CAPITOLO PRIMO
L'ultima tentazione è il tradimento più grande: fare la cosa giusta per
la ragione sbagliata.
T. S. Eliot
Questa è la storia di un ribelle sciocco.
Un giovane dai capelli biondi, e dal volto inespressivo.
Silenzioso quanto un’ombra, egli accompagnava la donna dalla lunga chioma
azzurra. Camminava due passi indietro rispetto a lei, gli occhi ostinatamente
puntati nel vuoto. Era un comportamento ossequioso, il suo. In fondo, quella
davanti a lui era una Principessa.
Anche
se non una Principessa come tutte le altre.
“Devo farti i miei
complimenti, Capo!” Bibi Nefertari volse gli occhi color del
cielo sull’uomo intento ad accompagnarla, sorridendogli estasiata. Era
bella, incredibilmente bella, con quella veste capace di accarezzarne le forme
quasi con malizia, e quei capelli così simili al mare raccolti in una lunga,
ondulata coda. “Grazie a te ed al vecchio Toto, Yuba è tornata alla vita!”
Koza le concesse un
piccolo sorriso, mantenendo il proprio sguardo puntato altrove. “Non è merito
nostro. Ma dell’acqua.”
“Però, se voi non foste tornati qui, ora la città non sarebbe
così bella. Non è stata l’acqua a ricostruirla, giusto Capo?”
insinuò ancora la donna, guardandosi intorno con aria felice ed
ammirata.
Passati ben sei
mesi dalla rivolta che aveva sconvolto il regno di Alabasta,
Yuba era finalmente tornata il centro urbano florido e ricco auspicato anni
prima dai suoi fondatori. Crocevia di carovane e mercanti, la città godeva ormai di un’ottima stabilità economica, che
permetteva ai suoi molti abitanti di condurre vite agiate e tranquille.
Ovviamente Bibi, una volta sistemate alla meno peggio alcune questioni nella
capitale del Paese, non aveva resistito alla tentazione di visitarla. Yuba,
ormai, rappresentava per lei qualcosa di più di una città sperduta nel deserto:
era un simbolo. L’allegoria della rinascita nel suo regno,
espressa alla perfezione in quell’agglomerato di case e locande ora tornato alla
vita grazie alla caparbietà dei suoi sudditi. Per la precisione, di due
sudditi in particolare.
Vedendola arrivare
da lontano, il vecchio Toto l’aveva accolta con un sorriso carico d’orgoglio
per il proprio operato, piazzandole poi accanto il suo
Capo affinché lui le facesse da guida.
Ed
eccoli lì, dunque. La splendida Principessa e lo sciocco ribelle. Lei così
dolce, così regale. E lui così cupo, così silenzioso.
Si dirigevano verso il centro di Yuba, laddove la popolazione l’avrebbe accolta
come una fanciulla del suo rango meritava.
Koza si sprecò nel
fare spallucce, forse a disagio per quella sua insistenza nel complimentarsi.
“Dovresti smetterla di chiamarmi così. Presto sarai regina.” le
fece semplicemente notare, riuscendo in un sol colpo a spegnere sia la gioia
che il sorriso di lei.
La piazza era ormai
vicina. E lì gli abitanti di Yuba l’attendevano,
bisbigliando tra loro parole ammirate sulla beltà e la regalità della futura
regnante. La quale, però, al momento aveva per la testa
pensieri ben lontani dal benessere del suo regno.
Koza, questo avrebbe voluto chiedere
Bibi al proprio accompagnatore, quand’è che ci riuscirai?
Quand’è che riuscirò a fare cosa?, sarebbe stata certamente la domanda stranita che lui le
avrebbe rivolto.
E
lei glielo avrebbe detto. Senza esitazione. Quand’è
che riuscirai nuovamente a guardarmi negli occhi?
C’è qualcosa di strano
nell’aria, e la bambina lo sa.
Non è il suo silenzio, e nemmeno quella sua
aria contrita. Non sono i suoi pugni serrati, o le braccia rigidamente tenute
contro il corpo. No, quelli sono segni che lei vede spesso in lui. Quando è arrabbiato, ad esempio. Quando è
offeso. Quando è preoccupato.
Ma stavolta c’è
proprio qualcosa di strano. Di davvero, davvero strano. E
lei è preoccupata.
“Ehi, Capo!” si accuccia innanzi a lui,
cercandone lo sguardo con il proprio. Ma è un contatto
visivo che il bambino evita, volgendo il capo altrove con uno scatto. La
piccola, esasperata da quella reazione, sbuffa. “Insomma, se sei arrabbiato con
me puoi anche dirmelo, no?” fa notare, rialzandosi in piedi.
Ha ora le manine poggiate sugli infantili
fianchi, e lo sonda con occhi azzurri carichi di preoccupazione. Ma lui rimane in silenzio, senza osare ricambiare quel suo
sguardo. Ed infine la principessa Bibi Nefertari, innervosita, gli da’ le spalle, dirigendosi verso la propria stanza.
“Quando avrai
intenzione di guardarmi in faccia, dimmelo!” e quasi lo ruggisce, come una vera
e propria donna offesa. Perché lui sarà anche i suol
Capo, ma evitare il contatto visivo con il proprio interlocutore è una
maleducazione che Bibi non ha intenzione di concedergli. E
non perché lei è una Principessa. Semplicemente, perché sono amici.
La bambina entra nella propria stanza,
sbattendosi il portone alle spalle. Ed è dopo qualche
minuto che l’urlo esplode, pieno di sorpresa. Pieno di dolore.
“Che succede?!” è
Ingaram il primo ad accorrere, agitato.
Koza, a disagio, si fa da parte,
permettendogli di raggiungere quanto prima la camera della principessa. E
continua a fissare il pavimento, mentre la sua piccola coscienza
lo tortura come non mai.
Anche se in fondo non era
stata colpa sua. Insomma, sì, la candela era caduta a lui, quando era
andato a cercare la sua Vice Capo per invitarla ad un
giro con l’intera banda. Ma non l’aveva fatto apposta!
E poi aveva spento subito le fiamme… anche se un po’
troppo tardi per salvare il pupazzo preferito della principessa. Quello che lei gli aveva mostrato qualche volta in gran segreto,
confidandogli che esso era appartenuto ad una mamma defunta da ormai molti anni.
Eh sì… Koza l’ha combinata grossa.
Sa che Bibi non ruggirà, né tenterà di
rompergli il naso, né scatenerà una vendetta. Perché queste sono cose che fa in seguito ad offese di poco conto. Quando,
invece, la principessa si sente vittima di un’ingiusta cattiveria, la sua
reazione è una sola: un freddo, spietato, incredibile silenzio carico di
sofferenza.
Parrebbe una sciocchezza, quel silenzio,
specialmente se visto dagli occhi di un bambino. Ma
Koza sente che passeranno non pochi giorni, prima che lui possa riottenere il
coraggio di guardarla negli occhi.
La festa si protrasse a lungo, sino a molte ore dopo il
tramonto. Bibi sorrise e ringraziò, ballò e rise, popolana dal sangue blu che
per un giorno volle dimenticare del tutto il proprio ruolo di spicco.
E
gli abitanti di Yuba glielo permisero. I bambini l’attorniarono, le donne
scherzarono con lei, gli uomini la invitarono a ballare. Persino il vecchio
Toto ebbe modo di deliziare i presenti con evoluzioni ritmiche che quasi gli
rischiarono la rottura dell’antica spina dorsale. Nessuno, insomma, poté
esentarsi dallo spirito allegro e gioioso di quella festa vissuta attorno ad un
enorme e caldo falò.
Nessuno, tranne uno
sciocco ribelle seduto in disparte.
Simile ad un’ombra,
Kosa, silente, osservò attraverso le lenti dei propri occhiali quella donna
intenta a ridere ed a danzare; e sorrise amaramente, nello scorgere in lei
l’antico nucleo della sua piccola, pepata Vice Capo. Quella bambina con cui
fare a botte era così stimolante, quella principessa
che lui, povero cavaliere armato solo d’un bastone, aveva difeso quasi
rimettendoci un occhio.
Quella donna il cui padre volevi
combattere. La cui reggia volevi bruciare. Lei, sì.
Ancora una volta,
lo sciocco ribelle tornò a chiedersi come le cose si fossero
evolute in quel modo. La Baroque Works aveva agito con sottile intelligenza,
innegabile. Ed era logico che il popolo fosse caduto
nella trappola da loro tesa.
Ma
non era affatto logico l’errore da lui compiuto. Perché Kosa
non era mai stato un semplice popolano. Nessuno più di lui, nell’intera
Alabasta, avrebbe potuto vantare una migliore conoscenza dei loro regnanti.
Eppure
aveva sbagliato ugualmente. Aveva perso la fiducia nel re, creduto la
principessa rapita, o fuggita… o peggio. Si era mosso contro la reggia,
brandendo delle armi; guidando un esercito.
Maledetto idiota d’un ribelle…
Perso nei suoi
pensieri, quasi non si accorse del fruscio di stoffe che annunciò
l’avvicinarsi di una fanciulla, ed il suo sedersi al suo fianco. Nefertari
Bibi, cercando di dimenticare il frastuono portato dai festeggiamenti, osservò
con i grandi occhi blu il suo vecchio amico d’infanzia.
“Va… tutto bene,
Capo?”
“Sì.”
Cadde il silenzio
tra loro. Kosa, la schiena appoggiata contro il muro di un edificio, il braccio
destro abbandonato sulle ginocchia raccolte all’altezza del petto, alzò lo
sguardo celato dagli occhiali in direzione del cielo di Alabasta,
anche per quella sera trapuntato di mille, brillanti stelline piene di
vitalità.
Un tempo,
quell’assenza di discorsi tra loro sarebbe stata alquanto impossibile. C’erano
sempre state, tra loro, cose da raccontare, cose di cui ridere ed anche –
perché no? – cose su cui litigare. Ma ora, purtroppo,
troppo era cambiato. Ora, il bel bambino biondo era divenuto uno sciocco
ribelle, e la pestifera bambina dagli occhi azzurri una
bellissima principessa.
“Non sono in
collera con te.” Le parole provennero da una Bibi intenta a spiarlo con uno
sguardo benevolo, pieno di dolcezza. “Questo lo sai,
vero, Capo?”
Le labbra di Kosa
si piegarono in quello che volle essere un sorriso indifferente. “Credo di
averlo notato quando hai versato fiumi di lacrime sul mio corpo ferito…” buttò
lì, senza però abbassare gli occhi su di lei. Non poteva farlo. Non voleva
farlo. “Hai pianto come una…”
“Se ora dici bambina, ti prendo a pugni sul naso.” avvertì lei, anche se con un
sorriso.
“Bambina?” aggrottò
le sopracciglia il ribelle, osservando il cielo sopra di loro con fare decisamente divertito. “Riduttivo. Piccola peste, magari.
Mocciosa. Ecco cosa volevo dire…”
Bibi scoppiò a
ridere per quegli insulti gratuiti. Il suono argentino della sua risata si levò
nell’aria, deliziandolo; ma Kosa non ebbe molto tempo per godere
del fenomeno, dal momento che lei, ancora ridente, si mosse verso il
grande corpo del ribelle con entrambi i pugni levati in aria, evidentemente
allo scopo di mantenere la promessa fatta poco prima.
Sorridendo con aria
di sufficienza, l’uomo la bloccò con una mossa dettata dall’istinto,
afferrandole i polsi con ferma delicatezza; a causa di quel gesto, egli fu
costretto ad abbassare lo sguardo sul viso di lei. E
lì i suoi occhi si bloccarono, come calamitati dai tratti regali della fanciulla.
Il loro gioco si
fermò all’istante. Rimasero immobili, la principessa in ginocchio e protesa
verso di lui, il ribelle con le ginocchia ancora alzate al petto e le dita
serrate attorno ai suoi polsi. Bibi lo osservò a lungo, i tratti del volto
sommariamente illuminati dalla splendente luna piena e dal riflesso danzante
delle fiamme.
“Non sono in
collera con te, Capo” mormorò una seconda volta la futura regnante di Alabasta, questa volta con tono solenne, sincero.
Kosa desiderò ardentemente
volgere lo sguardo altrove. Evitare quegli occhi azzurri e
grandi, pieni di un affetto infantile ed indistruttibile che il ribelle sapeva
di non meritare. Ma non vi riuscì.
“Hai agito per il
bene del regno. Non contro di me, non contro mio padre… ma per il bene di Alabasta. Lo avrei fatto anche io. Mille ed ancora mille
volte. Amiamo il nostro Paese… ed esso viene prima di tutto.”
dopo quel discorso, Bibi tacque, distanziandosi da
lui. Distrattamente, Kosa liberò le sue braccia dalla propria
presa, mentre le parole da lei pronunciate gli ronzavano nella mente, simili ad
api dispettose. Non paga degli effetti già ottenuti sull’amico, ella proseguì: “Hanno giocato con tutti noi. Tu hai
sbagliato ma… quando hai capito qual era la cosa
giusta da fare, non hai esitato neppure un attimo. Queste sono decisioni da
vero Capo, Capo.” la
principessa sorrise di quel giro di parole; dunque, si alzò, spolverandosi
l’elegante veste in parte insozzata dalla sabbia del deserto. “Quindi, una volta per tutte: non sono in collera con te. Riesci ad
afferrare il concetto, Capo?”
Kosa annuì. “Non
l’ho mai pensato, infatti.” ammise
infine, fissando le persone danzanti a poca distanza da loro. “So benissimo che
non sei in collera con me. L’unico problema, Bibi, è che sono io a detestare me
stesso.” notò l’irrigidimento
in lei a quelle parole, e, sospirando, si alzò, spolverandosi a sua volta dalla
sabbia che il vento del deserto conduceva anche lì, tra le strade della sua
splendida città. “Ho condotto i miei uomini verso quella che ritenevo
la decisione più giusta… facendomi muovere come un burattino dalla Baroque
Works. Ho messo a repentaglio le loro vite. Alcune, le
ho spezzato per sempre. Non sono un
uomo, non sono un Capo. Ti chiedo di non chiamarmi più così.”
“Capo…” con quella
parola, la principessa si oppose all’istante alla sua richiesta. Ma, dopo di essa, Bibi non seppe come continuare; Kosa l’aveva posta
innanzi ad una specie di muro psicologico, che ella non poteva in alcun modo
abbattere. Demoralizzata dalla piega che il loro discorso aveva preso, la fanciulla non poté fare altro che abbassare lo sguardo, ed
annuire dolorosamente. “Proprio non vuoi capire?”
“Buonanotte,
principessa.” con quel mormorio, lui le diede le
spalle, allontanandosi dal falò, dalla festa, dalle danze. E
da lei. Bibi non lo rivide più per tutta la sera, né durante il giorno
seguente.
Fu con un pesante
senso d’oppressione al cuore che la principessa, il pomeriggio successivo,
dovette partire da Yuba. Senza salutare il suo più caro amico
d’infanzia.
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