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Disclaimer:
Leggete Dominic Monaghan e chi per lui e pensate che siano nomi
qualsiasi. Una pura convenzione. Ovviamente non li conosco affatto e non voglio
offendere né loro né nessun altro con le mie divagazioni.
Note:
Questo che state per le leggere è tutto quello che è successo prima di “Per
Colpa di Nessie”, se così si può dire una sorta di prequel. Essendo una
storia a se non c’è bisogno che leggiate anche l’altra, per lo meno non è
affatto necessario.
Nota del 23-5-2005:
Se volete inserire questo racconto in forum, blog e quant’altro potete farlo. Ma
non con il copia/incolla… Credo sia più opportuno, e soprattutto gradito per me,
riportare il link di questo sito! Grazie!
Capitolo 1
Allenamento al lancio del gatto
Jennifer si stava scrutando nello specchio con aria
critica. Come sempre, aveva avuto l’impulso di commentare ad alta voce ciò che
vedeva e, dato che comunque in casa era da sola, aveva ceduto a quell’impulso.
Dico, ma guardati, che schifo!
Se continui a mangiare schifezze ti verrà un sedere grosso come quello di tua
zia Lucy, ci si potrà apparecchiare per otto! E col cavolo poi che lo trovi un
uomo!
Devo mettermi a dieta, è
deciso, da domani vado anche in palestra. Vabbè, facciamo da lunedì… no,
accidenti, ho detto domani… no, domani è giovedì, che cavolo di palestra vuoi
farti… ma perché mi perdo dietro a simili cazzate? Cioè, come se trovarmi un
uomo fosse lo scopo della mia vita… bah…
Improvvisamente si era ricordata che Susan e Patricia
l’aspettavano per le dieci, e mancavano solo quindici minuti. Merda!
esclamò, si dette un’altra rapida occhiata allo specchio e controllò che il
trucco e i capelli fossero a posto. Faccio comunque cagare, ma sono in ordine
almeno!, commentò, poi uscì di casa di fretta.
Si era messa quelle scarpe con il tacco troppo alto che si
era comprata e che non aveva mai messo, e un bel vestitino corto e un po’
vistoso, come piacevano a lei. Spesso le avevano detto che esagerava un po’, sia
nel vestiario che nel make-up, ma lei si piaceva, e aveva imparato a non
badarci. Tuttavia si era subito pentita di essersi messa quegli strumenti di
tortura che era veramente da coraggiosi chiamare scarpe, per poco non era caduta
per le scale e aveva rischiato di ammazzarsi. La sua vita, per quanto fosse
veramente un susseguirsi di situazioni tragicomiche, valeva certamente di più
del seguire i dettami della moda corrente.
La sua porta di casa non si chiudeva, quella serratura era
un vero inferno, doveva decidersi a mettere il padrone di casa con le spalle al
muro e fargliela cambiare, anche con le maniere forti. Se chiamassi
quell’armadio a quattro ante di mio cugino Bill dal Nevada forse cambierebbe
idea… io sono troppo piccola e ridicola per mettere paura a qualcuno, pensò.
Aveva cominciato a correre giù, trovando sul pianerottolo
del piano inferiore la signora Doyle, intenta a mettere fuori dalla porta una
bottiglia vuota di vetro.
- Jennifer, tesoro, quanto sei carina, dove vai?-
- ‘Sera signora Doyle, vado ad un club con delle amiche,
scusi se vado di fretta, sono in ritardo, arrivederci!- si era sbrigata a dire,
ma la signora l’aveva fermata.
- Aspetta Jennifer, c’è il tuo gatto in casa mia, ti volevo
chiamare ma non ho fatto in tempo…-
Fesso
di un gatto! aveva pensato Jennifer mentre ormai era già a metà della
rampa di scale successiva. Con uno scatto tornò su, precipitandosi alla porta
dell’anziana signora, che un po’ barcollando era tornata in casa uscendone dopo
un tempo che a lei era sembrato infinito.
- Tieni tesoro.- le aveva detto porgendole un gatto grasso
e rosso, molto peloso.
- Grazie, mi scusi, arrivederci!-
Correndo aveva salito nuovamente le scale; non senza
difficoltà, con il gatto in braccio, aveva litigato un’altra volta con la
serratura della sua porta, quindi aveva appena messo un piede in casa e aveva
lanciato il gatto sul divano del piccolo soggiorno. Quindi un altro match con la
serratura e via per le scale, con sempre più fretta addosso. Se il lancio del
gatto fosse una disciplina sportiva, potrei andare alle Olimpiadi… aveva
pensato.
- Jennifer…-
- Buonanotte signora Doyle! Mi scusi, ma sono in ritardo!-
Si sentiva un po’ in colpa a non fermarsi nemmeno un attimo, quell’anziana
signora le voleva bene quasi come se fosse stata sua nonna, ma non aveva davvero
tempo.
- Buonanotte tesoro, divertiti e sta attenta!- le aveva
detto la donna mentre scendeva.
Incredibile ma vero, ce l’aveva fatta ad uscire dal
palazzo.
Per quanto avesse cercato di ottimizzare i tempi, non aveva
potuto evitare un piccolo ritardo, Patricia era stata comprensiva, Susan invece
aveva cominciato a lamentarsi. Jennifer infatti aveva visto le sue amiche sedute
in macchina ad aspettarla al posto convenuto, aveva accostato ed era scesa,
bussando al finestrino del passeggero dove era seduta Patricia.
- Ma è mai possibile che tu debba essere in ritardo quando
abbiamo da andare in certi posti? Sei un disastro!- le aveva detto un po’
scostante Susan, come al solito. Non riusciva mai ad essere molto gentile, anche
quando era tranquilla, aveva sempre tenuto un atteggiamento di superiorità nei
suoi confronti. Jennifer però non la rimproverava per questo, dava poco peso
alla cosa, perché nonostante quel carattere un po’ burbero la riteneva una sua
buona amica.
- Susy, calmati però, eh!- le aveva detto Patricia, vedendo
che esagerava un po’.
- Scusatemi, me ne sono capitate di tutte.- aveva cercato
di giustificarsi Jennifer. - Allora, dove si va?-
- All’Hard Rock Cafè, stasera c’è la festa di San Patrizio,
pare che ci sarà un sacco di gente famosa, dicono che suonerà uno che ha fatto
il Signore degli Anelli, lo sai?- aveva detto Patricia all’amica, affacciata al
finestrino.
- Va bene…- aveva risposto lei non troppo convinta. -
Allora vi seguo.- concluse, tornando poi alla sua auto e seguendo Susan, che si
era immessa in strada quasi senza darle il tempo di seguirla.
Per averlo visto il film l’aveva visto, solo i primi due in
verità, ma non le era piaciuto da impazzire come a tanti altri, e comunque non
le interessava molto. Non le sembrava strano però rapportato a Susan, era una
ragazza molto diversa da lei e Patricia. Di qualche anno più giovane di loro,
molto bella e piuttosto intraprendente, aveva già avuto qualche piccola parte in
film minori e attualmente era nel cast di una soap opera, non molto conosciuta
per la verità. Il suo sogno era fare l’attrice, e Jennifer era sicura che ce
l’avrebbe fatta: era tenace, e secondo lei era pure piuttosto brava, anche se
non ne capiva un granché. Quello che le occorreva era solo una buona occasione,
un ruolo anche piccolo ma che la mettesse di fronte agli occhi di qualcuno che
valesse, Jennifer gliel’augurava con tutto il cuore e più in fretta possibile.
Arrivate al parcheggio si erano riunite e si erano
incamminate verso l’Hard Rock, costatando, quando erano arrivate nei pressi
dell’entrata del locale, che anche fuori c’era un sacco di gente.
- Pat… ma ce la facciamo ad entrare?- aveva chiesto
Jennifer un po’ preoccupata.
- Ma la vuoi smettere di preoccuparti? Se vi ho detto che
ci fanno entrare, ci fanno entrare, smettila di assillarmi!- aveva risposto
Susan anche se non era stata interpellata.
- Se lo dici tu, è che io vedo un gran casino…- aveva
ribattuto.
Quando le tre ragazze erano arrivate all’entrata, Susan si
era fatta notare da uno dei buttafuori che controllava l’enorme fila che c’era
per entrare, quello aveva sorriso e aveva fatto un cenno ad un altro, che si era
fatto strada verso di loro e le aveva fatte passare. Susan aveva scambiato
qualche parolina con quei due, ammiccando e sorridendo, Jennifer e Patricia
l’avevano aspettata poco più avanti.
Entrare là dentro, nel senso fisico della cosa, non era
stato nient’affatto facile. Jennifer, tanta gente stipata in quella maniera, non
l’aveva mai vista, le faceva venire ansia quel posto. La musica era assordante,
non c’era posto per sedersi e per di più, dopo una mezz’ora soltanto, i piedi le
facevano un male insopportabile. Decise che avrebbe buttato quelle
maledettissime scarpe, la facevano sembrare più alta almeno di sei o sette
centimetri, che a lei facevano davvero comodo, data la sua piccola statura che
sfiorava i 161 centimetri, ma a tutto c’era un limite!
Quando il famoso concerto che lei non aveva praticamente
visto era finito, all’Hard Rock era cominciata una serata piuttosto ordinaria:
musica alla moda e gente che ballava, nella bolgia infernale dopo un po’ le
ragazze si erano perse Susan. Patricia le aveva detto che l’aveva vista sparire
tra la folla mentre ballava con qualcuno. Urlando a squarciagola era riuscita a
dire a Jennifer:- Magari ha conosciuto qualcuno d’interessante, speriamo per
lei!- l’altra aveva annuito.
Guardando la sua avvenente amica aveva pensato per tutta la
sera che il mondo dello spettacolo fosse davvero assurdo: Susan aveva tutte le
carte in regola per diventare qualcuno, eppure nessuno si accorgeva di lei, come
si poteva essere tanto ciechi? Era decisamente ingiusto.
Quando Patricia aveva avuto bisogno di andare in bagno, le
due ragazze si erano avviate facendo una fatica immensa verso i servizi
femminili, facendosi largo praticamente a spallate. Nonostante fosse già
piuttosto tardi il locale non accennava a svuotarsi nemmeno un po’, e Jennifer
cominciava a non poterne davvero più di stare lì. Mentre aspettava Patricia si
era messa ad osservarsi nello specchio, per vedere come stesse.
Improvvisamente la porta all’entrata si era aperta con un
gran tonfo che l’aveva fatta spaventare: era entrato nel bagno un tipo che aveva
tutto l’aspetto di essere piuttosto alticcio, che l’aveva guardata incuriosito e
le aveva detto:- Che ci fai signorina nel bagno degli uomini? Cerchi guai?-
Jennifer si era spaventata un po’, razionalmente non sapeva
nemmeno il perché. Era quel tipo che era entrato nel bagno sbagliato!
Fortunatamente era arrivato un altro tipo dietro, parecchio più grosso
dell’altro, che l’aveva preso per la maglietta e l’aveva tirato via dicendogli:-
Ma che fai, deficiente, è il bagno delle donne questo!-
La porta si era richiusa subito non appena quel tipo aveva
trascinato via l’altro, Jennifer aveva tirato un sospiro di sollievo; quando
Patricia era riapparsa chiedendole chi fosse il deficiente di prima, Jennifer
aveva sorriso. - Uno che aveva sbagliato bagno!-
Lì per lì non ci aveva più pensato, almeno fino a che,
nemmeno molto dopo, se l’era ritrovato davanti mentre era andata a prendersi da
bere al bancone del bar. Aveva fatto finta di non riconoscerlo, ma lui sembrava
non voler fargliela passare liscia.
- La ragazza del bagno! Come stai? Tutto bene? Io avevo
sbagliato bagno, non aveva visto la gonnellina della donnina sulla porta, o
forse sono entrato perché le gonne mi attirano troppo, non lo so… tu che ne
pensi?-
- Ehm… cosa?- gli aveva risposto lei leggermente
imbarazzata.
- Com’è che ti chiameresti?-
- Jennifer.- gli aveva risposto secca, per non
incoraggiarlo.
- Ciao Jennifer! Come stai?- le aveva detto tutto
sorridente. Jennifer più lo guardava e più era preoccupata, quel tipo era
veramente troppo strano, o forse solo troppo sbronzo.
- Bene, grazie.- aveva ribattuto.
- E a me non chiedi niente?- aveva chiesto lo strano tipo,
sembrando dispiaciuto.
- Tu stai bene?-
Quello le aveva teso la mano, lei gli aveva dato la sua un
po’ perplessa.
- Molto piacere, io sono Dominic, e sto beeeenissimo!-
aveva detto trascinando in modo ridicolo l’ultima parola.
Che nome idiota!,
pensò lei, nome adatto al tipo, comunque. Ma chi l’aveva chiesto il suo nome!
- Sono felice per te.- aveva risposto, non sapendo più come
togliersi dalla situazione. Anche se quel Dominic un po’ la metteva in ansia,
doveva dire che però le sembrava carino. Non come aspetto fisico, magari anche
in quello, le trasmetteva vibrazioni positive, ecco. Magari se lo avesse
incontrato da sobrio non sarebbe stato neanche male.
- Jennifer… Jennifer…- Dominic l’aveva guardata e aveva
ripetuto in modo incerto il suo nome per un paio di volte, guardandola con
occhio non proprio vispo. - Ti posso offrire da bere, dolce Jennifer?-
Carino, sei decisamente
ubriaco!, pensò la
ragazza. - Non c’è bisogno, ma grazie.- aveva risposto, sempre aspettando che il
barista la degnasse di un po’ di attenzione. Era parecchio che stava là, e
quello le dava l’idea di non averla nemmeno vista.
- No, no, dai, mi fa piacere, dimmi che prendi.-
- Una birra.- aveva detto arrendendosi, evidentemente non
c’era modo di farlo desistere. Con sua immensa sorpresa, come Dominic fece per
alzare la mano, sebbene fosse l’ultimo arrivato, uno dei baristi gli prestò
subito attenzione, portandogli in men che si dicesse quello che aveva chiesto.
Che palle! Guarda un po’ se
devono dare retta più all’ultimo sbronzo arrivato che a me, che bastardi! Sono
proprio un caso clinico di sfigata…,
pensò Jennifer, che intanto aveva sorriso a Dominic prendendo la bottiglia di
birra che lui le stava porgendo.
Avrebbe voluto tornare da Patricia, che la stava aspettando
non lontana da lì, ma le sembrava veramente da maleducata andarsene così dopo
che Dominic le aveva offerto da bere, anche se il ragazzo aveva cominciato a
bere la sua birra e sembrava, almeno per quel momento, essersi dimenticato di
lei.
Si era fermata per un momento ad osservarlo: portava un
paio di normalissimi jeans e una maglietta verde, con sopra disegnato un pallone
da calcio, con una scritta che non riusciva bene a vedere nella semioscurità,
barba un po’ lunga, che doveva dire gli stesse bene, biondo, ma francamente non
sembrava il suo colore. Era nell’accessorio che veramente dimostrava una certa
peculiarità: le sue mani erano piene di anelli e ai polsi portava dei cosi
strani, Jennifer si stava chiedendo se quegli strani aggeggi erano rimasugli di
qualche giochetto sessuale un po’ strano. Poi notò anche che aveva disegnate
sopra le unghie della mano destra una specie di lunetta con lo smalto nero…
mah, pensò, questo è proprio strano, però è anche proprio carino! Si
mise a ridacchiare mentre pensava a queste cose, Dominic si era per un momento
ripreso dai suoi viaggi negli effluvi dell’alcool e le aveva sorriso.
- Che cos’è che ti fa ridere, Jennifer?-
Ogni volta che pronunciava il suo nome lo faceva usando un
accento un po’ strano, Jennifer non sapeva se fosse per la sbronza o perché
magari parlava proprio in modo strano.
- Niente.- aveva risposto, sentendosi un po’ allo scoperto.
Dominic aveva fatto una risatina idiota, poi le aveva dato
una ditata sulla spalla con l’indice della mano sinistra, nella quale teneva
anche la birra e le disse - Tu non me la racconti giusta… Jenny… Jennifer!-
Ma sei veramente un gran
scassapalle!,
pensò. - Davvero, niente, sorridevo.- gli rispose, un po’ imbarazzata.
- Jenny Jennifer… me lo dai il tuo numero di telefono? Così
una volta che sono un po’ meno stanco ci facciamo una chiacchierata, Jenny
Jennifer…-
Jennifer stavolta aveva riso, quella parlata un po’
biascicata e il fatto che la chiamasse in quel modo l’avevano fatta ridere di
gusto.
- Non sei stanco, Dom Dominic!- gli aveva risposto
imitandolo. - Sei serenamente e beatamente ubriaco! E non credo sia il caso di
darti il mio numero…-
- Dom Dominic…- aveva ridacchiato un po’, poi aveva
continuato. - Jenny Jennifer… dai, per favore, fammi contento, voglio
rivederti.-
- Va bene, ma solo perché tanto domattina non ti ricorderai
nemmeno la mia faccia.- aveva ceduto Jennifer, dato che poi, in fin dei conti,
anche se era sbronzo, quel tipo le piaceva. Patricia l’avrebbe cazziata
sicuramente se l’avesse saputo.
Aveva fatto per dettarglielo, ma Dominic la stava guardando
con l’occhio spento, senza accennare a fare niente per appuntare il suo numero.
Poi era sembrato riprendersi un po’, si era messo una mano sul petto, come a
voler cercare qualcosa.
- Ops… dolce Jenny Jennifer… non so dove ho messo il mio
telefono birichino, chissà dove s’è cacciato… va in giro da solo… aspetta…-.
Detto questo si era sporto sul bancone del bar e aveva chiesto una penna al
barista, che prontamente aveva esaudito la sua richiesta. Quindi l’aveva porta a
Jennifer, porgendogli la mano destra e dicendole. - Tatuami!-
- Cosa?- aveva chiesto lei basita.
- Se mi faccio dare un pezzetto di carta poi il birichino
mi scappa come il telefono, invece se tu me lo scrivi qui, ma proprio qui,-
precisò indicando con il dito indice della mano sinistra il palmo della mano
destra, - con scritto sopra la dolce Jenny Jennifer io non ti perdo più.-
- Sei veramente strano, te l’ha mai detto nessuno?- aveva
commentato Jennifer esaudendo quello strambo desiderio.
- Mi dicono tante cose Je… Jennifer, non me le ricordo
tutte.- Incominciava anche a tartagliare, era palese che la sonora sbronza di
cui era vittima gli stava davvero facendo un bell’effetto.
- Appunto… allora io torno dalla mia amica, ciao Dominic,
grazie per la birra.-
Dominic aveva alzato la mano e l’aveva salutata, finendo di
bere la sua birra.
Pure da un ubriaco mi dovevo
far rimorchiare, ora se questo mi chiama io che gli racconto? Dio che imbecille
che sono! Potevo almeno dargli il numero sbagliato? Cogliona, cogliona!
Appena era arrivata da Patricia le aveva detto che se ne
voleva andare via.
- Ma come te ne vai, e Susy?-
- Pat, Susy è sparita da quasi due ore, e io non ce la
faccio più! Dai, vieni con me, ti riaccompagno io.- le aveva detto.-
- No, io aspetto lei, se poi non la ritrovo prendo un taxi,
però tu sei una stronza! E poi è solo l’una!-
- Sì, e domani io devo essere in ufficio alle nove! E sono
stanchissima! Davvero Pat, non ce la faccio più, non ce l’avere con me!- si
lamentò Jennifer.
L’amica cambiò espressione. - Ma no che non ce l’ho con te,
vai, dai, io mi arrangio.-
Le due ragazze si erano date un bacetto affettuoso sulle
guance e Jennifer si era avviata all’uscita non senza difficoltà, quando si
ritrovò in strada si sentì un po’ più libera di respirare.
Era sola e un po’ era preoccupata: per girare da sola di
notte a Los Angeles portava decisamente una gonna troppo corta. Tuttavia la zona
era molto frequentata anche a quell’ora e questo la faceva sentire abbastanza
sicura, almeno finché non girò l’angolo verso il parcheggio e vide che la strada
per arrivarci era deserta. Era sicura che non le potesse succedere nulla, ma
ugualmente guardò bene davanti a sé e poi dietro, vedendo una cosa che l’aveva
allarmata davvero molto.
Quel Dominic la stava seguendo.
Idiota, imbecille, cretina,
stupida, sfigata, imbranata!! Ma che cazzo t’è saltato in mente di dare spago ad
uno così! Oddio, magari è un pazzo assassino e adesso mi ammazza! O mi fa
qualcosa di peggio!
Pensando queste cose affrettò il passo, cosa non facile
dato che quelle scarpe le stavano facendo vedere i sorci verdi. Per vedere se
effettivamente la seguiva cambiò momentaneamente strada, trovandoselo dietro. Un
brivido la scosse, continuò a camminare. Il suo nuovo piano era quello di salire
in macchina velocemente e di partire altrettanto velocemente prima che lui la
raggiungesse, se manteneva quella distanza tra loro ce l’avrebbe fatta. Ma
Dominic stava guadagnando terreno, e quando lei era arrivata alla sua macchina
lui non era molto distante da lei.
Agendo un po’ d’impulso si girò improvvisamente e lo guardò
furente.
- Ma insomma, perché cavolo mi segui? Chiamo la polizia se
non ti togli di mezzo!-
- Aspetta Jenny Jennifer…- gli aveva detto lui rimanendo
sempre un po’ distante.
- Che vuoi? Parla! Veloce!-
Dominic l’aveva guardata con un’espressione sul viso tipo
bambino che è stato sorpreso a fare una marachella. Porca puttana, se mi
guardi così m’ intenerisco, aveva pensato Jennifer.
- Voglio venire con te…-
La ragazza era rimasta un momento spiazzata. - Come vuoi
venire con me? Ma dove?-
- Dovunque tu vada, voglio venire con te.-
- Tu sei pazzo!-
- No, voglio stare con te.-
Jennifer era stata fortemente tentata di aprire lo
sportello della sua auto e scappare via di corsa, ma non poteva lasciarlo lì in
quel modo, le sembrava davvero partito.
- Senti, se vuoi ti porto a casa. E’ il massimo che posso
fare.-
- Va bene dolce Jenny, dove vuoi…-
Jennifer l’aveva fatto salire in macchina. - Dove abiti?-
- A Manchester, a Los Angeles e poi in tanti posti, tanti
tanti posti...-
- Dai, sii serio, dove devo portarti?-
- Dove vuoi tu, Je… Jen… dolce Jenny.- aveva incespicato
con difficoltà.
- Va bene, ho capito, io parto intanto, e tu mi dici dove
devo andare.-
Dominic aveva chiuso gli occhi e si era appoggiato allo
schienale del sedile, annuendo. Intanto Jennifer aveva messo in moto la
macchina, dopo aver fatto qualche metro aveva richiamato il ragazzo.
- Allora, mi dici dove devo portarti? Non posso stare tutta
la notte dietro a te!-
Non aveva ricevuto risposta.
- Dominic?-
Tutto continuava a tacere.
Jennifer allora per un attimo aveva spostato lo sguardo
dalla strada su di lui.
- No, non è possibile!- aveva esclamato, poi aveva cercato
un posto per accostarsi. Dominic sembrava essersi addormentato, come un bambino,
appunto. In verità non dormiva, era solo molto stordito.
L’aveva scosso un po’, ma lui aveva farfugliato qualcosa
senza senso e nient’altro, era completamente andato.
- Ma porca vacca! E adesso che diavolo faccio!-
Era rimasta un momento a riflettere, senza sapere cosa
fare, poi aveva cercato il suo cellulare nella borsa, aveva bisogno dell’aiuto
di Patricia, quando improvvisamente sentì un cellulare suonare che indubbiamente
non era il suo. Doveva essere di Dominic.
Improvvisamente si sentì più sollevata, avrebbe potuto
chiedere aiuto a chi avrebbe trovato dall’altra parte. Il problema adesso era
dove fosse il cellulare di quel tipo… lo sentiva squillare, ma proprio non aveva
idea di dove potesse essere, Non aveva una giacca addosso, quindi doveva essere
in una delle tasche dei jeans, Jennifer accese la luce dell’abitacolo dell’auto
per vedere, notò una strana escrescenza che sporgeva dalla tasca anteriore
destra dei sui jeans.
- Bel posto del cazzo per tenere un cellulare!- disse a
voce alta mentre l’odiosa musichina continuava a suonare. Si apprestò non senza
imbarazzo ad introdurre una mano nella tasca, del resto era l’unico modo per
appropriarsi di quel telefono.
Non appena Dominic aveva sentito quegli strani movimenti,
sempre poco cosciente, aveva fatto una risatina. - Oh, oh, che vuoi farmi dolce
Jenny?-
Intanto la ragazza era finalmente riuscita a prendere il
telefono, a quell’uscita però non poteva non rispondere.
- Ma stai zitto!- aveva detto stizzita, ma guarda un po’
se deve fare anche lo spiritoso questo!
- Sì, sì, io non dico più niente, fai tutto tu.-
Jennifer non aveva sentito l’ultimo commento, aveva
risposto al telefono.
- Dom! Dove diavolo sei?- la voce dall’altra parte sembrava
essere piuttosto allarmata.
- Scusami, io non sono Dominic, mi si è praticamente
addormentato in macchina, io non so che fare…-
- Ma chi sei?- le aveva detto la voce maschile dall’altra
parte, - che sta succedendo?-
- Sono Jennifer… è una storia lunga, dovevo riaccompagnarlo
a casa, ma non mi vuole dire dove abita.-
- Ascoltami Jennifer, adesso tu mi devi dire dove sei di
preciso, e mi aspetti ferma lì. Vi ha visti qualcuno?-
Jennifer spiegò al suo interlocutore dove fossero, e disse
che non gli aveva visti anima viva. Lì per lì non si fece domande. Aspettò pochi
minuti quindi, fino a che vide arrivare un’elegante auto sportiva piuttosto
velocemente, che accostò vicino a lei. Ne vide scendere un tipo ben vestito, che
si avvicinò alla sua auto.
- Jennifer?-
Lei scese dall’auto. - Sì, sono io.-
- Senti Jennifer, è di fondamentale importanza che non vi
abbia visti nessuno. Ne sei certa al mille per cento?- le aveva chiesto.
- Sì… cioè, non lo so, penso di no… ma perché è tanto
importante?-
Quell’uomo non rispose alla sua domanda. - Dominic è in
macchina?- chiese.
- Sì.-
Saputo questo si diresse allo sportello sulla destra,
aprendolo e chinandosi, mettendosi il braccio di Dominic intorno al collo,
mentre incitava l’altro a collaborare. Non senza fatica l’aveva fatto alzare in
piedi e aveva cominciato a trascinarlo verso la sua auto, per poi metterlo sul
sedile accanto a quello di guida.
- Ti ringrazio molto Jennifer. Mi raccomando, tieni la cosa
per te.-
La ragazza dal canto suo era piuttosto stordita, non capiva
come mai quel tipo si fosse tanto fissato sulla segretezza della cosa. Quindi
l’aveva visto ripartire piuttosto velocemente, lasciandola sul ciglio della
strada.
Appena era entrata nel portone del suo palazzo, Jennifer si
era tolta le scarpe, che le avevano lasciato degli evidenti segni rossi sulla
parte superiore del piede, poi aveva lentamente cominciato a salire le scale,
fino al suo appartamento al quarto piano. Aveva dovuto litigare per l’ennesima
volta con la serratura, ogni benedetta volta che usciva doveva necessariamente
rischiare di rimanere chiusa fuori, era frustrante. Quella volta le andò bene,
appena entrata le era venuto incontro il gatto, che miagolando era andato a
strusciarsi alle sue gambe.
- Buonanotte Sploffy… era meglio che rimanevo con te a
giocare al lancio del gatto…- gli disse prendendolo in braccio e grattandogli la
testa.
Era stanchissima e decisamente stralunata per via della
strana conclusione di serata.
Era mai possibile che cose del genere capitassero sempre a
lei?
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