Tutto
è finito.
Niente.
E’
tutto finito.
La mia
speranza se né andata.
Afferro
velocemente il mio casco e le chiavi, apro la porta e scendo le scale
cercando di reprimere la voglia di piangere, di sfogarmi. Non serve
disperarsi così. Non c’è niente da
fare. Tutto ciò per cui ho lottato, tutto ciò in
cui credevo si è rivelato inutile.
Prendo
senza nemmeno minimamente pensare, se sto per caso dimenticando
qualcosa, il borsone dei pattini ed esco da casa mia.
Non devo piangere. Non devo.
Fa
più male doversi tenere tutto dentro, ma io sono
forte.
Io sono forte.
Salgo sul
mio piccolo scooter, accendo il motore e dalla foga, parto in sgommata
verso la strada.
I campi e
le risaie sfrecciano troppo veloci. Dovrei rallentare, ma non mi
importa. Per un attimo vorrei riuscire a sfuggire alla mia vita, vorrei
correre così veloce da lasciarla indietro, scaricarla per
strada … ma so che è impossibile.
Anche la
più piccola luce di speranza di uscirne fuori è
svanita.
Mi sento
come se fossi stata condannata … condannata alla vita.
Accelero
ancora … spinta da una strana forza che non conosco.
Sorpasso
una macchina, poi un’altra, poi un’altra ancora
…
Troppo
… troppo veloce … ma non mi fermo.
Davanti
ai miei occhi scorrono immagini della mia infanzia … una
bambina vivace, felice, spensierata.
Io.
Non
sarà più così … non
sarà mai più così.
Una
lacrima mi solca il viso, lasciandosi dietro una scia che brucia.
Talmente
assorta dal mio dolore che non mi accorgo del semaforo rosso.
Un’auto
sbanda, ma riesce a frenare in tempo, ed io sfreccio via lasciandomi
alle spalle i clacson impazziti che a malapena raggiungono il mio
udito.
Perché?
Perché
il destino vuole piegarmi a questa mia insulsa vita?
Sarebbe
stato mille volte meglio se quella macchina mi avesse presa in
pieno.
Avrebbe
placato per sempre tutti i miei problemi, regalandomi l’oblio
della pace eterna … ma non l’ha fatto.
Sono
ancora qui.
E subisco
poco alla volta ogni singolo ricordo amaro della mia esistenza,
rassegnandomi anche al pensiero di dimenticare tutto ed andare avanti.
Come
posso vivere con questa consapevolezza?
E’
inutile sperare, se poi il dottore ti dice: “Si. E’
effettivamente affetta. Mi dispiace, ma la cura non è ancora
stata scoperta dalla scienza. Per ora stiamo ancora facendo
esperimenti, ma non siamo totalmente sicuri del risultato
finale.”.
Mia madre
è crollata nella disperazione più totale a quelle
parole.
Lei ha
scoperto di avere la retinite pigmentosa
all’età di 23 anni, dopo avermi partorito.
Maledizione!
Neanche
fosse poi tanto diffusa. E’ una stupida malattia rarissima
che colpisce alla retina dell’occhio … peggiora
nel tempo e porta alla quasi completa cecità.
Si chiama
Daniela. E’ una donna forte e determinata … ma
anche lei, quando è venuta a saperlo la prima volta,
è caduta in un esaurimento nervoso da cui ha faticato ad
uscirne.
Poco
tempo fa, la scienza ha scoperto la vera natura della retinite
… è genetica.
Per
questo stamane mi sono recata al centro oculistico specializzato di
Genova. Ed ecco il risultato … positiva a tutti i test.
Mi
ricordo di mia madre … quando lottava per riuscire a leggere
una ricetta di cucina. Nei primi tempi ci riusciva, poi ha iniziato a
chiedere il mio aiuto … adesso non riesce più a
vedere le lettere.
Diventerò
anche io così?
Stento a
crederlo, ma è la verità.
Solo che
io non riesco ad essere forte … non come lo è
stata mia mamma.
Sono arrivata.
Spengo il
motorino ed entro nel palazzetto dello sport con la mia solita borsa
malandata sulla spalla.
Non dico
niente alle mie compagne di pattinaggio artistico … non
voglio fare pena a nessuno.
Le saluto
con un “ciao” distratto e accenno un sorriso amaro,
ma nessuno ci fa tanto caso.
Entro
nello spogliatoio e mi tolgo i pantaloni e la maglia, rivelando un body
davvero grazioso … fortuna che è nero,
perché se fosse stato di stoffa vivace non sarei nemmeno
riuscita ad indossarlo. Adesso adoro il nero! Dovrò
conviverci prima o poi … perché da qui a dieci
anni vedrò solo quel colore!
Mi infilo
i pattini con cautela, accarezzando quella pelle bianca che li ricopre
… sono i migliori.
Professionali,
perfetti, ultraleggeri … fantastici!
Le ruote
sono quasi nuove, cromate … normalmente le uso solo per le
gare, ma oggi ho voglia di sentire la perfezione che mi accompagna nei
salti.
Scendo in
pista e per un attimo mi sento libera da ogni preoccupazione. Mi fa
sempre quest’effetto quando le ruote toccano il freddo marmo,
liscio e levigato, iniziando a scivolare, trasportandomi nel mio
più vivido desiderio.
Come un
autonoma, accolgo questa richiesta che mi cresce nel cuore e inizio a
spingere sulle crociere di leggero titanio, esibendo
un’aggraziata e veloce pattinata.
Mi sento
già meglio … lo stomaco si contorce di meno e i
pensieri a poco a poco svaniscono, lasciando il posto alla
concentrazione del doppio Axel che sto per staccare sotto gli occhi
vigili della mia allenatrice.
Nell’atterraggio
apro troppo il fianco e mi sbilancio. Cado.
Merda!
“Hai
aperto troppo il fianco!” Mi urla Cristina.
Mi rialzo
con una punta di delusione e cerco di concentrarmi di più.
Strano.
Di solito il doppio Axel mi è sempre riuscito alla
perfezione
Riprovo.
Prima di
staccarlo ricontrollo la posizione delle braccia e la ripresa
…
Atterro
con la schiena troppo in avanti e finisco sul puntale del pattino. Cado
ancora.
“Avevi
la schiena troppo piegata. Mettici più testa sulle cose,
Hilary!” mi rimprovera la mia allenatrice.
Riprovo,
cado e mi rialzo. Riprovo, cado e mi rialzo.
Vaffanculo!
Esco
dalla pista più arrabbiata che mai.
Questa
volta nemmeno il pattinaggio mi ha tirato su di morale.
Mi
rivesto in fretta e riprendo il mio scooter.
Dove
vado?
Mando a
quel paese anche le mie domande e imbocco una via a caso.
Non
conosco nemmeno la strada che faccio, ma non me ne curo.
Continuo
a seguire la linea bianca della carreggiata … come se fosse
l’unica cosa che posso fare ormai, senza via
d’uscita.
Poi, come
un flash, mi viene in mente quello stage che ho fatto a Santa Caterina
Val Furva … bellissimo!
Per un
istante riesco anche a sorridere …
Poi
ritorno alla realtà, ricado nel profondo dolore che mi
sommerge a poco a poco.
Viaggio
per un’ora credo, ho perso anche la percezione del tempo,
fatto sta che mi ritrovo a fare dei tornanti …
La mia
Aprilia 50 fatica a salire, ma lentamente riesco a prendere le marce
giuste.
Arrivo
alla vetta della collina, probabilmente sono le colline del Monferrato,
e mi fermo in uno spiazzale d’erba di un verde vivido.
Metto il
motorino sul cavalletto, faccio qualche passo e mi sdraio sul manto
morbido appena umidiccio.
Mi ero
dimenticata la brezza che aleggia sempre su questi altipiani, leggera,
delicata, fresca.
Strano
che non ci siano rumori cittadini, nemmeno il rombo di una moto, solo
l’urlo silenzioso della pura natura.
Alzo il
viso tirato e chiudo gli occhi.
Che piacevole sensazione!
Mi sento
sollevata da tutto … dalla malattia, dai problemi, dalla
vita ...
Ci sono
solo io e il vociare delle fronde degli alberi.
Rimango
ad ascoltare …
Mi fondo
con la natura, almeno così mi pare. La sento abbracciarmi
amorevolmente e legarmi a sé come una cosa essenziale.
D’un
tratto mi sento vuota … ma so che non è
così.
E’
solo la mia anima che, accompagnata dalla Madre della Natura, esce dal
mio corpo e vaga, confondendosi con l’aria.
Mi
avvolge un senso di tristezza … anche la mia anima mi ha
abbandonato … anche lei si è stufata della mia
vita.
Sono
sola!
Mio padre
è troppo preso dal lavoro per starmi vicino …
d’altronde non gliene faccio una colpa … lavora
giorno e notte per mantenere la famiglia.
Mia madre
prima o poi cadrà in un’altra depressione,
maledicendosi per avermi messa al mondo e per avermi offerto solo
dispiaceri.
L’unica
cosa che mi rimaneva era l’amicizia.
Che vada a morire pure quella!
Una
brutta litigata, nata da una sciocchezza, ha distrutto
l’unico mio appiglio di salvezza.
Forse
… forse sto più male per quella perdita che per
la mia malattia.
E ora mi
rendo conto che è così, perché i miei
difetti, per quanto orrendi possano essere, un’amica vera li
accetta, assieme ai miei lati positivi … ma ora nemmeno ci
parliamo più.
Cosa
farò adesso?
Sono
sola!
Sola
… con il mio dolore.
Quanto
vorrei non aver detto quelle cose ...
Mi odio
per questo … perché senza volerlo, io porto del
male alle persone.
Ed
è giusto che resti qui, ora … completamente
vuota, con la mia solitudine.
Sto piangendo!
Non ce la
faccio più a trattenermi.
Mi sfogo,
lasciando fluire tutta la mia amarezza e il mio rimorso.
Non posso
più tornare indietro e aggiustare le cose, questa
è la dura consapevolezza, un insegnamento di vita.
Mi alzo,
ormai completamente stremata, divorata dal rancore, e mi avvicino
tremante al mio cinquantino tutto sporco per via della strada sterrata.
Basta!
Non ce la
faccio più.
Per colpa
mia stanno soffrendo troppe persone.
Mia
madre, mio padre, la mia migliore amica, la gente che mi sta intorno
…
E’
ora di chiudere questo doloroso cerchio.
Apro la
sella e sorrido quasi nel notare quanto io sia disordinata.
Sul fondo
ci sono ancora resti di quel picnic che ho fatto con la mia amica una
settimana fa! Quando ancora la verità sul mio futuro non mi
sfiorava nemmeno.
Cerco tra
i tovaglioli … lo sento. Tagliente e affilato …
il coltello per affettare la carne.
Lo prendo
in mano e lo ammiro. La lama che risplende alla fioca luce del sole,
ormai rosso per il tramonto.
La voglia
irresistibile di farla finita mi attraversa come un fiume in piena, e,
devo ammettere, che mi farebbe davvero comodo.
Niente
più dolore, niente più preoccupazioni, niente
più colpe da dovermi addossare … solo una leggera
fitta e tutto si dissolverà come fumo al vento.
Mi cade
l’occhio sul quadernino di filosofia che avevo lasciato
lì dentro per prendere appunti in biblioteca …
Lo
raccolgo e vedo che in allegato avevo lasciato anche la penna.
Senza
indugiare oltre mi siedo sull’erba e lo apro alla pagina
bianca.
“Con il dolore sono nata,
Con il dolore ho
vissuto,
Con il dolore ho fatto del male
E con il dolore,
me ne vado.”
Scrivo
questa specie di frase che magari apparirà senza senso, ma
per me rispecchia la realtà, la mia realtà.
Infine,
sotto metto una piccola nota:
Non
disperatevi per me. Non versate lacrime sul mio corpo esanime.
Non
merito la compassione.
Mi
scuso dal profondo del cuore con una persona che ha fatto tanto per me,
mi ha fatto sorridere nei momenti più bui, e io non sono mai
stata capace di ricambiarla. Tutto è finito così,
come una bolla di sapone, uno stupido litigio senza senso.
Rileggo
quello che ho scritto …
Forse un
po’ troppo melodrammatico, ma ora è
così che mi sento.
Il
coltello brilla, quasi a volermi chiamare, ad annegare del sangue.
Alzo lo
sguardo alla volta celeste.
Dio, com’è bello!
Il
tramonto d’autunno è una delle sette meraviglie
del mondo.
Il sole
sta scomparendo dietro al Monte Rosa, con lui me ne vado anche io.
Afferro
il pugnale … lo guardo ancora … non ho paura.
Mi scende
una lacrima, sarà l’ultima.
Appoggio
la lama al petto …
Mi cade
l’occhio sul mio quadernino.
La pagina
è girata … sarà stato il vento.
Leggo una
frase dei miei appunti …
“Non lasciare mai che la paura
di perdere ti impedisca di partecipare.”
La nota
mi colpisce …
La
rileggo, distogliendo il coltello dal cuore.
Io non ho paura.
Non ho
paura di perdere.
Eppure
si. Ho paura di quello che sarà di me.
Ora tutto
mi è chiaro … guardo ancora la natura intorno a
me …
E’
davvero questo che voglio? Scomparire?
Mi alzo
in piedi con in mano il libretto e mi avvio al motorino.
Asciugo
con il dito la lacrima che non sono riuscita a reprimere.
Strappo
il foglio dove ho appena scritto quelle parole e lo riduco a coriandoli
… il vento porta via i pezzi e insieme, il mio dolore.
“Per
vivere bisogna lottare. E’ dura, ma posso farcela.”
“Non
da sola. Non rinchiusa nella mia solitudine. Ma con tutte le persone
che tengono a me e che mi aiuteranno ad uscire dai miei
problemi.”
Mi infilo
il casco e metto in moto … la brezza mi avvolge in un unico
abbraccio di calore … sorrido.
Torno
a casa!
Impigliato
ad un ramo di un albero rimane uno straccio di quel foglio …
quelle parole non sono state divise … forse per un motivo.
Sicuramente per un motivo …
“Tutto è
finito”
Fine
Non ho mai pubblicato una pagina del mio
diario. Questa one-shot l'ho scritta il giorno in cui io e la mia amica
abbiamo avuto un brutto litigio. Non so come a voi possa sembrare ...
queste sono le mie emozioni, quando sto malissimo. Dopo un mese io e
lei abbiamo fatto pace, ma non è più come prima.
Preciso comunque che non ho mai veramente
pensato di farla finita. Semplicemente le mie dita scivolavano sui
tasti senza tregua e in un certo senso, sono riuscita a sfogarmi.
La retinite pigmentosa non è
una malattia inventata. Mia madre ne è veramente affetta, ma
io fortunatamente non lo sono.
Spero che vi sia piaciuta ... e spero
anche di non avervi depresso troppo!^_^
Nella
vita c'è sempre una via d'uscita. (Questo dovrebbe essere il
messaggio della mia fic!)
Grazie per chi leggerà ... e per chi
recensirà.
Un grosso bacione
Hilaryssj
|