PROLOGO
Alle 11 e 37 del 2 luglio Rossella non era ancora pronta a partire da
casa, benché l’ansia l’avesse destata
alle cinque del mattino rendendola incapace di riprendere sonno.
Aveva studiato fino a tardi quel giorno e non aveva dormito nei due
precedenti, sottoponendo il suo corpo alla più faticosa
secchiata a cui la sua rischiosa condotta scolastica l’avesse
mai condotta. Non era mai stata una studentessa diligente in quel
senso, una di quelle che si prendono per tempo, che ripartiscono il
lavoro in una o più settimane, che scrivono parola per
parola ciò che dice l’insegnante, e in vista
dell’esame di stato se ne era pentita in più
occasioni. Aveva superato le tre prove scritte brillantemente - con sua
sorpresa - e aveva con stupore constatato – leggendo il suo
punteggio – che avrebbe potuto addirittura aspirare al
fantomatico cento; a rallegrarla, però, non questa
constatazione, quanto più quella che con il suo risultato
poteva già considerarsi diplomata.
Sarebbe stata l’ultima della sua classe a sottoporsi alla
prova orale e, come lei stessa si era ripromessa invano di non fare,
aveva trascorso la settimana precedente oziando in giro per casa,
indebolita dal caldo, portandosi appresso costantemente una bottiglia
d’acqua da un litro e mezzo.
La tesina era già stata preparata e non vi si poteva trovare
alcun rifermento alle materie d’esame; quando
l’insegnante di italiano l’aveva puntualizzato,
Rossella, facendo spallucce, aveva dichiarato che non era sua
intenzione coinvolgerle direttamente. Nei tre giorni precedenti
all’esame orale non aveva nemmeno aperto il suo elaborato,
fiduciosa nelle sue capacità mnemoniche, che sperava le
avrebbero impedito di dimenticare – anche in un momento di
ansia - ciò che aveva scritto personalmente. Aveva studiato
poco, constatò tristemente la mattina della prova davanti a
una tazza di caffè, rigirandosi tra le mani uno dei tanti
fogli su cui aveva raccolto i suoi appunti di filosofia. Non ricordava
assolutamente nulla.
Sospirò e gettò uno sguardo
all’orologio, 11 e 39; la prova sarebbe iniziata alle 12 e 20
e lei era ancora a casa immobile; stranamente non era per nulla
agitata, giaceva in uno stato di tiepida rassegnazione;
svuotò in due sorsi la tazza di caffè, la ripose
nel lavandino e si gettò sotto la doccia.
A mezzogiorno e diciassette varcò il portone della scuola e
percorse il corridoio che la separava dall’aula in cui si
sarebbe tenuto il colloquio, giusto in tempo per incontrare una sua
compagna, in lacrime, che abbandonava la scuola dopo la sua prova
assieme al fidanzato.
Mormorò un saluto abbassando lo sguardo; non aveva mai avuto
un buon rapporto con le sue compagne di classe, semplicemente
perché tendeva a ignorare categoricamente tutto
ciò che non le interessava. Valutò se fosse il
caso di domandarle com’era andata, ma le parve una domanda
superflua; aveva sentito che la commissaria esterna di inglese era una
vera stronza che si divertiva a mettere sotto pressione gli studenti
più in difficoltà e che tendeva anche a fare del
sarcasmo ogni qual volta il candidato diceva qualcosa che lei reputava
“impreciso” o “totalmente
errato”.
Mentre avanzava nel corridoio ricordò che, la settimana
precedente, una sua compagna le aveva raccontato che questa commissaria
aveva indossato nel corso di tutta l’interrogazione degli
occhiali da sole a specchio e che, sollevando schifata la sua prova,
l’aveva commentata con un semplice
“disgusting”. Non si sentiva per nulla intimorita,
però, e si limitava a scivolare lungo il corridoio verso la
porta socchiusa dell’aula B07.
La trattennero 55 minuti esatti e la lasciarono uscire dopo averla
sottoposta ad una serie di domande invadenti in merito alle sue scelte
per il futuro; cercò di rispondere pacatamente che non aveva
idee chiare in merito a nulla che andasse oltre la programmazione delle
sue vacanze ad agosto, ma questo non bastò a sciogliere la
febbrile curiosità della commissione. L’esame
orale era andato piuttosto bene, aveva risposto con calma a ogni
domanda e era riuscita a mettere a tacere la commissaria di inglese,
che tentava costantemente di far vacillare la sua sicurezza e metterla
in difficoltà.
Varcò la soglia lentamente, quasi a volersi gustare ogni
metro del corridoio che la separava dall’uscita;
l’unico sentimento che affiorava nella sua mente era un senso
di vuoto e silenzio.
Allora che dire? Quest’introduzione, in realtà,
serve soltanto a presentare un po’ il mio personaggio e a
definire il clima della storia, diciamo.
Siate pure crudeli ^^ La critica è altamente formativa e io
ho veramente voglia di sentire cosa ne pensate.
L’immagine che posto qua sopra (spudoratamente copiata
dall’album dei dream theater xD) la metto perché
mi sembra rappresenti bene il clima post-maturità ^^
Grazie mille per aver letto fin qui ^^
IdemConPatate
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