Pairing/Characters: Caroline,
Damon, Stefan (also: Stelena, Delena, Forwood, Steroline f-ship)
Rating: PG
Warnings: What
if?, Spoiler 4x16;
Word
Count: 4812
(fdp)
Disclaimer: Niente
di mio, non ci cavo un euro.
N/A: Scritta
per il COW-T#3 @ maridichallenge missione
4, prompt "viaggio" #TeamSuthiForeverAndEver e per 500themes_ita,
prompt #76.
Lasciare andare.
Hopeless wanderer
«You
heard my voice
I came out of the woods by choice
Shelter also gave their shade
But in the dark I have no name
So leave that click in my head
And I will remember the words that you said
Left a clouded mind and a heavy heart
But I was sure we could see a new start»
(Mumford & Sons – Hopeless Wanderer)
Ci
si sente sempre inadeguati ai funerali, soprattutto a quelli degli
amici.
Non
è una sensazione razionale, è più un
generico senso di colpa per essere ancora vivi mentre la persona a cui
tenevi non lo è più. Sindrome del sopravvissuto,
la chiamano, e non è per niente naturale checché
ne dicano gli psichiatri.
Non
per un vampiro, almeno.
Il
funerale di Jeremy, comunque, fu abbastanza veloce. Dopotutto era solo
l'ultima di una lunga serie di disgrazie: si poteva quasi dire che
ormai gli abitanti di Mystic Falls ci avessero fatto il callo. Tanti
morti, tante tragedie, sempre meno lacrime. La riserva stava davvero
esaurendosi.
Per
Tyler, invece, non c'era stato nessun funerale, né ci
sarebbe mai stato. O almeno così sperava Caroline.
Sarebbe
rimasto tra la lista delle persone scomparse fino a quando anche la sua
storia non fosse stata dimenticata, ed allora solo alcuni dei suoi
amici avrebbero continuato a pensare a lui, ad aspettarlo, a chiedersi
se sarebbe mai tornato a casa.
Caroline
ne dubitava.
Con
Klaus a piede libero, per Tyler l'unica soluzione era continuare a
scappare, fino a far perdere completamente le proprie tracce.
(Fino
a quando non troveremo un modo)
(Ma
non l'avrebbero mai trovato)
Camminando
tra l'erba bassa e talmente ben curata da sembrare di plastica,
Caroline si domandò per l'ennesima volta perché
non le avesse chiesto di andare con lui. L'avrebbe seguito. Lo avrebbe
fatto davvero.
Sarebbe
bastato un semplice─
«Ce
ne andiamo», gli sussurrò qualcuno all'orecchio,
distraendola dai suoi pensieri.
La
voce di Stefan la colse di sorpresa, ma le sue parole no. In fondo
nessuno dei due fratelli Salvatore aveva più alcuna ragione
per restare e, soprattutto, nessuno a Mystic Falls aveva più
alcuna ragione per voler continuare ad accoglierli.
Caroline
si voltò a guardare quello che sorprendentemente era
diventato il suo migliore amico di sempre, ed incontrò uno
sguardo duro e un'espressione impossibile da decifrare.
Prima
di Klaus, Stefan non era mai stato un così buon attore.
La
Camaro di Damon era parcheggiata poco distante, e Damon stesso era
lì a pochi metri da loro, appoggiato con noncuranza contro
l'automobile.
“Quindi
se ne vanno insieme”,
pensò Caroline, e nemmeno questo la sorprese più
di tanto. Quando perdi qualcosa di importante, la reazione
più naturale possibile è quella di stringerti
ancora più forte intorno a quello che ti rimane.
«Vieni
con noi?»
Quella
domanda probabilmente avrebbe dovuto essere la cosa più
sorprendente in assoluto, dato che lo stesso Stefan aveva sgranato
leggermente gli occhi non appena finito di porla.
Caroline
lo fissò in silenzio, la bocca ben poco graziosamente
spalancata.
“Andare
via con loro, che cosa ridicola”,
pensò.
Abbandonare
tutto e tutti per andare non si sa dove, a fare non si sa cosa, senza
più una casa né, più pragmaticamente,
un posto qualsiasi dove vivere.
Abbandonare
tutto e tutti per stare con un pazzo psicotico e crudele, con un'ironia
che definire malata era fargli un complimento, e con un depresso
cronico che probabilmente non avrebbe sorriso mai più per il
resto della sua vita.
Abbandonare
tutto e tutti per non dovere più tornare ad una scuola dove
tutto, tranne lei, sarebbe tornato più o meno normale nel
giro di pochi giorni, e ad una vita dove i suoi amici non l'avrebbero
più guardata in faccia senza avere le lacrime agli occhi.
Abbandonare
tutto e tutti e smettere di fingere di essere quella che non era, che
non poteva più essere nemmeno se lo avesse voluto, e
Caroline non lo voleva.
Abbandonare
una casa dove lei e sua madre erano finalmente qualcosa di
più che due estranee che condividevano quattro pareti.
Ma
dovrò abbandonarli lo stesso, prima o poi. Quando tutti gli
altri inizieranno ad invecchiare ed io, al loro fianco,
sembrerò sempre più giovane.
E
in fondo Tyler se n'era già andato.
Guardò
negli occhi Stefan, che sembrava stesse ancora chiedendosi
perché diamine le avesse chiesto una cosa del genere, e poi
spostò lo sguardo su Damon che aspettava impassibile la sua
risposta.
Non
si voltò a guardare indietro.
«Sì»,
rispose semplicemente. «Sì, vengo con
voi»
E
mentre lo disse capì di averlo sempre saputo, fin dal giorno
in cui Katherine l'aveva uccisa, che sarebbe finita così, e
che era solo questione di tempo prima che si trovasse costretta a dire
definitivamente addio a quello che restava della sua vita umana.
Scoprì
di aver sempre saputo anche che, quando quel momento fosse infine
arrivato, Stefan e Damon sarebbero stati lì con lei.
*
Damon
le diede trenta minuti esatti per preparare i bagagli (“Solo
le cose necessarie, Barbie, non azzardarti neanche a pensare di portare
più di una valigia, se vuoi salire nella mia macchina”),
mentre Stefan le chiese di non avvisare nessuno della sua partenza
(“Potrai
telefonare a tua madre quando saremo abbastanza lontani da qui e il
rischio di venire fermati e arrestati per rapimento di minore
sarà più ridotto”
“Come
se potessero davvero arrestarci”
“Taci,
Damon”),
e dopo essersi affrettata a mandare a quel paese il primo, e a
rassicurare il secondo di non voler lasciare nessun biglietto d'addio o
altre cose melodrammatiche di questo genere, Caroline salì
in camera sua, prese la valigia più grande che possedeva, e
cominciò a riempirla senza pensarci troppo.
Vestiti
estivi, vestiti invernali, scarpe col tacco e scarpe da ginnastica. Non
sapeva a che cosa sarebbe andata incontro, e non voleva trovarsi
impreparata. Mise dentro anche un paio di bikini, nonostante le
possibilità di sdraiarsi con Damon e Stefan su una spiaggia
della California sembrassero probabili quanto un loro sbarco sulla luna.
Raccolse
la borsa dei trucchi, gli accessori per i capelli, qualche gioiello a
cui era particolarmente legata, e poi tutte le fotografie che
riuscì a trovare. Non le guardò nemmeno, ma le
infilò direttamente in una tasca interna della borsa, con
talmente tanta forza che quasi finì per strapparla.
Quando
finalmente riuscì a pigiare tutta la roba all'interno della
valigia, e convincere quest'ultima a chiudersi come si deve,
venticinque dei trenta minuti concessi da Damon erano già
passati.
Gli
ultimi cinque minuti che le rimanevano da passare con la sua vecchia
vita, Caroline li spese rannicchiata sul suo letto, a fissare la parete
opposta della sua camera.
Sembrava
tutto così irreale che riusciva a stento a credere che lo
che stava davvero facendo.
Le
porte dell'armadio erano ancora spalancate e, tra i molti vestiti che
non avevano trovato posto nella sua valigia, spiccava la divisa bianca
e rossa da cheerleader (e in realtà avrebbe voluto portare
anche quella, ma proprio non riusciva a pensare ad una qualsiasi
situazione in cui avrebbe potuto indossarla. E poi non osava neanche
immaginare i commenti di Damon se mai avesse scoperto che se l'era
portata dietro).
Mille
domande cominciarono ad assillarla, e dubbi e ripensamenti si
affollarono nella sua testa. Non si sentiva pronta per farlo. Non era
giusto. Aveva solo diciassette anni, in fondo.
La
valigia ai piedi del letto diventò all'improvviso una cosa
minacciosa e oscura, e fuori dalla finestra, mentre il sole tramontava,
il mondo sembrò ancora più spaventoso di prima
– e non che gli ultimi mesi fossero stati un luna-park, eh.
Per
un attimo sperò che Damon e Stefan non si facessero vedere,
che decidessero di non aver bisogno di accollarsi la compagnia di una
ragazzina nevrotica come lei, e che se ne andassero da soli,
abbandonandola lì dov'era, lasciandole ancora un po' di
tempo.
Oppure
avrebbe sempre potuto dire loro che ci aveva ripensato: sapeva che non
avrebbero obiettato.
Ma
i trenta minuti erano ormai passati, e la macchina di Damon si stava
fermando proprio in quel momento nel vialetto sotto casa sua.
Dopo
pochi secondi di attesa Damon schiacciò con impazienza sul
clacson, e Caroline sentì distintamente il rimbrotto
immediato di Stefan.
La
ragazza lanciò un ultimo sguardo alla sua stanza, poi
afferrò la valigia e corse velocemente di sotto, prima che
Damon venisse a prenderla personalmente come già stava
minacciando di fare.
*
Sdraiata
sul sedile posteriore dell'auto, le gambe schiacciate contro la propria
valigia – o armadio in miniatura, a detta di Damon, che
appena l'aveva vista si era assolutamente rifiutato di metterla nel suo
bagagliaio perché sosteneva che avrebbe danneggiato gli
altoparlanti (“E
dove me la metto allora?”
“Vuoi
davvero che ti risponda, Barbie?”),
Caroline osservava il cielo fuori dal finestrino.
All'interno
dell'abitacolo il silenzio era pesante e quasi imbarazzante, ma quando
dieci minuti prima lei aveva proposto di accendere la radio, Stefan
l'aveva ignorata e Damon aveva emesso un grugnito poco rassicurante,
così Caroline aveva deciso di lasciar perdere.
Chi
se ne frega,
aveva pensato.
Aveva
rinunciato fin da subito anche a chiedere dove stessero andando,
perché aveva intuito che nessuno ne aveva la più
pallida idea, men che meno Damon, che stava guidando da ore senza mai
scendere sotto i centoventi chilometri orari. Ancora una volta, chi se
ne frega.
Piegando
appena la testa di lato, Caroline gettò un'occhiata ai
sedili anteriori. Damon guidava dritto ed irrigidito come una statua di
sale, e non distoglieva lo sguardo dalla strada nemmeno per un attimo,
ma lei sapeva che la vedeva appena, concentrato su ben altri pensieri
che la sicurezza stradale. Stefan invece era appoggiato di lato, contro
la portiera, la testa posata contro il finestrino appannato, e per
quello che Caroline poteva vedere dal riflesso nello specchio, i suoi
occhi erano chiusi e la sua espressione quasi rilassata. Eppure sapeva
che lui non stava dormendo, e che in realtà la sua
concentrazione non era seconda a quella del fratello.
Caroline
riportò lo sguardo sulle stelle e sulle luci lontane che
s'intravedevano oltre il finestrino, e si domandò per quante
altre volte, nei giorni seguenti, avrebbe dovuto dirsi chi
se ne frega,
e per quanto tempo ancora avrebbe dovuto fare finta di crederci.
*
Si
fermarono la prima volta che erano quasi le tre del mattino, e
apparentemente solo perché Damon aveva bisogno di bere
qualcosa. Senza fornire ulteriori spiegazioni, infatti, il vampiro
cacciò lei e Stefan fuori dalla sua macchina, ordinando loro
di trovarsi un albergo in zona dove passare la notte.
Caroline
s'indignò da morire, ma non fece in tempo ad aprire la bocca
che Stefan aveva già recuperato entrambi i loro bagagli e la
stava prendendo per un braccio, guidandola verso quello che sembrava
uno di quegli squallidi motel a ore.
Mentre
la Camaro alle sue spalle sgommava dispettosamente, Caroline si chiese
se Damon l'avesse fatto apposta, e immediatamente si rispose che
sì, ovviamente l'aveva fatto apposta. Era di Damon che
stavano parlando, dopotutto.
«Mi
dispiace», disse Stefan poco dopo, sventolandole davanti alla
faccia una chiave da cui pendeva un portachiavi dalla non poi
così vaga forma fallica. «Dovremo arrangiarci un
po'.»
«Non
fa niente», rispose Caroline, ed in fondo era sincera, anche
se per un attimo, davanti all'arredamento leopardato e le lenzuola nere
macchiate di non-voleva-sapere-cosa, i suoi nervi sembrarono sul punto
di cedere.
Ma
dopo aver ammaliato la cameriera perché mettesse delle
lenzuola pulite, dopo aver convinto Stefan che sedersi sul letto
accanto a lei non avrebbe intaccato la virtù di nessuno dei
due, e, soprattutto, dopo aver trovato una buona riserva di alcolici
nel minifrigo accanto al comodino, le cose si misero decisamente meglio.
Ben
lontani dall'idea di mettersi a dormire, Caroline e Stefan passarono
tutta la notte a bere, aspettando il ritorno di Damon che stava facendo
esattamente la stessa cosa, in un bar a pochi chilometri da loro, da
solo.
*
Tirarono
avanti così per un po' (e al posto di un
po' ci si
può mettere indifferentemente sia giorni che settimane), e
almeno all'inizio sembrava andare bene.
Di
giorno viaggiavano seguendo la strada che Damon decideva di seguire,
fermandosi di tanto in tanto da qualche parte, vuoi per fare
rifornimento ad una banca del sangue, vuoi perché Caroline,
stufa, si metteva a cantare finché Damon non la sbatteva
praticamente giù dall'auto, minacciando di abbandonarla come
un animale domestico indesiderato (cosa che Caroline sapeva che non
avrebbe mai fatto, se non altro perché Stefan non glielo
avrebbe permesso).
Di
notte, invariabilmente, Damon spariva, mollandoli vicino a qualche
albergo – ma se non aveva almeno tre stelle Caroline si
rifiutava categoricamente di scendere –, per andare poi a
riprenderli la mattina dopo.
Più
volte Stefan gli aveva chiesto di restare, ma lui sembrava non
sentirlo, e comunque non gli aveva mai risposto.
Da
quando avevano lasciato Mystic Falls, a parte per le solite battute
taglienti che dovevano essergli state incorporate durante il
concepimento, Damon era diventato taciturno come nessuno che lo
conosceva avrebbe mai potuto immaginare, Caroline men che meno. A suo
confronto Stefan era un chiacchierone, per dire.
Caroline
intuiva che lo faceva principalmente per lei, per essere un buon amico.
Questo la inteneriva, e l'aiutava a sopportare le nottate passate
insieme a fare finta di dormire, spesso sdraiati fianco a fianco senza
niente da dirsi, perché non osavano parlare del passato, e
il presente offriva ben pochi spunti di conversazione. Il futuro, poi,
era un concetto completamente inesistente nelle loro menti.
Caroline
intuiva anche che non potevano andare avanti in quel modo per sempre,
ma aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere dopo, quindi si
costringeva a stringere i denti e a sopportare noia, caldo e inutili
ore di viaggio, aspettando con trepidazione e timore insieme che il
futuro venisse finalmente a bussare alla portiera della loro auto.
*
Durante
tutto quel tempo, affrontarono il discorso di Elena una sola volta,
poco dopo essere partiti.
«Non
dovremmo andare a cercarla?», aveva domandato Caroline,
sdraiata sui sedili anteriori.
«No»,
era stata la risposta di Damon. Brusca, secca, che non ammetteva
discussioni.
«Ma
se sta dando la caccia a Katherine...»
«No»,
aveva ripetuto Stefan.
Caroline
non aveva più domandato nulla.
*
La
verità è che a volte ci si costringe a fare
qualcosa pur sapendo fin dall'inizio che è una pessima idea.
Succede quando il cuore si sostituisce al cervello, e le emozioni alla
razionalità.
Succede
quando vuoi credere che andrà tutto bene, ma in fondo sai
già che non sarà così.
Stefan,
per esempio, sapeva che il tempo passato insieme a Mystic Falls, con
tutto ciò che era successo a loro ed intorno a loro ─ e
soprattutto l'intera faccenda di Klaus ─, aveva riavvicinato lui e
Damon come non aveva mai osato neanche solo sperare in passato; ma
sapeva anche che costringersi a vivere così a stretto
contatto l'uno con l'altro, in condizioni che avrebbero probabilmente
fatto esplodere relazioni molto più tranquille della loro,
rimaneva una delle idee più stupide che avessero mai avuto ─
e fra lui e Damon di stupidaggini ne potevano vantare davvero
parecchie, eh.
Il
suo subconscio doveva averlo intuito molto prima di lui, e forse era un
po' anche per questo che si era ritrovato a chiedere a Caroline di
andare via con loro ─ e si vergognava profondamente ad ammetterlo anche
solo con sé stesso, perché non le aveva
propriamente chiesto di accompagnarli a fare un allegro picnic in
campagna, ed averla costretta a prendere una decisione così
importante per la sua vita solo perché l'idea di rimanere da
solo con Damon lo spaventava non era certo nella lista delle sue azioni
migliori.
Ma
inaspettatamente Caroline era partita (fuggita)
con loro, e Stefan non avrebbe mai smesso di ringraziarla per questo.
Non
che le avesse mai veramente detto
“grazie”, ad essere onesti, ma a volte, quando
Damon li lasciava da soli e si trovavano entrambi ad occhi sbarrati nel
mezzo della notte, incapaci di dormire o di parlare, di pensare o di
ricordare, ecco, quelle volte lì Stefan cercava la sua mano
e la stringeva forte, senza dire nulla, e lei gliela stringeva a sua
volta, ancora senza parlare, così Stefan sapeva che
Caroline capiva, e che non aveva alcun bisogno di sentirselo dire ad
alta voce quel grazie.
*
Non
era mai stato nella natura di Damon rendere le cose facili. Certo, la
maggior parte delle volte lo faceva apposta a complicare tutte le
situazioni in cui si trovava coinvolto, ma c'erano casi ─ casi come
questo, per intenderci ─, in cui lui stesso avrebbe voluto essere
leggermente meno predisposto a peggiorare le cose, ma proprio non
riusciva a trattenersi.
Così
certe notti Stefan doveva mentire a Caroline, dicendole di aver bisogno
di andare di nuovo a caccia ─ ormai beveva anche sangue umano, ma solo
a piccole quantità e non troppo spesso, quindi, come diceva
Damon, gli scoiattoli erano ancora una specie a
rischio Stefan ─, o di
voler bere del liquore migliore di quello offerto dalla bettola di
turno, per poi invece andare a recuperare suo fratello in qualche bar
sperduto sull'autostrada, prima che si ubriacasse troppo e facesse
qualcosa di estremamente stupido che avrebbe potuto metterli tutti in
pericolo.
«Vorrei
che fosse tutta colpa tua, Stefan. Renderebbe le cose dannatamente
più facili», gli diceva di solito Damon, quando se
lo ritrovava improvvisamente davanti.
«Già»,
rispondeva Stefan, che non era esattamente lusingato dall'idea, ma non
poteva nemmeno biasimare il fratello. Se ci fosse stato qualcuno ─ uno
qualsiasi, persino lui stesso ─ a cui poter dare la colpa di tutto
ciò che era andato storto, si sarebbero sentiti entrambi
molto meglio.
«Mi
piaceva quel ragazzo.»
«Già.»
«Lei
non aveva il diritto di cacciarci da casa nostra», Damon non
faceva il suo nome ─ nessuno di loro aveva ancora fatto il suo nome da
quando erano partiti ─, ma non ce n'era bisogno.
«Non
ci ha cacciati. Ce ne siamo andati noi.»
«Ah
sì?»
«Sì.»
A
quel punto, di solito, Damon lo fissava con occhi spenti e vagamente
confusi, e non solo a causa dell'alcool.
«Perché?»,
domandava infine, e Stefan, invariabilmente, distoglieva lo sguardo.
«Non
lo so.»
Sempre
lo stesso copione, tutte le notti. Stefan non era mai abbastanza
ubriaco da cambiare qualche battuta, da rispondere qualcosa di diverso
dalla verità.
Così
si limitava a trascinare il fratello fino alla macchina, guidare fino
all'hotel dove Caroline, ignara, lo stava aspettando, e ritornare in
camera sua, lasciando Damon addormentato sul sedile, con la
consapevolezza che difficilmente l'indomani si sarebbe ricordato della
sera prima, e ancora più difficilmente gliene sarebbe
importato qualcosa.
*
«Adesso
spiegami perché, se ti è completamente
indifferente dove andiamo, non posso essere io a scegliere la prossima
città dove ci scaricherai come due pacchi
postali», strepitò Caroline, per quella che Stefan
contò come la dodicesima volta da quella mattina.
«Perché
sono io che guido», replicò pigramente Damon,
senza nemmeno prendersi il disturbo di voltarsi a guardarla.
«Bene,
in tal caso lascia guidare me!», urlò ancora
Caroline.
Damon
rise.
«Allora
Stefan!»
Damon
rise ancora e Caroline iniziò seriamente ad arrabbiarsi.
Stefan sospettava che lei neanche sapesse dove diamine voleva andare
(la notte prima aveva ammesso di non avere la più pallida
idea di dove si trovassero al momento), ma che fosse comunque
determinata ad annoiare Damon, giusto per amore di discussione.
Più
i giorni passavano, più quel viaggio continuo gli sembrava
una follia. Non capiva come mai Caroline non fosse già
caduta preda di una crisi di nervi, o perché Damon
accettasse quei battibecchi sempre più frequenti con una
semplice alzata di spalle, quando un paio di mesi prima avrebbe
minacciato di sterminarle la famiglia per molto meno.
«Stefan,
accendi la radio!», ordinò Caroline dopo qualche
minuto di furioso silenzio.
Stefan
sospirò.
«Stefan,
non azzardarti a toccare la radio», sibilò suo
fratello.
Stefan
sospirò ancora.
«Si
può sapere perché devi essere così
maledettamente sgradevole?»
«Si
può sapere perché devi essere così
maledettamente rompiscatole?»
Stefan
capì di aver raggiunto il limite, almeno per quella giornata.
«Damon,
fammi scendere.»
Non
sapeva se il suo mormorio fosse passato davvero inosservato a suo
fratello ─ probabile, visto che stava continuando a scimmiottare ogni
parolaccia che Caroline gli urlava contro ─, o se Damon avesse
semplicemente deciso di ignorarlo ─ probabile anche questo ─, fatto sta
che l'auto non si fermò, i due continuarono a litigare, e
Stefan sentì i suoi nervi sfregare l'uno contro l'altro,
producendo scintille di rabbia.
Allora
fece una cosa molto stupida, che non si sarebbe mai azzardato a fare se
la strada non fosse stata totalmente deserta e se tutti loro non
fossero stati immortali.
Tirò
il freno a mano con talmente tanta forza che la leva gli si
spezzò tra le dita, e non fece in tempo a gettare
un'occhiata alle espressioni sbalordite degli altri due che la
macchina, ovviamente lanciata al massimo, sbandò
paurosamente e, con un fastidiosissimo stridio di fischi,
iniziò a girare forte su sé stessa.
Finirono
fuori strada, sollevando un mucchio di polvere che invase l'abitacolo
attraverso i finestrini aperti, e per qualche secondo, troppo sorpresi
e anche troppo impegnati a tossire per pensare di urlare, i tre non
poterono fare altro che osservare il mondo girare intorno a loro a
velocità pazzesca.
Dopo
qualche minuto la macchina si fermò definitivamente, ma
prima che suo fratello si riprendesse abbastanza da ammazzarlo, o prima
che Caroline riuscisse a trovare abbastanza fiato da ricominciare ad
urlare, Stefan aveva già spalancato la portiera ed era
sparito alla loro vista.
*
Damon
e Caroline lo raggiunsero due ore dopo, in un bar ad una cinquantina di
chilometri di distanza dall'incidente,
mentre Stefan stava bevendo la sua seconda tazza di caffè
grigiastro dal sapore di cartone.
In
silenzio, i due si sedettero al suo tavolo, Caroline al suo fianco e
Damon di fronte a lui, e Stefan si limitò a continuare a
fissare il suo orrido caffè come se volesse convincerlo a
tramutarsi in scotch con la sola forza del pensiero.
«Sei
pazzo», disse Caroline poco dopo, senza guardarlo, e
prendendo in mano il menù che la cameriera aveva prontamente
posato di fronte a lei. «Pensavo che il pazzo fosse solo
Damon, ma evidentemente è una cosa di famiglia»
E
per tutto il resto della giornata quello rimase l'unico commento su
quanto era accaduto.
*
Quella
notte, per la prima volta da quando erano partiti, Damon rimase con
loro, “dato
che qualcuno ha deliberatamente deciso di distruggere la mia macchina ─
e ti assicuro che prima o poi me la pagherai cara, Stefan ─, e che per
oggi ho camminato già troppo”.
Presero
tre camere separate perché Stefan e Caroline non avevano
voglia di spiegare a Damon che spesso e volentieri dormivano insieme
nello stesso letto, senza nemmeno sfiorarsi, solo per farsi compagnia.
Entrambi avevano la precisa impressione che lui non avrebbe capito.
Ci
fu un attimo di imbarazzante silenzio quando si ritrovano tutti e tre
sul pianerottolo, ognuno con la propria valigia in una mano e
nell'altra la chiave della stanza che avevano prenotato per due notti
(“All'inizio
quel meccanico ciccione ha detto che ci sarebbe voluta una settimana
per riparare la mia macchina, ma poi ha cambiato idea”
“Ovvio,
lo tenevi sollevato per il collo”),
ma poi Caroline mormorò un “Be',
allora buonanotte”,
e sparì dietro la sua porta, e gli altri due si affrettarono
immediatamente ad imitarla.
****
Il
pensiero di Elena accompagnava Stefan ogni momento da quando aveva
lasciato Mystic Falls, come un mal di testa leggero ma sempre presente.
Con
Damon non aveva mai avuto il coraggio di parlarne ─ suo fratello
sembrava avere l'innata capacità di trasformarlo in un
vigliacco ─, e Caroline semplicemente non avrebbe capito. Ci avrebbe
provato, certo, ma non avrebbe mai potuto capire davvero.
Ricordava
il funerale di Jeremy, il modo in cui lei si era voltata a guardarlo e
lui aveva realizzato, con quel solo sguardo, che era finito tutto.
«Lo
capisco», le aveva detto quando lei, perfettamente
insensibile nel suo scudo di non-umanità, aveva detto di non
potere, di non potere davvero andare avanti così, ed Elena
aveva sorriso amaramente.
«No
che non capisci», gli aveva risposto, guardandolo dritto
negli occhi. I suoi erano asciutti, gelidi e lontanissimi.
«Tuo fratello è ancora vivo.»
Tu
sei riuscito a salvare tuo fratello, io no,
è quello che lei non aveva detto, e che lui aveva sentito lo
stesso.
Io
non riesco a salvare nessuno.
(JeremyJennaJohnMammaPapà)
E ora non voglio più salvare nessuno.
La
sua stanchezza lo aveva ferito più di ogni altra cosa, e lo
feriva ancora adesso.
Ma
aveva capito.
C'erano
volte in cui l'amore semplicemente non era abbastanza, e c'erano cose a
cui nemmeno l'amore poteva porre rimedio.
Cose
come il rimorso, la rabbia, il senso di colpa. E il dolore. Soprattutto
il dolore.
Al
funerale Stefan non aveva visto quelle emozioni negli occhi di Elena,
ma ricordava le sue urla quando infine aveva realizzato che suo
fratello era morto davvero. Ricordava il dolore di quella notte e lo
riviveva lui stesso giorno dopo giorno, sotto il volto inespressivo che
era costretto a tenere su con Caroline e Damon.
Quel
genere di cose erano troppo personali per essere condivise: chi ha
detto che niente come il dolore può unire due persone,
doveva essere una persona molto stupida.
*
Il
pensiero di Elena accompagnava anche Damon, e non in modo
più piacevole.
Non
aveva raccontato a nessuno quello che era successo quel giorno, dopo il
funerale di Jeremy, e nessuno glielo aveva chiesto. A Stefan era
bastata un'occhiata sola per capire.
Senza
nessun sentimento da parte di Elena, perfino il sirebonding si era
allentato, perdendosi nel nulla dietro lo sguardo spento della ragazza.
Quel vuoto gli aveva fatto male allora, e gli faceva ancora male adesso.
Ma
tutto quel dolore non era nulla in confronto al momento in cui, in
piedi davanti alla tomba di Jeremy, con il suo vestito da lutto
già fin troppo usato, Elena si era voltata verso di lui con
quegli occhi pieni di morte e indifferenza, e gli aveva chiesto l'unica
cosa che non era mai stato sicuro di poterle dare.
«Lasciami
andare», gli aveva detto. «Dimmi di andarmene via
da te. È quello che avresti dovuto fare fin dall'inizio,
no?»
Parole
come paletti di legno.
Lui
era rimasto in silenzio a lungo, con il cuore di nuovo spezzato. Ma che
cos'altro avrebbe potuto fare, alla fine, se non darle quello che
voleva? Non era questo il punto? Rispettare le sue scelte? E lei voleva
andarsene, adesso. In cerca di vendetta. Forse in cerca di un'altra
vita.
Aveva
allungato un braccio e le aveva afferrato un polso, pensando di
trattenerla. Che cosa stupida, lasciarla andare. Insieme potevano
ancora trovare la cura. Insieme potevano farla pagare a Katherine.
Insieme potevano fare tutto.
Ma niente sarebbe bastato.
«Lasciami
andare, Damon», aveva ripetuto Elena.
Damon
aveva lasciato la presa e la mano di lei era scivolata via dalla sua,
mentre dalle sue labbra scivolavano parole giuste,
parole che odiava con tutto se stesso. Parole che, però,
infine aveva dovuto dire.
Parole
che l'avevano lasciata andare.
*
«Ha
bisogno di stare da sola», aveva detto Stefan, comprendendo
la situazione non appena rientrato nella casa vuota.
«Katherine non si lascerà trovare, e lei
avrà il tempo di... rimettersi in sesto.»
Damon
aveva scosso la testa, ubriaco fino al midollo.
«È
colpa mia», aveva mormorato piano. «È sempre colpa
mia.»
Stefan
si era limitato a sospirare.
«È
sempre colpa nostra»,
lo aveva corretto. E poi, più per non lasciare ancora spazio
al silenzio che per vera intenzione, aveva continuato: «Forse
dovremmo andarcene anche noi.»
Damon
lo aveva preso in parola.
Silas,
Klaus, Katherine, la cura, Bonnie e la sua follia di voler squarciare
il velo tra i due mondi... si erano lasciati tutto alle spalle. Almeno
per un po'.
****
Caroline
li aspettava seduta sul cofano della Camaro appena rimessa a nuovo, con
i piedi posati sul parafango e un vassoio con tre bicchieri di
caffè in grembo.
Stefan
la raggiunse per primo, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans
e un sorriso storto sulla faccia. Le prese i bicchieri dalle mani e ne
porse uno a Damon, che lo seguiva lentamente.
Per
un po' rimasero tutti e tre in silenzio, a lasciarsi accarezzare dai
raggi del sole nascente e dal venticello frizzante della mattina.
«Credo
che sia ora di tornare a casa», disse Caroline, spezzando
infine quell'irreale immobilità. «Prima o poi
dovremo andarcene per davvero, ma non questa volta. Questa è
stata una specie di prova, vero? Un giro a vuoto?»
«Probabilmente
sì», rispose Stefan.
La
risata roca di Damon li colse quasi di sorpresa. Quasi.
«Non
proprio a vuoto», spiegò infine il maggiore dei
Salvatore, guardando lontano. «Diciamo che potrei aver
seguito le tracce di Katherine.»
Stefan
alzò un sopracciglio, scettico.
«Per
tutto il tempo?»
«Non
proprio», confessò Damon, voltandosi a guardarlo
negli occhi. «Solo da qualche giorno. O qualche settimana. Da un
po',
diciamo.»
Senza
alcun preavviso, Caroline allungò una gamba e gli
rifilò un calcio in uno stinco.
«Ahi!»
«Stronzo»,
commentò. «Avresti potuto dircelo.»
Damon
si strinse nelle spalle, i suoi occhi erano ancora fissi in quelli di
suo fratello.
«All'inizio
non era questo il piano.»
«Avevamo
tutti bisogno di una pausa», disse Stefan. «E ce la
siamo presa. Ma credo anche io che ora dovremmo tornare a
casa.»
«Insieme
ad Elena», aggiunse Damon.
Stefan
annuì e si voltò verso Caroline.
«Be',
suppongo che se ci capitasse per caso di incontrare anche Tyler sulla
strada verso nessun dove, io non potrei certo dichiararmi scontenta
della cosa», mormorò lei con un mezzo sorriso.
Sorridendo
a sua volta, Stefan le prese la mano e gliela strinse appena.
Damon
sopportò ancora qualche minuto di silenzio, poi la sua
impazienza ebbe la meglio.
«D'accordo
allora, tutti a bordo. Stefan, tu stai dietro»,
sbottò.
«Ma─»
«Niente
ma. Mi hai già distrutto la macchina una volta.»
Caroline
rise.
«Finalmente
potrò impadronirmi dello stereo»,
sospirò contenta.
«Non
ci pensare neanche», ringhiò Damon.
Ricominciarono
a battibeccare ancora prima di chiudere le portiere, un nuovo record
personale. Ma questa volta a Stefan non dispiacque affatto.
N/A: E
quindi, in definitiva, cos'è questa cosa? Bella domanda XD
È una storia che ho in testa da anni, non tutta ovviamente
(la preveggenza non è un mio dono), solo la scena in cui
Caroline lascia Mystic Falls con Damon e Stefan. È un
qualcosa di cui sono così convinta che ormai lo prendo per
canon anche se non lo è e probabilmente non lo
sarà mai XD
E
niente, alla fine l'idea si è trasformata in una What If? a
partire dalla 4x15 perché ho grossissimi problemi ad
accettare questa cosa del sirebonding e il fatto che ormai tutti lo
usano così come se niente fosse, e spero che lo eliminino
presto del tutto.
Also
potrebbe esserci una parte due con Elena a caccia di Katherine, beware
#lol
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