She is the saint on all the sinners.
She is the saint on
all the sinners.
Gloria, where are you Gloria?
You found a home
In all your scars and
ammunition
You made your bed in
salad days
Amongst the ruin
Ashes to ashes of our
youth .
Il
terrore mi
blocca il respiro in gola. Con le mani tremanti, afferro quell'oggetto
che mi ha fatto così tanta compagnia in questo periodo di
tristezza ed inadeguatezza; l'unica via per sfuggire ai problemi. Mi
scopro il braccio destro, alzando la manica con i denti mentre i miei
polpastrelli stringono con forza quella piccola lametta che sono
riuscita a ricavare da un temperino.
Lentamente,
fin
troppo lentamente, la lama mi squarcia la carne. Stringo i denti, per
il dolore, ma quando il sangue esce, tiro un sospiro e mi rilasso, con
la schiena addossata al muro.
Tutte
le lacrime
che mi ero imposta di non versare in classe si liberano in un pianto
muto e liberatorio. I singhiozzi mi scuotono il petto, sebbene cerchi
in qualsiasi modo possibile di non provocare alcun rumore. Soffoco un
urlo premendo le mani sulla bocca. Ormai è così
da quanto
tempo? Tre anni? Probabilmente tre anni.
Da
quando i miei
genitori sono deceduti, in un banalissimo e scontatissimo incidente
d'auto. Quanta gente moriva per della ferraglia montata male? Quante
altre persone subivano ciò che subivo io per colpa di
difetti di
fabbrica? Di stupidi errori di distrazione?
Mi
stringo le
gambe al petto, dondolandomi avanti e indietro, come se fossi una
bambina e qualcun'altro mi stesse cullando dolcemente. Solo che non
sono più una bambina. E non ci sarà mai
più
qualcuno che mi vorrà cullare.
Questo
pensiero
mi provoca fitte di dolore allo stomaco così intense che per
ridurle devo di nuovo ricorrere alla lametta. E così, passo
quell'oggettino insignificante e freddo altre due, tre, quattro, cinque
volte sul polso, finché la pozza di sangue che si
è
formata accanto al water diventa troppo grande da poterla pulire.
Ma
non mi fermo.
Continuo,
come
un automa, senza rendermi veramente conto di ciò che faccio.
Tra
la coltre di nebbia che il dolore mi ha causato, riesco solo a
distinguere qualcosa. Un sorriso di mio padre, fiero del mio rendimento
scolastico. Una carezza di mia madre, sul viso, che ella mi
donò
quando una sera tornai a casa piangendo perché la mia
migliore
amica mi aveva scaricata per strada.
E
poi, un urlo. E subito dopo, il buio totale.
«Secondo
te è sempre così? Insomma, l'amore
sarà sempre uno
stupido inseguimento che ci renderà solo più
stanchi e
deboli?»
Rebecca
rotola sul fianco, poggiando un gomito al cuscino e guardandomi dritta
negli occhi.
«Perché
dici questo?» il suo tono è tranquillo, e i suoi
occhi
color cioccolato non tradiscono alcuna preoccupazione.
Chissà se
sono sempre stati così, quegli occhi. Sempre così
calmi,
così posati. Così tranquillizzanti.
Decido
di parlare, di darle una spiegazione. «Guardami. Ho amato un
ragazzo, e ora ne sono uscita distrutta. Ho amato i miei genitori, e
ora ne sono uscita distrutta. L'amore non fa nulla di buono, l'amore
è solo capace di renderci fiacchi e tristi.» ho un
attimo
di esitazione «Tu hai mai amato, Rebecca?»
Mi
sorride. Quel sorriso è capace di sciogliermi come il sole
farebbe con un ghiacciolo. «Non lo so. Non penso di essere
capace
di amare.» detto ciò, si gira dall'altro lato del
letto,
continuando a leggere ciò che avevo interrotto col mio
pensiero
espresso ad alta voce.
«Non
penso che tu non sia capace di amare. Tutti siamo capaci di
amare.»
Lei
si gira di scatto verso di me, quasi come se avessi pronunciato qualche
parola dannata.
«Gloria,
io non potrò mai amare nessuno, ficcatelo bene in testa. Non
provo sentimenti.» il suo sguardo ora si è fatto
più affilato. Osservo con minuziosa attenzione ogni
dettaglio
del suo viso. I suoi capelli, di un bel castano scuro, le incorniciano
il viso rendendola più bella di quanto voglia ammettere a
sè stessa. Ha un nasino perfetto, piccolo e grazioso, labbra
che
sembrano essere state disegnate da Giotto in persona per quanto sono
belle e perfette.
Distolgo
lo sguardo dal suo viso, improvvisamente, come se avessi preso una
scossa elettrica. Lo rivolgo al soffitto di quella camera immacolata,
cosparsa di foto di famiglia, ritratti, disegni vari. Rebecca ama
disegnare.
E'
capace di disegnare qualsiasi cosa, da un semplice ramoscello ad un
maestoso paesaggio. A volte mi perdo nell'osservare la sua mano,
sicura, tracciare archi e linee rette su quei fogli bianchi,
nell'osservare quel lavoro ai miei occhi ancora non ben definito che
poi, quando assume una sua piega, diventa così splendido da
togliere il fiato.
«Già.
Forse è meglio così, non provare alcun sentimento
intendo.» Mi giro sul fianco, prendendo il libro di Storia
dell'Arte che avevo poggiato sul comodino.
Lei
sbuffa, e mi abbraccia da dietro. «Se riuscissi a provare
qualsiasi tipo di sentimento, lo proverei per te. Lo sai. Sei la mia
migliore amica.» sento il suo sorriso contro la mia spalla, e
mi
rilasso.
I
suoi polpastrelli accarezzano quella cicatrice che mi porto ormai da
tempo, sulla guancia. Un regalino di quel maledetto incidente.
Mi
rilasso ancor di più a quel contatto e rilasso i muscoli,
tesi
fino a quel momento. Le sue dita continuano a toccarmi lembi di pelle
scoperti dalla canotta, finché non interrompe quel
meraviglioso
contatto.
Mi
volto verso di lei, i nostri visi sono pericolosamente vicini. Sento il
suo respiro fresco sulle labbra.
«Ehy,
Gloria.» sussurra.
«Mh?»
cerco terribilmente di mantenere il controllo, costringendo me stessa a
guardarla negli occhi.
«Sei
la santa fra tutti i peccatori.»
Mi
lascia un lieve bacio sulla tempia, dopodiché si alza dal
letto
e mi lascia sola, in quella stanza enorme e così vuota senza
lei.
I
miei
occhi si abituano con molta lentezza alla luce che li accecano con
veemenza. Cerco di alzarmi, ovunque mi trovi, ma due mani salde mi
bloccano per le braccia e mi costringono a ristendermi.
«Non puoi alzarti.»
La sua voce mi arriva alle orecchie come musica. E' Rebecca. Lei, il
mio angelo custode. La donna che non proverà mai nessun tipo
di
emozione per me ma che riesce a farmi stare bene pur standomi
accanto. Ma poi mi rendo conto che ha un tono triste,
malinconico.
Cerco di guardarla negli occhi, ma lei guarda con insistenza un punto
fisso da qualche parte della stanza.
E poi capisco.
Una fitta di dolore mi colpisce, stavolta alla gola, bloccandomi il
respiro. Ho bisogno di aria fresca, voglio uscire. Mi alzo, lentamente,
e cerco di raggiungere la porta; ha uno sguardo così
distante e
vacuo che sembra non rendersi conto neanche di dove si trovi.
Ma poi la sua mano mi blocca per il polso destro. La mia espressione
neutra si tramuta in una smorfia di dolore. I suoi occhi passano dai
miei al mio polso. Mi lascia andare, lentamente, quasi avesse paura che
possa spiccare il volo da un momento all'altro.
«Potevi
dirmelo.» è il suo solo bisbiglio. Noto con dolore
che
delle occhiaie profonde le cerchiano gli occhi. Probabilmente
è
rimasta sveglia tutta la notte, a farmi la guardia.
Il suo sguardo, per la prima volta da quando ci conosciamo, rivela
qualche tipo di sentimento. E' triste, è arrabbiata con me
per
quello che le ho nascosto. E' delusa, forse, ma anche rammaricata per
non averlo capito prima.
Restiamo ferme a guardarci negli occhi per un secondo che sembra
infinito.
Poi la sua mano si posa fra i miei capelli, con lentezza, e le sue dita
si stringono attorno ad una ciocca particolarmente rossa. Il mio verde
placido si fonde col suo castano cioccolato profondo.
«Non
hai la minima idea di quanto stia soffrendo in questo
momento.»
la sua voce è incrinata dal dolore. Resto zitta, immobile,
non
rispondo. Non saprei, d'altronde, cosa rispondere. «Strano,
vero? Ti ho sempre detto che non provavo nessun tipo di emozione, e ora
le sto vivendo tutte, all'improvviso.» fa un sorriso amaro,
continuando a giocare con la mia ciocca di capelli.
«Ch...che
tipo di emozioni?» balbetto, non riuscendo a staccare i miei
occhi dai suoi.
«Ti
odio.»
Il suo sussurro veloce mi spezza il cuore in tanti piccoli frammenti.
La guardo, senza nascondere le mie emozioni e con la bocca lievemente
aperta. Il suo sorriso ampio mi confonde, finché non
pronuncia
le ultime parole «Ma
ti amo, anche.»
Le mie labbra si avventano sulle sue, frettolosamente, come solo una
ragazzina imperfetta può fare. Le sue braccia forti mi
stringono
la vita, mentre le nostre labbra si incontrano più e
più
volte. Le sue mani salgono sul mio viso, stringendolo appena, senza
staccare l'una le labbra dall'altra. "Il mio primo bacio.
Questo è il mio primo bacio" penso in continuazione, mentre
la sua bocca si muove vorace sulla mia.
La mia lingua entra timidamente nella sua bocca, sfiorando il
palato e continuando ad approfondire sempre più il contatto.
Dietro le palpebre chiuse, riesco a vedere mille colori che non vedevo
più da tempo per via della tristezza e della nostalgia che
avevano preso il sopravvento su di me, rendendomi impossibile ogni
minima gioia o felicità.
Le nostre lingue danzano, prima piano poi sempre più
velocemente, e mi riscopro desiderosa di più contatto; la
mia
schiena sbatte su una superficie liscia, inizialmente provo fastidio ma
poi, capendo che è un lettino d'ospedale, mi ci arrampico
sopra,
tenendo stretto fra le mani il viso di Rebecca e trascinandola con me.
I nostri corpi si sfiorano, desiderosi, le nostre labbra si fondono
sempre in più baci, finché non s'infuocano e
decidiamo di
dedicarci ad altro.
La sua bocca si sposta vorace sul mio collo, lasciando piccoli segni a
forma di mezzaluna. Inarco la schiena, desiderando sempre
più
contatto. I nostri occhi si incontrano per un secondo, arrossati e
lucidi.
Mi sfila la veste dell'ospedale, piano. Osserva con lentezza disarmante
tutto il mio corpo, restandone incantata per non so quale motivo. Le
sue labbra si tuffano di nuovo sulle mie, e io non posso far altro che
ricambiare quel bacio.
Il cuore mi batte fortissimo, non riesco a farlo cessare. Poi il suo
sguardo cade, distrattamente, sul mio braccio destro; e i suoi occhi si
riempiono di lacrime.
«Questi...
questi non dovresti averceli.» sussurra con la voce rotta dal
pianto.
Io la guardo, senza proferire parola, finché non mi accorgo
che le sue labbra si stanno posando sul mio polso. Cerco di capire
perché lo stia facendo, ma poi me ne rendo conto; sta
baciando le mie cicatrici.
Gli occhi mi si riempiono istintivamente di lacrime amare, mentre le
sue labbra sfiorano tutte le cicatrici che ricoprono il mio braccio
destro. Posa un bacio sulla cicatrice che mi sono procurata dopo aver
saputo la notizia della morte dei miei, sfiora timidamente con le
labbra la cicatrice che mi sono procurata dopo che una ragazza mi
lasciò grossi lividi violacei fuori scuola, sfiora tutte
quelle cicatrici che hanno inciso una storia sulla mia pelle.
Lascia un bacio sulla mia vita.
La prendo delicatamente per i capelli e, singhiozzando, le regalo un
lungo bacio che sembra non finire mai.
Quando ci stacchiamo, mi sussurra «Tu sei la
santa fra tutti i peccatori.». Poi
sorride.
E in quel momento, so che avrei ricordato quell'attimo per sempre.
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