Ci
siamo, l’ultimo aggiornamento. Con tutti i miei ritardi
sembrava quasi che questo momento non dovesse giungere, invece
è giunto e, beh,
a questo punto, vorrei spendere qualche parola… ma per ora
lascerò che sia il
capitolo a parlare. Dunque ci rivediamo dopo e buona lettura!
Capitolo 14
“Incontro alla
luce”
Si sentiva fuori posto, in più di un senso. Completamente
inosservata agli
altri, ancora radunati in cerchio attorno ad Akane, era uscita dalla
sala
grande con l’intenzione di dirigersi verso la propria camera
al piano di sopra.
Poco prima di raggiungere le scale, il suo sesto senso le aveva
però comunicato
qualcosa e aveva quindi deviato dal percorso, determinando che fosse
opportuno
rinfrescarsi un momento.
Ma di momenti ne erano passati parecchi da quando si era sciacquata e
non
poteva certo continuare a strofinare l’asciugamano al viso,
la pelle stava
protestando a furia di essere sfregata. Lo posò e disse a
voce alta: “Ora,
penso, potrebbe anche uscire allo scoperto...”
In quel momento stesso Ke Lun udì un forte rumore, come di
un vetro in frantumi.
Ansimò, accorgendosi di aver trattenuto il respiro fino a
quel momento. Si
guardò di nuovo attorno: molte presenze stavano
avvicinandosi a lei e alla zia
Nodoka, ma all’appello mancava l’unica che contava.
“Ranma?” Domandò la signora, come se
stesse davvero aspettando una risposta. Si
portò una mano alla bocca, aveva un’aria sorpresa
e forse anche delusa. Akane
non poté dirsi di condividere del tutto quella sensazione.
Udì diverse voci, non riusciva a tradurle in frasi di senso
compiuto né la cosa
le importava. Stava realizzando tutta la portata di ciò a
cui stava andando
incontro e, nonostante il rumore da cui era circondata, si sentiva
incredibilmente sola.
Dunque lui voleva evitarla? Non aveva nemmeno il coraggio di
affrontarla, di
parlare con lei? Non poteva davvero essere stupido fino a un tale
punto, nemmeno
Ranma. Avrebbe voluto picchiarlo, insultarlo e gridare la propria
rabbia fino a
farsi sentire in ogni angolo della nazione.
E al tempo stesso non trovava più nemmeno la forza di
muoversi, di voltarsi e
tranquillizzare chi le stava accanto, figurarsi di pronunciare parola.
Perfino
Ukyo, nella sua testa, era ammutolita da diversi secondi, probabilmente
colta
alla sprovvista dalla fuga del loro comune fidanzato. O forse era lei
che non
riusciva a sentire nemmeno le sue parole.
Inumidendosi le labbra inaspettatamente asciutte, strinse le braccia al
corpo
con fare meccanico. Fuori faceva freddo, ma di questo prese coscienza
soltanto
diversi secondi più tardi.
Balzò di tetto in tetto, tenendo con una sola mano il
proprio carico, in un
equilibrio che sarebbe apparso precario solo per l’occhio
più disattento. Uno
scherzo invece per lui, e questo nonostante la carenza di allenamenti,
la
mancanza di sonno e l’ansia che lo stava dominando; ma ora
non era affatto
dell’umore di vantarsene.
Chissà come
reagirà.
Cercò di non immaginare la delusione sul volto di sua madre,
e ovviamente ciò
sortì l’effetto opposto. Non importava, si sarebbe
giustificato, si sarebbe
scusato, in qualche modo avrebbe perfino pagato i danni provocati.
Sarebbe
voluto uscire dal Nekohanten in un modo più ortodosso, ma
quel che era fatto
era fatto. E tutto questo, ora, passava in secondo piano.
Pregò di non stare per commettere una grossa stupidaggine,
per quanto se lo
fosse ripromesso: se ci fosse stato anche solo il minimo cenno di
speranza, lui
avrebbe provato qualunque cosa. Proprio sua madre era stata
l’ispirazione per
ciò che gli era venuto in mente, glielo avrebbe spiegato e
magari lei avrebbe
capito. Avrebbero capito.
Poteva salvare Akane, doveva salvarla. Era finito il tempo di piangersi
addosso, stava tutto a lui: e se anche, una volta arrivato a
destinazione,
avesse dovuto affrontare altri cento, mille Safulan, ebbene
l’avrebbe fatto
senza battere ciglio.
“Il dottor Tofu, presumo.”
Afferrò la stanghetta degli occhiali e mise a fuoco, con un
po’ di meraviglia,
la figura non più alta di un comodino che aveva
letteralmente balzellato nella
sua direzione e si stagliava ora di fronte a lui abbarbicata al proprio
bastone, con un’aria saccente e che per questo gli appariva
quasi comica,
associata a tale immagine. Poi ricordò di avere a che fare
con una delle Grandi
Anziane del leggendario popolo di Joketsuzoku e riacquistò
un certo contegno.
“Venerabile Cologne”, cominciò
aggiustandosi la voce, “ero venuto per…”
“Non è il momento.” La sua
interlocutrice si guardò rapidamente attorno, forse
solo per constatare che il rumore che aveva fatto sobbalzare entrambi
poco
prima non era stato causato da lui. Poi puntò gli occhi in
direzione opposta
del corridoio. “Lo sgabuzzino. Ma certo.”
“Vengo con lei!” Disse, traducendo in azione le
proprie parole quando
l’amazzone lo ebbe già distanziato di qualche
metro.
La raggiunse che era intenta a contemplare una porta aperta per
metà e fuori
dai cardini, nonché l’interno della stanza,
illuminato dall’interruttore acceso.
“Era chiusa a chiave… domani mi
toccherà far sistemare la serratura.”
Borbottò.
“Un ladro?” Chiese Tofu, affacciandosi a sua volta.
“Mentre tutti noi eravamo
in casa?”
“Sicuramente qualcuno che è entrato dalla porta
sul retro, dato che eravamo
riuniti nel salone. E che se n’è fuggito
da… beh, direi che non ci sia neanche
da domandarselo.” Concluse additando il vetro rotto e la
finestra dalla quale
faceva capolino, a tratti, qualche soffio di vento freddo.
“Un’uscita ancora
meno discreta, senza dubbio.”
Tofu ispezionò l’interno della stanza, scorrendo
tra scope e scatole varie
senza trovare niente che non facesse pensare a un comunissimo
ripostiglio.
“E manca qualcosa?” Domandò infine.
“Sì.” Disse l’amazzone.
“E si tratta delle uniche cose che potessero
avere… un
valore.”
Tofu ripensò alle foto che Nabiki aveva mostrato loro
qualche ora prima, quando
aveva smascherato il piano architettato dal signor Saotome. Non gli fu
difficile tirare le somme.
“Le fiasche con le acque maledette, giusto? E il resto
lascerebbe pensare a uno
dei
ragazzi.
Uno come Mousse, Ryoga, o più probabilmente
Ranma.”
Cologne lo fissò attentamente prima di rispondere. Poi
alzò il capo, con l’aria
del giocatore che decide di scoprire le proprie carte.
“Già, quelle fiasche. Tutte e tre, tra
l’altro. E immagino che anche l’altra
supposizione sia esatta.” Sospirò. “Pare
che il consorte abbia in mente
qualcosa, ma onestamente non saprei dire cosa di preciso possa avere
intenzione
di fare con quelle acque.” Socchiuse le palpebre.
“L’unico fatto certo è che
con Zhou Chuan Xiang non si scherza.”
“In verità”, Tofu aggiustò le
lenti all’altezza del naso, “credo di avere
un’idea a riguardo.”
L’interlocutrice tornò a fissarlo negli occhi,
lasciando trapelare un poco di
curiosità.
“Sentiamo.”
Si bloccò per qualche secondo. Si era recato da Cologne
proprio per esporre
questa intuizione ma non era sicuro della sua plausibilità,
tanto che aveva
finito per seguirla in silenzio ed era stato sul punto di lasciar
perdere,
quando lei era entrata in bagno. Si costrinse a ripetersi che doveva
osare,
doveva tornare ad avere fiducia nelle proprie capacità, e a
ogni modo qualunque
cosa era meglio della tortura a cui si era sottoposto fino a qualche
minuto
prima.
“Prima lei ci diceva che l’
Akanenichuan ha
fatto… se ricordo bene le sue esatte
parole, ‘da tramite’. In pratica la sorgente non ha
inglobato a sé una volta
per tutte la
tamashii
di Akane, non opera in quel modo ma funge
più
semplicemente da conduttore. Quando Ukyo si è bagnata con
quell’acqua, pur
trovandosi a centinaia di chilometri di distanza dalla Cina e dal monte
Kensei,
l’anima senziente di Akane è stata trasferita nel
suo corpo. E la sorgente è
diventata una fonte normale, prova ne è quel coniglio che vi
è stato immerso
senza alcuna conseguenza.”
“Precisamente.”
“Allora pensavo…” Espose rapidamente la
sua idea. Cologne lo ascoltò con
attenzione, annuì quando ce n’era bisogno, non lo
interruppe finché ebbe
finito.
“È una teoria interessante.” Gli disse
infine. “Sebbene non sappia se possa
davvero essere messa in pratica, si potrebbe fare almeno un
tentativo… ma…”
Alzò lo sguardo verso la stanza, intuendo il seguito della
frase. “Pare che
Ranma abbia avuto quest’idea prima di noi”,
constatò a sua volta, “o almeno ci
conviene sperare che sia andata così.”
L’amazzone non replicò nulla e Tofu la
scrutò con interesse. Qualcosa non lo
convinceva del tutto, forse la rapidità con cui Cologne
aveva accettato quanto
le aveva detto. Si domandò se per caso non fosse
già arrivata per conto suo
alla medesima conclusione, se l’avesse tenuta nascosta loro
per un tornaconto
personale.
La morte di una tra Akane e Ukyo poteva tornare utile a Shampoo,
effettivamente, ma davvero non riusciva a darsi una risposta
così crudele.
Da medico, non poteva concepire nulla di più importante di
una vita umana e
supponeva che la stessa Cologne non dovesse pensarla poi
così diversamente. Del
resto mai in tutto quel tempo era ricorsa a rimedi drastici per
acquistare
Ranma alla causa di Joketsuzoku, e di mezzi ne avrebbe avuti tanti.
Le urla della sua interlocutrice lo riscossero. Non comprendeva
ciò che
l’amazzone andava esclamando in lingua cinese, ma suonavano
indubbiamente come
delle imprecazioni.
“Venerabile Cologne, cos’è
successo?”
Cologne rispose senza guardarlo. “Quello scellerato di un
consorte non ha
considerato il problema più ovvio. Che cosa ha mai
combinato?!”
Non distingueva più le carezze sulle proprie spalle in segno
di conforto, né
sapeva di chi fossero le mani che avevano stretto le sue. Avvertiva
solo la
voce di Ukyo dentro di sé, che aveva ripreso a farsi sentire
con nuovo vigore:
ora la sentiva nitidamente, ma non era intenzionata a darle retta.
Scuotiti, le diceva. Vuoi forse che finisca tutto così?
Intendi startene ancora
a lungo a braccia conserte, trascorrere in questo modo i tuoi ultimi
momenti,
lasciare questo mondo senza nemmeno parlare un’ultima volta
con lui, dirgli
quel che provi? Ecco, guarda cosa mi stai facendo fare, proprio a me
che se
fossi al posto tuo non esiterei un istante a raggiungere Ran-chan con
ogni
mezzo, ma ti sembra giusto?! Scuotiti, insomma, o giuro su ogni
okonomiyaki
cucinata nella mia carriera che mi riprendo il mio corpo seduta stante!
Non puoi capire, le rispose mentalmente. Se lui non vuole vedermi, non
posso
costringerlo. E io non sono come te, non so esprimere i miei sentimenti
come
fai tu, non ne sono capace. Non ho la tua faccia tosta… il
tuo coraggio, la tua
forza d’animo.
Finiscila con queste baggianate, le replicò Ukyo con una
irruenza tale da farle
pensare di averla udita gridare sul serio e non solo nella sua testa.
Non posso
sentire questi discorsi dopo che hai preso una simile decisione, dopo
che mi
hai impedito il nobile gesto, il sacrificio espiatorio al posto tuo,
che hai
scelto di affrontare uno ad uno i tuoi cari, guardarli dritto in faccia
e dire
loro addio. Pensi che, di noi due, sia io quella ad aver avuto fegato?!
E
arrivata fin qui mi parli di rinunciare… di non rivedere
più quello stupido che
amiamo, quello stupido che ti ama?
“Ukyo…” Disse inavvertitamente a voce
alta, colpita di cuore da quello sfogo,
dalla verità di quanto detto. Anche se Ranma era fuggito,
lei l’avrebbe
ritrovato. Solo che non poteva…
Si interruppe, tornando alla realtà. Qualcuno le aveva
appena messo in mano
qualcosa di caldo. Spostando su di esso la propria attenzione,
poté riconoscere
la forma di un thermos.
“Non è da bere.” Disse Nabiki, sbucando
di fronte a lei e facendole un
occhiolino. “Con questo potrai ritrasformarti in Ukyo quando
desideri, senza
bisogno di tornare qui.”
“Sorellina…”
“Risparmiati il ‘sorellina’, con me non
attacca: sappi che addebiterò questo
servizio al tuo caro fidanzato. E ora vai, hai ancora tutto il tempo di
trovarlo.”
Akane accennò a muoversi, poi si bloccò.
Guardò ancora la sorella. E poco più
distanti Kasumi, papà, la zia Nodoka, che annuivano piano.
“Cosa aspetti, un altro saluto melodrammatico?
Sbrigati!” Nabiki accennò un
gesto della mano per enfatizzare la propria esortazione, ma fu
anticipata dal
suo slancio. Non ne uscì fuori il migliore degli abbracci,
ma per Akane andava
benissimo lo stesso.
“Grazie. Ti voglio bene anch’io.”
Mormorò, prima di interrompere il contatto e
allontanarsi senza osservare la reazione di Nabiki, senza
più guardare nessuno.
Se si fosse voltata indietro, forse avrebbe perso il coraggio e non
poteva, non
voleva permettersi questo.
E corse, corse. No Ukyo, pensò, non voglio che tutto finisca
così.
Ma era talmente assurdo, non sapeva nemmeno dove si stesse dirigendo.
Ranma
poteva trovarsi ovunque. No, non era questo l’atteggiamento
giusto, non
importava, doveva provare. Il cuore le gridava di farlo.
Anche se solo un’ultima volta, voleva vederlo ancora.
Forzò la finestra e scoprì che non ce ne sarebbe
stato bisogno, nessuno aveva
provveduto a chiuderla ermeticamente dopo la ‘fuga’
della notte prima.
Un altro conto da
pagare…
Stupendosi della propria autoironia, pensò che andava bene
così, il più era
fatto e ora doveva imporsi di essere ottimista. Entrò e
soltanto allora
realizzò la fatica e la stanchezza e si permise di
riprendere fiato per qualche
istante, sedendosi per terra a poca distanza dal letto, dalla vera
Akane.
Aveva bisogno di riordinare le idee.
Grazie alle parole di sua madre, il discorso di Obaba gli era tornato
chiaro e
vivido nella mente. Per qualche minuto, tutto aveva avuto perfettamente
senso.
Adesso, invece, i dubbi erano tornati a sovrastarlo e a impedirgli ogni
lucidità di pensiero. Quante probabilità
c’erano che la sua idea potesse
funzionare?
Ma non aveva più tempo per pentirsi. Scrutò le
tre damigiane. Era così agitato
che, entrato nel ripostiglio del ristorante dove le aveva viste
l’ultima volta,
non era nemmeno riuscito a leggere con attenzione le scritte sulle
etichette e,
per timore di scambiarle, aveva deciso di portarle tutte con
sé.
Si complimentò con se stesso per quella decisione
così assennata, pur presa in
un momento così confuso: non voleva nemmeno immaginare il
disastro che avrebbe
potuto combinare adoperando l’acqua sbagliata. Accese la
luce. Fissò
attentamente le damigiane e per un momento credette di essere ancora
troppo
nervoso, o che la vista gli stesse giocando un brutto scherzo. Poi la
verità lo
assalì come una scossa elettrica.
Le scritte erano in caratteri cinesi.
Per qualche secondo fu letteralmente dominato dal panico. Cosa diamine
aveva
fatto?! E ora come poteva riconoscere quella giusta? Calma, doveva
mantenere la
calma. Scrutò ogni centimetro della circonferenza di ogni
fiasca, forse da
qualche parte erano annotate le traduzioni… ma no, niente!
Quell’idiota
di una guida! Non poteva scrivere nella nostra
lingua?!
Calma, poteva ancora farcela. Sollevò una fiasca per volta:
una poteva
scartarla con sicurezza, ma le altre due… No, aveva
assolutamente bisogno di
capire cosa fosse scarabocchiato sulle etichette. Forse con un
dizionario… ma
dove trovarlo, ora?
Stupida guida! Stupido papà che non gli aveva mai fatto
imparare il cinese,
nonostante tutti i loro viaggi di addestramento!... Stupido lui, che
non
avrebbe dovuto fare di testa sua ma chiedere a Obaba…
“Maledizione!” Gridò contro un
appendiabiti. Non poteva finire così, non poteva
fallire. Lui era Ranma Saotome, non perdeva mai…
…quante stupidaggini. Glielo aveva detto anche sua madre,
non doveva lasciare
che fosse l’orgoglio a parlare per lui. Non c’era
davvero nulla da vincere o
perdere.
Appoggiandosi alla spalliera del letto cominciò a parlarle,
la pregò di
capirlo, di perdonarlo. Ma proprio guardandola ancora una volta,
distesa su
quel letto, lo comprese: lei non era la vera Akane, era solo un corpo
senz’anima
che non gli avrebbe mai potuto rispondere.
Solo un altro dei
sogni
che aveva rincorso inutilmente.
Contro ogni logica gridò il suo nome, come se la forza della
sua voce potesse
svegliarla e compiere il miracolo. In una fiaba a lieto fine, forse,
sarebbe
stato così, eppure nella realtà lei si
ostinò a non proferire verbo e lui si
sentì morire dentro.
In un ultimo impeto scagliò un forte pugno contro la parete,
urlando la propria
disperazione, consapevole di aver perso anche la sua ultima
possibilità. Poi
tutto divenne buio.
Una strana sensazione le attraversò il petto, simile a una
fitta. Piegò il
torace e appoggiò le mani sulle ginocchia, raccogliendo il
fiato.
Si guardò intorno. Le era parso che qualcuno
l’avesse chiamata, ma il luogo era
deserto. Riconobbe lo spiazzo del parco giochi vicino casa, un breve
intervallo
tra le abitazioni della zona che permetteva di scorgere la linea
dell’orizzonte. Quanto aveva corso? E quanto mancava ancora
all’alba? Non ne
aveva la minima idea e più ci pensava, più si
convinceva che tutta questa cosa
non aveva alcun senso. Lei stava per morire, e ne aveva una paura
matta: aveva
cercato di non affrontare davvero quella verità, ma il suo
scudo mentale si era
ormai infranto del tutto.
Stava per morire, ma non voleva. Si chiedeva perché dovesse
toccarle questo
destino, a lei che non aveva nemmeno finito di frequentare la scuola
superiore.
Si chiedeva perché proprio lei, quale karma dovesse
scontare, cos’avesse mai
fatto di male per essere punita così gravemente. Voleva
vivere, diplomarsi,
magari iscriversi all’università, guidare la
palestra di arti marziali, farsi
una famiglia e ora non avrebbe avuto niente di tutto questo.
Scoprì che la sua vista era annebbiata dalle lacrime. Non
ricordava nemmeno di
aver cominciato a piangere. Ukyo provò ancora a confortarla,
ma lei stavolta
ricacciò con rabbia quel gesto, non voleva più
sentire la solidarietà di
nessuno.
“Voglio vivere!” Gridò disperata.
E poi gridò ancora, e decise che avrebbe continuato fino a
consumarsi le corde
vocali. Cos’altro le restava da fare?
E all’improvviso, fissando l’immagine deformata
della mano che stringeva il
thermos, come una folgorazione, la risposta le si manifestò
limpida e seducente
nella sua semplicità.
Assolutamente nulla.
Le sarebbe bastato aspettare. Non doveva fare nulla. Aspettare e
nient’altro. E
sarebbe sopravvissuta. E sarebbe…
…cosa stava andando a pensare? Stava forse perdendo il lume
della ragione?! Se
lei non si fosse bagnata con quell’acqua calda prima del
sorgere del sole,
sarebbe stata Ukyo a fare la sua fine. Voleva vivere, ma non a quel
prezzo, non
poteva prendere in considerazione una simile…
Ma voleva vivere. Voleva vedere Ranma, ma non avrebbe potuto farlo se
ora fosse
morta. Anche Ukyo gliel’aveva detto, no? Anche Ukyo voleva
che lei vedesse
Ranma. Perciò non faceva una grinza, non faceva…
Il cielo. Era più chiaro rispetto a pochi minuti prima.
Asciugandosi il viso,
scorse i primi raggi del sole che premevano per uscire fuori. Adesso o
mai più.
Il braccio le tremò.
“Mi hai sopravvalutato, Ucchan”, disse piano,
notando appena di averla chiamata
con il diminutivo, “non ho affatto fegato, sto morendo di
paura… perdonami, non
trovo la forza di farlo.”
Non poteva farcela, non poteva versarsi quell’acqua. Era
debole.
Allontanò lievemente da sé il thermos, fissandolo
come la cosa più orribile
sulla faccia della terra.
Kami, perdonami,
perdonatemi. Ranma…
Soun dovette fermarsi. Non voleva, ma fu costretto. Le gambe gli
avevano ceduto
e non riusciva a contrastare l’ansimare del proprio fiatone,
il corpo non gli
rispondeva più come una volta. E poi, ormai,
l’aveva vista.
La ragazza con la divisa del Furinkan era inginocchiata per terra e
rivolta di
spalle col capo basso, per cui, nonostante il sole fosse appena sorto e
il
cielo si stesse rapidamente rischiarando, non era in grado di
identificarla.
Si avvicinò e udì un singhiozzare sommesso.
Scoprì che la propria mano si era
già posata con fare rassicurante sulla spalla della ragazza
prima ancora che la
sua mente avesse formulato un piano d’azione.
Lei sussultò. “Non volevo finisse
così… non è giusto”,
sussurrò, con una voce
così roca che non riuscì a riconoscerne il
timbro, “non è per niente giusto.” E
con queste parole voltò il capo nella sua direzione. Soun
non voleva, ma i loro
sguardi si incontrarono.
Vide il volto.
I capelli.
Lunghi.
Quelli di Ukyo.
La strinse a sé come se fosse un simulacro della figlia,
l’ultimo collegamento
che l’aveva temporaneamente vincolata a questo mondo e, senza
più niente che
potesse trattenerle, lasciò che le proprie lacrime si
unissero alle sue.
Epilogo
Silenzio. Aprì le palpebre, lentamente e con una certa
difficoltà, ma
l’oscurità non si dissipò di molto.
Alle sue spalle, anzi affianco a lei doveva
esserci una lieve fonte di luce, ma non bastava a rischiarare
l’ambiente dove
si trovava: non la aiutava il fatto che la vista era appannata e che il
corpo
non rispondeva ai suoi comandi. Impossibilitata a muoversi, scorgeva i
deboli
raggi di quella luce e ne era quasi ipnotizzata.
Si sentiva stordita, un po’ come se le fosse stato
somministrato un anestetico.
Le lacrime di poco prima non erano che un ricordo e il pensiero della
sua morte
non la angosciava più di tanto, forse si era rassegnata. O
forse, adesso che il
trapasso era compiuto, il peggio era effettivamente passato.
Provò ancora a muoversi, ma non vi riuscì.
Probabilmente era normale, da morta:
non aveva mai avuto notizie di cadaveri ambulanti, a parte quelli dei
film
dell’orrore che le piaceva guardare la sera tardi. Avvertiva
la presenza del
proprio corpo, ma poteva trattarsi semplicemente di
un’illusione costruita
dalla propria mente, così abituata alle sensazioni fisiche
da non sapersene
separare neppure in questo momento.
Chiuse gli occhi. Si domandò dove si trovasse, come mai non
stesse succedendo
niente. Forse non era ancora nell’Aldilà, forse
era in una specie di dimensione
intermedia, magari era in attesa della sua reincarnazione. Non si era
mai fatta
una idea precisa di come potesse funzionare il
‘dopo’, né ora era così
ansiosa
di scoprirlo.
Del resto non aveva nemmeno idea di come avesse trovato infine il
coraggio di
versarsi l’acqua del thermos e attivare la trasformazione,
salvando Ukyo giusto
in tempo. Ma l’aveva fatto e solo questo contava, adesso si
rendeva conto che
non sarebbe stata in grado di sopportare di essere sopravvissuta a sue
spese,
di vivere il resto della propria vita con il fardello sulla coscienza
di averne
soppressa un’altra.
Ancora silenzio. No, non proprio del tutto. Sentiva qualcosa, una
presenza, un
lieve respiro. Riaprì gli occhi, più facilmente
della prima volta.
Vide una sagoma, nella penombra. La sagoma di una persona rannicchiata
accanto
a lei, come addormentata, e i capelli che cascavano su un
lato… raccolti in un
codino…
Possibile…? Il cuore accelerò il proprio battito,
o almeno la mente lo
immaginava per lei, e lo sguardo continuò a vagare lungo la
figura curvilinea.
No, non era lui, non poteva scorgere tutti i dettagli ma chiaramente
stava
osservando i contorni della sua forma femminile. Però Ranma
era guarito dalla
maledizione, tutti erano guariti dalla maledizione, lo aveva visto nei
ricordi
di Ukyo, lo aveva sentito confermare da Mousse, non era forse
così? A meno che…
Un’intuizione la colpì all’improvviso.
Lo spirito della ragazza
annegata…?
Ma certo, aveva un senso, era logico. Le parve di partecipare alla
chiusura di
un cerchio: tutto era cominciato con Jusenkyo e con Jusenkyo doveva
finire,
pensò, e in un certo senso la faccenda era perfino
affascinante. Ma cosa
sarebbe stato di lei, ora?
Forse era bloccata lì, forse per sempre.
Dunque è
così, passerò
l’eternità assieme alle anime di coloro che sono
annegati nelle Sorgenti Maledette.
Le venne un brivido per tutto il corpo, incredibilmente reale per
essere un
parto della sua mente.
Le sembrò un destino orribile e più che mai
desiderò qualsiasi altra cosa,
qualunque cosa che non fosse questo. Ma soprattutto voleva rivederli.
Papà.
Kasumi. Nabiki. Ranma. Ranma. Ranma…
“Ran… ma…”
La ragazza con il codino sobbalzò. Forse lo spirito
l’aveva udita e si era
letteralmente risvegliato dal suo sonno.
Un momento, io sono
riuscita a parlare.
Lo spirito della ragazza annegata si inarcò verso di lei e
sbatté le palpebre più
volte in rapida successione, squadrandola come se fosse un fantasma,
cosa che
probabilmente era davvero. Ma la loro vicinanza la stava intimorendo, e
per
istinto Akane alzò il braccio verso di lei per allontanarla.
E sono riuscita a
muovermi.
Voleva essere un gesto brusco, ma si trovò invece a sfiorare
il viso della
ragazza. Era tiepido. E bagnato.
“Aka… ne?”
Conosceva il suo nome? Non poteva essere! Ma allora…
“Ranma…?”
Era vero, non stava sognando. Era davvero la sua voce.
Prese la mano che lei aveva poggiato sul proprio viso. Era fredda, la
strinse
tra le sue.
“Ranma, sei proprio tu?” Il suo tono era incredulo
e speranzoso al tempo
stesso. ‘Fragile’ era la parola che il cervello gli
suggeriva come la più
adatta.
Pensò di dover dire qualcosa. Dare prova anche a lei che non
erano in un sogno.
“Questo… dovrei chiederlo io a te, non ti
pare?” Le mormorò.
Era come se le lancette fossero tornate indietro. Le stava parlando.
Stava
parlando ad Akane. Il suo volto era pallido, lo sguardo stanco, ma lei
era
viva. Si stavano tenendo per mano e lei era viva.
Era un miracolo, perché anche l’ultimo suo
tentativo sembrava essere
miseramente fallito.
L’idea gli era arrivata ripensando alle parole dette da sua
madre: quando lei
aveva parlato di ‘tramite’, a lui era venuto in
mente il discorso di Obaba sul
funzionamento dell’acqua della fonte
Akanenichuan. Se
era
stata quella a
trascinare l’anima di Akane nel corpo di Ucchan, per quale
motivo – si era
chiesto d’un tratto – il fenomeno non poteva essere
replicabile? La risposta
era che poteva, punto.
Bagnando un altro corpo, l’anima avrebbe automaticamente
abbandonato Ukyo per
seguire il nuovo ‘ospite’, o questa almeno era la
sua speranza.
E stando così le cose, non poteva davvero pensare a un
ospite migliore del
corpo originale.
“Dove siamo? Non capisco…”
Ranma scosse piano la testa, tenne la mano della fidanzata come per
assicurarsi
che non potesse scomparire nel nulla e con l’altro braccio
teso verso la
finestra tirò la tenda, lasciando passare la luce del
giorno.
“Scema… non riconosci la tua camera?”
L’ambiente avvolto dai colori del mattino assunse un altro
aspetto, più
allegro, più vivo. Pensò distrattamente che poi
avrebbe dovuto riparare anche
quest’ultimo danno: il pugno che aveva sferrato prima aveva
sfondato in pieno
l’interruttore lasciando la stanza senza illuminazione
elettrica. Non che
contasse qualcosa, al momento.
Era davvero un miracolo, perché il sole era sorto da molti
minuti e Akane non
aveva dato cenni di vita, nonostante l’avesse bagnata con
l’acqua che riteneva
giusta: sicuro di aver perso troppo tempo, aveva sfogato ancora la
propria
disperazione e poi si era accucciato accanto al suo corpo esanime.
Obaba mi ha detto che
quella volta, in Cina, ho fatto in
tempo… ma adesso,
quando davvero contava, non ci ero riuscito… ero arrivato di
nuovo troppo tardi…
E invece ecco la sua fidanzata davanti a lui: tornando a fissarla,
notò la sua
aria stordita e il fatto che non si fosse alterata per
l’insulto che gli era
scappato prima: probabilmente era ancora troppo debole per farlo, ma se
avesse
voluto avrebbe potuto picchiarlo anche cento, duecento volte.
Voleva dirle tante cose, ma i pensieri si accavallarono e alla fine
dalle sue
labbra uscì soltanto uno stentato:
“Beh… come va?”
Ecco, che stupido… Era una frase talmente idiota, in quella
circostanza, che
pensò di essersene vergognato abbastanza per tutti e due, ma
poi notò che Akane
non sembrava indispettita e anzi gli stava accennando un sorriso.
“Mi sento, direi, intorpidita. Come se avessi una gamba
addormentata, solo che…
vale per tutto quanto.” Proferendo le ultime parole,
cercò di alzarsi dal letto
facendo leva sulle braccia. Sollevato il busto, rischiò di
ricadere
all’indietro e Ranma la trattenne in tempo.
“Immagino che sia normale”, constatò,
“dopotutto erano settimane che il tuo
corpo vegetava qui immobile.”
La fidanzata prese a fissarlo con una strana intensità. Si
accorse solo allora
dell’estrema vicinanza dei loro volti e non riuscì
a impedirsi di arrossire.
“E tu…”, cominciò lei mentre
Ranma avvertì l’improvviso bisogno di deglutire,
“come mai sei una ragazza?”
Non era esattamente ciò che si era aspettato di sentirsi
dire, ma anche questa
domanda gli suonava piuttosto scomoda.
“Beh, questo, ecco…” Decise di
raccontarle rapidamente e senza troppi dettagli
il suo piano, di come avesse portato con sé dal Nekohanten
tutte e tre le
damigiane e si fosse poi trovato
nell’impossibilità di stabilire quella giusta,
non conoscendo il cinese.
Ricordando, rivisse sulla propria pelle quei momenti di terrore. Aveva
potuto
escludere la damigiana più leggera, quella ormai vuota che
aveva contenuto al
proprio interno la
Nannichuan,
prima di essere stata consumata da lui e
dagli
altri. Tuttavia, senza la possibilità di comprendere cosa
dicessero quegli
ideogrammi, non riusciva a distinguere tra le altre due e intanto il
tempo
stava finendo e…
“Le hai provate su te stesso?!” La voce di Akane
era scioccata.
Ranma ridacchiò leggermente, non riuscendo a strappare da
sé quella seccante sensazione
di imbarazzo.
“Ecco, non entrambe. Come vedi, la prima acqua che mi sono
versato era quella
della sorgente della ragazza annegata e così non
c’è stato alcun bisogno di
sperimentare la seconda…”
“Ma… ma…”
“Non c’è bisogno di farne un dramma.
Tanto troverò un altro modo di guarire
dalla maledizione, vedrai…”
“No, intendevo… e se ti fossi versato per prima
l’altra acqua?”
Ranma non rispose. Sarebbe stato un grosso bugiardo, se le avesse detto
di non
averci pensato. Il rischio c’era, Akane si sarebbe trovata
nel suo corpo,
inconsapevole della situazione, e dunque al sorgere dell’alba
lui… Ma lei
sarebbe stata salva anche in questo caso, perciò
semplicemente non aveva
esitato.
Non disse nulla, ma da come lo stava guardando doveva averlo capito
anche Akane.
“Sei uno stupido…” Mormorò
con un filo di voce, e lui non poté fare a meno di
concordare mentalmente. Era stato uno stupido in tanti di quei modi che
ormai
ne aveva perso il conto, eppure i Kami avevano voluto dargli una
possibilità di
fare ammenda.
Improvvisamente venne tirato a sé in un abbraccio e fu colto
del tutto alla
sprovvista.
Finì
addosso ad Akane, pur riuscendo a far leva sul
materasso con la mano
libera e non schiacciarla con il proprio peso. A lei sembrava non
importare, lo
stava stringendo con forza e aveva perfino cominciato a singhiozzare:
la cosa
lo mise ancora più in agitazione e avrebbe voluto dirle di
smetterla, ma la
voglia di piangere venne anche a lui e cercò piuttosto di
trattenersi.
“Sono viva…” Disse lei tra le lacrime.
Ranma analizzò la situazione. Troppe volte, negli ultimi
giorni, aveva
oscillato tra sonno e veglia fino a non distinguere quasi
più la realtà dalle
proprie fantasie, fino al punto di dubitare della propria
sanità mentale. Ma
gli occhi arrossati della fidanzata, il suo respiro, il suo calore non
gli
lasciavano dubbi.
“Sei viva.” Ripeté, con la sensazione di
essersi svegliato da un lunghissimo
incubo.
Akane si sfogò in un pianto liberatorio e lui la
lasciò fare. Anche a lui ora
stavano uscendo le lacrime, ma mandò mentalmente al diavolo
le parole di papà
una volta di più, con la consapevolezza che
l’avrebbe fatto anche se non si
fosse trovato nella sua forma maledetta.
Pianse assieme a lei e poi godette i lunghi momenti di silenzio che
seguirono,
intervallati solo da qualche singhiozzo sporadico.
“Però non credere che ti perdoni
così”, riprese Akane, “ho avuto tanta
paura,
volevo che fossi vicino a me… e tu non
c’eri.”
Sentì nitidamente il rumore del suo battito che accelerava.
Cercò la mano di Akane e ricordò di non averla
mai staccata dalla propria,
nemmeno in seguito alla caduta di poco prima. Così si
limitò ad accentuare la
stretta.
“C’ero invece”, disse, sapendo che era
vero, “e ci sarò sempre.” Questo, si
ripromise che sarebbe stato altrettanto vero.
Si guardarono negli occhi e non ci fu bisogno di aggiungere altre
parole.
Ritenne che non fosse né il luogo, né il momento
per confessarle i propri
sentimenti – a dirla tutta, nemmeno il corpo era quello
giusto – ma anche che
quel discorso fosse solo rimandato di poco.
Avrebbe voluto che quegli istanti durassero per sempre, ma fu proprio
lui a
sollevarsi e aiutare la fidanzata a tirarsi su dal letto.
“Dobbiamo avvisare gli altri.” Le
spiegò. “Loro non sanno ancora niente.”
Akane annuì, sorridendogli di nuovo. Era pallida, ma meno di
prima. Ranma pensò
che si sarebbe ripresa presto del tutto, del resto non aveva mai messo
in
discussione la forte tempra della sua fidanzata.
È stata anche
più forte di me…
Aveva ceduto troppe volte, aveva fatto passare brutti momenti a sua
madre, al
signor Tendo, a Ucchan, a tutti. Lo sguardo gli cadde sulle fasciature
delle
proprie nocche. Cavolo, aveva anche alzato le mani contro
Tofu… e forse era
andato troppo pesante perfino contro il proprio vecchio, non che lui
non si
meritasse una lezione.
Ma alla fine
è stato pure merito suo, anche se solo per una
fortuna sfacciata.
E tutti quanti a modo loro l’avevano aiutato, gli avevano
impedito di perdersi
nel momento in cui era più vulnerabile.
“Sarà una bella sorpresa.” Gli disse
Akane, che si era appena appoggiata alla
sua spalla. Lui annuì, sorridendole e stringendola a
sé.
“Indubbiamente.”
La sostenne e percorsero insieme alcuni passi, affacciandosi un attimo
alla
finestra, prima di dirigersi verso l’uscita.
Fuori, il sole splendeva. Sapeva che era così anche dentro
di lui.
Le ombre si erano finalmente dissipate.
***
Il disegno che avete trovato nel capitolo è stato realizzato
da Giorgia Gi,
che
ringrazio ancora di cuore.
Bene, qualche pensierino mi è venuto in mente, ma
prima… ecco, prendete un bel
respiro, magari aspettate qualche istante prima di distogliervi dalla
storia
appena letta, magari se non siete interessati saltate proprio le righe
che
seguiranno. Ma se fatto ciò siete ancora qui, ne approfitto
per ringraziarvi,
tutti: che abbiate commentato assiduamente, di tanto in tanto, ma anche
una
sola volta per farmi sapere che, sì, ho avuto anche il
vostro sostegno. Che
abbiate inserito la fanfiction tra le seguite, le ricordate, le
preferite, o
più semplicemente che abbiate letto questo racconto e che
questo vi abbia
saputo essere di compagnia. Grazie.
È stato un viaggio lungo, molto più lungo del
preventivato, ma non me ne pento
perché – che sia venuta fuori brutta o bella
– questa è la storia che
desideravo tanto raccontare, in ogni minimo dettaglio, dalla prima
all’ultima
riga, ed esserci riuscito mi riempie di soddisfazione. Il tutto anche
per
merito vostro, e non è per dire, ogni singola osservazione o
chiacchierata mi è
stata di grande aiuto.
Così come, l’ho sempre detto ma ribadirlo adesso
è d’obbligo, non avrei mai
potuto farcela senza il sostegno e la collaborazione costanti di quella
santa
di una beta che è la mitica TigerEyes, la quale
mi
è sempre stata vicino
dall’inizio alla fine. Senza di lei sarebbe davvero stata
tutta un’altra
storia, e forse non ci sarebbe stata proprio nessuna storia.
Non è ancora finita: qui di seguito, ecco delle "FAQ" dato
che mi
sembrava giusto rispondere pubblicamente alle domande più
interessanti che mi
avete posto nei commenti.
1) Che cosa sta facendo
attualmente Shampoo ancora in Cina?
La risposta è fondamentalmente quella data da Mousse nel
capitolo 4. Shampoo è
rimasta sconvolta dalla disperazione di Ranma a Jusendo, mentre
abbracciava il
corpo esanime di Akane (ricordiamo che in questa fanfiction Akane non
si è
svegliata): comprendendo forse una buona volta di non essere
ricambiata, si è
presa un po' di tempo per pensare, col conforto del padre e delle
amazzoni
amiche d'infanzia (e obbligando invece Mousse a tornarsene in Giappone
per dare
una mano alla bisnonna al ristorante). Quando ha chiesto per telefono
il
permesso, Cologne non se l'è sentita di obiettare e l'ha
lasciata fare.
2) Qual è
l’esatto meccanismo dell’Akanenichuan?
Nei capitoli 10-11 Cologne spiega che l'Akanenichuan non è
una fonte diversa
dalla Nannichuan e dalla Nannichuan, essa come le altre ha solo la
funzione di
modificare l'aspetto delle persone che ci s’immergono, fermo
però restando che
un legame, sia pur latente, con colui che vi è caduto dentro
la prima volta è
comunque presente. Ciò che ha davvero causato gli effetti
che conosciamo è
stata la momentanea "morte" di Akane: non una vera e propria morte,
ovviamente, ma quando Akane ha chiuso gli occhi il suo spirito (la
tamashii,
ossia la parte senziente dell’anima umana) si è
separato dal corpo. E in quel
momento è stato catturato, risucchiato dalla fonte
Akanenichuan in virtù di
quel legame di cui parlava Obaba. Nel manga chiaramente questo fenomeno
non è
avvenuto, ed è il vero e proprio momento divergente da cui
la “what if” della
mia storia.
Successivamente, proprio come nel manga, Ranma ha bagnato la fidanzata
con
l'acqua miracolosa di Jusendo (quella che sgorgava dal rubinetto del
dragone) e
questa ne ha preservato il corpo nonostante la cessazione delle
funzioni
vitali. Tuttavia ormai la tamashii era imprigionata e impossibilitata a
fare
ritorno: l’unico modo in cui poteva trasferirsi da un corpo
all'altro era
attraverso la stessa acqua dell’Akanenichuan, che a questo
punto funzionava
come un “conduttore”.
3) Ma cosa succede
esattamente quando Akane si bagna con l’acqua calda a fine
cap 14?
Premesso che queste precisazioni sono ininfluenti a livello narrativo,
quella
che segue è la mia ricostruzione degli eventi da scaletta:
Akane si bagna con
l'acqua calda appena prima dell’alba, fisicamente
ritrasformandosi in Ukyo e di
fatto lasciando campo libero all'anima (tamashii) di Ucchan ma
rimanendo ancora
dentro il suo corpo. Tuttavia proprio allora sorge l’alba, e
a quel punto il
tempo a disposizione è terminato e l'anima (tamashii) di
Akane dovrebbe
staccarsi dal corpo di Ukyo, disperdersi, verosimilmente annullarsi
nell’incoscienza
eterna. Sennonché, sempre nello stesso identico momento,
Ranma (che,
ricordiamo, si trova a casa Tendo) bagna il corpo di Akane con l'acqua
dell’Akanenichuan la quale funziona da
“calamita” risucchiando la tamashii di
Akane e salvandole la vita.
4) Come mai, sempre nel
capitolo 14, Ranma non ha provato le due fiasche sul
corpo di Akane?
Perché né la Niannichuan (sorgente della ragazza
annegata) né l’Akanenichuan
avrebbero cambiato l’aspetto esteriore della fidanzata,
rendendo così
impossibile a Ranma capire quale fosse l’una e quale
l’altra. Il problema è
decisivo, dal momento che ogni acqua maledetta annulla gli effetti
della
precedente (se così non fosse, Ranma non potrebbe tornare un
ragazzo per intero
bagnandosi con la Nannichuan) e dunque Akane si sarebbe salvata solo se
l’ultima delle due acque usate fosse stata appunto
l’Akanenichuan. Se, al
contrario, Ranma avesse bagnato il corpo di Akane prima con
l’Akanenichuan e
dopo con la Niannichuan, non avrebbe ottenuto nulla.
5) Obaba aveva intuito
la soluzione, tenendola per sé, o è innocente?
Ho voluto lasciare questa risposta in sospeso, affidata
all'interpretazione del
lettore. Comunque un indizio c'è, ed è presente
nel paragrafo di lei e Tofu
(sempre nel capitolo 14).
6) Ora che l'anima di
Akane si è trasferita in un altro corpo (che è
poi il
corpo giusto), Ukyo ha ancora la maledizione? Si trasforma
cioè in Akane pur
non trattenendone lo spirito?
Ritengo di non aver posto abbastanza regole e paletti sul funzionamento
dell'Akanenichuan, nel corso della storia, tali da poter dare una
risposta
secca, per cui chi legge è libero di pensare che Ukyo possa
ancora trasformarsi
in un doppione di Akane (chiaramente solo dal punto di vista fisico).
In
realtà, però, nel capitolo 11 Obaba ci riferisce
che la sorgente in Cina ha
ormai perso ogni effetto (la guida vi ha immerso un coniglio e questo
non si è
trasformato) e perciò possiamo più verosimilmente
supporre che il potere
'trasformativo' si sia legato all'anima (alla tamashii) di Akane, con
la conseguenza
che Ukyo non cambierà aspetto con l'acqua fredda.
Edit del 04/04.
Ancora una cosa. Non posso proprio non segnalare una bellissima "What
If..." di Laila che riprende gli eventi di Chasing the Evening Shadows
(si parte da circa metà del capitolo 11) per condurli in un
avvincente finale alternativo! Il suo titolo è "Harakiri" e
potete trovarla: Qui.
Ora ci siamo davvero, è il momento dei saluti… o
no, perché attendo le vostre
opinioni. Sorpresi? Delusi? Soddisfatti? Fatemelo sapere, io rimango
qui a
vostra disposizione. ^__^
E già che ci sono mi metto al lavoro, perché
avrei un’altra fanfiction da
concludere… e diversi altri progetti che intendo mettere in
moto. A presto! ^__-