Nero
Capitolo 1: Bello e dannato
Dolce e pura
Neve.
Correva senza sapere dove e quando andare, trattenendo tra le mani una
vecchia fotografia tutta rovinata e stropicciata. Le sue vesti e il
viso erano completamente sporche di terra e sangue, che, alla tenue
luce della luna piena, intensificavano, in un gioco lugubre, i colori e
la sua figura alta e snella.
Da sotto il sudiciume, era possibile scorgervi una figura giovane e dai
tratti delicati e dentro i suoi occhi...la paura.
Nelle orecchie gli rimbombavano le grida, fioche, alle sue spalle, il
continuo battere incessante e frenetico del suo cuore e nelle tempie il
sangue. Se si fosse fermato adesso, sarebbe stata la fine di tutto.
Ma lui non voleva morire. Non in quel momento, non in quel modo, non
per mano loro.
Se era arrivato a tutto quello, era proprio per amore della vita, della
sua vita, per il suo proprio egoismo.
Si svegliò di soprassalto, portandosi immeditatamente a sedere e
mettendosi una mano alla bocca, notando, al tocco delle dita sulla
pelle, quanto fosse sudato.
Quell'incubo, continuava a tormentarlo da tantissimo tempo ormai e non
aveva assolutamente intenzione di lasciarlo dormire in pace almeno una
volta.
Si voltò, non appena si fu calmato e guardò la sveglia accanto a lui.
Le 3:46.
Maledizione era ancora troppo presto per fare tutto e lui aveva perso
nuovamente il sonno.
Tornò a stendersi e solo in quel momento, si rese conto che accanto a
lui c'era qualcuno. Si mise a guardare l'esile figura della ragazza che
gli giaceva addormentata accanto. Non ricordava niente di quello che
fosse successo tra di loro, ma non poteva neanche fare finta di non
immaginarlo. Praticamente succedeva quasi tutte le sere.
Le scosse delicatamente le coperte da dosso e subito l'odore dolciastro
del sangue gli entrò fin dentro le ossa. Quella sera, non doveva essere
particolarmente affamato a giudicare dallo stato in cui la carcassa si
trovava. Aveva tirato via solo qualche pezzo dallo stomaco, fino ad
arrivare alle interiora, ma si era fermato li.
Solitamente non lasciava quasi nulla.
La coprì nuovamente e a quel punto si costrinse ad alzarsi e compose un
numero sul suo cellulare.
Attese il solito paio di squilli.
- Vienimi a prendere...l'albergo sulla ventiquattresima strada...c'è un
altro lavoro per te - disse e poi chiuse la conversazione, senza
aspettare una risposta.
Non aveva mai sbagliato un lavoro. Ecco perchè si fidava del suo uomo.
Era sicuro che gli avrebbe fatto trovare la macchina pronta fuori il
portone e poi si sarebbe occupato lui di far scomparire tutto.
Era stato un buon acquisto quello. Il miogliore di tutta la sua vita.
Grazie a lui, non doveva nascondersi o scappare mai più.
A fargli scontare i suoi peccati adesso, bastavano quei ricordi, che
lui chiamava incubi.
Andò a farsi una doccia e quando uscì, rimase a fissare la propria
immagine riflessa nello specchio.
Bellissimo. Era la parola che più lo descriveva. Bellissimo come un
sogno di paradiso (anche se lui il paradiso, non lo aveva neanche mai
sfiorato con un dito).
Aveva tutto quello che si poteva desiderare dalla vita, la bellezza, la
giovinezza, i soldi e il carattere.
Ma a quale assurdo prezzo, aveva dovuto pagare tutto quello.
Si rendeva conto solo in quel momento che la sua vita, era scesa pian
piano, dal diventare un inferno quotidiano.
Eppure non poteva desiderare mai di più.
Aveva sempre avuto il terrore di morire, ma sopratutto di invecchiare ,
di vedere la sua bellezza scappargli tra le dita senza poterla fermare,
senza ptoerla trattenere per sempre.
Quel per sempre gli era parso così allettante, che non ci aveva
minimamente pensato due volte, prima di donare la propria anima a
quella strega maledetta. E lei lo aveva trasformato in un mostro dal
viso d'angelo.
Un dio con l'anima putrefatta.
L'unica cosa che non era mai cambiata in lui, era il suo essere
'cattivo'.
Non aveva mai amato nessuno all'infuori di se stesso, non aveva mai
fatto niente per gli altri e non aveva mai avuto l'intenzione di
apparire giusto o essere amato.
Ora più che mai, entrambe le cose gli sembravano impossibili.
Quella strega, lo aveva ingannato. Gli aveva dato quello che aveva
chiesto ma ad una condizione, che comprese solo tempo dopo.
Per mantenersi giovane, per non avvizzire, per non morire, doveva
'mangiare'.
Mangiare persone per poter assorbire quello che del suo corpo invece,
stava marcendo.
Lo aveva capito quando improvvisamente, si era reso conto che la pelle
del viso, stava come sfaldandosi, quasi fosse una bambola di porcellana
che cadeva in pezzi. La sua fame era diventata così forte e
insopportabile, che non ci aveva pensato due secondi ad avventarsi
sulla servetta che gli portava da mangiare.
Una volta finito, pulitosi del sangue, aveva visto come il suo bel
viso, era tornato perfetto.
Allora aveva capito quel che doveva fare, per mantenersi.
Una cura cannibale.
Si guardò ancora allo specchio e poi mosse leggermente il collo, per
poter constatare con i propri occhi, che la sfaldatura dietro la spalla
fosse scomparsa.
A distanza di tempo, il suo corpo richiedeva una sempre maggiore cura,
con l'avanzare del tempo, invecchiava sempre più velocemente e lui
aveva finito per dover uccidere quasi ogni notte.
Si toccò il petto, liscio, asciutto, dalla pelle diafana e i capezzoli
scuri.
Lasciò cadere l'asciugamano che aveva in vita e andò verso il letto,
cominciando a rivestirsi.
La senzazione della camicia di seta sul corpo fu così piacevole, che ci
mise qualche minuto, prima di indossarla completamente.
Una volta finito anche di vestirsi, appariva come un giovanissimo uomo
d'affari. Come immaginare quello che quella maschera in realtà
nascondeva?
Uscì pagando il conto e come immaginava, una macchina era li ad
aspettarlo.
Ne uscirono due uomini, uno completamente vestito di nero, che lo
sorpassò, entrando a sua volta nell'albergo, un altro che gli aprì la
portiera facendolo entrare.
- Portami in qualche locale...ho voglia di bene - ordinò.
L'uomo ovviamente obbedì.
Poteva fare solo quello se non voleva rischiare di fare la stessa fine
di tutte le persone che lo avvicinavano.
Non appena fu al locale, tolse la giacca, posò la ventiquattro ore, si
sbottonò la camicia, lasciando intravedere il petto nudo.
C'erano davvero molte persone quel giorno.
Per fortuna aveva già mangiato o sarebbe stato un problema divertirsi.
Ordinò qualcosa al bar. Un Cosmopolitan, il suo preferito e poi si
buttò nella mischia.
Un paio di ragazze già brille, si buttarono addosso e cominciarono a
strusciarsi come gatte in calore contro di lui; ne
respirò il profumo che era un misto di una qualche marca molto costosa
e alcool. Le lasciò andare dopo neanche dieci minuti e tornò al bancone.
Bevve qualche bicchiere, poi si sentì improvvisamente colpire da
qualcosa o da qualcuno.
Si girò e vide una cameriera, che raccoglieva pezzi di bicchiere andati
in frantumi. Si piegò a sua volta per aiutarla.
- Si è fatta male? - chiese e solo in quel momento lo guardò davvero in
viso.
Era davvero carina e sembrava che quello, non fosse proprio il suo
posto. Si teneva distante dalla gente e si copriva continuamente quella
minigonna così corta, proprio per permettere agli avventori del posto,
di poter godere delle grazie delle ragazze.
Un piccolo servizio gratuito, per attirare clienti.
Magari con un extra, era possibile anche portarsele in una camera
d'albergo.
Aveva dovuto accettare quel lavoro per poter sostenere le spese
universitarie. I suoi dopo la separazione, non la guardavano neanche
più in faccia, troppo presi dai loro problemi e dal lavoro e quindi,
era stata costretta ad arrangiarsi.
Una sua collega le aveva proposto quel posto e anche se all'inizio era
stata riluttante, per non farsi buttare fuori dall'appartamento e per
non sforare le date di pagamento delle rette, aveva dovuto accettare.
Non era una ragazza molto sicura di se. Molti uomini le avevano detto
che era davvero bella e avevano provato a conquistarla, ma lei era una
sognatrice e aspettava il principe azzurro, che, nascosto da qualche
parte, l'avrebbe salvata.
Era sempre così presa dai suoi pensieri che non si era resa conto di
aver urtato un cliente e mentre si affrettava a raccogliere tutto,
sperando di non essere licenziata, sentì una voce calda e gentile che
le rivolse una domanda.
Alzò lo sguardo e rimase abbagliata dalla bellezza della persona che le
stava di fronte.
Il principe azzurro.
Fu quello a cui pensò in quel momento. Non poteva non essere lui. Aveva
tutto quello che si era sempre aspettata da un uomo.
Sembrava essere gentile e la stava aiutando.
Era bello, anzi no, era perfetto.
Una perfezione che per un attimo, la mise in soggezione e la spaventò.
Sorrise.
- No sto bene, mi dispiace esserle venuta addosso...sono davvero
imperdonabile - disse - Le ho rovinato la camicia? - chiese.
Per un attimo stava seriamente pensando di lasciar perdere, che o fosse
stupida o fosse muta, ma poi finalmente proferì qualche parola.
Tornò quindi a sorridere e con una mossa studiata, ma che sembrò del
tutto casuale, andò a sfiorarle la mano.
- Figurati...non è niente di grave, la porterò a lavare - sorrise
ancora, tirando fuori la sua parte seducente e play boy.
Le prese il vassoio e lo portò sul bancone.
- Sembri non essere molto a tuo agio qui in mezzo - constatò - Non mi
sembri molto disinvolta come le altre ragazze...devi essere nuova e
neanche molto esperta della vita notturna...
Una sua qualità, era quella di poter capire a colpo d'occhio le
persone, ecco perchè, andava sempre a colpo sicuro, quando doveva
scegliere qualcuno.
Persone sole, che nessuno avrebbe mai cercato e che nessuno avrebbe
pianto.
Quel ragazzo si era davvero accorto di quello che provava.
Aveva davvero, con un'occhiata, compreso qual'era il suo stato d'animo!
Se ne sentì imbarazzata, perchè era come se avesse letto dentro di lei,
come se potesse vederla, metterla a nudo. Istintivamente finì per
coprirsi e allontanarsi.
Quel ragazzo adesso, sembrava pericoloso e affascinante, entrambe le
cose. Un mix fatale.
- E' solo il mio secondo giorno...devo ancora abituarmi...mi scusi
ancora per la camicia - fece frettolosamente e cercò di andare via.
Adesso pensava di andarsene?
Troppo comodo. L'aveva puntata e sarebbe stata sua ad ogni costo. Anche
a costo di ammazzarla.
In qualche modo quel suo atteggiamento da ragazzina per bene e
innocente gli piaceva.
La prese per il braccio.
- Hai paura di me per caso? - chiese ridendo.
La sua risata roca, profonda e sensuale, era un'arma di seduzione che
non falliva mai.
- Tranquilla non voglio farti nulla...solo chiacchierare un pochino,
non mi capita mai di fermarmi a parlare con qualcuno...che ne dici di
farlo fuori da qui? - propose.
Se il diavolo era tentatore, lui allora, era il diavolo in persona.
Continuò a guardarla senza mai smettere di sorridere.
- Un pò d'aria fresca farà bene a tutti e due
Sentiva che non doveva accettare quell'invito.
Non lo conosceva neanche. Non era prudente e poi, se anche aveva
pensato che fosse il suo principe azzurro, aveva un qualcosa di oscuro.
Non riusciva a capire quali fossero le sue intenzioni. Sembrava così
dolce e tranquillo, ma il suo tono di voce, nascondeva qualcosa di
estremamente diabolico.
Ma se è vero che la mente e il corpo si coordinano sempre, in quel
momento il suo corpo, si era completamente scisso dalla mente e si
muoveva in automatico verso le scale che portavano alla terrazza,
sentendo gli occhi dello sconosciuto alle sue spalle.
Lentamente il livello della musica finì per calare, mentre il suono dei
passi si faceva sempre più forte.
Tutto divenne improvvisamente scuro.
- Dovrebbero mettere una luce qui...è pericoloso camminare al buio -
sospirò.
Fortuna della ragazza lui aveva lo stomaco pieno e nessuna sfaldatura,
quindi non doveva temere nessun attacco alle spalle.
- Tranquilla...se dovessi cadere, ti tengo io - promise lui.
E mentre si abituava all'oscurità e alla puzza di muffa che aleggiava
tra le mura e la tromba delle scale, vide aprirsi come uno spiraglio di
luce, che lo immise direttamente sulla terrazza che dava sul mondo
intero.
La città sembrava essere ai suoi piedi, con il rumore caotico del
traffico, le luci sfavillanti e la notte che a fatica riusciva a farsi
strada nello splendore di una città che solo in quelle ore, iniziava a
sembrare realmente viva.
Il vento che si insinuava dentro la camicia, tra i capelli e lasciava
una dolce, malinconica e silenziosa sensazione di ricordi passati,
quando alla città, si estendeva una modesta cittadina di campagna.
Quanto poteva cambiare in meno di un secolo; lui lo sapeva bene.