informò lei, persuasa
dalle sue stesse parole, – non mi piacciono i francesi. Ci
hanno rubato la
Gioconda!
-
Non credo sia stata Chantal a
commettere il furto.
-
Che fai, ora? La difendi? E prova
a nominarla un’altra volta e vedi cosa succede ai tuoi amati
ricci.
-
Hai ragione, Chantal. Oh, scusa,
intendevo dire Azzurra!
Lei
lo gelò all’istante con due
occhi arrabbiati e Achille comprese che lo scherzo era finito.
-
Non sapevo del bacio, solo
dell’incontro, – continuò lei.
– E la cosa mi ha fatto diventare parecchio
territoriale ed è per questo che ho tentato, molto bene
aggiungerei, di sedurti
con il babydoll e il resto. Ma sai, poi ci sono stati quei problemi
tecnici…
-
Non c’è alcun problema tecnico!
C’ero solo io disperato e eccitato come un criceto che
cercavo di rispettarti.
Non volevo farlo con te prima di averti parlato di questa storia.
Lei
bofonchiò uno ‘speriamo’
contro il vetro appannato,
che lui non si lasciò sfuggire. La raggiunse accanto alla
finestra, però si
limitò a starle dietro, a debita distanza. Era il suo modo
di dirle che era una
sua decisione scegliere se averlo vicino o meno, ma, in ogni caso, lui
ci
sarebbe stato. Nessuna pressione.
-
Hai fame? – cambiò argomento,
dirigendosi verso la cucina. Aveva notato come le sue spalle si fossero
irrigidite, l’imbarazzo era palpabile. – Sono le
otto passate e ti avevo
promesso una cena, perciò…
-
A dire il vero, no. Posso usare
solo un secondo il bagno? – gli chiese lei, la confusione che
lui avrebbe
potuto tranquillamente sul suo viso, se non si fosse rifugiato con la
testa nel
frigorifero, in teoria a cercare qualcosa da mangiare, in pratica per
sfuggirle.
-
Certo, figurati. Ricordi dov’è,
no?
Avvertì
il rumore della porta in
fondo al corridoio e comprese che sì, a quanto pareva lo
ricordava. Ritirò la
testa dal frigorifero e lo chiuse, domandandosi per quale oscuro motivo
le cose
dovessero essere così maledettamente complicate. Si era
tolto un peso, raccontandole
di Chantal, ma a che prezzo? Una serata di disagio totale, lui
barricato in
cucina, lei nel bagno. Aveva bisogno di zuccheri. Aprì la
biscottiera e vi
rinvenne tre Gocciole: se le
sarebbe
fatte bastare. Una sbirciata sulla superficie riflettente del forno gli
rimembrò la camicia sbottonata che, se nella condizione di
prima poteva
conferirgli un non so che di sexy, ora lo faceva sembrare un tronista
tamarro
in vacanza in Costa Smeralda. Si avviò verso la propria
camera da letto;
sentiva il bisogno di cambiarsi, indossare qualcosa di più
comodo del completo
da bancario serio e topo di biblioteca.
Doveva
ammettere che il confronto
era piuttosto impietoso: Azzurra era molto più brava a
sbottonargli la camicia…
potendo scegliere, lo avrebbe fatto fare sempre a lei. Si tolse pantaloni e calze e li
buttò sulla poltrona
nell’angolo. Aprì l’armadio e
cominciò a cercare un paio di jeans e un
maglione, ma una mano gelata poggiata sulla schiena lo fece saltare
dalla
sorpresa e dal freddo. Per poco non picchiò il naso contro
lo scaffale in alto
delle magliette.
Azzurra
rise a crepapelle e quel
suono fece comprendere al riccio che forse c’era ancora
speranza che la serata
non si concludesse con una stretta di mano e false promesse di
rivedersi.
-
Vedo che mi hai già tolto il
piacere di spogliarti… – ammiccò lei.
Ehm…
cosa era successo nel bagno?
Droga? Magia? Achille non sprecò nemmeno un momento a
domandarsi il motivo di
tanta fortuna.
-
Veramente mi stavo cambiando, ma
vedo che la tua mente pervertita ha subito pensato che mi stessi
offrendo. –
Azzurra lo guardò stupita. – E non fare quella
faccia, sei tu quella ad essere
entrata di soppiatto in camera mia.
-
Hai lasciato aperta la porta, –
gli fece notare. – Era un chiaro invito ad entrare. Ma se
così non è…
Gli
diede ad intendere che se lui
non gradiva la sua presenza, lei non si sarebbe fatta problemi ad
andarsene.
Lui l’afferrò per un braccio, un attimo prima che
lei si girasse per uscire.
L’avvolse in un abbraccio e lei si lasciò
coccolare, mentre il suo cuore
cominciava a battere più forte. La stringeva così
forte che ad Azzurra venne
voglia di non andarsene più, né quella sera,
né mai.
Achille
era caldo, nonostante non
indossasse che un paio di boxer e fosse scalzo sul pavimento freddo. Si
godettero quel momento di calma, dopo giorni di tempesta ed
incomprensioni. Lui
le scostò i capelli dalle spalle e parve ricordare solo in
quel momento che lei
era ancora vestita. Purtroppo. Doveva rimediare. Le bloccò
la nuca con una mano
e la bacio sulla bocca: ora che ce l’aveva tra le braccia,
non l’avrebbe fatta
scappare, né in bagno, né altrove. Si
spostò sulle guance, sulla fronte, perché
Azzurra era bollente e lui aveva un disperato bisogno di
calore… la vide tenere
gli occhi bassi e poi chiuderli, le labbra semiaperte e la testa
leggermente
reclinata indietro. A ben pensarci, si stava scaldando da solo.
Azzurra
rimase così per qualche
secondo, in attesa un morso, analogo a quello che Diana aveva rifilato
ad
Achille, perciò aspettò che arrivasse il dolore,
ma lui si limitò a posarle un
bacio leggero sulla punta del naso. Si sorrisero a vicenda e lui fece
per
toglierle il cardigan, ma lei lo bloccò. Il riccio la
fissò disorientato – se
aveva cambiato idea a quel punto era disposto anche ad implorarla
–, ma Azzurra
lo fissò negli occhi con tutto il candore di cui era capace
e se lo sfilò da
sola. Aprì la zip a lato dell’abito verde scuro
che indossava, scostò le
spalline e lo fece scendere lungo le gambe, insieme ai leggins.
Era
il suo modo di fargliela
pagare: lui l’aveva privata del piacere di svestirlo poco
alla volta e ora
avrebbe scontato la pena, guardando lei fare altrettanto.
Forse
non si rendeva conto di
quanto la cosa potesse essere ugualmente eccitante agli occhi di
Achille. Una
donna che si levava gli abiti per lui era comunque un bel successo.
-
Beh, non è il babydoll dell’altra
sera… – alzò le spalle e finse di
essere deluso dal semplice e discreto intimo
nero che Azzurra indossava.
-
Beh, l’altra sera non ha
funzionato. E non parlo solo del babydoll,
– gli rispose a tono.
Lui
si avvicinò di nuovo, punto
nell’orgoglio da quel continuo alludere ad una sua
– e l’avrebbe ribadito fino
alla morte – presunta
morte del
cigno. Cercò la bocca della ragazza e giocò con
la sua lingua, stringendola a
sé, ora che entrambi erano mezzi nudi e accaldati. La fece
indietreggiare fino
a farla sedere sul letto e continuò a baciarla mentre lei si
stendeva sotto di
lui. Percorse con una mano e con le labbra una linea immaginaria dalla
gola al
bordo degli slip di Azzurra, attraverso l’incavo dei seni e
l’ombelico. Le
divaricò appena le gambe, abbastanza perché la
ragazza andasse in
iperventilazione all’idea di vedere – finalmente!
– quei benedetti ricci
in mezzo alle cosce. Trattenne il fiato nell’istante in cui
Achille le leccò e
mordicchiò delicatamente l’interno coscia, non le
sembrava di aver mai atteso
qualcosa con tanta impazienza. E quando il suo tocco sparì,
così,
all’improvviso, proprio nel momento in cui lei credeva di
liquefarsi sulla
trapunta a righe, sentì il proprio piede muoversi. Si
sollevò quel poco per
puntellarsi sui gomiti e capire dove fosse finito Achille; lo
trovò intento a
disfare il piccolo fiocco che lei aveva fatto alle stringhe delle
francesine
che portava.
Francesine?
Le
avrebbe buttate.
Lui
ripeté l’operazione anche con
l’altra scarpa, mentre Azzurra lo fissava sbigottita, le
guance in fiamme e
nulla da dire, perché qualsiasi cosa le sembrava troppo
stupida, troppo
volgare, troppo imbarazzante. Achille la osservò di
sottecchi e poi scoppiò a
ridere.
-
Che ti aspettavi, signorina? – La
prese in giro.
Azzurra
diventò rossa di vergogna,
ma non si perse d’animo: si mise a sedere, si
sganciò il reggiseno e lo fece
cadere sul letto. Achille rimase di stucco; si sforzava di sostenere la
sua
espressione di sfida, ma lo sguardo continuava imperterrito a cadergli
sul seno
scoperto della ragazza.
-
Che aspetti, Achille? – lo
canzonò. – Oh, finalmente c’è
un po’ di vita in quei boxer! Cominciavo a
perdere le speranze…
Il
riccio non ebbe bisogno di
controllare che ciò che Azzurra aveva appena detto
corrispondesse alla realtà.
La sgradevole sensazione di essere alle strette non era dovuta solo al
fatto
che il comando della situazione fosse tutto nelle mani di lei, ma era
anche
fisica. E riguardava l’unico indumento che ancora aveva
addosso. Si abbassò le
mutande con nonchalance ed emulò il gesto di poco prima di
Azzurra, gettandole
a terra. Ma lei era molto più brava nel gioco di non
distogliere gli occhi dal
suo viso. Scivolò sul bordo del letto e si alzò
in piedi, decisa a levarsi a
sua volta gli slip.
Achille,
però, la fermò. Poteva
dargliela vinta su tante cose, ma non su quello. Sostituì le
dita di lei con le
sue e accompagnò l’ultimo indumento rimasto a
separarli fino al parquet. Lei si
adagiò sul letto e lui la coprì con il proprio
corpo. Ripresero a baciarsi e
toccarsi con frenesia, rotolandosi sulla trapunta, ingarbugliandosi nel
lenzuolo e tra le gambe dell’altro.
-
Un’ultima cosa, – esclamò lei,
interrompendo una lunga sequenza di carezze più o meno
lecite. – Non credo di
poter reggere altri preliminari. Due mesi sono sufficienti.
Il
riccio le sorrise. Okay, sapeva
leggere nel pensiero.
-
Grazie a Dio.
Allungò
il braccio fino al comodino
e ne trasse una scatola di preservativi. Ne estrasse uno e ne
strappò con i
denti la carta argentata. Per non lasciare silenzi imbarazzanti durante
tutte
quelle operazioni, non perse occasione per fare il cretino.
-
Se fossi un tipo vanitoso, ti
farei notare come tutto funzioni
perfettamente in me… – scherzò, ma non
troppo.
Azzurra
roteò gli occhi e se lo
trascinò addosso, aiutandolo a sistemarsi tra le sue gambe.
Achille entrò in
lei con delicatezza, dandole il tempo di abituarsi a
quell’intrusione, ma non
fu altrettanto clemente con le spinte successive, quando
sentì la necessità di
farle capire quanto lei fosse desiderabile anche senza babydoll e
ninnoli vari
e soprattutto di dimostrarle che la sua virilità non aveva
nulla che non
andava.
Lei
lo lasciò fare, fino a quel
momento aveva giocato con lui, ma sapeva che voleva essere lui a
condurre i
giochi e lei aveva tutte le intenzioni di permetterglielo. Lo
assecondò nei movimenti
e nei gemiti, negli affondi e nei sorrisi di complicità
appena accennati, a
fior di labbra.
Azzurra
aveva i piedi gelati e
naturalmente li aveva infilati entrambi tra le sue gambe, facendogli
venire la
pelle d’oca. A dirla tutta, aveva anche il respiro pesante. E
pesante era un
eufemismo: sembrava di avere accanto un rinoceronte.
Ronzii.
Si
erano appisolati poco dopo aver
fatto l’amore, sopraffatti dalla stanchezza, dallo stato di
assoluto relax e
tepore, sotto le coperte invernali. Secondo la sveglia sul comodino,
dovevano
aver sonnecchiato per un’oretta, ma adesso, con quei
ghiaccioli conficcati
nelle cosce, il corpo di Azzurra spiaccicato lungo il fianco e la sua
mano
spalmata in faccia, dormire appariva impraticabile.
Le
passò le dita tra i capelli,
accarezzandoli delicatamente. Cercava di essere tenero e se nel
frattempo lei
avesse smesso, per pura fortuna, di russare come un ferrotranviere
siberiano,
tutto di guadagnato. Azzurra emise un suono che gli parve un miagolio,
poi si
stirò e sbadigliò, avvinghiandosi a lui come un
babbuino. Oh, che sensazione
celestiale: si era coricato con una donna, si ritrovava con un incrocio
tra una
scimmia e un gatto.
-
Ehi, Pisolo. – le sussurrò.
Lei
impiegò qualche istante a fare
mente locale: era nuda, in un letto altrui e sentiva
l’impellente bisogno di
andare in bagno e sistemare l’impiastro là sotto.
-
Che ore sono? – bofonchiò.
-
Tardi per andare a casa. Resti
qui con me, – le rispose Achille. In realtà non
erano che le 21.30, ma lei mica
lo sapeva.
-
Mi stai sequestrando? – domandò
sospettosa, puntellandosi con un gomito sul cuscino per guardarlo
dritto in
faccia. Il riccio la imitò e si trovarono così
faccia a faccia.
-
Sì, – rispose sorridente.
Lo
sguardo di Achille scivolò nel
punto in cui il lenzuolo e la trapunta rimanevano tesi, incapaci di
nascondere
il petto di Azzurra; si congratulò per il proprio occhio
clinico: terza
coppa b confermata. O forse ci voleva
un ulteriore controllo…
Le
destinatarie di tante attenzioni
vennero prontamente coperte sotto il piumone dalla loro proprietaria.
Achille
sorrise, consapevole di essere stato beccato in flagrante, ma per un
paio di
tette, questo e altro.
-
Ho già individuato una mezza via
di fuga in bagno, – lo informò Azzurra.
-
Quindi è questo che è successo
prima!
Droga
e magia, però, sarebbero
stati più divertenti.
-
Ho provato a scappare dalla
finestra, ma era troppo piccola, perciò ho pensato che
l’unico modo di fuggire
fosse fare sesso con te.
Achille
tornò a sdraiarsi e si
finse addolorato da una tale esternazione.
-
Quanto romanticismo, Trent!
La
ragazza fece spallucce.
-
Uno dei due dovrà pure
dimostrarne un po’…
Lui
la trascinò addosso a sé, le
stampò un sonoro bacio sulla tempia e le morse un orecchio.
-
Mi sei mancata in questi giorni.
Lei
cercò di divincolarsi e roteò
gli occhi.
-
Non fare lo sdolcinato, ora! – lo
rimbrottò.
-
Sdolcinato? Azzurra, il mio cuore
si è fermato nel momento stesso in cui sei corsa via da me,
oh mio raggio di
sole. I tuoi occhi sono gemme preziose, i tuoi seni due tondi perfetti,
la tua
pelle è di seta. Stellina mia, staremo insieme per sempre,
perché la mia vita
senza te non vale nulla. Faremo l’amore in tutti i luoghi e
in tutti i laghi,
in tutto il mondo e l’universo…
Azzurra
si tappò le orecchie per
non ascoltare quello strazio smielato con cui Achille la stava
prendendo in
giro.
-
Basta! – gridò, ma lui non si
scoraggiò e proseguì la sua altisonante
dichiarazione degna di un Harmony.
-
Sei il mio apostrofo rosa, il mio
amor ch’a nullo amato amar perdona, l'Amore che è
tutto e che è tutto ciò che
sappiamo dell'Amore, perché sei il mio essere speciale ed io
avrò cura di te!
Azzurra
stava ridendo senza
contegno, mentre lui le urlava nell’orecchio e le faceva il
solletico per
convincerla a starlo a sentire.
-
Ma di che diavolo stai parlando?
– ridacchiò.
Achille
le bloccò le braccia e
gambe con le sue e le disse, fintamente serio.
-
L'amore è non sapere di cosa si
sta parlando, – recitò lui.
La
ragazza alzò un sopracciglio e
provò ad indovinare l’autore della citazione.
-
Nicholas Sparks? Winston Churchill? Socrate?
-
Lucy Van Pelt.
I
Peanuts. Lui aveva appena citato i Peanuts, con lo stesso pathos con lui
l’avrebbe fatto con un grande
poeta romantico. Azzurra gli diede un pizzicotto sul braccio a cui lui
reagì
con un esagerato urlo di dolore e di lamentele. Achille fece per
brontolare, ma
lei lo baciò, prima che lui potesse arrivare anche solo ad
aprire bocca.
-
Zitto e coccolami, scemo.
-
Vuoi dirmi che non sarei dovuta tornare?
-
No. Sono contento tu sia qua. Se non l’avessi fatto,
probabilmente mi sarei
chiesto per sempre se stavo vivendo ancora nel tuo ricordo, aspettando
un tuo
ritorno. E la risposta è no.
-
Non è la risposta che mi aspettavo.
-
È l’unica che avrai, Chantal.
Nascosto
sotto il piumone fin sopra
alla testa, Achille Quaresmini aveva sonno. Tanto sonno. Azzurra gli
aveva
riservato una sinfonia di Natale a colpi di ronf-ronf
e colate di bava sul cuscino per tutta la notte. E ora, alle 6.45 della
mattina, era sotto la doccia a cantare a squarciagola Con
te partirò. Achille si domandava come i vetri di
casa sua
potessero essere ancora integri con quegli strilli.
Era
bello avere Azzurra per casa,
vederla gironzolare con il suo maglione o addirittura senza nulla
addosso. Era
carino sentirla borbottare tra sé o commentare ogni singola
cosa. Era
discretamente piacevole dormire con lei, anche se poi lo relegava in un
angolino e lei si prendeva il resto del letto. Era abbastanza terribile
svegliarsi con la sua interpretazione di classici della musica
italiana:
piuttosto forte e stridulo per essere un ronzio.
Achille
si alzò dal letto, attento
a non fare rumore, poi si avvicinò alla porta del bagno e
premette la maniglia.
Azzurra era il suo ronzio e aveva intenzione di averla intorno per
molto tempo.
Ma nulla vietava di trovare un senso alternativo alle sue urla
mattutine.
Rieccomi!
Bando alle ciance,
vi dico solo che le citazioni fatte da Achille sono di Dante Alighieri,
Emily
Dickinson, Edmond Rostand, Franco Battiato e (mi vergogno a scriverlo
accostato
ai nomi appena citati) Valerio Scanu.
Ringrazio
Triggy, Neppie e
Rosie perché sono tre emerite rompipalle e Nep anche
perché ha betato.
Spero
di tornare presto!
S.
|