La Villa delle Reminescenze
Questa
storia dovrebbe essere horror, ecco, dovrebbe tuttavia secondo
me non ha una collocazione ben precisa in un genere, ma questo sarete
voi a giudicarlo. Buona Lettura!
Tessa
La
Villa delle Reminescenze
Ricordo
bene quel giorno anche se saranno passati, non so, sette o otto
anni? Me lo ricordo particolarmente bene perché fu l'unica
solitaria volta in cui decisi di fare un passo indietro nella mia vita
e di tornare a visitare un luogo rimasto sepolto da tempo nei miei
ricordi....non che ne avessi l'intenzione, sia ben
chiaro,.semplicemente per un motivo che ora proprio mi sfugge mi
ritrovai un bel giorno d'autunno nel paese dove avevo trascorso la mia
infanzia, a ripercorrere i sentieri di sogni tanto solcati da bambino,
a sentire di nuovo l'odore tenue e caldo di salsedine e foglie che
innocentemente contamina l'aria dei paesini sulla costa come quello
dove sono nato io. Dapprima fui colto da una incontenibile zaffata di
commozione, sapete, di quelle che ti colpiscono così,
all'improvviso spogliandoti di qualsiasi difesa e mettendoti
completamente in balia della memoria, ma presto questa mia
imperdonabile gaffe, così insolita per uno come me, si
dissolse lasciando posto ad una vitrea indifferenza, che mi
accompagnò nel mio vagabondare solitario per le strade alla
ricerca di un qualsiasi intrattenimento non troppo primitivo o forse di
qualche emozione abbandonata fra le pareti dei palazzi che avevano
colorato i primi anni della mia vita. Increbibilmente in quel paradiso
squallido ed incolto che era diventato il mio paese natale non riuscivo
a trovare nulla che attirasse la mia attenzione, che mi facesse provare
qualche brivido, qualche minimo sentore di nostalgia, tutto pareva
vecchio ed ammuffito, perfino le persone che pascolavano ignare e
cadenti per le strade scalcinate parevano vuote, senza un'anima
né una meta. Ben presto l'atmosfera della città
parve divenire sempre più velenosa per me, sembrava quasi
che quel posto che anni prima avevo abbandonato senza rammarico fosse
in collera con me e volesse che io me ne andassi perché non
sopportava la mia presenza critica ed indagatrice intenta a paragonare
ogni singolo squallido particolare del luogo con qualche ricordo
sbiadito, ritenendo sempre e comunque quest'ultimo nettamente
superiore. "E' brutto vedere come non solo le persone, ma anche i
luoghi ed i sentimenti invecchino diventando obsoleti" mi dicevo nella
mia testa guardando fisso la strada davanti a me annoiato,
finché svoltato l'angolo mi apparve un lungo viale polveroso
e sottile, così lungo che pareva portare in un'altra
dimensione. Restai immobile ed in silenzio seguendo con lo sguardo
quella linea gialla e spenta che si perdeva là dove inizia
l'orizzonte e così, senza neanche rendermene conto, venni
attraversato da quell'emozione che stavo distrattamente cercando. Era
qualcosa di forte e viscido che mi penetrò dentro in un sol
colpo donandomi una serie di visioni sconnesse che non riuscii a
decifrare e che mi lasciarono frastornato e confuso....già,
ricordo perfettamente quella sensazione, era come se.....mi stessero
pungendo forte con un ago proprio in mezzo al petto, era un chiaro e
limpido sentore di nostalgia, una nostalgia mai provata prima, davvero
estranea al mio intero essere, una nostalgia che poteva derivare
solamente da qualcosa di importante, di estremamente importante: quello
era il viale dove abitavo.
- Mi scusi signore, si sente bene? - una voce di
donna tagliò netta il filo aggrovigliato dei miei pensieri.
Mi voltai inebetito cercandone la proprietaria e mi si parò
davanti agli occhi una figura scura ed imponente, tanto che in un primo
momento ebbi paura, ma poi, alzando lo sguardo, scorsi, in quello che
doveva essere un pesante cappotto nero di panno, un grazioso volto
bianco ed il mio cuore si rasserenò.
- Ehmm.....no, va tutto bene....la ringrazio.... -
risposi, stupendomi io stesso del tono gentile e trasognato che avevano
le mie parole. La ragazza sorrise, mostrando dei denti ancora
più chiari e splendenti della sua carnagione, una visione
che mi fece sussultare per la sua velata bellezza. Restammo un po'
così, in silenzio, io e la graziosa sconosciuta, fianco a
fianco senza nulla da dirci, come due amici di vecchia data, mentre il
mio sguardo era intento a vagare svogliato per il panorama antistante.
Subito riconobbi la casa dove avevo vissuto da bambino, ed un po' mi
rattristai nel vederla ormai completamente cambiata. La guardai
scuotendo il capo e sospirando: com'era triste vedere il lavoro
minuzioso ed interminabile del tempo! Distolsi lo sguardo subito i miei
occhi furono rapiti da una pianta ormai secca di gelsomini che celava
un cancello scuro divorato dalla ruggine proprio di fronte a casa mia:
era....l'entrata della casa del mostro. Fui immediatamente colpito da
quella vista perché mi parve quasi di intravedere fra quelle
sbarre violentate dal tempo e dall'incuria una sensazione
già provata, forse la chiave di quello stordimento che mi
aveva colto poco prima. Fu per questo che mi avviai per quel viale,
dimenticando per un istante quella che, non so se volontariamente o
casualmente, era divenuta la compagna della mia ricerca di
spiegazioni....di cosa poi non lo sapevo nemmeno io, fu qualcosa di cui
mi resi conto dopo, ma, in quel momento, mi sentivo semplicemente
attratto, per un motivo ancora sconosciuto, dalla desolazione della
villa celata da quel recinto . Mi mossi lentamente fino ad arrivare ad
accarezzare quei pezzi di ferro tesi e sofferenti, sentii la loro pelle
ruvida sotto le palme callose delle mani... ah se mi ricordo la
consistenza di quel tocco, mi pare di sentirla ancor ora....era come se
in quel momento mi fossi messo in contatto con un altro mondo mentre
stringevo nelle mie mani infreddolite quel ferro opaco e cercavo con
gli occhi qualcosa all'interno di quel recinto che proteggeva
chissà quale segreto. Aggiravo il mio sguardo inquieto e
turbato cercando di scorgere più particolari possibili alla
ricerca di una chiave d'interpretazione a quel malessere appena
assaggiato che piano piano stava iniziando a manifestarsi di nuovo.
Sì. fu indimenticabile, sentivo dentro di me qualcosa che
ribolliva e si muoveva freneticamente andando su e giù, su e
giù, come un'onda o un'altalena, non so se mi
capite.....è come....se dentro di me avessi un cane legato
ad una corda, ecco, che smaniava poiché aveva riconosciuto
il suo padrone da lontano e voleva raggiungerlo...sì, credo
che questa sia una metafora adatta, era come se una parte di me
riconoscesse quel luogo e mi stesse pregando di entrarvi per salutare
qualcuno, chi poi non lo sapevo, diciamo che precisamente non lo so
neanche adesso, ma sentivo che mi dovevo ricongiungere con qualcosa in
quella casa e al contempo percepivo il forte desiderio, no, non
desiderio, l'obbligo di separarmi dalla medesima cosa.....Assurdo,
vero? Certo, io non sono un grande scrittore, è difficile
per me spiegare.....però credo che sia questo il succo della
questione...mmmh....dove passavo? Ah, sì, stavo davanti al
cancello.....dietro di me sentii un lieve spostamento e presto vidi la
ragazza dal volto bianco affiancarmi di nuovo come un'ombra e fissare
anch'essa in maniera molto concentrata nella mia stessa direzione alla
ricerca dell'oggetto che aveva attirato la mia attenzione. Io, dal
canto mio, non stavo guardando nulla di particolare, tenevo solo gli
occhi fissi su qualcosa mentre la mia mente si trastullava fra mille
domande senza risposta. Ad un tratto lei parlò rompendo la
quiete ritrovata di quel viale poco trafficato:
- La villa abbandonata di Viale della
Vittoria...... - affermò, non so se per ricordarlo a se
stessa o per farlo presente a me, fattosta che non risposti e piegai
solo leggermente il capo in segno di assenzo, cosicché lei
continuò - E' abbandonata da moltissimo tampo saranno venti,
venticinque anni almeno....non so perché, ma nonostante sia
così bella non ha mai fatto gola a nessuno....
- Bé, magari dentro ha avuto
luogo qualche delitto.... - affermai io, conscio che in quel luogo una
volta abitava un ragazzo gravemente malato di cui tutti avevano, non so
perché, una paura folle, ma non glielo dissi..
- Può darsi....io me lo sono
sempre chiesto....ma sembra che qui la gente non ami parlarne e non ami
neanche informarsi.....- fermò il suo discorso proprio prima
di spiegare la sua opinione, una mossa che lei sapeva, avrebbe
suscitato il mio interesse fino allora assopito. Decisi di darle
soddisfazione, in fondo ero incuriosito dalle sue parole,
perciò mi voltai e, senza bisogno di alcun incitamento
verbale lei continuò: - La gente.... - sospirò,
come se stesse per dire qualcosa di grave, un verità
dolorosa - La gente se ne frega......di tutto, non le interessa
assolutamente nulla, non ha voglia di conoscere, di sapere....ha voglia
solo di percorre ogni giorno la stessa strada, frequentare gli stessi
posti, vuole solo rinchiudersi in una gabbia di monotonia e lasciare
fuori tutto il resto....ci sono fin troppi misteri che aspettano nel
buio di essere svelati...troppi....ed il problema è che a
nessuno frega niente! - il suo vortice di frasi dette quasi casualmente
in preda ad una frustrazione repressa, mi lasciarono senza fiato,
turbato, mentre sentivo dentro di me un formicolio familiare.....da un
lato ero conscio che ciò che aveva detto era assolutamente
vero, ma dall'altro la banalità di quella affermazione mi
lasciava esterefatto di fronte ad una situazione che pareva diventare
sempre più ridicola. Sentendomi addosso gli occhi speranzosi
della ragazza e non sapendo che rispondere decisi di puntare tutto sul
mio sarcasmo, sì, ora che ci penso feci un pessimo errore: -
Misteri, misteri, tanti, tanti misteri che si nascondono per le strade,
ehi guarda là quella bici legata al palo potrebbe essere un
mistero....già, chissà chi ce l'ha lasciata,
chissà perché è stata messa proprio su
quel palo..... - questa squallida dimostrazione del mio umorismo da
quattro soldi lasciò me sconcertato e la ragazza incerta fra
la rabbia e la compassione tanto che fra di noi piombò di
nuovo il silenzio, ma stavolta un silenzio pesante, un silenzio di chi
non vuole dire niente perché non sente d'avere niente in
comune col suo interlocutore. Il tempo passava e l'atmosfera si faceva
sempre più insopportabile, io non riuscivo a trovare nessuna
frase da dire, non sapevo se provare di nuovo la carta dell'ironia o
dare spago a quella strana ragazza tanto piena di begli ideali e
mostrarmi interessato alle sue opinioni. Alla fine quest'ultima mi
parve la cosa migliore da fare dato che, voltando lo sguardo senza
farmi notare, scorsi sul viso della mia inaspettata amica, una smorfia
amara, di quelle che la gente assume quando si sente incompresa ed odia
segretamente il mondo per averla resa diversa, o meglio superiore, a
tutto il resto dell'umanità. Così parlai:
- A quali...sì...a quali genere di
misteri ti riferivi prima? - chiesi senza posare gli occhi su di lei
per mantenere un tono distaccato. Restò un po' in silenzio,
forse incerta se darmi di nuovo fiducia o lasciare perdere, tuttavia
qualcosa la spinse a continuare la sua battaglia, qualcosa che
successivamente decifrai come consapevolezza della verità.
-
Tutto è un mistero.... - la
sua laconica replica mi lasciò più confuso ed al
contempo più divertito di prima. Certo, quella ragazza
pareva proprio dare a qualsiasi banalità un peso
insormontabile tanto da farla apparire la scoperta più
aulica del secolo.
-
Scusa, non potresti essere più chiara?
Che ne so, fammi un esempio! - domandai cercando di celare il
sorrisetto che si era manifestato sul mio volto girandomi dall'altra
parte.
-
Noi siamo un mistero....per esempio...tu per me
sei un mistero... - stavolta non riuscii a trattenermi e il mio
scetticismo divenne palese quando un grugnito simile ad una risata
stroncata echeggiò nell'aria nebulosa del viale. Lei si
girò di scatto pugnalandomi con due occhi furibondi tanto
che restai pietrificato. Di nuovo silenzio, poi però,
proprio mentre mi stavo abbandonando alla tensione che si stava
creando, lei riprese, con aria disinteressata:
-
Ognuno ha un segreto, perché ognuno
è un segreto... - si interruppe, chiuse gli occhi, li
riaprì e guardo dritta davanti a sé, il suo
sguardo fu un unico, pungente fendente rivolto ad un angolo preciso
della villa, un angolo che da solo era la chiave di quell'incontro e di
molti altri eventi che stavano per accadere di lì a poco.
Restò fissa per un po' per poi voltandosi per darmi le
spalle, parlò, le sue parole furono precise, perfettamente
calibrate, come se qualcuno gliele avesse appena suggerite all'orecchio:
-
Guarda bene, guarda bene questa villa, imprimiti
nella testa ogni suo più piccolo particolare....guarda
attentamente ogni mattone, ogni striatura dell'intonaco, ogni tegola
precipitata dal tetto, ogni fiore agonizzante, ogni rimasuglio
cartaceo....osservala bene, perché se non lo farai
rimpiangerai molte cose....perché c'è un mistero
che devi svelare....a te stesso....- appena finito il suo monologo
rimase un po' ferma sempre girata, poi, forse vedendo che io non avevo
alcuna reazione si allontanò. La prima cosa che pensai fu di
fermarla, di chiederle spiegazioni, ma poi mi convisi, o meglio una
parte di me mi convinse che quella era solo una povera pazza che
siccome non aveva niente da fare aveva deciso di interpretare la parte
dell'oracolo che sforna verità. Sorrisi quando la vidi
voltare l'angolo da cui era venuta, dandomi dello stupido per aver
sprecato il mio tempo ad ascoltare le sciocchezze di quella tipa.
Sì, forse poteva sembrare che il mio cinismo avesse
risucchiato qualsiasi traccia di serietà che quell'incontro
poteva avere, ma in realtà non fu così, infatti
trascorsi i successivi quindici minuti in un conflitto totale con me
stesso, era come se dentro di me si fossero scisse due fazioni: una
voleva ridicolizzare l'accaduto, cercando di dare una spiegazione
logica o perlomeno scettica a ciò che era successo, mentre
l'altra sosteneva che le parole della ragazza non erano da
sottovalutare, perché, in fondo al cuore, sentiva che c'era
qualcosa che mi ricollegava alla villa e questo era inopinabile. Alla
fine, incerto e ancora scosso da quell'evento decisi che non c'era
nulla di male a guardare per un altro pò lo scenario
protetto dal cancello come aveva detto la ragazza, e,
perlomeno, questo almeno sarebbe servito a calmarmi. Mi
voltai e per la prima volta scorsi quel paesaggio deserto e secco.
Sì, prima lo avevo guardato, ma non lo avevo osservato
attentamente, con cura, considerando ogni piccola sfumatura di quello
che sembrava un quadro impressionista. C'era un giardino giallo, due
enormi palme marce ai lati ed un'erbetta fin troppo invecchiata che
sfiorava i piedi del cancello per diventare sempre più alta
e scura mano a mano che si allontanava dal recinto per perdersi in
quello che pareva una piazzetta di cemento dove riposavano due sedie di
ferro rovesciate e un tavolino laccato di bianco senza una gamba. Fin
qui niente di strano, niente di anomale, anche se, effettivamente, non
sapevo se quello che stavo cercando era qualcosa di inusuale o un
elemento comune. Guardai l'edificio, era grande e grigio, davanti alla
facciata facevano bella mostra due balconi che avevano l'aria di
reggersi per puro miracolo. Proprio in mezzo ad essi un'enorme finestra
lasciava intravedere l'interno della casa, ma essendo molto sporca si
riusciva a scorgere solo l'ombra di una grande scala. Per il resto
niente, non c'era nulla di particolamente degno di attenzione, sotto ai
balconi c'erano delle finestre più piccole dai vetri rotti,
delle persiane con delle aste mancanti, v'era l'entrata della casa con
un piccolo pezzo di carta attaccato nel mezzo dell'anta destra, era una
foto, niente di incredibile. Feci di nuovo il giro della villa con lo
sguardo prima di confermare a me stesso che non c'era niente,
assolutamente niente capace di suscitare in me un turbamento, un
qualcosa...niente...così, mettendo le mani in tasca mi
allontanai da quel luogo. Questo distacco, che, stranamente,
sembrò pesarmi, durò poco dato che
qualche ora dopo ricevetti una telefontata sul cellulare in cui un uomo
mi avvertiva che dovevo recarmi ad un stabilimento proprio alla fine di
quel viale per firmare il contratto che mi aveva spinto fin
lì. Mi avvai di nuovo per le vie del paesino, fingendo
indifferenza, quando in realtà avevo un desiderio folle ed
assurdo di rivedere la villa, desiderio per cui non riuscivo a trovare
una ragione plausibile. Probabilmente sentivo che avevo ignorato
qualcosa, quel qualcosa di importante che era la ragione di tutto,
così, appena mi trovai di nuovo di fronte al cancello non
riuscii a fare a meno di dare una sbirciatina all'interno. Stesso
spettacolo di prima, stesse palme, stessa erba secca, stesse sedie
cadute, stesso tavolino zoppo, stessi balconi precari, stesso
finestrone sporco, stesse scale, stesse finetre più piccole,
stesse persiane, stesso portone, stessa foto in bianco e nero attaccata
all'anta destra. Anche stavolta niente che mi faccesse riflettere,
passai oltre sentendomi un po' sollevato nell'aver appurato che nulla
era cambiato. Percorsi le due o tre centinaia di metri che mi
separavano dalla mia destinazione, mentre la mia ritrovata
serenità si faceva sempre più cupa, tanto che,
appena uscii dal luogo dell'appuntamento ero di nuovo inquieto e
provavo ancora il desiderio di osservare la villa. Camminai a passo
spedito appurando che il sole stava calando e presto sarebbe stato
impossibile avere un'immagine nitida dell'ambiente, infatti quando
arrivai davanti al fatidico cancello ormai il tramonto era giunto al
suo termine e al posto del sole si respirava quell'aria fredda che
precede la notte. Consapevole che non avrei comunque avuto una vista
chiara, decisi lo stesso di dare un'occhiata, giusto per vedere se
qualche cosa mi saltava all'occhio, magari esaltata dalla mancanza di
luce. Niente purtroppo, sempre la medesima foto del ragazzo in bianco e
nero attaccata all'anta destra , medesimo portone, medesime finestre
più piccole, medesime persiane, medesime scale, medesimo
finestrone sporco, medesimi balconi precari, medesimo tavolino zoppo,
medesime sedie cadute, medesima erba secca e medesime palme. No, niente
era cambiato. Sbuffai, in realtà avevo sperato di vedere
qualcosa di nuovo, di diverso, un particolare che prima mi era sfuggito
ed invece nulla di nuovo! Con rancore allentai la stretta alla sbarra
del cancello alla quale mi ero appigliato e, rendendomi conto che era
ormai buio, mi allontanai, stavolta affatto rasserenato
bensì ancora più turbato. Cercando disperatamente
una ragione della mia angoscia apparentemente inspiegabile, tornai
all'hotel nel quale alloggiavo e, non avendo affatto fame, mi chiusi
nella mia camera a riflettere. Era terribilmente strano, più
il tempo passava e la notte si faceva prossima più il mio
animo pareva inquieto come quello di una persona che attende un
appuntamento importante. Sì, ecco, qualcosa di molto
importante. Proprio non riuscivo a spiegarmelo. Perché
quelle che all'inizio mi erano sembrate solo delle strambe affermazioni
di una folle sconosciuta ora parevano diventare sempre più
significative? Cosa diavolo c'era in quella villa che stuzzicava
così tanto la mia memoria? Scossi il capo sempre
più confuso ed innervosito mentre tentavo di ripensare
all'immagine della casa che mi ero impresso nella mente....riuscivo a
vederla, anche se un po' annebbiata: c'erano quelle palme, poi l'erba,
le sedie ed il tavolino, i due balconi con in mezzo la grande finestra,
le finestre più piccole, le persiane, il portone e quella
dannata foto in bianco e nero di un ragazzo sorridente. No, no, ci
doveva essere qualcos'altro...mi sforzai di nuovo di ricordare: allora
le palme, l'erba, le sedie, il tavolo, i balconi, la finestra grande e
quelle piccole, il portone e la foto di quel ragazzo con i capelli
scuri che sorride....Nient'altro...no, nient'altro. "Dannazione!!!"
tuonai. Ma cosa stavo facendo? Stavo lì a preoccuparmi per
le parole di una pazza sconosciuta? Ero per caso impazzito anch'io? Il
mio comportamento era inaccettabile, non ero mica un bambino che si
lascia suggestionare dalle storie di misteri! "Che situazione
ridicola!" pensai, afferrai il telecomando e accesi la televisione,
sperando che qualche programma stupido mi avrebbe distratto da quello
che da uno scherzo si stava trasformando in un grande problema.
Tuttavia neanche le immagini vuote dello schermo riuscirono a
distogliermi dall'incessante farneticare del mio cervello il quale fra
gli innumerevoli percorsi che fece quella sera si soffermò
più volte all'immagine della ragazza. Sì, nella
mia mente la rivedevo, vedevo la sua bocca pronunciare quelle frasi che
tanto mi avevano colpito, vedevo i suoi occhi fissi in un punto davanti
a sé, un punto che però non riuscivo a collocare
nel mio ricordo della villa. Dritta davanti a sé, guardava
proprio dinnanzi a sé......"Al diavolo!" gridai lanciando il
telecomando che tenevo in mano nell'angolo più remoto della
stanza. L'impatto fu così forte che probabilmente si
schiacciò il pulsante rosso e la tivù si spense
lasciandomi solo nella penombra. Il primo pensiero fu quello di correre
a raccogliere l'oggetto che avevo scagliato nel buio in un raptus di
rabbia, ma, proprio quando stavo per poggiare il piede atterra, mi
accorsi di quanto mi sentissi più quieto senza
quell'incessante ronzare e mi ridistesi sul letto. L'idea di quella
ragazza ferma davanti alla casa continuava a tormentarmi, mentre mi
ripetevo fra me e me tutti gli elementi di quella dannata villa, uno ad
uno come un rosario....ed ancora rivedevo le palme e l'erba e le sedie
e il tavolino e i balconi e la finestra grande e le finestre piccole e
le persiane ed il portone e la foto del ragazzo dagli occhi neri, e
ancora, porta, finestre, sedie, balconi, palme, erba, finestra grande,
tavolino, foto del ragazzo con i capelli ricci.....Mi bloccai, fu
giusto in quell'attimo che mi parve di sentire muoversi qualcosa nella
mia testa, qualcosa aveva vibrato mentre io elencavo quelle cose, ne
ero sicuro, oh, se ne ero sicuro. Mi alzai a sedere, ripetei ancora una
volta tutti quei dannati elementi, uno alla volta lentamente, ma non
provai più la stessa sensazione. Intenzionato ad andare in
fondo alla faccenda mi alzai afferrai la giacca, mi spinsi nelle scarpe
ed uscii. Corsi per le strade ripercorrendo per l'ennesima volta quelle
viuzze sterrate per arrivare al viale giallo, che, con l'aiuto delle
tenebre, aveva assunto un'aria ancor più misteriosa e
minacciosa. Mi affrettai verso la villa così velocemente che
andai letteralmente a sbattere contro il cancello nascosto
dall'oscurità. Guardai dentro di nuovo, ma nella notte tetra
non riuscivo a distinguere chiaramente i particolari che avevo visto di
giorno: sì, vedevo le sagome delle palme, i fili anneriti
dell'erba, le ombre delle sedie e del tavolino, intravedevo le forme
tondeggianti dei balconi e riconoscevo nettamente il riflesso delle
finestre che brillavano alla luna, e, non so come, riuscivo anche a
riconoscere a malapena il portone e le persiane, completamente divorati
dal buio. C'era tutto, era tutto come me lo ricordavo....no....no,
mancava qualcosa, qualcosa era scomparso.....ma cosa? Provai a
ripetermi ancora una volta l'elenco delle cose che avevo visto: palme,
erba, sedie, tavolo, balconi, finestra, finestrelle, persiane,
portone....finestrelle, persiane e portone...e poi? .....La foto!
Quella stramaledetta foto non c'era più! Avvicinai il viso
alle sbarre e socchiusi gli occhi cercando di vedere meglio. Il portone
era lì davanti a me, ma la foto non c'erà, non
era più sull'anta destra dove l'avevo vista nel pomeriggio!
Cercai di calmarmi, distolsi lo sguardo e cercai di convincermi che mi
ero sbagliato, che me l'ero sognata, provai a ripensare alla villa
immersa nella calda luce del crepuscolo e più mi figuravo in
mente quest'immagine più quella dannatissima foto mi
appariva nitida e spavalda troneggiare nel bel mezzo dell'anta destra
del portone. Sì, c'era, ne ero certo, c'era una foto su
quella maledetta porta....Mi voltai di nuovo, il portone era
completamente nero e nulla di più chiaro spiccava sulla sua
superfice: "Dov'è finita quella cacchio di foto?" biascicai
sottovoce non riuscendo a contenere il nervosismo. Mi imposi di nuovo
l'autocontrollo: in fondo non era accaduto nulla di così
strano, nulla di sovvrannaturale, fino a quel momento, la foto poteva
tranquillamente essere stata presa da qualcuno, mi dissi. Tirai un
sospiro di sollievo. Era ovvio! Qualche marmocchio curioso era passato
di là e, vedendo quella foto, si era intrufolato nella
recinzione e l'aveva rubata! Sì, era una spiegazione
più che scontata, appurai dandomi al contempo dello stupido.
Ecco, il misterioso caso della sparizione era risolto! Mi asciugai la
fronte: cavoli, quella ragazza e il suo ridicolo discorso mi avevano
impressionato e non poco. ....A questo punto potrebbe sembrare che la
storia sia finita, già, pareva proprio che l'espediente
logico avesse salvato la situazione, invece, non saprei se per fortuna
o per disgrazia, non fu così, infatti, mentre scuotevo il
capo nella repentina gioia che mi aveva colto mi appoggiai con un
braccio al cancello, spostandolo lentamente. Sì, il cancello
si mosse, ma solo di pochi centimetri, forse un paio, cosa che mi fece
immediatamente notare l'enorme catenccio che legava insieme le due
ante. Lo toccai, era grande e pesantissimo, nessun bambino sarebbe
stato in grado di toglierlo. Paralizzato dal terrore della
consapevolezza, rivolsi gli occhi alle sbarre, ma notai che queste
erano troppo vicine le une alle altre per essere attraversate anche dal
più gracile pargoletto e, alzando lo sguardo, vidi delle
punte affilate come lance, che di certo tenevano lontano qualsiasi
visitatore. No, nessuno poteva essere entrato, quel cancello era troppo
alto e troppo minaccioso, decisamente insormontabile, eppure, guardando
di nuovo il portone all'interno, confermai a me stesso che quella foto
era sparita. Ci doveva essere una spiegazione, era
naturale....forse....forse si era staccata ed era caduta nell'erba.
Sì, sì, poteva essere successo, ma la cosa non mi
calmava. Dovevo avere una conferma, una dannatissima conferma della mia
teoria, così, senza pensarci e sensa ragionare mi allontai
dalla villa per cercare un qualsiasi oggetto capace di rompere il
catenaccio e permettermi di entrare per controllare. I momenti che
seguirono sono abbastanza annebbiati nella mia memoria, riesco a
malapena a ricordare il cantiere in cui entrai e da cui sottrassi un
grosso pezzo di ferro dalla forma allungata e due tenaglie....ora, con
il senno di poi, posso dire che quel cantiere era fin troppo
vicino alla villa, ma questo a quel tempo non mi preoccupò,
anche perché forse era solo l'ultimo tassello del
puzzle...comunque tornai in quel luogo e preso da un sentimento che non
saprei se definire paura o euforia, spezzai la catena e spalancai il
cancello. Un suono di metallo arruginito accompagnato da un lento
cigolare mi accolse in quel regno notturno....sì, quel luogo
pareva proprio un mondo a parte, quest'idea fu lampante nella mia mente
appena entrai. Mossi qualche passo incerto in avanti, tenendo i sensi
all'erta, poiché, anche se mi costava caro ammetterlo,
quell'atmosfera tetra e silenziosa, mi terorizzava. "Devo fare presto!"
pensai "Voglio rimanere il minor tempo possibile in questo postaccio!"
e così mi avviai svelto verso il portone. Avrei controllato
se c'era la foto davanti all'entrata e, appena confermata la sua
presenza, me la sarei svignata, perché ovviamente era
scontato che la foto ci fosse, non sapevo assolutamente che quella foto
non l'avrei vista quella sera, bensì solo dopo. Giunto di
fronte al fatidico uscio mi chinai e frugai fra i fili d'erba secca e
più il tempo passava senza risultati, più mi
innervosivo. Quella foto doveva essere lì! Era l'unica
spiegazione plausibile. In preda alla rabbia iniziai a strappare quel
pagliericcio e fu allora che qualcosa accadde, una sensazione che
ricordo ancor ora. Proprio mentre ero intento a tirar fuori una radice
dal terreno, sentii uno scricchiolio al mio fianco e, voltandomi, vidi
chiaramente il portone oscuro che si apriva, lentamente, con la stessa
delicatezza con cui un padrone di una casa apre la porta ad un suo
gradito ospite. Fu qualcosa che percepii perfettamente....un muto
invito....qualcuno mi aveva chiesto di entrare, lo sentivo dentro, ero
di nuovo attraversato da una dolorosa nostalgia che aspettava solo di
essere placata....e l'unico modo per farlo, aimé, era
varcare quella soglia e perdermi nell'oscurità di
quell'abitazione....Rimasi a lungo fermo a pensare sul da farsi,
indeciso se seguire quel richiamo o tornarmene nell'albergo e nel mio
scetticismo, ma qualcosa, una sorta di segno, sì, fu un
chiaro segnale, mi pregò di entrare....infatti, proprio
mentre mi alzavo per scrollarmi dai vestiti il terriccio che mi ero
buttato addosso, udii qualcosa muoversi all'interno, qualcosa di
flebile eppure di netto, fu come....sì, fu come un ribalzo,
avete presente? Il rimbalzo di una palla, ma di una palla leggerissima,
tanto che il suono fu a malapena percepibile. Senza pensare entrai,
come se avessi sentito qualcuno chiamare il mio nome dall'interno. Lo
scenario che mi si presento fu quantomeno inquietante: mi ritrovai in
un immenso salone spoglio, pieno solo di calcinacci e di polvere.
Osservai attentamente l'ambiente, niente che saltasse all'occhio se non
una zona della sala completamente divorata dall'ombra, un'ombra
così densa da sembrare innaturale. Non sapendo come
comportarmi pensai che la cosa più ovvia sarebbe stata
accertarsi che non ci fosse nessuno, o che ci fosse qualcuno,
precisamente non sapevo neanch'io cosa desideravo, se mettermi in
contatto con la persona che mi aveva chiamato o appurare che non c'era
niente di sovrannaturale in quella casa, tuttavia chiesi:
"C'è qualcuno lì?".......attesi......silenzio:
non un suono, non un rimbombo, né proveniente dall'interno
della casa né dall'esterno. Quel luogo era completamente
atono, ma atono in una maniera oscura ed inquietante, no, non era un
silenzio normale. Passò un po' di tempo in cui aspettai un
qualsiasi segno, fruscio, respiro, poi, quando mi resi conto che le mie
parole si erano perse nel vuoto, scossi la testa impercettibilmente,
dandomi di nuovo dello stupido, ma, appena feci per muovermi, mi sentii
come paralizzato, non saprei dire se da qualcosa o da qualcuno,
semplicemente mi accorsi che il mio corpo non rispondeva ai comandi,
rimaneva fermo, pietrificato. Fu immediatamente panico,
perché non sapevo a cosa ricollegare quell'improvvisa
mancanza di forze, se alla paura, o a qualche....presenza....? Fattosta
che mi guardai attorno muovendo solo gli occhi all'interno delle loro
orbite indurite e non vidi nessuno, niente che potesse insospettirmi,
se non....quella macchia di oscurità che ora pareva fattasi
ancora più nera ed inscindibile....Continuai ad osservarla
e, non riuscendo a trovare una soluzione alla situazione, chiesi di
nuovo: "C'è qualcuno qui?"......di nuovo nulla, un silenzio
marmoreo aleggiava nell'aria....digrignai i denti sentendo ancora i
miei muscoli bloccati, mi sforzai di muovere le mani o almeno le dita
quando qualcosa di inaspettato fece sobbalzare il mio
cuore......"C'è qualcuno qui?" sgranai gli occhi quando udii
questa frase provenire da non so quale angolo della stanza.....rimasi
atterrito, incapace di pensare e di agire, senza sapere se essere
impaurito o semplicemente stupito.....chi aveva parlato?....ma era
stato veramente qualcuno a pronunciare quelle parole oppure era stato
solo un'eco tardiva della mia stessa voce? Non volevo credere che ci
fosse qualcuno lì, qualcuno che mi osservava nascosto
nell'ombra, no, dovevo dimostrare che non era così....allora
gridai con voce stridula "Sono....sono io, Pitt...tu chi
sei?"......nulla, vuoto, un silenzio interminabile, un silenzio durato
fin troppo per essere quello che scandisce una voce dalla sua
eco....eppure...."Sono....sono io....." rimasi proteso
all'ascolto....erano le mie stesse identiche parole, il tono con cui
erano pronunciate aveva addirittura la mia stessa incertezza,
però....la frase si interrompeva a metà....non
aveva la mia stessa conclusione.....forse perché il suono si
era interrotto all'improvviso o perché le ultime parole
erano state dette con una voce troppo flebile per essere riprodotta
oppure....perché chi aveva detto quella frase.....non aveva
il mio stesso nome...lì per lì non ci pensai, di
certo non era la spiegazione più logica da dare ad un simile
evento, tuttavia incuriosito, seppur terrorizzato, continuai a parlare
cercando una conferma: “Chi c’è là?”.
Aspettai. No, non poteva essere un’eco, stava passando troppo, troppo
tempo....Aspettai, aspettai ancora finché non sentii un
grido smorzato. Mi allarmai, mi guardai intorno facendo una fatica
immane, cercai una via di fuga senza sapere tuttavia come arrivarci
finché arrivò una risposta quasi sussurrata:
“Sono io....” . "Di nuovo? Ma cos’è uno scherzo?" pensai
"Chi è che parla? C’è qualcuno che parla o sono
solo io che faccio domande e mi rispondo da solo?": “Chi sei? Chi sei?
Rispondimi” sbraitai apparendo arrabbiato, ma in realtà ero
solo terrorizzato da quella strana situazione...... “Sono io....”. Di
nuovo, rimasi paralizzato, ormai ero quasi certo ci fosse qualcuno.....
“Io chi? Dimmi il tuo nome!”...Silenzio, un’attesa che mi parve
interminabile, poi... “Il mio nome....” Sussultai: "C’è
qualcuno, ci dev’essere per forza qualcuno, per la prima volta ha
utilizzato una parola diversa dalle mie e quindi non può
essere solo un’eco!" mi dissi, mentre percepivo il mio corpo
sciogliersi da quella che mi era parsa una morza. Mi sgranchii le ossa,
mi osservai le mani constatando che non c'era nulla di anomale ma,
proprio quando stavo per tranquillizzarmi, sentii di nuovo: "Il mio
nome....". Alzai il capo e cercai con lo sguardo per il salone alla
ricerca di chi mi aveva dato quella risposta. Non trovai
nessuno.....quando ad un tratto mi ricordai di quella macchia nera che
rabbuiava l'angolo più remoto della stanza. Mi girai da
quella parte eppure, con mio grande stupore vidi che non c'era
più, o meglio, che si era spostata, al suo posto infatti
v'era un lungo corridoio che si concluva nelle tenebre più
nere. Mi chiesi come fosse possibile una cosa del genere, ma mi risposi
che non aveva senso cercare una spiegazione ai fenomeni che si stavano
susseguendo in quel luogo, non più almeno, era decisamente
meglio impegnarsi a scoprire chi c'era dietro a tutto ciò,
perché lo sentivo, c'era qualcuno e quel qualcuno era
lì, alla fine di quel corridoio, nascosto nel buio. Senza
pensarci mi avvicinai all'arcata che precedeva quel passaggio e
lì scrutai attentamente la densità quasi
tangibile di quell'oscurità. Non so come, mi parve di
essermi già fermato in quel punto, mi sembrò
d'aver visto già quel corridoio illuminato però
da un'opaca luce pomeridiana. Mentre catturavo questa reminescenza
osservavo attetamente il buio e notai che si intravedevano come dei
filamenti, qualcosa di strano, che tuttavia non mi impedì di
continuare la mia ricerca. Mi incamminai per quella via muovendo passi
incerti, mi voltai più volte per controllare che dietro di
me fosse tutto tranquillo e quindi assicurarmi una via di fuga. Piano
piano attorno a me si iniziò a fare più buio e
stranamente i miei occhi non riuscivano ad abituarsi a quel nero quasi
solido. Avanzavo, avanzavo e più avanzavo più mi
iniziavo a preoccupare chiedendomi quanto fosse lungo quel corridoio ed
avendo paura a rispondermi. L'aria si faceva sempre più
rarefatta, facevo fatica a respirare, mi sentivo sempre più
stanco, tanto che, dopo un buon quarto d'ora di cammino decisi di
appoggiarmi ad una parete. Appoggiando la mano sul muro sobbalzai.
C'era come qualcosa di viscido ed umido che ricopriva le pareti, ma,
anche avvicinandomi la mano al volto non riuscivo a dedurre cosa fosse,
anche se percepii un odore strano, tipo l'unione fra il profumo dei
gelsomini e la muffa. Poggiai di nuovo la mano su quella superficie,
cercando di riconoscere quella sostanza almeno al tatto, ma a quel
punto accadde qualcosa di ancor più straordinario. Nel punto
che avevo toccato si aprì una specie di varco e una luce
fortissima, mi accecò.
Appena
riniziai a distinguere qualcosa, cercai di capire cosa vi fosse
all'interno e con mio grande sgomento mi accorsi che non v'era nulla, o
meglio, non si riusciva a scorgere nulla per quanto era potente la
luce, l'unica cosa che notai e che mi è rimasta impressa
dato che fu l'unica volta che vidi verificarsi un fenomeno simile, fu
un'ombra lunga che partiva dalla porta e si perdeva nel bianco. Di
solito quando ci si trova in un luogo buio e si apre una porta dove
c'è una luce accesa, questa filtra attraverso la soglia e
fende l'oscurità, giusto? Bé lì era il
contrario, era l'oscurità a fendere la luce, qualcosa di
praticamente impossibile. Preso da questa visione non mi accorsi che
mano a mano di fronte a me si stavano iniziando a delineare i contorni
di qualcosa. Appena me ne accorsi riuscii a distinguere chiaramente il
profilo di un grosso tavolo, quello di una sedia e qualche linea
indefinita sullo sfondo, forse la sagoma di una porta finestra, ma
quello che catturò la mia attenzione fu la sagoma di una
persona seduta sulla sedia. Non ero sicuro che fosse proprio un essere
reale, o meglio, umano, semplicemente le sue forme parevano quelle di
un ragazzo.....Avendo ormai sconfitto ogni timore, parlai, la mia voce
rimbombò per tutta quella che credo fosse una stanza: "Chi
sei tu?"....La figura si voltò, fu un movimento appena
percettibile dallo spostamento dei contorni, si alzò
lentamente, quasi con grazia direi, e iniziò ad incamminarsi
verso di me. Ad ogni passo la mia ritrovata inquitudine cresceva a
dismisura, tanto che, quando fu ad un paio di metri da me, iniziai ad
indietreggiare avvicinandomi alle tenebre. Allora, senza che io
focalizzassi subito le sue intenzioni, quella sagoma iniziò
a camminare più veloce, e più si avvicinava
più sentivo degli sbalzi di temperatura, in alcune zone del
corpo sentivo un piacevole tepore, mentre in altre una rinfrescante
brezza. Quando fui proprio al limite fra luce ed ombra il ragazzo mi
raggiunse e fra i contorni indefiniti del suo essere distinsi
nettamente due occhi neri, più neri dell'oscurità
in cui mi ero addentrato. All'inizio mi pavero arrabbiati, quasi
malvagi, poi, accantonando il mio terrore, mi accorsi che avevano una
venatura triste, quasi malinconica, erano come.....gli occhi di una
persona che dice addio.....Tutto questo durò un attimo,
appena un istante, perché subito la mia attenzione si
spostò sul suo braccio, appena definito da un lieve
contrasto fra la luminosità della stanza e il buio
all'esterno, questo si alzò e, facendo un ampio movimento,
sfiorò con la sua mano sinistra la mia mano destra. Subito
la ritrassi e la infilai nella tasca del giubbotto per paura che la
toccasse ancora, ma se devo dire la verità non percepii
affatto quel contatto, cioè non sentii nulla, era come se la
sua mano non avesse alcuna consistenza. Preso dal panico per la
vicinanza che c'era fra me e quella sorta di, non saprei dire....
spirito forse, feci un passo indietro e mi rimmersi nelle tenebre. In
un secondo vidi sparire il varco e la luce e mi ritrovai a galleggiare
nel nero puro, con addosso un'inspiegabile sensazione di angoscia che
mi toglieva il respiro. Sentivo quasi come se la nostalgia si
attaccasse al mio corpo e lo trattenesse, lo dilaniasse. Mi passarono
davanti agli occhi tante scene che si confondevano con le tenebre,
scene che riguardavano quella villa, scene che non sapevo dove
ricollocare se nel mio passato o in un sogno. Non so quanto
durò quel brutto momento, so solo che ad un certo punto, mi
parve di scorgere, con la coda dell'occhio, una chiazza rosa che
squarciava quel paradiso oscuro. Presto questo taglio di colore si
allargò, divenendo sempre più vivace, sempre
più sfumato di altri colori, rosso, arancione, giallo,
pareva quasi....l'alba....ed infatti fu all'alba che mi svegliai nella
mia camera d'albergo, tutto sudato e con le coperte attaccate al corpo.
Mi alzai di scatto, mi guardai attorno, non riuscendo a capacitarmi di
essere tornato alla normalità. Scrutai attentamente ogni
particolare della stanza, senza tuttavia trovarvi nulla di anormale.
Così mi rilassai e mi ridistesi. In un primo momento non
riuscii a pensare a niente, fu come se io avessi dimenticato tutto
ciò che era successo, poi però, a poco a poco,
iniziarono a riaffiorare nella mia mente delle immagini incredibilmente
limpide. Rividi la villa, quella maledetta villa, rividi le sue palme,
il salone ed il corridoio,l'erba, le sedie ed il tavolino, i due
balconi con in mezzo la grande finestra, le finestre più
piccole, il portone, rividi il salone desolato e polveroso, rividi il
corridoio e l'oscurità assoluta, rividi i contorni
indefiniti dello spirito, rividi.....la foto, quella dannatissima foto.
Mi misi a sedere, trafelato: la foto, dovevo vedere quella foto, dovevo
accertarmi che era ancora sulla porta, dovevo convincermi che era stato
tutto un sogno. Mi alzai, mi misi il cappotto e le scarpe e corsi come
un folle verso il viale ingiallito....quello che vidi mi
lasciò di stucco....un'enorme e malefica palla demolitrice
stava colpendo senza pietà quella povera casa. Restai per un
po' incredulo, non riuscendo a concepire come ciò fosse
possibile, quando mi ricordai del cantiere dov'ero stato a prendere le
tenaglie per aprire il cancello, quel cantiere proprio a fianco alla
villa. Non sapevo se considerare questo mio ricordo una prova della
realtà di ciò che mi era successo. No, mi dissi,
la foto era la chiave, ma proprio mentre me ne restavo fermo a pensare
la palla si scagliò impietosa contro il fragile uscio,
distruggendolo. Scossi il capo incredulo: no, non poteva essere, ora
avrei dovuto vivere per sempre nel dubbio. Mi avvicinai al cancello
avvilito ed osservai quel cumulo di macerie che era diventata l'entrata
di quel luogo surreale, ma proprio mentre chinavo il capo affranto
sentii una voce dietro di me:
-
Un vero peccato, eh? - La riconobbi
subito, ancor prima di voltarmi. Era lei, la donna del giorno prima,
sempre avvolta nel suo cappotto nero. Si avvicinò al
cancello e ne strinse, con le sue mani di un bianco cadaverico, le
sbarre spesse. Io risposi, senza guardarla, troppo preso dal grigio
panorama di calcinacci che si estendeva all'interno della villa:
-
Già.....chissà qual'era il
mistero che celava questa casa.... - lei si voltò rimandendo
incredula, poi tornò ai suoi pensieri ed il silenzio
piombò fra noi, interrotto solo dai rimbombi dei muri che
venivano abbattuti. Con la sua demolizione quella villa avrebbe portato
per sempre con se il suo segreto, nessuno, neanche io, avrebbe potuto
sapere la sua storia, nessuno avrebbe conosciuto il nome di quella
presenza, ma mentre riflettevo sull'entità inviolabile dei
misteri, la donna parlò, delle parole che mi colpirono:
-
Lui voleva solo dirti addio....- all'inizio non capii il
senso di questa frase, ma quando mi resi conto che si riferiva
all'esperienza della sera prima, sussultai e mi girai immediatamente
verso di lei. - Me lo ha chiesto due giorni fa.....-
continuò lei - mi ha detto che un suo amico sarebbe arrivato
in città e mi ha pregato di condurti qui.....di invogliarti
ad entrare......voleva solo salutarti...- ripeté con voce
atona.
-
Ma chi? Chi voleva solo salutarmi? - le domandai preso da
una fervente curiosità e da un raggelante sgomento. Lei
rimase in silenzio per un po', poi riprese:
-
Non lo so, non so precisamente chi fosse....mi ha detto di
essere tuo amico....mi ha detto che abitava in questa casa, che era
malato....mi ha detto....- si interruppe come se si sfozasse di
ricordare.
Un
flashback solcò la mia mente....il mostro?
Così chiesi:
-
Che ti ha detto?
-
Ha detto....che ti vedeva sempre dalla finetra della sua
camera....e che avrebbe voluto tanto...tanto...- divenni di pietra
quando vidi il suo volto deformarsi in una smorfia di dolore ed i suoi
occhi farsi piccoli e lucidi - avrebbe voluto tanto giocare con
te....ma...- all'improvviso si bloccò, il suo viso si
distese, divenne di marmo, completamente inespessivo - io avrei voluto
tanto giocare con lui, perché lui me lo ha chiesto, una
volta....ed io avrei voluto rispondergli di sì, io volevo
giocare con lui, ma non potevo....perché stavo male,
però lui me lo ha chiesto, ha rotto la solitudine della mia
vita tanto che io da quel giorno mi rallegravo anche solo di vederlo
correre felice fuori per la strada, mi bastava questo....lui
è l'unico che mi ha parlato....l'unico che è
entrato nel mio mondo...ti prego parlagli, digli di venire che lo
voglio salutare, perché questa mia reggia è
soltanto un altro umano baluardo che non può resistere allo
scorrere del tempo ed io devo almeno un addio a chi ha portato un
raggio di luce nella mia vita....- la ragazza sembrò scossa,
poi, davanti ai miei occhi increduli, si accasciò a terra e
iniziò ha respirare affannosamente. Io mi mossi per
aiutarla, ma lei rifiutò il mio soccorso facendo cenno di
stare bene. Si rialzò aggrappandosi al cancello, poi quando
fu di nuovo in piedi, concluse:
-
Questo mi ha detto.... - io ero completamente spaesato, non
riuscivo a capire il significato di quelle frasi.
-
Cosa sei tu? Una medium? - fu la prima cosa che mi venne da
chiedere. Lei annui con aria affranta, allora io continuai:
-
Io non conosco nessuno in questa villa, cioè
abitavo qui di fronte, ma non mi è stato mai permesso di
entrare perché dicevano che ci abitasse un demone,
un....ragazzo mostruoso....- tacqui nell'ascoltare la mia stessa voce.
Un ragazzo mostruoso....due grandi occhi neri, capelli ricci ed
inspidi, fu quello che mi balenò nella mente all'udire
quelle due parole, sì, io in quel momento vidi chiaramente
nella mia mente il ragazzo della foto, lo vidi, ma non lo vidi
sorridente come era in quell'immagine sbiadita, bensì con
un'espressione timidamente impaurita, lo vidi con un realismo
impressionante, lo vidi seminascosto dall'anta di una porta e mi resi
conto....di stare ricordando qualcosa, qualcosa che avevo dimenticato,
qualcosa a cui non avevo mai dato importanza....Avevo mentito, ma, che
Dio mi perdoni, non l'avevo fatto con cattive intenzioni, ma
semplicemente perché avevo rimosso dalla mia mente
un'episodio che ritenevo insignificante e che invece si era rivelato il
tassello mancante di tutta quella vicenda...Non era vero che non ero
mai entrato in quella villa, l'avevo fatto una volta: un pomeriggio
d'estate la mia pallina preferita si era infilata fra le sbarre del
cancello ed aveva varcato la fessura della porta d'ingresso che
stranamente quel giorno era socchiusa. Con l'ingenuità di un
bambino, mi ero intrufolato all'inteno ignorando i moniti dei miei che
mi avevano raccomandato di non entrare. Ricordo che mi appoggiai alla
porta, il pomello era tiepido, ricordo che sentii un lieve rimbalzo
all'interno, ricordo che era tutto buio e tetro. Forse un po'
intimorito dall'aspetto della casa, corsi per raggiungere la pallina
che stava rotolando ormai stanca verso un lungo corridoio. Questa si
vermò proprio al suo inizio. Giunsi saltellando fin
lì, senza smettere di guardarmi attorno avendo paura che
sbucasse qualche mostro. Mi chinai in fretta a raccoglierla, ma mentre
mi alzavo, notai una presenza silenziosa che mi osservava da dietro una
delle porte che si affacciavano sul corridoio. Lo osservai, un ragazzo
bruno ed impaurito che si stringeva forte alla porta terrorizzato dalla
mia presenza. "Chi sei tu?" gli domandai. Lui sussultò e
dapprima non rispose, poi si fece coraggio e con la voce tremula
ripeté: "Chi sei tu?". "Io sono Pitt" risposi sorridendo
"Qual'è il tuo nome?". "Il mio nome....?"
sussurrò lui stupito, come se fosse la prima volta che gli
porgessero questa domanda. Non concluse la frase, tanto che io, non
sapendo che fare gli chiesi: "Vuoi venire a giocare con me?". Lui mi
guardò, i suoi occhi parevano quelli di un cerbiatto
inseguito dai cacciatori. Non rispose, anzi, si allontanò e
chiuse la porta. Io mi indispetti subito e, sbuffando, me ne andai da
quello strano posto e non vi rientrai mai più,
fino ad allora. Era stata una vicenda insignificante che avevo subito
dimenticato. Cercai con la mia mente di cogliere ogni piccola sfumatura
di quel momento, incredulo e commosso dalla dolcezza che suscitava in
me il pensiero che per quel ragazzo quell'incontro aveva assunto un
valore straordinario tanto che, anche dopo la morte, aveva sentito il
bisogno di salutarmi prima di abbandonare per sempre questo mondo.
Sorrisi lievemente, mentre scuotevo il capo stupito e intenerito da
quest'affetto di cui ero stato reso inconsapevolmente partecipe, quando
ad un tratto fui fulminato da una domanda:
-
Ehi, ma come si chiamava? - chiesi voltandomi di scatto in
direzione della donna e stupendomi del fatto che lei non fosse
più al mio fianco. La cercai con lo sguardo e la vidi che si
allontanava seguendo il viale, ricordo perfettamente l'ondeggiare lento
del suo cappotta che la faceva sembrare così irreale. Ora
che si penso avrei potuto rincorrerla, fermarla, chiederle tante altre
cose....eppure non lo feci, quel poco che ero riuscito a scoprire mi
soddisfava, ero felice così, ero felice di sentire quei
sentimenti che mi avevano accompagnato per una vita senza che io me ne
rendessi conto .Restai fermo ad osservare la donna fino a che
non scomparve all'orizzonte e, anche dopo che se ne fu andata, restai
immobile a fissare la villa, o ciò che ne rimaneva, fino a
sera, crogiolandomi nel piacevole tepore dei ricordi perduti. Quando
poi divenne troppo buio per poter scorgere qualcosa decisi di avviarmi
verso l'albergo per preparare le valige dato che quello era il mio
ultimo giorno di soggiorno. Per la strada si levava la piacevole brezza
dell'inverno ormai prossimo, un vento che ti penetra dritto alle ossa
facendo rabbrividire tutto il corpo. Mi strinsi di più nel
cappotto scuro sentendo le mie mani indurirsi sempre più,
divenire sempre più nodose. "Certo, quello che è
accaduto oggi ha dell'incredibile" mi dissi, mentre mi alitavo sulle
dita per riscaldarmi "e pensare che ancora non ho chiaro se quello di
ieri sera fosse solo una visione indottami da quel ragazzo oppure se
sia successo veramente.....non ho certezze" sospirai mentre mi infilavo
le mani paralizzate nelle tasche. Ricordo il calore ruvido della stoffa
del cappotto carezzarmi nel mani, quando ad un tratto sentii qualcosa
di liscio sfiorare la mia mano detra, sembrava un pezzetto di carta. Mi
fermai e lo tirai fuori. Sgranai gli occhi.....la foto....la foto di
quel ragazzo, quella appesa alla porta era lì, nella mia
mano destra....sussultai pensando alla sera prima, quando quel giovane
mi aveva sfiorato proprio quella mano ed io l'avevo infilata subito in
tasca. Sorrisi e forse nella mia mente lo ringraziai per avermi
regalato quel suo ricordo e, segretamente, anche peravermi donato
quell'incredibile esperienza.Così, mentre il vapore dei miei
respiri si perdeva nella notte, camminai per la via e nei miei ricordi,
scuotendo più volte il capo e rimpiangendo tutte le cose
ormai senza forma e le persone ormai senza volto che avevo dimenticato.
Di certo, pensai, quel ragazzo sarebbe rimasto impresso nella mia
memoria per sempre....ed è così che finisce
questo racconto, nella nostalgia delle cose passate, perse lungo la via
che conduce al futuro, nella smania placida e disperata di cercare i
noi qualche frammento di sentimento per sfuggire alla realtà
latente della condizione umana.
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