Masquerade
- Capitolo uno -
Strange Girl
You are my stories,
a tale I have never read before.
When I gazed into
your eyes, I could see an unknown land.
Stories where the
door opened a tale that will never be shut again.
Destiny cannot be
changed: I shall head to an unknown land.
I want to protect
you with that simple thought alone until the moment when this pitch black world
overflows with light.
Maledizione. Era successo ancora una volta.
Ultimamente si svegliava con qualche minuto in anticipo rispetto
al solito e non era nemmeno in grado di spiegarsene la ragione. Alle volte
credeva fosse dovuto al fuso orario, eppure qualcosa dentro di lei le suggeriva
che la causa fosse di ben più rilevante importanza. Stava per succedere
qualcosa ma non sapeva né capiva ancora cosa. Ciò la infastidiva e non poco,
mal che bene era abituata ad avere tutto sotto controllo nella sua vita. Non
accadeva mai nulla di nuovo, come non essere capaci di prevedere una vita così
monotona?
Alzò lentamente il braccio destro roteando il polso in modo da
vedere l’orologio.
« Tre, due, uno... » E la sveglia suonò, rimbombando fra le
quattro pareti color panna e, quasi per assurdo, nello stesso momento i raggi
del sole attraversarono la finestra della giovane, colpendola in pieno viso. A
questo contatto, troppo forte per i suoi occhi dorati, la ragazza si coprì il
volto incrociando le braccia.
Con gli occhi chiusi, per un momento si perse nei suoi pensieri.
Cercò di ricordarsi la prima volta che vide i raggi solari
illuminare la sua stanza, mostrandole un nuovo giorno. Ci provò svariate volte
ma l’unica immagine che appariva dolente nella sua mente era quella di una
bambina sporca di sangue che correva disperata per la campagna.
Quando finalmente tornò in se spalancò gli occhi e la sola cosa
che riuscì a percepire fu il fastidioso rumore della sveglia che pareva volerle
distruggere i timpani. Allungò veloce il braccio e spense finalmente
l’aggeggio. «A quanto pare mi tocca. »
Con calma si alzò dal letto e si diresse di fronte all’armadio
color quercia. Lo aprì e l’odore di nuovo la colpì in pieno viso: ancora non si
era abituata a quel tipo di legna, anche se in realtà tutto era nuovo.
Si era, infatti, appena trasferita dall’Impero di Britannia
all’Area 11 a casa dei suoi zii, due persone premurose e ancora innamorati con
la stessa forza che ventiquattro anni prima li aveva uniti. Erano stati molto
gentili ad offrirsi di prendersi cura di lei dopo che l’unica persona su cui
poteva contare era venuta a mancare da diversi mesi. Sospirò forte e rimproverò
mentalmente se stessa per i suoi soliti viaggi mentali.
C.C. era diversa da qualsiasi ragazza al mondo. I lunghi capelli
verdi creavano sempre un effetto sorpresa per chiunque la vedesse e solo in
pochi le credevano quando affermava essere il suo colore naturale. Gli occhi
erano grandi e di un bellissimo color ambra, difficile da riscontrare nelle
persone di tutti i giorni. La pelle era soffice e chiara, molto simile alla
porcellana, spesso era stata chiamata “Bambolina” per questo. Ma C.C., più che
per l’aspetto fisico, era diversa da tutte le altre per la sua spiccata
personalità. Non era una di quelle ragazze che passavano ore ed ore a
gironzolare fra i negozi, anzi, detestava l’idea di trascorrere un’intera
giornata dentro ad un negozio a provare vestiti su vestiti: solitamente vestiva
ciò che le comprava la zia. Nonostante ciò, anche a modo suo aveva parecchio
stile. Quella degli zii era una famiglia nobile ma non al livello di coloro che
frequentavano la reggia dell’Imperatore di Britannia, quindi le spese non erano
mai “inutili”. Sua zia le comprava spesso delle minigonne e delle magliette
che, agli occhi di una qualsiasi adolescente aristocratica, sarebbero state
“semplici” o “prive di glamour”.
Per C.C. non era così. Assolutamente.
Combinava diversi colori e differenti tipi di abbigliamento
creando così uno stile tutto suo. Provava poco interesse anche per ciò che
erano trucchi, creme per la pelle e quant’altro che era invece vitale per le
sue coetanee. Forse l’unica cosa che la rendeva simile al resto dell’umanità,
era il suo amore per la musica, in particolare per il canto e il pianoforte che
suonava da quando aveva sei anni. Amava studiare. Questo la rendeva sicuramente
diversa non solo dalle altre ragazze, ma da tutto il genere umano.
Prese velocemente l’uniforme e l’appoggiò sul letto prima di
andare velocemente in bagno. Non era ritardataria come ragazza seppur esecrasse
l’idea di arrivare presto; perciò era già preparata a ciò che avrebbe udito
quando scese le scale e si diresse in cucina dagli zii.
« Buongiorno. » Salutò piano prendendo posto a tavola di fronte
allo zio.
« Buongiorno a te. » Rispose lo zio sorridendole amorevolmente.
« C.C. tesoro, farai tardi se non ti sbrighi. » Le disse la zia
posandole davanti una tazza di latte.
« Grazie. »
« Allora, emozionata per il tuo primo giorno di scuola alla
prestigiosa Ashford Academy? » Domandò lo zio sorseggiando il suo caffè. C.C.
prese fra le mani la tazza rosa e bevve un po’ di latte.
« Essere circondata da un branco di figli di papà m’irrita
parecchio. » Appoggiò la tazza sul tavolo e vide la zia prendere posto a fianco
al marito con un’espressione alquanto dispiaciuta. Avevano fatto innumerevoli
sacrifici per poterle garantire un posto in quella scuola, c’erano volute due settimane
in tutto. « Tuttavia, » continuò « devo riconoscere che quella scuola da
un’ottima preparazione ed inoltre dispongono di differenti laboratori ben
attrezzati e una biblioteca immensa. Come scuola è ottima, è la gente che è
marcia. » Concluse finendo di bere il latte.
« Questo è vero C.C. » commentò la zia ora rasserenata dalle
parole della ragazza. « Molti di quei ragazzi sono lì solo grazie al loro nome
e non perché lo meritino davvero. Però io sono dell’idea che dovresti farti
degli amici comunque, ricorda che non è la compagnia che fa la persona. »
« Concordo con te amore. » Intervenne il marito prendendole la
mano. « Sono sicuro poi che trattandosi di C.C. piacerà sicuramente ai compagni
e non la vedremo più a casa, tanto sarà occupata a uscire con loro! ». La donna
sorrise accarezzandogli il volto.
« L’importante è che non lasci da parte lo studio C.C., che è la
cosa più importante! Però è anche giusto che tu abbia una vita, non te lo
dimenticare, okay? » La giovane annuì e abbozzò un piccolo sorriso,
accertandosi ancora una volta di quanto fosse stata fortunata nell’esser
capitata fra le loro amorevoli cure.
« Grazie. » Si limitò a dire alzandosi a lavare la sua tazza. La
conoscevano da poco in realtà, si era trasferita nella loro casa pochi mesi
prima, tuttavia si erano affezionati subito a quella ragazza incapace di
sorridere. Quindi per loro fu tanto ricevere quel semplice gesto, sapevano che
la ragazza apprezzava ciò che facevano per lei.
« Lascia stare tesoro, tu vai pure che qui lavo io. » Le disse la
zia prendendole delicatamente la tazza dalle mani. « Dai vai che adesso tuo zio
va ad accendere la macchina per portarti a scuola. » C.C. annuì e ringraziò
nuovamente prima di salire le scale. Scese qualche minuto dopo con i capelli
legati in una coda di cavallo, se li avesse lasciati sciolti, lunghi com’erano,
le avrebbero sicuramente provocato eccessivo calore. Passò in cucina a salutare
la zia e poi si diresse al garage, dove l’aspettava lo zio.
« Giusto in tempo. » Le disse, porgendole poi una banconota da €
100. Lo guardò stupita: a cosa le sarebbero dovuti servire? « Prendili. »
Continuò sorridente. « Non si sa mai che ci siano degli errori alla mensa o
qualcos’altro e qui nessuno vuole che tu muoia di fame. » Provò a contestare ma
prima che dalla sua bocca potesse uscire un qualche suono, lui l’interruppe. «
Niente proteste, prendili e basta, sono ordini del capo. » Rise segnalando
fuori dal finestrino la moglie intenta a salutarli dalla finestra del secondo
piano. C.C. capì che non c’era niente da fare e accettò i soldi che mise nella
tasca della giacchetta gialla.
Arrivano troppo in fretta a destinazione, così velocemente che
C.C. non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi che il preside le aveva già dato e
il benvenuto e che ora, accompagnata da quello che probabilmente sarebbe stato
il suo professore e coordinatore di classe, si stava avvicinando alla sua nuova
aula: un’aula piena di polli e galline dalle uova d’oro, come li chiamava lei.
Man mano che si avvicinavano si sentiva uno strano trambusto aumentare sempre
più il volume che si fece più forte e vivido davanti alla porta dove il
professore si fermò. Erano loro, dunque, quelli che stavano facendo quella gran
confusione.
« Siamo arrivati. » Le disse l’uomo. Aprì la porta e
improvvisamente il caos sparì. Il professore si diresse alla cattedra ed
appoggiò i suoi libri, visibilmente infastidito. « Non vi metterò una nota né
mi metterò a fare la predica ma almeno per oggi cercate di mostrarvi un po’
educati e intelligenti con la nuova compagna. » La curiosità di conoscere la
già vociferata nuova arrivata fece zittire tutti che presero a scambiare
sguardi furenti con i loro vicini di banco. « Venite pure avanti signorina. »
C.C., che nel frattempo si era persa nell’esaminare la struttura, i colori e lo
stile di quell’edificio così regale da ricordare una reggia, sentita la frase
guardò nuovamente in direzione della classe e vide il professore invitarla con
un ovvio gesto del braccio. Fu così che con passo deciso e sguardo fiero, la
ragazza varcò la soglia di quell’aula con l’eleganza degna di una principessa.
In realtà, lei ancora non
sapeva cosa l’aspettava.
Non sapeva che i
presentimenti procreatori delle sue insonni notti erano dell’avvenire la paura.
C.C. allora neanche
avrebbe mai immaginato che varcando quella soglia aveva firmato la sua
Condanna.
In eterno.
Allora era il 7 settembre
2010