Betting more
“Vuoi scommettere?”
Per qualche secondo rimase immobile, incerta se essere più
sorpresa o più esasperata.
Ad ogni modo, quella era una sfida e di tirarsi indietro non se ne
parlava.
Il sorriso che sfoderò non lasciava adito a fraintendimenti.
“D'accordo. Se riuscirai a stare seduto -seduto,
House- su quella dannata sedia a rotelle per un'intera
settimana, riavrai il tuo posto auto. Ma se, come accadrà,
non ce la farai; mi lascerai in pace e recupererai le venti ore di
ambulatorio che hai scaricato su Chase.”
House ghignò. “Va bene, Cuddy, accetto. Ma se
vinco io...” Il suo ghigno si allargò, anche se
non era certo di quello che stava per dire.
Non non era sicuro che sarebbe valsa la pena di rischiare
così tanto.
Al diavolo, doveva puntare alto.
“Se vinco io mi ridarai il mio parcheggio e smetterai di
cercare un donatore di sperma fra quegli esseri patetici che ti ostini
a reperire sui siti d'incontri; accettando l'uomo con il miglior
curriculum genetico del pianeta.” Fece un gesto eloquente
verso sé stesso. “E si fa nel buon, vecchio modo,
Cuddy.”
Il silenzio più totale calò sulla stanza.
Lisa vacillò.
E non era una questione di volontà, o determinazione;
vacillò nel senso fisico del termine.
Lui la vide barcollare, e soppresse l'ingiustificato istinto di saltare
la scrivania per sorreggerla. Nonostante ciò a lei
sembrò di scorgere una scintilla di qualcosa che poteva
anche essere preoccupazione, dietro a quell'azzurro imperscrutabile.
O, magari, era solo quello che le avrebbe fatto piacere notare.
Si sedette e serrò le labbra. Doveva rispondergli, questo
sì, ma non aveva idea di cosa.
Era un salto nel buio, ovunque fosse caduta non sarebbe stato un
atterraggio morbido.
House, dal canto suo, decise di non essere preoccupato. Lui non si
preoccupava mai delle conseguenze delle sue azioni, no? Ma il sospetto
che questa volta avesse veramente esagerato era un tarlo fastidioso.
Poi lei lo guardò e lui ebbe paura.
Davvero, molta paura, che gli dicesse di sì o che gli
ridesse in faccia, a pari merito.
Se la consueta scorta di assoluta razionalità non l'avesse
lasciato così vergognosamente a secco, avrebbe notato lo
stesso terrore nel suo sguardo.
“D'accordo, House, ci sto.”
E solo quando, in qualche strano modo, lui si ritrovò fuori
dalla porta a vetri del suo studio, entrambi ripresero a respirare.
Lisa avrebbe dovuto saperlo. Non che ci avesse in qualche modo sperato,
sapeva che sarebbe andata così. Però forse,
ecco, forse
si era illusa, cosa che non pensava di essere più capace di
fare, con House.
Illusa che lui ci tenesse davvero. Illusa di essere capace di gestire
il terremoto emotivo che, lo sapeva, l'avrebbe attraversata.
Ma era meglio così, era giusto così. Lui se n'era
andato voltandole le spalle, offeso, quando lei l'aveva dichiarato
perdente. Dispiaciuto, anche...? No, non era il caso di pensarlo.
House, nonostante tutto, era un uomo che sapeva aspettare.
Essere zoppo e non riuscire a correre, per esempio, era un buon
allenamento.
Così, non fu troppo sorpreso quella sera, nel vedere il
cartello con il suo nome tornare al suo posto.
Un brivido caldo, di soddisfazione e persino, forse, di gioia lo
attraversò.
Sorrise, e si avviò fischiettando a riscuotere il suo premio.
Dedicata a chi
prima o poi si stuferà di sentirsi dedicare storie in cui
loro due fanno un figlio, ma tant'è.
Dall'autrice:
Questa flash- fic non è stata progettata, né
pensata. Si è praticamente scritta da sola dopo l'episodio
di mercoledì scorso (Needle in a Haystack-L'Ago nel
Pagliaio-3.13), quando mi sono chiesta cosa li avesse spinti a
scommettere, quindi può avanzare ancora meno pretese delle
altre. Diciamo che, principalmente, è nata per il semplice
fatto che li adoro, e che insieme sono perfetti. Non è
ancora stata betata, ma soltanto corretta da me, che volevo provare,
per una volta, a non lasciar passare mesi tra stesura e pubblicazione.
Mi affido quindi al buon cuore dei miei lettori, che mi facciano notare
cosa non va. (Se poi qualche anima pia si offrisse di betarla, beh,
avrebbe la mia imperitura gratitudine.)
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