...
rieccomi!!! Dopo Makoto & Louis ho sentito il bisogno di
tornare ai miei due figlioli Ken&Jun, ma per scrivere qualcosa
di leggero e senza troppe pretese... quindi mi è venuta l'ispirazione
per scrivere questa ff che avevo in mente dal lontano 2009 per la
challege "I
parenti Poveri, quei poveri parenti" di Berlinene, risalente
a quei tempi XD. In verità la ff sarebbe una specie di seguito di "Un giorno vale
l'altro", ff sempre della sottoscritta e facente parte del
mondo Jun X Ken, anche se non è necessario averla letta... si aggancia
più che altro per l'ambientazione, i riferimenti, i toni un po'
scanzonati e, soprattutto, per il fratello di Ken, Yu! Nella precedente
ff l'avevo citato per poche righe, ma mi ero ripromessa di trattarlo in
una ff a parte, questa!! Che avevo ideato già a quei tempi, ma che
avevo sempre rimandato ^__^ La trama è rimasta davvero la stessa, a
parte qualche piccolissimo cambiamento... tornano quindi i toni buffi,
le gag del povero Ken, cane Genzo e il vanitoso fratello maggiore di
Ken ^_^ Che ho sempre visto così... un po' leggero,
sfacciato, ironico, apparentemente molto scansafatiche... ma sarà
davvero così?? Leggere per credere;)
Grazie
mille alla super beta Berlinene
per il betaggio e l'apprezzamento dell'intera ff e del personaggio di
Yu!!
Non
Sono Un Karateka
Finalmente
era arrivato. Jun Misugi arrestò il passo e, per qualche istante,
rimase immobile a fissare il maestoso portone della dimora Wakashimazu.
Un sorriso raggiante gli illuminò lo sguardo, mentre respirava a pieni
polmoni: si sentiva proprio bene! Forse, a occhi estranei, una casa di
quel tipo poteva sembrare austera e antiquata, eppure a lui era sempre
apparsa affascinante e accogliente, nemmeno la propria gli faceva
quell’effetto, anzi. L’abitazione di Ken, con il suo giardino
rigoglioso, i mobili adornati dai vasi di fiori composti con sapienza
secondo la tradizione ikebana, il
profumo del legno, il fruscio della carta di riso nello scorrere dei fusuma, lo metteva in risonanza con il
proprio spirito nipponico, restituendogli una cultura che gli
apparteneva, ma che, nella sua famiglia, si era persa, a favore di una
occidentale e di facciata.
Sollevò
il viso verso il sole, lasciando che i tiepidi raggi di quella mattina
gli coccolassero un po’ la pelle. Erano appena iniziate le
vacanze primaverili e Ken lo aveva invitato a passare qualche giorno a
casa sua, invito che aveva accettato con piacere. Adorava la famiglia
del suo portiere: si tratteneva volentieri con sensei Wakashimazu, a
conversare di argomenti perlopiù culturali e attuali, mentre si
dilettavano in partite di shogi.
‘Tu mi metti in serie difficoltà, Misugi, sei un vero stratega!’, gli
aveva detto più volte l’uomo, inorgogliendolo; mentre la signora
Himeko, la moglie, nonché madre di Ken, aveva sempre delle parole
gentili nei suoi confronti e amava tentarlo con ottimi manicaretti.
Peccato che fosse totalmente negata nel fare i dolci. Il principe del
calcio rise fra sé, rammentando quel dettaglio. Per questo, preferiva
di gran lunga recarsi lui da Ken. Quelle poche volte che Wakashimazu
era rimasto a dormire a casa sua, aveva notato il disagio di fronte ai
suoi genitori, soprattutto a sua madre, che lo tempestava di domande,
spesso invadenti. Inoltre, quell’ambiente ‘occidentalizzato’, così
perfetto, così pulito, così impeccabile, lo irrigidiva. Dopotutto, Ken
aveva un animo selvaggio. E, anche se non lo dava a vedere, anche
Misugi stesso era asfissiato da quel conformismo mascherato da
modernismo. C’era da dire, poi, che sua madre non aveva accettato che
lui e Yayoi si ‘fossero lasciati’. “Non capisco le tue ragioni!” Gli
aveva ripetuto più volte, sull’orlo di un piagnisteo isterico che,
proprio, non sopportava. Come poteva non capire: con Yayoi erano stati
insieme alle elementari e magari, ora che erano al liceo, volevano
altro! No, se non capiva prima quello, non avrebbe mai compreso neppure
il vero motivo per cui non sarebbe più potuto stare non
soltanto con Yayoi, ma con nessun’altra donna.
Scosse
la testa, imponendosi di non pensarci. Quella mattina era andato lì
proprio per distrarsi e passare un week end rilassante con Ken. Quindi,
si decise a suonare il campanello e un rapidissimo “Jun?”, gli suggerì
che il suo ragazzo era davanti al citofono da chissà quanto tempo,
impaziente. “Sì, sono io!” Rispose, travolto da un entusiasmo che solo
la presenza del portiere riusciva a regalargli. “Ti apro!” Disse la
voce raggiante di Wakashimazu.
Mentre
il portone si apriva automaticamente, Jun cominciò a intravedere il
meraviglioso giardino fiancheggiante il vialetto che lo avrebbe portato
davanti all’abitazione. Varcò l’ingresso, senza rendersi conto che il
suo passo si faceva sempre più svelto man mano che si avvicinava: aveva
una voglia matta di rivedere Ken, era passata più di una settimana
dall’ultima volta. Il suo cuore batteva all’impazzata, più vivo che mai.
“Jun!”
Eccolo
lì il suo portiere, che gli andava incontro, con indosso il karategi, i capelli un po’ scarmigliati
e la fronte leggermente sudata. Di sicuro, aveva appena finito
l’allenamento mattutino, al quale, nonostante la scelta di dedicarsi al
calcio, non rinunciava mai. Nei suoi occhi c’era lo stesso desiderio di
rivederlo che animava i propri.
“Ken!”
Stava per raggiungerlo, sapeva di doversi trattenere dall’abbracciarlo…
si trovavano pur sempre a casa sua e agli occhi di tutti erano
semplicemente dei grandi amici, per cui…
“Jun,
tesooooooooooooooooooooooooooooro!! Sei arrivato!”
Uno
strepito improvviso, un movimento fulmineo e il principe del calcio si
trovò cinto da un abbraccio stile piovra. Ah, sì. Poco prima, mentre
ripensava alla famiglia di Ken, aveva dimenticato di menzionare anche…
“Yu!”
Rantolò, tentando di divincolarsi. “Così mi soffochi!”
“Yu!!!”
Esclamò Ken, furibondo, strattonando il fratello per un braccio. Come
osava avvinghiarsi a Jun in quel modo spudorato? ‘Togli
le tue zampacce dal mio ragazzo’, avrebbe voluto dire. Ma si
limitò a un irato: “Lascia stare Misugi!”
Il
fratello maggiore di Ken liberò così il suo ostaggio, non prima, però,
di avergli scompigliato un po’ i capelli. “Guarda che non te lo rovino,
il fidanzato!” Sospirò Yu, con sorrisetto sornione. A Ken prese un
colpo. “Che diavolo dici?!” Sbraitò, lanciando occhiate intorno, per
accertarsi che non ci fosse qualcun altro nelle vicinanze. Per fortuna
c’era solo Genzo, che si avvicinò scodinzolando, cercando l’attenzione
dei presenti. “Non dire certe cose ad alta voce!”
“Ma,
Ken-chan, sei tu che ti stai sgolando!” Yu fece spallucce, poi si
rivolse a Misugi. “Ma è sempre così apprensivo?”
“Un
po’…” Jun rise di gusto, mentre si chinava per accarezzare un Genzo
festante. Yu era proprio diverso da Ken. Sia nel carattere, così
allegro e cordiale, sia nell’atteggiamento, un po’sfacciato e,
talvolta, provocatorio. Anche in quel frangente, nel vederlo con quella
camicia lucida, i jeans attillati e i capelli a spazzola, ingessati da
una quantità abnorme di gelatina, Jun non poté esimersi dal pensare che
i due fossero agli antipodi. Inoltre, era davvero una delle poche
persone in grado di metterlo in imbarazzo. Soprattutto quando si
slanciava in gesti esuberanti come quello di poco prima.
“Scusa
Yu…” Disse poi il principe, un po’ disgustato. “Ma quanti litri di
profumo ti sei messo?” Lo sguardo di Yu si fece tutt’un tratto serio.
“Jun. Un uomo deve sempre essere pronto.”
Il
principe del calcio storse la bocca. “Pronto… per cosa?”
Il
ragazzo spalancò le braccia. “Ma per l’occasione della vita!” Poi, si
posò una mano sulla fronte, gettando il viso su un lato, teatrale. “In
qualsiasi istante potrei incontrare la donna della mia vita!”
“Sì,
nel frattempo ne cambi una a settimana!” S’intromise Ken, afferrando il
braccio di Jun. “Ma tu ascolti ancora le cazzate di mio fratello?”
Sbuffò, spazientito. Non voleva darlo a vedere, ma la
scenetta di poco prima dove Jun rideva con lui, proprio non gli era
piaciuta. Avrebbe quasi giurato di aver visto Misugi arrossire!
“Tu
non capisci, Ken-chan.” Yu scosse la testa rassegnato, quasi parlasse
un’altra lingua. “Fra uomini è diverso…”
“La
vuoi smettere?” Ringhiò Ken. Va bene che ormai Yu sapeva di lui e Jun,
ma sbandierarglielo in quel modo spudorato! Se non fosse stato suo
fratello, l’avrebbe già messo ko
con un colpo ben assestato.
“Questo
è l’odore che piace alle donne di oggi! Mica il sudore di voi
calciatori…” Continuava Yu, come estasiato.
“Mi
sono stufato! Ne ho abbastanza!” Il portiere trascinò via il suo
ragazzo, lasciando Yu a recitare le sue congetture. “E tu smettila!”
Sbuffò, sentendo Misugi, alle sue spalle, soffocare una bella risata.
******
“Jun
caro, che piacere averti qui con noi, è da un pezzo che non passavi a
trovarci!” La madre di Ken sorrise dolcemente, mentre gli allungava un
piatto colmo di Oyako Don*. Si
erano appena seduti a tavola, Ken gli era di fronte, vicino al padre,
mentre Yu stava inginocchiato al suo fianco e giocherellava con le
bacchette, distratto. Il profumo di cui aveva impregnati gli abiti, per
fortuna, sembrava essersi attenuato.
“Grazie,
signora…” Il principe del calcio sorrise a sua volta, per poi
inebriarsi del profumo di quel piatto, delizia per il palato e diletto
per gli occhi, data la sapienza e l’eleganza con cui era stato
preparato.
“Oh
cielo, con questa ‘signora’! Te l’ho detto tante volte, chiamami pure
Himeko!” Lo rimproverò bonariamente la donna.
“Ahem…
va bene… Himeko-san…” Si corresse il principe, arrossendo. Poi riprese
il filo del discorso. “Purtroppo gli impegni scolastici e la
riabilitazione mi hanno impegnato un sacco questo periodo!”
“Già,
è vero.” Intervenne Wakashimazu-san, con cui Misugi, fino a poco prima,
si era trattenuto in una partita di shogi
lasciata a metà. “Come va la riabilitazione?”
“Sembra
bene!” Esclamò Jun, dopo aver assaggiato la pietanza. “… è ottimo,
Himeko-san, complimenti!” La donna gli sorrise riconoscente, poi il
ragazzo continuò. “Vado alla clinica dalle tre alle quattro volte alla
settimana, dopo la scuola. È impegnativo, ma è l’unico modo che ho per
riprendere a giocare a tempo pieno, senza dovermi accontentare di
dieci-quindici minuti a partita…” Terminò la frase con un sospiro. “…
pare ci siano buone speranze!”
“Vedrai
che andrà tutto benissimo” Ken andò in suo soccorso, notando il breve
lampo di preoccupazione che aveva attraversato lo sguardo del suo
ragazzo. “… e presto tornerai in campo più forte che mai!” Terminò,
incoraggiante. Il portiere sapeva bene quanto gli stesse costando
quella riabilitazione: ormai era da un anno che Misugi non metteva
piede in campo e la Musashi ne stava pagando le conseguenze. Il Toho
stesso, l’ultima volta, l’aveva battuta con troppa facilità, e di
questo Jun si sentiva in colpa. Il portiere, poi, aveva provato un
profondo senso di vuoto, quando non aveva visto Misugi a centrocampo,
nonostante sapesse il perché. Amava la tacita sfida che li voleva
avversari sul campo, gli piaceva vederlo concentrato per fargli goal,
provava un’indescrivibile ebbrezza nel balzare per parare i suoi drive shot. Però, era sempre stato tutto
per pochi minuti… ora, grazie a quella riabilitazione, molto
probabilmente, Jun avrebbe potuto presto giocare un’intera partita e
quel traguardo valeva i sacrifici che stava affrontando. Che stavano affrontando.
“Sei
proprio coraggioso, Jun… faresti di tutto per tornare in campo…”
Intervenne Yu, usando un tono serio, decisamente atipico per lui. Ma fu
solo un attimo, perché subito dopo il ragazzo puntò un gomito sul
tavolo, poggiando il viso sul palmo della mano. “Bah, consolati… Ken
torna sempre ammaccato ultimamente, si distrugge per tutt’e due! Chi
glielo fa fare!” Sospirò, dimostrando di non comprendere tutta quella
dedizione.
“Ah,
beh! Almeno io faccio qualcosa, invece di stare a oziare tutto il
giorno!” Gli rispose secco il fratello ma, vedendo lo sguardo
interrogativo di Jun, gli si rivolse subito . “In effetti, ultimamente
gli allenamenti sono parecchio pesanti…” Ammise, dandosi dei colpetti
sulle spalle, mentre tendeva il collo, a sciogliere un po’ i muscoli.
“Nat
vi sta massacrando?” Domandò Jun, con una punta d’ ironia nella voce*.
“Già!”
Grugnì Ken. “Quella strega vuole vincere anche quest’anno il campionato
nazionale… cioè, lo vogliamo anche noi, ma lei non ha il senso della
misura! Così ci farà a pezzi!Altroché!”
Misugi
scoppiò in una bella risata. “Si vede che è stata un’allieva di mister
Kira!”
“Sì,
soprattutto dall’alito di alcool!” S’intromise Yu e Ken, stavolta, si
trovò costretto a dargli ragione. Wakashimazu-san scosse la testa,
limitandosi a un “… i tempi cambiano troppo velocemente…”, mentre la
moglie gli poggiava comprensiva una mano sulla spalla, non nascondendo
un risolino.
“Bene,
dai… vincete anche per noi, allora! Siete sempre i rappresentanti del
nostro distretto!” Lo caldeggiò Jun, stringendo i pugni con entusiasmo.
“Puoi
contarci!” Assicurò Ken. Il suo sguardo, nell’incrociare quello del suo
ragazzo, si addolcì e tale dettaglio non sfuggì alla signora Himeko.
“Ah, meno male che Ken ha un amico come te, che sollievo!” La donna
alzò gli occhi al cielo, congiungendo le mani e tutti la guardarono
perplessi. “Quando ci sei tu, mio figlio diventa molto più posato e ha
lo sguardo meno accigliato di quando sta con Hyuga e gli altri ragazzi
del Toho. Quando è con loro, assume l’aspetto di un piccolo teppista!”
“Mamma!”
Ken strabuzzò gli occhi. “Te l’ho già detto che Hyuga e gli altri sono
in gamba…”
“Lo
so, lo so, ma è lo sguardo bieco che li rende inquietanti…”
Ken
si portò una mano alla fronte. “… è sempre la solita storia…”
Mh….
però mamma ha ragione…” Yu incrociò le braccia e con lo
sguardo percorse la figura di Jun, sulle labbra un ghigno accennato.
“Anche se ’aria da bel tenebroso calzerebbe bene anche a te, Jun...
perché non ti iscrivi al Toho? ” Buttò lì, ma Jun sobbalzò,
impreparato, e così anche Ken. “Così potete fare ciccì e coccò anche
lì!” Aggiunse Yu, sussurrando all’orecchio di Misugi.
‘Ma
perché non si fa mai i cazzi propri…’ Imprecò fra sé il karate
keeper, trattenutosi solo per rispetto dei genitori.
Il
principe del calcio capì che, dietro quella domanda apparentemente
innocua, Yu gli stava chiedendo come mai non si era trasferito nella
scuola di Ken, dato che stavano insieme da un pezzo, ma si vedevano
poco. “Il Toho non ha un indirizzo di medicina…” Spiegò Jun,
distendendo le labbra e i tratti del viso, riacquistando abilmente il
controllo. “E io, oltre a riprendere la carriera calcistica, voglio
diventare medico!”
Ken
ammirò il suo ragazzo per la prontezza che mostrava magistralmente in
ogni occasione. Jun gli sorrise, complice. Quella, in fondo, era la
verità o, meglio, mezza verità. Il principe del calcio ricordava che
tempo prima, anche Ken gli aveva chiesto di iscriversi alla sua scuola
e lui gli aveva risposto allo stesso modo, convincendolo. Solo che
c’era anche un altro motivo… e si chiamava Kojiro Hyuga. Jun sapeva di
non essere una presenza gradita al capitano del Toho, soprattutto da
quando ai suoi occhi, lui e Ken erano diventati molto amici. Misugi
sentiva che Hyuga temeva di essere spodestato dal ruolo di ‘migliore
amico’ di Ken, anche perché non sapeva come stessero realmente le cose.
E, per ora, il suo ragazzo non sembrava intenzionato a dirglielo, per
questo preferiva non minare ulteriormente la situazione e rimanere al
suo posto. Ken aveva bisogno dei suoi amici e, soprattutto, di Kojiro.
“Tu
sì che hai le idee chiare, Jun!” Disse Yu, facendo schioccare la lingua
sul palato, come a emettere un’inderogabile sentenza. “Mica come mio
fratello!”
“Che
diavolo intendi dire?” Scattò Ken, lanciandogli un’occhiataccia. Misugi
schiuse le labbra, ma non disse nulla, avendo il sentore di non doversi
intromettere.
Il
fratello maggiore di Ken scrollò le spalle. “Quello che sto dicendo.
Fai calcio, fai karatè, non hai fatto una scelta definitiva!”
“Che
diavolo stai dicendo, Yu?” Ken cominciava a infervorarsi. “La mia
scelta l’ho fatta, ed è il calcio!”
“Uuuuh,
beh. Sbaglio o ogni tanto dici che dopo la carriera calcistica potresti
anche diventare maestro di karatè?” Il tono di Yu era molto, molto
sarcastico, tanto che Jun stesso se ne stupì.
“Certo!
La carriera di un giocatore non dura per sempre!”
“Ah
e tu pensi di poterti dedicare anche al karatè, perdendo tempo con il
calcio? Sai bene che il karatè richiede una rigida disciplina. Scegli:
o l’uno o l’altro.” Incalzò Yu, provocatorio, ma molto, molto calmo.
Atteggiamento che ebbe l’effetto contrario sul fratello, che
s’innervosì. “Ho chiarito con nostro padre, non vedo perché debba dare
spiegazioni a te! E, si dà il caso, che almeno io qualcosa la faccio,
mentre tu che fai? Nulla! Hai abbandonato il karatè per correre dietro
alle ragazze e perdere tempo all’università.” Ken si alzò in piedi,
fuori di sé, additando il fratello. “Tu sei il maggiore, tu dovresti
prendere il dojo di famiglia!”
Yu
alzò lo sguardo, reggendo bene quello dell’altro, per nulla intimorito.
“Quante storie… ve l’ho già detto… datemi ancora cinque, sei anni e
poi, magari, potrei anche dedicarmi al dojo di famiglia!”
“Cinque,
sei anni? E nel frattempo che fai? Cazzeggi?!” Ken non si controllava
più. “E tu dici a me di fare una scelta? Pensi che dopo anni
d’inattività tu possa riprendere il karatè e diventare un maestro?”
Yu
distolse lo sguardo, afferrò il proprio bicchiere e sorseggiò un po’
d’acqua. “Perché no?”
“Ma
non farmi ridere, Yu! Io, almeno, nonostante il calcio, continuo ad
allenarmi e sarei in grado di batterti in qualsiasi momento!”
Continuava Ken, agguerrito.
Yu
ripose con deliberata lentezza il bicchiere sul tavolo, agganciando
nuovamente il proprio sguardo tagliente a quello del fratello. “Ne sei
sicuro?”
“Adesso
basta!”
Sì,
era proprio la voce di Wakashimazu-san: per nulla alterata, ma
decisamente grave e inflessibile. Teneva gli occhi chiusi, aveva le
braccia incrociate e respirava piano. Il principe del calcio l’aveva
visto osservare i figli durante quella discussione e, probabilmente,
non era intervenuto perché voleva ascoltare i loro sfoghi. “Questa
discussione è inutile.” Continuò l’uomo, riaprendo gli occhi, ammonendo
i due con lo sguardo, i quali abbassarono il loro con afflizione e
reverenza. Poi nessuno aggiunse altro e così fu per il resto del pranzo.
Mentre
terminava il suo oyako don, Jun
fu pervaso da uno strano sentore. Da quando lo conosceva, Yu non si era
mai comportato in quel modo. Certo, aveva sempre stuzzicato Ken, creato
l’occasione per prenderlo bonariamente in giro, ma mai aveva toccato
quell’argomento, abbastanza scottante per la famiglia Wakashimazu. Fino
ad allora sembrava non essergli mai importato del dojo, anzi, gli era
sempre sembrato evitasse l’argomento, come mai, adesso, invece, lo
aveva tirato fuori?
*******
“Non
lo sopporto!” Scoppiò Ken, dopo essersi chiuso la porta della propria
camera alle spalle. “Ma con quale diritto si permette di parlarmi in
quel modo? Proprio lui che ha abbandonato il karatè, spara sentenze?”
Era davvero furibondo.
“Dai,
adesso calmati, Ken…” Lo esortò il suo ragazzo, mentre si sedeva sul
pavimento. Misugi aprì il borsone e cominciò a tirar fuori le proprie
cose, per sistemarle nella cassettiera che il portiere gli metteva a
disposizione quando si fermava a dormire lì. “Ma come faccio a stare
calmo? Mettiti nei miei panni, Jun!” Sbuffò Ken, sedendosi al suo
fianco, cercando un minimo di comprensione.
“Lo
so… hai ragione…” Gli sorrise Jun, accarezzandogli i capelli. Ken
chiuse gli occhi per assaporare meglio la sensazione di benessere che
quel gesto gli trasmetteva, riuscendo a calmargli almeno un po’ l’animo
infiammato. Il principe del calcio osservò il respiro del proprio
ragazzo regolarizzarsi, mentre con la mano percorreva in discesa le
lunghe ciocche corvine. Sapeva bene quanto Ken si sentisse ancora
responsabile del futuro del dojo di famiglia, nonostante il padre
avesse ormai accettato che avesse scelto il calcio. Questo fardello,
poi, pesava ancora di più da quando Yu aveva smesso di allenarsi negli
ultimi due anni, lasciando il dojo Wakashimazu senza un successore
definito. Per questo Ken aveva cominciato a sostenere, da un po’ di
tempo a quella parte, che dopo la carriera calcistica avrebbe potuto
prendere in mano la scuola di famiglia. Ma tutto ciò gli stava costando
un enorme dispendio di energie mentali.
“Stai
tranquillo…” Lo rassicurò Misugi, abbracciandolo. Ken aprì gli occhi,
ricambiando il gesto. “Grazie di essere venuto, Jun…” Sorrise,
chiudendo il suo viso nelle proprie mani. “Mi sei mancato….”
“Anche
tu…” Rispose il principe, tendendosi verso di lui, a cercare quel bacio
che avrebbe voluto concedersi fin da quando l’altro l’aveva accolto
all’ingresso. Le loro labbra si sfiorarono per un brevissimo istante,
prima che la porta venisse spalancata di colpo, sbattendo contro la
parete. I riflessi di Jun e Ken si attivarono simultaneamente, così,
nel tentativo di divincolarsi, i due si diedero una sonora testata,
finendo vergognosamente in terra, il portiere sopra il principe del
calcio.
Yu
rimase sulla porta a osservare incuriosito la scenetta. “Scusate se ho
interrotto i vostri calorosi saluti da buoni
amici…” Disse con un sorrisetto, non nascondendo
l’allusione. “Ma prima che cominciate, ho bisogno di parlare con Ken!”
“Sei
impazzito, Yu?” Il portiere si alzò di scatto. “Chiudi quella porta!”
“Non
preoccuparti… mamma e papà sono usciti e torneranno stasera…” Spiegò
l’altro. Aveva una luce strana nello sguardo, che a Jun non sfuggì.
“Cosa
vuoi?” Lo sollecitò Ken, nuovamente alterato.
Yu
fece qualche passo e lo raggiunse, stagliandosi di fronte a lui. Lo
superava di una decina di centimetri. “Prima che papà s’intromettesse,
stavi dicendo che saresti stato in grado di battermi in qualsiasi
momento… lo pensi davvero?”
“Certo!”
Rispose Ken con fermezza, non mostrando il minimo timore.
Un
sorriso senza euforia contrasse le labbra di Yu. “Bene, Ken
Wakashimazu!” Puntò quindi il dito contro il fratello. “Io ti sfido a
un incontro di karatè. E ti farò rimangiare queste parole!”
Lo
stupore di Ken fu subito offuscato dalla rabbia che gli salì al
cervello. Suo fratello lo sfidava, sostenendo, con arroganza, di essere
in grado di batterlo? Proprio lui che aveva abbandonato il dojo di
famiglia, fregandosene altamente, lasciando a lui il peso della
responsabilità di esserne il successore? Non poteva accettarlo.
“Benissimo
Yu Wakashimazu!” Il portiere lo additò a sua volta. “Prega pure per la
tua vittoria. Perché se perderai, sarai tu a dover diventare il
successore di papà!”
“Ken!”
Lo richiamò Jun, allarmato da quelle parole, gettate fuori con foga,
senza la minima riflessione. Il principe del calcio, in quella manciata
di secondi, sperò nella risposta negativa di Yu, ma quando il maggiore
dei due Wakashimazu pronunciò un perentorio: “Ci sto”, Misugi ebbe
davvero paura delle conseguenze. Sapeva di non potersi intromettere in
quella sfida tra fratelli. Non ne aveva alcun diritto.
Nonostante
i timori, però, Jun pensò che ci aveva visto giusto: Yu, quel giorno,
non aveva fatto altro che cercare un pretesto per litigare con Ken.
Anzi, per combattere contro di lui.
I
raggi del sole di quel primo pomeriggio si riversavano sul parquet e
sui tatami della palestra, rendendo superflue le luci artificiali
accese sul soffitto. Il profumo dolce del legno pulito si scontrava con
la tensione dell’aria e con quella dei muscoli del suo corpo immobile:
Jun Misugi stava inginocchiato oltre i tatami e fissava i due fratelli
al centro del dojo che si studiavano senza fiatare. Indossavano
entrambi un karategi chiuso da
una cintura nera. Il principe del calcio si rese conto che quella era
la prima volta che vedeva Yu indossare la divisa di karatè… e, dove
ammetterlo, gli donava moltissimo. Osservati da quella prospettiva, con
indosso quella mise e con la stessa espressione severa in viso, Jun si
rese conto che, nonostante le diversità caratteriali, Ken e Yu si
somigliassero davvero molto, almeno nell’orgoglio. E, proprio in virtù
di ciò, era sicuro che entrambi avrebbero lottato senza risparmiarsi…
sperò solo non si facessero male sul serio.
Siccome
lui non era in grado di arbitrare, era stato deciso che sarebbe stato
il buon senso e la loro lealtà a fare da discriminante. Jun
si limitò soltanto a dare il via con un secco “Hajime!”*
al quale seguì lo scatto dei due avversari che, destreggiandosi subito
in movimenti agili, cominciarono la gara. Jun non conosceva molto di
quella disciplina, ma i suoi occhi, abituati ormai da tempo a studiare
gli avversari dalla panchina, gli permise di cogliere tecniche eseguite
a velocità straordinaria. Si stupì della precisione di Yu, del modo in
cui teneva testa a Ken e di come parava i suoi colpi ed era questo, di
sicuro, che stava turbando il suo ragazzo. Sì, perché il corpo del
portiere era leggermente più teso di quello del fratello, i movimenti
apparentemente fluidi e precisi, sembravano mancare di quella calma
che, all’opposto, Yu dimostrava. E ciò gli fu fatale.
La
gamba di Yu sembrò fendere l’aria, come una katana guidata con
maestria. Il piede, apice di quella lama pronta a ferire, accompagnò un
elegante quanto fatale yoko geri keage*,
fermandosi all’altezza del viso di Ken, trovandolo impreparato, ma fu
solo quando lo vide crollare sulle ginocchia, con l’espressione
disorientata, Misugi realizzò che il suo ragazzo aveva perso l’incontro.
“Complimenti
Ken.” Yu torreggiava sul fratello, l’espressione grave in viso. “Se non
fossi stato così sicuro di battermi, probabilmente, ora ci sarei io al
tuo posto. In fondo, fra i due, sei sempre stato tu il migliore.”
Ken
si sorprese di quelle parole, ma non trovò il coraggio di sollevare gli
occhi. Strinse i pugni, battendoli sul tatami, non capacitandosi di
quella sconfitta. Yu si era battuto con grande abilità, sembrava
migliorato dall’ultima volta che avevano combattuto, forse poco più di
un anno prima. Anzi, sembrava che non avesse mai smesso di allenarsi.
Aveva
sbagliato a sottovalutarlo.
Jun
si sollevò lentamente, rendendosi conto di avere le gambe tremanti. Le
sue paure si stavano concretizzando. Mentre raggiungeva il compagno per
inginocchiarsi al suo fianco, pensò che aveva sbagliato a non
intromettersi, poco prima. Si diede dello stupido per non aver fatto
ragionare Ken sul fatto che, se avesse perso, sarebbe stato lui a dover
succedere al padre nel dojo di famiglia.
“Yu…
io ho perso…”
La
voce mesta ma solenne di Ken gli fece intendere che il suo ragazzo se
n’era appena reso conto. Avrebbe voluto impedirgli di pronunciare
quelle parole.
Ken… avrebbe abbandonato il calcio?
“…
quindi… sarò io a prendere il dojo…”
“Tsk,
che diavolo stai dicendo, cretino?” Il tono scanzonato di Yu li portò a
sollevare il viso con stupore. “Non sono mica così stronzo come
qualcuno di mia conoscenza!”
“Yu…”
Pigolò Ken, mortificato, mentre Jun tirava un sospiro di sollievo
pensando che, con molta probabilità, l’altro avesse voluto soltanto
dargli una lezione di vita.
Yu
si accovacciò, mentre sulle labbra si allargava il tipico sorriso a
trentadue denti. “Tu hai dettato la tua condizione… ma non mi hai mai
chiesto quale fosse la mia!”
“Hai
ragione! Farò qualunque cosa tu mi chieda!” Esclamò Ken, in tono
rispettoso, abbassando la testa come a inchinarsi.
“Ah,
meno male!” Trillò Yu. Dopodiché sollevò l’indice con fare furbetto.
“Perché sai, voglio un appuntamento con Misugi!”
“CHECCOSA?”
Ken strabuzzò gli occhi, mentre Jun pensò di aver improvvisi problemi
all’udito.
“Sei
impazzito! Neanche per sogno!” Si ribellò Ken, digrignando i denti.
“Questo
vuol dire che preferisci dedicarti anima e corpo al dojo?” Domandò Yu,
sornione.
Ken
si sentì pugnalato a tradimento. “Questo non è leale!”
“Oh,
suvvia. È solo un appuntamento piccolo piccolo…”
“Non
voglio che esci con Jun!”
“Non
te lo mangio mica!”
“Azzardati
a toccarlo e ti ammazzo sul serio!”
“Esagerato!
Non lo voglio toccare… voglio solo uscirci... una passeggiatina innocua
io e lui!”
“Non
ci sto!”
“Ricorda
che hai perso una scommessa… non è un comportamento da uomini!”
“Sì
ma non mi avevi detto che la posta in gioco era Jun!”
“Perché
tu non me l’hai chiesto, fratellino.”
Appuntamento? Toccarlo? Uscire? Mentre
li vedeva discutere, Jun pensò che avrebbe fatto meglio ad alzare i
tacchi e andarsene. Quei due stavano lì a blaterare e nessuno chiedeva
il suo parere, nonostante fosse lui l’oggetto della contesa. Stava
seriamente meditando di lasciarli nella loro follia, quando qualcosa lo
fece desistere. “Ok, ci sto!” Dichiarò quindi, alzandosi con uno
sbuffo, a significare che non sopportava più il loro ciarlare. “Quando
dovremmo uscire?” Domandò, avvicinandosi.
“Ma…
ma… ma… Jun! Che diavolo stai dicendo?” Ken lo guardò esterrefatto,
sperando che scherzasse. All’opposto, Yu si sollevò anche lui,
manifestando la sua gioia. “Ma anche subito, Jun-chan caro! Il tempo di
prepararmi con cura!”
“Jun!”
Ken, ancora in ginocchio, gli tirò un lembo della maglia, richiamando
la sua attenzione. Lo sguardo afflitto non placò il principe del calcio
che, anzi, lo guardò con rimprovero. “Ken, hai perso la scommessa,
datti pace! Dovevi prendere in considerazione questa eventualità, ma
non l’hai fatto. Non ti sei posto minimamente il problema delle
conseguenze. Hai rischiato di dover rinunciare al calcio per il tuo
orgoglio. Ti rendi conto? Non hai protetto te stesso e
neppure me. Quindi io uscirò con Yu!”
Il
‘ti serva di lezione’ non venne pronunciato, ma Ken lo sentì rimbombare
a lungo nella sua testa.
Quando
udì le voci di Jun e Yu in giardino, Ken non volle affacciarsi alla
finestra e rimase seduto sul tappeto della propria camera, braccia
conserte e sguardo fisso nel vuoto. Non voleva vederli chiacchierare in
quel modo amichevole, come avevano fatto poco prima, mentre si
accordavano sull’appuntamento. Suo fratello aveva più volte sfiorato la
spalla di Jun, gli aveva scompigliato i capelli, comportandosi come se
lui non ci fosse. E il suo ragazzo gliel’aveva permesso. Un dolore gli
serrò il cuore, ma il capire che non era soltanto la gelosia a farlo
stare in quel modo, lo sconvolse ancora di più. Era deluso dal
comportamento del fratello: perché? Perché gli stava facendo questo?
Col
senno di poi cominciò a ripercorrere il suo comportamento strano, quel
giorno: era la prima volta che Yu tirava fuori questioni sul karatè,
sul successore della palestra e, soprattutto, sulla sua scelta di
dedicarsi al calcio. Anzi, Yu l’aveva sempre appoggiato. Non
era stato lui a difenderlo, quando suo padre voleva impedirgli di
giocare a calcio, sostenendo che non aveva alcun diritto di decidere
del futuro di suo figlio, accusandolo di egoismo? Parole che lui non
aveva avuto il coraggio di pronunciare davanti al genitore. Ed era
stato proprio grazie al fatto che si era sentito spalleggiato da lui,
da suo fratello maggiore, che
aveva trovato il coraggio di opporsi alle decisioni paterne.
Che
Yu avesse cambiato idea?
Gli
tornarono alla mente episodi di quando erano più piccoli e si
allenavano insieme nella palestra. Yu era molto bravo, ma il padre
riteneva che fosse lui il migliore, nonostante avesse cinque anni in
meno del fratello. Ma Yu non si era mai mostrato sofferente per quel
giudizio, anzi. “M’ impegnerò sempre di più per batterti, Ken!” Gli
aveva detto più volte, ridendo. Lui sembrava prendere tutto alla
leggera… quello era il lato più tipico del suo carattere.
“Sì,
Yu! E un giorno guideremo insieme la palestra di papà!”
A
quel ricordo, Ken sussultò. Forse Yu…. si era a sua volta sentito
deluso da lui? Abbandonando il karatè, era venuto meno anche alla loro
promessa. Ci rifletté su qualche attimo poi, però, il pensiero che era
appena uscito con Jun lo riscosse. Tempo prima gli aveva parlato della
sua relazione con Misugi perché aveva avuto bisogno di confidarsi con
qualcuno e lui ora si approfittava del suo punto debole. Si alzò di
scatto, dirigendosi verso l’armadio, preda di una nuova forza. Tirò
fuori una serie di vestiti, da un cassetto recuperò un paio di occhiali
da sole e diede via alla vestizione. Pensò poi che, qualunque fosse la
sua ragione, Yu non aveva alcun diritto di provarci con suo ragazzo!
******
Misugi
rimestava il cucchiaino nel frappé ancora intatto che aveva davanti.
Era stato troppo severo con Ken, se ne stava rendendo conto. Con quale
diritto gli aveva parlato in quel modo? Di sicuro l’aveva ferito e,
stavolta, non sarebbero bastate delle banali scuse per farsi perdonare.
Il suo bisogno di vederci chiaro, gli aveva fatto sfuggire di mano la
situazione. Già. Perché voleva capire il motivo dello strano
comportamento di Yu, del perché gli avesse chiesto di uscire… perché
una ragione c’era, di sicuro! Anche se, una parte di lui, cominciava a
dubitarne… che Yu volesse soltanto prendersi gioco di Ken?
Nell’avallare questa tesi, si sentì complice involontario di quella
trama e ancora più in colpa verso il proprio ragazzo. Mentre si perdeva
in quelle congetture, notò uno strano movimento al di là della vetrata
vicino al posto dov’ era seduto. Si stropicciò gli occhi, guardando
meglio: gli era sembrato che uno degli arbusti sul marciapiede si
muovesse, come se qualcosa, o qualcuno,
vi si fosse nascosto dietro. Si sporse, ma in quell’istante passò una
scolaresca che gli coprì la visuale, cosicché, quando la strada fu
nuovamente sgombra, non notò più nulla di strano. Perplesso, si chiese
se non avesse avuto le allucinazioni.
“Che
succede, Ju-chan, ti annoi?” Lo richiamò Yu, con voce squillante.
“Ah,
no!” Rispose lui distratto, stirando un sorriso, ricordandosi del
frappé. Ne sorseggiò un po’ dalla cannuccia, subendo lo sguardo del
fratello di Ken che, invece, aveva quasi finito il proprio. “È buono?”
Chiese quest’ultimo, speranzoso.
“Sì,
sì, lo è.” Jun cominciava a sentirsi davvero stupido. Aveva assecondato
Yu per tutto il tempo: il ragazzo l’aveva trascinato in vari negozi di
abbigliamento glamour, profumerie, grandi magazzini, gli aveva chiesto
consigli su camicie e pantaloni che si era provato, senza poi
acquistare nulla, avevano girato in lungo e in largo. Ormai erano al
tramonto. Infine, erano entrati in quel locale per bere qualcosa e
rilassarsi, come gli aveva detto Yu. Sì, il principe del calcio pensò
di averne proprio bisogno, anche perché si stava spazientendo.
“Senti,
Yu.” L’altro lo guardò con occhi curiosi. “Io ti ringrazio di
questo pomeriggio divertente e spensierato…” Che le sue parole non
fossero convincenti lo capiva anche da solo. “Mi hai trascinato in una
miriade di negozi per distrarmi, ma ho notato che guardavi spesso
l’orologio, come se stessi aspettando un orario ben preciso. Dove vuoi
andare, veramente?” Domandò diretto, sperando di metterlo in difficoltà.
Yu
non rispose subito, ma si limitò a sbattere più volte le palpebre e a
pronunciare un: “Però, sei proprio acuto!” Fece un lunghissimo sospiro,
al solito parecchio teatrale, poi lo sguardo si fece procace, mentre si
sollevava leggermente dalla sedia, sporgendosi verso Misugi,
poggiandogli due dita sotto il mento a sollevargli il viso. “Vedi,
Jun…” La voce tentatrice “… i love hotel
aprono solo dopo una certa ora…”
Rimasero
incatenati l’uno allo sguardo dell’altro e neppure il rumore di
bicchieri che andavano in frantumi, caduti dal vassoio di una
cameriera, unita a un: “Faccia più attenzione, lei! Ma com’è vestito?”,
li distrasse.
Jun
allontanò il viso, respingendo la mano di Yu con la propria.
Quest’ultimo tornò a sedersi. Misugi pensò di essere al limite, ma mai
si sarebbe concesso una caduta di stile. “ Caro cognatino…”
Sottolineò. “Non sono un karateka, è vero.” Si espresse in tono serio,
incrociando le braccia e accavallando le gambe, ostentando una nota di
supponenza che, se si sforzava, gli riusciva proprio bene. “Ma posso
assicurarti che un mio drive shot
fra le gambe non è che sia proprio piacevole!”
“Ouch!”
Yu si intirizzì all’istante, serrò la bocca e aspirò l’aria, facendola
sibilare fra i denti, come se avesse incassato il colpo. “Ok, ok… ho
capito!” Sofferente, alzò un palmo, in segno di resa, abbandonando
l’atteggiamento da conquistatore. “Non si può proprio scherzare con te,
eh?” Mostrò un sorriso disteso. “Va bene!” Si alzò di scatto,
afferrandogli un braccio per esortarlo a fare altrettanto. “In effetti
se arriviamo un po’ prima è meglio!” Yu si affrettò a pagare e trascinò
fuori Jun che lo seguì senza fiatare. Quel repentino cambio di
atteggiamento lo incuriosì e inquietò allo stesso tempo. Non aveva
neppure finito il frappé, ma, dopotutto, non gl’importava.
Usciti
dal locale, il chiacchiericcio vivace di Yu era scomparso, il ragazzo
sembrava essersi chiuso in un proprio mondo di pensieri imperscrutabili
e Jun non poté fare altro che assecondarlo e seguirlo, rimanendo in
silenzio. Salirono sulla metro, come sempre particolarmente affollata,
eppure il principe del calcio si sentiva osservato. Cercò di guardarsi
intorno, ma la calca della gente gl’impediva di scorgere persone
conosciute, anche se, quel lungo cappotto beige del tizio di spalle,
indossato in piena primavera, poi!, gli dava da pensare. Lui e Yu
scesero quindi alla fermata di un quartiere che Misugi conosceva poco e
camminarono per una decina di minuti, fermandosi infine davanti al
portone di una casa piccola ma, a una prima occhiata, molto antica.
Ormai era già sera.
“Sakamoto”
Pronunciò Jun, leggendo la targhetta di fianco al campanello che Yu,
prontamente, premette. “Si può sapere dove…” Nel rivolgersi a Yu, Jun
perse la parola: cos’era quella seriosità che trapelava non solo dallo
sguardo ma anche dal portamento, improvvisamente composto, del ragazzo?
Non gli aveva mai visto tale espressione in viso, quella fierezza quasi
solenne… in quell’istante, gli sembrò che Yu somigliasse tantissimo a
Ken quando si concentrava sul campo, anzi, in verità, forse somigliava
molto di più a…
“Wakashimazu-
sensei!” Qualcuno gli rubò le
parole di bocca. Un ragazzino minuto aveva aperto il portone e li stava
salutando con un inchino di reverenza. Indossava un karategi
chiuso da una cintura bianca. “È in anticipo!”
“Lo
so, Kentaro-kun. Ma ero in zona…” Rispose Yu, scrollando le spalle con
un sorriso sincero. “Lui è un mio amico.”
“Sono
Jun Misugi” Si presentò il principe del calcio, l’altro s’inchinò
ancora. “Prego…” Aggiunse, facendo strada.
Yu
si sporse verso Misugi, strizzandogli un occhio. “Stai dietro di me…”.
“Ok…”
Jun rimase un attimo basito, poi seguì i due, guardandosi intorno con
attenzione: il corridoio che stavano attraversando sembrava quello che
portava al dojo in casa di Ken… aveva anche lo stesso profumo! Inoltre,
il ragazzino aveva chiamato Yu ‘sensei’ e indossava il karategi.
Lo stavano assalendo diversi interrogativi, uno dei quali trovò subito
risposta alla fine del percorso: non era grande come quello di casa
Wakashimazu, ma, davanti a lui, c’era davvero un dojo di karatè.
Diversi ragazzini, tutti sui dieci-dodici anni, forse qualcuno più
grande, si stavano allenando. Misugi non riuscì a parlare dallo stupore.
“Yu-chan!”
Una ragazzina piuttosto esile, avanzò verso di loro. Aveva i capelli
molto lunghi, legati da una treccia che le cadeva morbida sul petto.
“Sei già qui?”
“Sì,
Ai-chan! E ho portato anche un amico!” Esclamò Yu, scansandosi per
mostrarle Misugi dietro di sé. Lo sguardo della ragazza,
dapprima incerto, s’illuminò, manifestando enorme stupore. Poi,
l’imbarazzo prese il sopravvento, facendola arrossire. Subito spostò
gli occhi su Yu. “Jun Misugi!? Ma allora era vero che lo conoscevi!”
“Certo,
perché, ne dubitavi?” Sbuffò il ragazzo, fintamente offeso.
“Mah…
ne spari sempre tante…!” Buttò lì Ai.
Yu
si finse scioccato. “Ma che dici?!” Poi scosse la testa, disperato.
“Ecco, non mi aveva creduto!” “Ahem, io…” La ragazzina, facendosi
coraggio, si rivolse a Jun, inchinandosi “Sono Ai Sakamoto. Ho quindici
anni. Sono onorata di averti qui, Misugi…”
“Il…
piacere è mio!” Esclamò Jun, un po’ perplesso e, forse, un tantino
infastidito. Sperò di non aver sorbito quell’uscita solo per incontrare
una sua fan invasata. Non avrebbe retto.
“Io…
sono una tua grandissima ammiratrice!” Buttò fuori lei, agitata. Misugi
pensò di aver colto nel segno, poi, però, quando lei sollevò lo
sguardo, la dolcezza che il principe del calcio vi percepì lo
colpì al punto da farlo sentire in imbarazzo come poche volte in vita
sua. La ragazza poggiò le mani sul petto, a enfatizzare la sincerità e
il trasporto delle sue parole. “Tu mi dai coraggio… ogni giorno.
L’impegno che metti in ogni partita, nonostante i pochi minuti di
gioco, hanno dell’incredibile. Ammiro la tua tenacia e la tua forza di
volontà, per me sei un esempio da seguire. Quando sono abbattuta, mi
basta guardare una tua partita per ritrovare il coraggio. Grazie!
Grazie davvero!” S’inchinò di nuovo.
Jun
le restituì lo sguardo gentile. Dentro di sé era emozionato
per una simile rivelazione. Di solito le sue ammiratrici lo adoravano
per l’aspetto fisico, non certo per il gioco o l’impegno.
“Grazie a te delle tue parole, Ai…”
Lei
arrossì lievemente. “Ahem… torno dagli altri. Rimani… accomodati pure…”
Disse, guardandosi intorno. “Se ti fa piacere seguire gli allenamenti…”
“Mi
farebbe molto piacere….” Precisò Misugi e Ai gli sorrise grata.
“Aspettiamo
ancora qualcuno e poi cominciamo, Yu?” Domandò poi Ai, all’indirizzo di
Yu, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
“Certo,
piccola!” La rassicurò lui. Jun era sicuro di non averlo mai visto
rivolgersi a qualcuno con una simile dolcezza.
“Perfetto!”
Trillò la ragazzina che, prima di allontanarsi, sfiorò il braccio di
Yu. “Grazie…” Misugi la guardò raggiungere i compagni sul tatami, e
subito notò come il suo sguardo fosse divenuto serio e risoluto, mentre
cominciava a dirigere il riscaldamento. “Mi hai portato qui… per lei?”
Domandò, senza distogliere lo sguardo dall’esile corpo di Ai.
“Sì…
volevo farti conoscere la tua fan. Lei lo desiderava tanto.” La voce di
Yu era particolarmente bassa, quasi malinconica. Jun respirò
profondamente, intuendo subito che Ai non era la solita ammiratrice
infatuata del suo viso. Non era uguale alle altre. La guardò
attentamente parlare con i compagni, spiegare azioni e movimenti
compiute da lei stessa, dimostrandosi molto capace, quando notò un
movimento familiare: quel modo di portarsi distrattamente una mano sul
cuore, quasi fosse un gesto spontaneo, ma che, invece, nascondeva
preoccupazione e protezione per quella parte
del corpo. Il respiro, poi, era leggermente disarmonico, ma,
di tanto in tanto, lei lo correggeva. Jun ebbe un brivido.
“Lei è… come me?” Stavolta, cercò conferme negli occhi di Yu. Questi
non sembrò per nulla sorpreso da quella conclusione. “Sì.” Rispose,
franco. “Anche Ai ha una malattia cardiaca. Perciò non può fare grandi
sforzi, né allenarsi a lungo. Le hanno detto che la potranno operare
soltanto fra qualche anno, quando il corpo sarà più solido e
sviluppato…” Yu strinse i pugni, e a Jun non sfuggì la sua apprensione.
“Ma lei continua a dedicarsi al karaté, lo sport che ama con tutta se
stessa. Non vuole mollare e va avanti stringendo i denti, a volte mi
viene difficile farla riposare… perciò litighiamo.” Sospirò il ragazzo,
abbozzando un sorriso.
Jun
si grattò la nuca. “Mi ricorda qualcuno!”
“Ahahaha!
Sì. Siete molto simili. Per questo ti ammira. Non sai quante foto tue
ha attaccato alle pareti della camera! Tu sei il suo punto di
riferimento e il suo esempio. Ai ha la tua stessa tenacia, nello
sguardo e nel cuore.”
“Ma
tu… cosa c’entri in tutto questo?”
Yu
sussultò. Nonostante fosse inevitabile, quella domanda lo mise un po’
in difficoltà. “Beh…” Balbettò un istante, prima di trovare le parole.
“… suo padre è morto due anni fa. Yoma Sakamoto era un grand’uomo.
Praticava un karatè diverso da quello di mio padre e, siccome sono un
tipo curioso, frequentavo il suo dojo di tanto in tanto. Amavo
chiacchierare con lui, mi trasmetteva serenità. Conosco Ai da quando
era molto piccola. Perciò, quando Sakamoto-san è mancato, Ai ha sentito
su di sé la responsabilità del dojo… non voleva che sparisse insieme a
suo padre. E non lo volevo neppure io. Il suo desiderio più grande è
quello di diventare il successore di questo dojo. Solo che fino a
diciotto, vent’ anni non potrà esercitare. Perciò, quando sentii la
madre parlare della possibilità di vendere tutto…”
“…
hai deciso di diventare tu il maestro di questo dojo.” Lo anticipò Jun,
dando voce a ciò che aveva capito sin dal momento che avevano messo
piede lì dentro.
“…
è così.” Ammise finalmente Yu.
“Non
l’avrei mai immaginato… sei incredibile. Chi l’avrebbe mai detto.”
Misugi lo guardò con ammirazione. “Ci hai proprio preso in giro tutti!”
“Già…”
Poi,
colto da un dubbio, Jun cominciò a fare dei conteggi sulle dita delle
mani, sottovoce, riflettendo: “Ma se lei ha quattordici anni… fra
cinque, sei anni ne avrà diciannove, venti… ah! Quindi… è vero che dopo
questo tempo prenderai il dojo della tua famiglia… quelli sono gli anni
che servono a Ai per poter prendere in mano il suo dojo!”
Yu
incrociò le mani dietro la testa, sbuffando. “Certo! Ve l’ho detto che
avevo intenzione di prenderne le redini, siete voi che non mi avete
creduto!”
Il
sollievo che Jun provò a quell’ammissione, fu davvero grande. “Sarà che
quando parli non lo fai seriamente? Te l’ha detto anche Ai.” Insinuò il
principe, ridendo. “Quindi non è nemmeno vero che passi tutto il tempo
con le ragazze!”
Yu
scoppiò a ridere. “Ahahahahaha! Non nel numero che pensano i miei
familiari naturalmente, dato che passo gran parte del mio tempo qui!
Capita che ne frequenti qualcuna, ma non ce n’è una fissa…”
“Perché…
aspetti lei?”
Stavolta,
fu Yu a imbarazzarsi. Jun lo vide fare un enorme sforzo per non
arrossire. “Vado a cambiarmi, ormai ci sono tutti. Tu accomodati pure.”
Jun lo lasciò congedarsi, senza indagare oltre. Ormai, tutto era molto
più chiaro. Pensò che Yu era davvero un bravo ragazzo e che doveva
amare proprio tanto il karatè… probabilmente più di Ken. Sorrise,
pensando che, forse, molto più in là, se era vero ciò che aveva
intuito, i dojo Sakamoto e Wakashimazu sarebbero diventati uno solo.
“Misugi,
siediti pure qui…” Ai si era avvicinata nuovamente per porgergli una
sedia. Sorrideva, leggermente in imbarazzo.
“Grazie
Ai-chan. Ma sarò più a mio agio se seguo inginocchiato per terra…
altrimenti mi sembra di stare su un trono!” Scherzò Jun. Lei ridacchiò.
“Come preferisci!”
Il
principe del calcio scrutò la sua figura minuta che, nonostante tutto,
trasmetteva forza, non riuscendo a trattenere quella domanda
affioratagli alle labbra. “Ami molto il karatè, vero?”
“Certo!
Per me è importantissimo, più d’ogni altra cosa!” Rispose d’istinto la
ragazzina.
“La
tua passione è importante…” Le sorrise Jun. “Ma non cercare di forzare
i tuoi limiti… faresti preoccupare e soffrire chi ti vuole bene.” Portò
poi una mano sul petto, sfiorandosi laddove percepiva il battito.
“Questo cuore ci dà dei grossi grattacapi. Ma ci aiuta anche ad andare
avanti.”
Ai
lo guardò sorpresa. Poi sembrò comprendere, quindi gli rivolse un
sorriso grato. “Ho capito.”
Poco
dopo, Yu fece ritorno: indossava un karategi
con il simbolo della famiglia Sakamoto ricamato sul petto.
Sembrava proprio un’altra persona. I ragazzi presenti si misero tutti
in fila e lo salutarono con reverenza, seguendo le sue direttive. Yu
mostrava lo stesso sguardo fiero di quando, poco prima, si era
annunciato: lo sguardo del vero Maestro.
Jun
si rese conto che, quel ruolo, ce l’aveva nel sangue.
Stavano
per iniziare gli allenamenti veri e propri, quando Kentaro, che ancora
mancava all’appello, fece la sua comparsa, strillando. “Sensei
Wakashimazu! Ai-san!” Sembrava agitato.
“Cosa
succede, Kentaro?” Domandarono Yu e Ai, cercando di calmarlo.
“C’è
una persona losca che si aggira nei pressi della casa! L’ho visto
cercare di spiare attraverso le finestre!”
Nella
palestra si alzò un vociare preoccupato fra cui spiccarono epiteti
quali ‘maniaco’, ‘ladro’, ‘barbone’.
“Ora
vado fuori e gli do una bella lezione!” Esclamò Ai agguerrita,
tirandosi su una manica del karategi.
“Indossa
un lungo cappotto beige e occhiali da sole!”Aggiunse, sempre Kentaro. A
quel punto, Yu e Misugi si lanciarono uno sguardo e, scoprendovi la
medesima consapevolezza, scoppiarono a ridere.
“Te
n’eri accorto?” Domandò Yu, le braccia a reggersi lo stomaco.
“Certo…
da quando eravamo al bar!” A Jun scesero un paio di lacrime, a causa
dalle risate.
“Io
da un po’ prima… ero in allerta, lo conosco mio fratello!”
Il
principe scosse la testa. “… prevedibile! Non ci avrebbe mai lasciato
uscire da soli!”
“Vai
a prenderlo, va’!” Yu gli poggiò una mano sulla spalla, esortandolo.
“Ne
sei… sicuro?” Jun si meravigliò, ma Yu scacciò i suoi dubbi con un
sorriso sincero. “A questo punto non posso più negarmi… e poi… vorrei
recuperare un po’ di dialogo con Ken, in effetti…”
Misugi
rimase in silenzio, rimuginando su una cosa che non aveva ancora
chiara. “In effetti, scusa… non facevi prima a prendermi in disparte e
chiedermi di venire qui con te?”
Yu
spalancò gli occhi. “Scherzi?” Poggiò poi le mani sui fianchi e gonfiò
il petto, tronfio. “Bwahahaha, e che gusto ci sarebbe stato? Naaaaa,
prendervi in giro è stato esaltante! Se avessi potuto, avrei filmato le
vostre facce in tutta questa storia!!”
Jun
lo guardò sconcertato, poi capì di doversi rassegnare. Non sapeva più
se era più matto Yu con i suoi piani diabolici, Ken che, vestito da
maniaco, li aveva seguiti, o lui stesso che ancora seguitava a trovare
un senso in quella storia. Cercando una risposta si avviò all’uscita,
per ripescare il fidanzato da qualche parte là fuori.
*******
“Sono
stato proprio uno stupido a dubitare di Yu…”
Ken
tirò su con il naso. Era seduto sul letto della sua camera, abbracciato
alle ginocchia.
“Dai…
non potevi mica saperlo…” Jun, seduto sul bordo, gli accarezzava testa
e capelli, consolandolo. “Ci ha presi in giro… ma per una buona causa!”
“Sì,
lo so…” Ken convenne con lui, poi si accucciò ancora di più, esibendo
un lungo broncio. “Avrei dovuto capirlo…”
“Non
sentirti in colpa… dovresti essere fiero di lui!”
“Ma
lo sono!” Il portiere abbozzò un sorriso. “Avrei solo voluto
comprenderlo da me…” Sospirò. “Hai visto come allenava i ragazzi?
Sembrava proprio papà!” Quel pensiero sembrò alleggerirgli il peso sul
cuore, facendolo riflettere. “Hai ragione! Devo essere fiero di lui!”
Esclamò, abbandonando la posizione ‘da disperato’, per lasciarsi cadere
di lato e finire con la testa sulle gambe di Jun.
Si
fissarono per qualche istante, poi una mano di Ken andò a sfiorare una
guancia del principe, camminando fin dietro il collo, facendo una lieve
pressione. Misugi si chinò quindi su di lui e gli baciò le
labbra. La delicatezza del suo gesto si scontrò con
l’inaspettata passionalità del portiere che lo costrinse a un bacio più
profondo e possessivo.
“…
sono stato geloso da morire.” Ammise Wakashimazu, quando ripresero
fiato.
Jun
ridacchiò. “L’ho notato… ma non c’era motivo. Non ti cambierei per
nulla al mondo! Anche se…” Sembrò ripensarci. “Vestito in quel modo m’
inquietavi!”
Ken
divenne più rosso di un peperone. “E che dovevo fare? Non ho avuto
scelta!” Incrociò le braccia, sbuffando. Misugi scoppiò a ridere. “… è
stato divertente. Almeno, adesso potrai dedicarti al calcio senza
pensieri e sensi di colpa.”
Ken
fissò negli occhi il compagno sopra di sé. E, stavolta, il
suo sguardo era più serio che mai “Sì, hai ragione.”
“Il
primogenito della famiglia Wakashimazu prenderà le redini del dojo e tu
diventerai un grande portiere!” Annuì Jun, tutto contento.
Ken
rise, aggrappandosi alle sue spalle, per tirarlo sopra di lui. “Puoi
contarci!”
FINE
*Fusuma:
pannelli verticali scorrevoli che separano le stanze nelle case
giapponesi.
*Ikebana:
arte della disposizione floreale.
*Shogi:
gioco di strategia, simile agli scacchi.
*La
mamma di Ken in “Un giorno vale l’altro” bruciava torte e biscotti.
*Oyako
Don: Piatto tipico a base di riso caldo, con pollo,
uova, cipolle verdi e altri ingredienti, fatti bollire con salsa di
soya e sakè.
*Natsumi,
detta Nat, è nel mio immaginario l’allenatrice del Toho nel triennio
del liceo dopo le dimissioni di Kitazume. Una tipa un po’ eccentrica,
sulla quale spero di scrivere presto una ff ^^
*Hajime:
Nelle arti marziali giapponesi (almeno nel karate e nel judo) significa
inizio del Match.
*Yoko
Geri Keage: calcio laterale frustato.
.... FINITA!!!!!
Spero vi sia
piaciuta!! Yu è un vero bastardo inside... ma nel senso buono!!! Adoro
il suo pg!! Ken è tornato a fare le sue solite figuracce... -_-"""""
povero, ma lo adoro sempre!! E Jun è adorabile, sempre!! Anche se qui
fa un po' il cattivello... ma poi se ne pente;))
Nel mio immaginario,
Yu somiglia molto a Akira
Sendo di Slam Dunk <3 con quell'espressione sempre
serena e velatamente di sfida ^_^
Grazie a tutte!!!!
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